Dopo la banana di Cattelan, il pomodorino di Venier.
Sono un artista.
Saluti,
Mauro.
domenica 8 dicembre 2019
venerdì 22 novembre 2019
Nel fine settimana ritorno
Dopo lunga pausa (dovuta a vari motivi) nel fine settimana il blog ripartirà.
Saluti,
Mauro.
Saluti,
Mauro.
mercoledì 2 ottobre 2019
Io credo che il PD abbia sbagliato
Ora che i renziani se ne sono andati e hanno fondato il loro nuovo partito si potrebbero anche fare esercizi di dietrologia e pensare male, ma la motivazione ufficiale del fatto che il PD abbia accettato di fare un governo con il M5S (e anche del perché Italia Viva rimane nel governo pur essendosene andata dal PD) è che era necessario impedire alle destre (ergo Lega più FdI con forse FI a rimorchio) di conquistare il potere.
A parte il fatto che il M5S è destra checché ne dicano amici e nemici, quindi con questo governo la destra è rimasta al potere. Ed è una destra più pericolosa di quella all'opposizione essendo "liquida" (cioè molto più adattabile agli umori del momento) e di proprietà di un'azienda attiva nel mondo digitale.
A parte il fatto che fare un governo per fermare qualcuno (per "cattivo" e pericoloso che sia o che sembri) e non per proporre qualcosa, dimostra solo che tu hai ben poche idee e programmi da offrire.
A parte tutto ciò... per me - se prendiamo la motivazione ufficiale - ha sbagliato i calcoli.
I sondaggi davano Lega e FdI in crescita... ma quante volte ultimamente i sondaggi hanno fatto un buco nell'acqua (e non solo in Italia)? Pensateci bene: la maggioranza delle volte.
Per di più il comportamento di Salvini non era certo un invito a votarlo (soprattutto il suo quasi strisciare alla fine per convincere il M5S a tornare con lui).
E io aggiungo: anche se i sondaggi fossero stati veramente significativi... Lega e FdI avevano raggiunto il massimo possibile, oltre non potevano andare.
E non venitemi a dire che non c'erano solo i sondaggi ma anche i risultati delle Europee... secondo voi sono veramente indicativi di cosa poi succede alle politiche?
Vi rispondo con due esempi.
1984: Il PCI scavalca la DC e diventa primo partito... ma dura solo per quelle elezioni, alle successive politiche la DC si riprende lo scettro.
2014: Trionfo PD... trionfo e tonfo, infatti alle successive politiche il PD crolla.
E sarebbe successo anche alla Lega dopo le europee del 2019 se solo il PD non se la fosse fatta addosso.
Se proprio la priorità era evitare un governo delle destre, la strada migliore sarebbe stata mostrare coraggio e andare alle urne. La Lega avrebbe preso una sonora sberla (FdI no, ma non sarebbe bastato a salvare la destra nel complesso).
Ma, come insegna Don Abbondio, il coraggio se non ce l'hai non te lo puoi dare. E il PD non ce l'ha.
Certo, come detto all'inizio, la scissione dei renziani potrebbe far pensare altro... ma che si creda alla motivazione ufficiale o che si faccia dietrologia... in entrambi i casi andare alle urne subito avrebbe punito la Lega, quindi la scelta di Zingaretti e Renzi di creare un governo col M5S è stata un errore comunque.
Sia uniti che divisi conveniva andare al voto.
A meno che qualcuno non voglia la vittoria della Lega.
Saluti,
Mauro.
A parte il fatto che il M5S è destra checché ne dicano amici e nemici, quindi con questo governo la destra è rimasta al potere. Ed è una destra più pericolosa di quella all'opposizione essendo "liquida" (cioè molto più adattabile agli umori del momento) e di proprietà di un'azienda attiva nel mondo digitale.
A parte il fatto che fare un governo per fermare qualcuno (per "cattivo" e pericoloso che sia o che sembri) e non per proporre qualcosa, dimostra solo che tu hai ben poche idee e programmi da offrire.
A parte tutto ciò... per me - se prendiamo la motivazione ufficiale - ha sbagliato i calcoli.
I sondaggi davano Lega e FdI in crescita... ma quante volte ultimamente i sondaggi hanno fatto un buco nell'acqua (e non solo in Italia)? Pensateci bene: la maggioranza delle volte.
Per di più il comportamento di Salvini non era certo un invito a votarlo (soprattutto il suo quasi strisciare alla fine per convincere il M5S a tornare con lui).
E io aggiungo: anche se i sondaggi fossero stati veramente significativi... Lega e FdI avevano raggiunto il massimo possibile, oltre non potevano andare.
E non venitemi a dire che non c'erano solo i sondaggi ma anche i risultati delle Europee... secondo voi sono veramente indicativi di cosa poi succede alle politiche?
Vi rispondo con due esempi.
1984: Il PCI scavalca la DC e diventa primo partito... ma dura solo per quelle elezioni, alle successive politiche la DC si riprende lo scettro.
2014: Trionfo PD... trionfo e tonfo, infatti alle successive politiche il PD crolla.
E sarebbe successo anche alla Lega dopo le europee del 2019 se solo il PD non se la fosse fatta addosso.
Se proprio la priorità era evitare un governo delle destre, la strada migliore sarebbe stata mostrare coraggio e andare alle urne. La Lega avrebbe preso una sonora sberla (FdI no, ma non sarebbe bastato a salvare la destra nel complesso).
Ma, come insegna Don Abbondio, il coraggio se non ce l'hai non te lo puoi dare. E il PD non ce l'ha.
Certo, come detto all'inizio, la scissione dei renziani potrebbe far pensare altro... ma che si creda alla motivazione ufficiale o che si faccia dietrologia... in entrambi i casi andare alle urne subito avrebbe punito la Lega, quindi la scelta di Zingaretti e Renzi di creare un governo col M5S è stata un errore comunque.
Sia uniti che divisi conveniva andare al voto.
A meno che qualcuno non voglia la vittoria della Lega.
Saluti,
Mauro.
martedì 1 ottobre 2019
giovedì 26 settembre 2019
Greta non ci fornisce soluzioni. Non può e non deve farlo.
Io credo che molti miei lettori si siano stupiti che non abbia ancora parlato del fenomeno Greta, la ragazzina diventata icona mondiale dell'ambientalismo.
Eppure è un tema che tocca (anche se molti commentatori, sia pro che contro Greta, se ne dimenticano) due ambiti a me molto cari: scienza e politica.
Non ne ho parlato perché, con o senza Greta, il problema c'è, va affrontato e si conosce da anni. Non lo si è scoperto con l'arrivo di Greta.
Per questo motivo il tema "Greta" è per me semplicemente non interessante, non rilevante.
Il tema "riscaldamento globale" lo è.
Prima di andare avanti però va fatta un'osservazione più generale: tutti parlano della Terra, del pianeta.
Ecco, anche questo è un tema sbagliato, non è il punto corretto da affrontare.
Vedo già che strabuzzate gli occhi: Mauro allora dove vive? Su Marte? Su Venere?
No, vivo qui sulla Terra come voi.
Ma il pianeta non ha bisogno di essere salvato: si salva da solo senza problemi. Come ha sempre fatto.
Guardatevi la storia geologica della Terra: il nostro pallido punto blu (il nostro pale blue dot) ha passato ere molto peggiori di questa eppure è sempre lì a rotolare allegramente o meno attorno al Sole.
Quello che noi stiamo cercando di salvare (o che neghiamo sia in pericolo) è l'umanità o, al limite, la biosfera. Non la Terra, non il pianeta.
Ma torniamo a Greta.
Perché mi sono deciso a parlarne? Mi ha stimolato un articolo sul blog di Cristiana Alicata (chi mi segue da tempo si ricorderà di lei per il mio articolo Indignazione Prêt-à-Porter): W Greta (e una postilla per il resto del mondo).
Soprattutto ho trovato l'ultima frase dell'articolo significativa e importante: "Greta ci sta chiedendo soluzioni, non ce le sta dando".
E ciò mi ha portato a fare qualche riflessione su Twitter che sto ora cercando di ampliare in questo articolo.
Perché è infatti qui, sul discorso relativo alle soluzioni, che molti commentatori, nella frenesia di accodarsi a Greta o nell'opposta frenesia di attaccarla, sbagliano: cercano proposte per le soluzioni nei suoi discorsi.
Guardano il dito, non la Luna.
Io, sono sincero, non so se Greta ha concretamente proposto soluzioni al di là delle belle intenzioni, del grido d'allarme.
Se lo avesse fatto: non ascoltatele. Greta è il dito, non la Luna.
Ascoltate il problema.
E poi cercate le soluzioni. O meglio, cercate chi può effettivamente trovarle e applicarle.
Non è una 16enne a dovercele e potercele dare. Ma neanche un adulto non preparato sul tema può darcele.
Le soluzioni vanno cercate su due altri piani:
1) la scienza deve trovarle e proporle;
2) la politica deve poi decidere se e come finanziarle e attuarle.
Scienziati e politici.
Nessun altro.
Né 16enne, né 30enne, né 80enne.
Gli altri, tutti noi, possono/devono fare pressioni su scienza e politica perché le soluzioni vengano trovate e attuate.
Possono/devono, nel loro piccolo o nel loro grande, semplicemente inquinare il meno possibile (non inquinare è impossibile, a meno di non sterminare completamente l'umanità).
Niente di più e niente di meno.
Saluti,
Mauro.
Eppure è un tema che tocca (anche se molti commentatori, sia pro che contro Greta, se ne dimenticano) due ambiti a me molto cari: scienza e politica.
Non ne ho parlato perché, con o senza Greta, il problema c'è, va affrontato e si conosce da anni. Non lo si è scoperto con l'arrivo di Greta.
Per questo motivo il tema "Greta" è per me semplicemente non interessante, non rilevante.
Il tema "riscaldamento globale" lo è.
Prima di andare avanti però va fatta un'osservazione più generale: tutti parlano della Terra, del pianeta.
Ecco, anche questo è un tema sbagliato, non è il punto corretto da affrontare.
Vedo già che strabuzzate gli occhi: Mauro allora dove vive? Su Marte? Su Venere?
No, vivo qui sulla Terra come voi.
Ma il pianeta non ha bisogno di essere salvato: si salva da solo senza problemi. Come ha sempre fatto.
Guardatevi la storia geologica della Terra: il nostro pallido punto blu (il nostro pale blue dot) ha passato ere molto peggiori di questa eppure è sempre lì a rotolare allegramente o meno attorno al Sole.
Quello che noi stiamo cercando di salvare (o che neghiamo sia in pericolo) è l'umanità o, al limite, la biosfera. Non la Terra, non il pianeta.
Ma torniamo a Greta.
Perché mi sono deciso a parlarne? Mi ha stimolato un articolo sul blog di Cristiana Alicata (chi mi segue da tempo si ricorderà di lei per il mio articolo Indignazione Prêt-à-Porter): W Greta (e una postilla per il resto del mondo).
Soprattutto ho trovato l'ultima frase dell'articolo significativa e importante: "Greta ci sta chiedendo soluzioni, non ce le sta dando".
E ciò mi ha portato a fare qualche riflessione su Twitter che sto ora cercando di ampliare in questo articolo.
Perché è infatti qui, sul discorso relativo alle soluzioni, che molti commentatori, nella frenesia di accodarsi a Greta o nell'opposta frenesia di attaccarla, sbagliano: cercano proposte per le soluzioni nei suoi discorsi.
Guardano il dito, non la Luna.
Io, sono sincero, non so se Greta ha concretamente proposto soluzioni al di là delle belle intenzioni, del grido d'allarme.
Se lo avesse fatto: non ascoltatele. Greta è il dito, non la Luna.
Ascoltate il problema.
E poi cercate le soluzioni. O meglio, cercate chi può effettivamente trovarle e applicarle.
Non è una 16enne a dovercele e potercele dare. Ma neanche un adulto non preparato sul tema può darcele.
Le soluzioni vanno cercate su due altri piani:
1) la scienza deve trovarle e proporle;
2) la politica deve poi decidere se e come finanziarle e attuarle.
Scienziati e politici.
Nessun altro.
Né 16enne, né 30enne, né 80enne.
Gli altri, tutti noi, possono/devono fare pressioni su scienza e politica perché le soluzioni vengano trovate e attuate.
Possono/devono, nel loro piccolo o nel loro grande, semplicemente inquinare il meno possibile (non inquinare è impossibile, a meno di non sterminare completamente l'umanità).
Niente di più e niente di meno.
Saluti,
Mauro.
Etichette:
ambientalismo,
biosfera,
Cristiana Alicata,
dito,
Greta,
Greta Thunberg,
inquinamento,
luna,
pianeta,
politica,
riflessione,
riscaldamento globale,
scienza,
Terra,
Twitter,
umanità
martedì 17 settembre 2019
A zonzo per il Chiemsee
Sulle navi che solcano il lago ci sono marinai con le ali...
Trovi castelli con ascensori per tavole imbandite...
E orecchie che sentono tutto...
Trovi castelli con ascensori per tavole imbandite...
E orecchie che sentono tutto...
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui tutti gli "A zonzo per...".
Qui tutti gli "A zonzo per...".
venerdì 13 settembre 2019
Quiz storico-geografico 2
Anche se non avete risposto qui sul blog al mio primo quiz storico-geografico, ve ne propongo un secondo (anche questo già presentato sui social networks).
Guardate questa foto:
1) Di che edificio si tratta?
2) In che città si trova?
Saluti,
Mauro.
Guardate questa foto:
1) Di che edificio si tratta?
2) In che città si trova?
Saluti,
Mauro.
Etichette:
foto,
geografia,
quiz,
social networks,
storia
mercoledì 11 settembre 2019
Quiz storico-geografico 1
Vi ripropongo qui un quiz che ho già proposto sui social networks (quindi se avete partecipato lì, trattenetevi e non rispondete qui).
Guardate questa foto:
E ora rispondete:
1) Che cosa è il luogo ritratto nella foto?
2) In quale città si trova?
Saluti,
Mauro.
Guardate questa foto:
E ora rispondete:
1) Che cosa è il luogo ritratto nella foto?
2) In quale città si trova?
Saluti,
Mauro.
Etichette:
foto,
geografia,
quiz,
social networks,
storia
lunedì 9 settembre 2019
A zonzo per Salisburgo
A Salisburgo non ci sono solo le palle di Mozart...
...e Schiller coltiva i cetrioli...
...e Schiller coltiva i cetrioli...
...mentre i comignoli si attaccano alle rocce.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui tutti gli "A zonzo per...".
Qui tutti gli "A zonzo per...".
domenica 8 settembre 2019
Ho completato il giro
Nel 1984, da liceale, feci una vacanza nel sud della Germania (Baden-Württemberg e Baviera) con i miei genitori.
Volevamo vedere tante cose, ma una delle mete principali erano i castelli fatti costruire da Ludwig II di Baviera, il re considerato pazzo da molti (pazzo in realtà non lo era, ma comunque la testa tra le nuvole la aveva).
Questi castelli sono:
- Linderhof
- Neuschwanstein
- Herrenchiemsee
Per errato calcolo dei tempi a disposizione e delle distanze alla fine riuscimmo a vedere solo i primi due (insieme al più antico castello di Hohenschwangau, comunque fatto restaurare da Ludwig II).
Anni dopo io mi trasferii in Germania, ma quel castello, Herrenchiemsee, rimase comunque una tappa mancante. Per un caso o per l'altro non lo visitai mai.
Cinque anni fa poi mio padre è mancato e da allora ogni estate mia madre - ormai sola - passa un paio di mesi da me.
E mercoledì scorso siamo andati a visitare il castello di Herrenchiemsee.
Abbiamo completato il giro.
Dopo 35 anni.
Saluti,
Mauro.
Volevamo vedere tante cose, ma una delle mete principali erano i castelli fatti costruire da Ludwig II di Baviera, il re considerato pazzo da molti (pazzo in realtà non lo era, ma comunque la testa tra le nuvole la aveva).
Questi castelli sono:
- Linderhof
- Neuschwanstein
- Herrenchiemsee
Per errato calcolo dei tempi a disposizione e delle distanze alla fine riuscimmo a vedere solo i primi due (insieme al più antico castello di Hohenschwangau, comunque fatto restaurare da Ludwig II).
Anni dopo io mi trasferii in Germania, ma quel castello, Herrenchiemsee, rimase comunque una tappa mancante. Per un caso o per l'altro non lo visitai mai.
Cinque anni fa poi mio padre è mancato e da allora ogni estate mia madre - ormai sola - passa un paio di mesi da me.
E mercoledì scorso siamo andati a visitare il castello di Herrenchiemsee.
Abbiamo completato il giro.
Dopo 35 anni.
Saluti,
Mauro.
Etichette:
Baden-Württemberg,
Baviera,
castello,
Germania,
Herrenchiemsee,
Hohenschwangau,
Linderhof,
Ludwig,
Mauro,
Neuschwanstein,
personale
domenica 1 settembre 2019
venerdì 30 agosto 2019
Cos'è Hartz IV (non è un reddito di cittadinanza)
Domenica qualcuno in una discussione su Twitter ha sostenuto che in Germania il reddito di cittadinanza già esiste. (E questo qualcuno sottintendeva che i tedeschi sono brutti e cattivi perché vogliono impedire a noi di farlo mentre loro se lo fanno allegramente).
All'inizio non era chiaro a cosa si riferisse, ma poi è diventato chiaro che si riferiva al cosiddetto Hartz IV (e tra le righe si capiva che l'espressione Hartz IV lui mai l'aveva sentita prima che la usassimo io e un paio d'altri).
Visto che questo Hartz IV fuori dalla Germania (ma talvolta anche in Germania stessa) viene frainteso e descritto per quello che non è, vuoi per malafede, per ignoranza o per altro, mi sembra utile qui descriverlo.
Prima però due punti che vanno oltre Hartz IV, pur comprendendolo, e che sono anche parte della discussione di domenica.
Per prima cosa, il qualcuno di cui sopra sosteneva che in Germania il welfare (di cui Hartz IV è parte) vale anche per chi lavora, non solo per i disoccupati o per chi non può lavorare.
Bella scoperta 😄
In ogni paese (per lo meno in quelli legati alla concezione europea occidentale di welfare) il welfare vale anche per chi lavora. Anche in Italia, Francia, Spagna e chi più ne ha più ne metta.
Cosa credete che sia, per esempio, il proseguimento dello stipendio per chi è in malattia? O per esempio la cassa integrazione per chi non viene licenziato - quindi ufficialmente ha un lavoro - ma la cui azienda lavora a ritmo ridotto o è ferma? Cosa sono se non welfare?
Seconda cosa, chi viene messo alle strette sul fatto che Hartz IV non è un reddito di cittadinanza generalmente si arrampica sugli specchi dicendo che puoi chiamarlo in modo diverso o vedere differenze formali ma reddito di cittadinanza rimane.
Beh, a questo modo allora puoi chiamare reddito di cittadinanza qualsiasi cosa non sia una retribuzione per un lavoro svolto. A questo punto, usando questa arrampicata sugli specchi, volendo anche le pensioni e le borse di studio diventano una specie di reddito di cittadinanza.
Semmai vero è il contrario, cioè che anche il reddito di cittadinanza italiano non è un reddito di cittadinanza, visto che con la cittadinanza non c'entra nulla.
Ma torniamo a Hartz IV.
In questo articolo di Wikipedia (in tedesco) trovate la descrizione particolareggiata di tutto ciò che riguarda Hartz IV, con tutti i riferimenti agli articoli di legge e a tutta la regolamentazione al proposito. Qui elencherò i punti principali della questione. Per chi vuole saperne di più, l'articolo citato sopra è un ottimo punto di partenza. Non parlerò di cifre, perché il punto importante è il cosa, non il quanto.
Una cosa interessante è che è una delle leggi più spesso modificate in Germania da quando nel 2005 è stata introdotta.
Per prima cosa diciamo che il suo nome ufficiale è in realtà Arbeitslosengeld II, cioè Sussidio di disoccupazione II.
Quindi già il nome ci dice qualcosa dell'ambito in cui ci muoviamo. Non certo in quello del reddito di cittadinanza.
La seconda cosa da notare è che per averne diritto (a prescindere dai vincoli economici) la prima condizione è il vivere in Germania, non l'essere tedeschi.
Quindi, se qualcuno insisteva a parlare di "reddito di cittadinanza" a questo punto deve smetterla. Se proprio vogliamo rimanere nel concetto di reddito allora sarebbe più adeguato chiamarlo "reddito di residenza".
A parte le battute, Hartz IV nasce dall'unificazione (e per la maggioranza dei beneficiari conseguente riduzione) di due sistemi paralleli preesistenti:
- il sussidio di disoccupazione (che rimane presente nella vecchia forma per il primo anno di disoccupazione dopo la perdita del lavoro);
- i sussidi sociali per chi era in difficoltà economica ma non aveva diritto al sussidio di disoccupazione, pur essendo abile al lavoro.
Quindi vediamo che la nascita di Hartz IV non introduce qualcosa di nuovo ma unifica due cose già esistenti (e in forme diverse esistenti già anche negli altri paesi dell'Europa occidentale).
E soprattutto non allarga la base di chi ha diritto a detto sostegno. Ergo: se Hartz IV fosse veramente un reddito di cittadinanza significherebbe che quest'ultimo esisteva già e che ha solo cambiato nome.
Una cosa importante è che se tu hai famigliari (genitori o figli) che guadagnano a sufficienza puoi vederti ridotto e in casi estremi negato il sostegno anche se tu non sei legalmente a loro carico in quanto puoi venir aiutato da loro (e questa è una delle più frequenti ragioni di cause legali relative al diritto a Hartz IV).
Cosa che non sarebbe possibile neanche in teoria se fosse un vero reddito di cittadinanza.
Hartz IV non è incondizionato.
Oltre alle condizioni economiche e occupazionali già citate, condizione per ricevere Hartz IV è essere attivi nella ricerca di un lavoro o comunque di un modo legale per non essere a carico dello Stato. Questo "essere attivi" non è definito con precisione assoluta e questo lascia quindi spazio a possibili arbitrii (ho conosciuto persone che non facevano assolutamente nulla prendere Hartz IV e persone che si facevano il mazzo per trovare lavoro vederselo ridotto o tolto).
Le prestazioni di Hartz IV sono limitate e limitanti. L'esempio migliore è il calcolo dell'affitto: dato che questo fa parte delle prestazioni, se secondo gli uffici preposti il tuo alloggio costa troppo, può venirti imposto di cambiare casa o di arraggiarti senza aiuto (e in certi casi ciò ti viene imposto anche se l'affitto è economico ma il tuo alloggio viene giudicato troppo grande o troppo lussuoso per le tue esigenze).
Un vantaggio indubbio di Hartz IV rispetto ai sussidi sociali (ma non a quello di disoccupazione) è che hai assicurazione sanitaria e pensionistica (nel senso non che ti versano i contributi per la pensione, ma che gli anni di Hartz IV vengono contati come anni lavorativi).
Al di fuori di Hartz IV ci sono prestazioni economiche dovute a emergenze o necessità particolari. Per queste bisogna fare richieste apposite e la loro erogazione è di fatto indipendente dal livello di Hartz IV che uno riceve.
Va in più detto che, almeno in teoria, il controllo della situazione economica da parte degli uffici erogatori di Hartz IV è addirittura più severo di quella del fisco.
Per esempio se tu ti stai facendo una pensione integrativa può venirti negato Hartz IV in quanto tu puoi richiedere (con perdite, come sappiamo tutti) di risolvere il contratto e che quanto accumulato ti venga versato subito. E poi vivere con quello (e fare nuova richiesta per Hartz IV quando stai per finire i soldi). Ciò vale per le pensioni integrative private, ma non per quelle garantite dallo Stato.
Ci sarebbe tanto altro da dire, ma mi pare quanto sopra basti per mettere fine alla leggenda che Hartz IV sia una specie di reddito di cittadinanza.
Un'ultima precisazione prima di chiudere.
Al di là delle somiglianze e differenze tra Hartz IV e reddito di cittadinanza, il problema comunque non sono i tedeschi cattivi che (manovrando Bruxelles) vogliono sfruttarci e impoverirci.
Il problema sono quello che i conti di questo o quel paese ti permettono materialmente di fare senza mettere a repentaglio il futuro del paese stesso.
Saluti,
Mauro.
All'inizio non era chiaro a cosa si riferisse, ma poi è diventato chiaro che si riferiva al cosiddetto Hartz IV (e tra le righe si capiva che l'espressione Hartz IV lui mai l'aveva sentita prima che la usassimo io e un paio d'altri).
Visto che questo Hartz IV fuori dalla Germania (ma talvolta anche in Germania stessa) viene frainteso e descritto per quello che non è, vuoi per malafede, per ignoranza o per altro, mi sembra utile qui descriverlo.
Prima però due punti che vanno oltre Hartz IV, pur comprendendolo, e che sono anche parte della discussione di domenica.
Per prima cosa, il qualcuno di cui sopra sosteneva che in Germania il welfare (di cui Hartz IV è parte) vale anche per chi lavora, non solo per i disoccupati o per chi non può lavorare.
Bella scoperta 😄
In ogni paese (per lo meno in quelli legati alla concezione europea occidentale di welfare) il welfare vale anche per chi lavora. Anche in Italia, Francia, Spagna e chi più ne ha più ne metta.
Cosa credete che sia, per esempio, il proseguimento dello stipendio per chi è in malattia? O per esempio la cassa integrazione per chi non viene licenziato - quindi ufficialmente ha un lavoro - ma la cui azienda lavora a ritmo ridotto o è ferma? Cosa sono se non welfare?
Seconda cosa, chi viene messo alle strette sul fatto che Hartz IV non è un reddito di cittadinanza generalmente si arrampica sugli specchi dicendo che puoi chiamarlo in modo diverso o vedere differenze formali ma reddito di cittadinanza rimane.
Beh, a questo modo allora puoi chiamare reddito di cittadinanza qualsiasi cosa non sia una retribuzione per un lavoro svolto. A questo punto, usando questa arrampicata sugli specchi, volendo anche le pensioni e le borse di studio diventano una specie di reddito di cittadinanza.
Semmai vero è il contrario, cioè che anche il reddito di cittadinanza italiano non è un reddito di cittadinanza, visto che con la cittadinanza non c'entra nulla.
Ma torniamo a Hartz IV.
In questo articolo di Wikipedia (in tedesco) trovate la descrizione particolareggiata di tutto ciò che riguarda Hartz IV, con tutti i riferimenti agli articoli di legge e a tutta la regolamentazione al proposito. Qui elencherò i punti principali della questione. Per chi vuole saperne di più, l'articolo citato sopra è un ottimo punto di partenza. Non parlerò di cifre, perché il punto importante è il cosa, non il quanto.
Una cosa interessante è che è una delle leggi più spesso modificate in Germania da quando nel 2005 è stata introdotta.
Per prima cosa diciamo che il suo nome ufficiale è in realtà Arbeitslosengeld II, cioè Sussidio di disoccupazione II.
Quindi già il nome ci dice qualcosa dell'ambito in cui ci muoviamo. Non certo in quello del reddito di cittadinanza.
La seconda cosa da notare è che per averne diritto (a prescindere dai vincoli economici) la prima condizione è il vivere in Germania, non l'essere tedeschi.
Quindi, se qualcuno insisteva a parlare di "reddito di cittadinanza" a questo punto deve smetterla. Se proprio vogliamo rimanere nel concetto di reddito allora sarebbe più adeguato chiamarlo "reddito di residenza".
A parte le battute, Hartz IV nasce dall'unificazione (e per la maggioranza dei beneficiari conseguente riduzione) di due sistemi paralleli preesistenti:
- il sussidio di disoccupazione (che rimane presente nella vecchia forma per il primo anno di disoccupazione dopo la perdita del lavoro);
- i sussidi sociali per chi era in difficoltà economica ma non aveva diritto al sussidio di disoccupazione, pur essendo abile al lavoro.
Quindi vediamo che la nascita di Hartz IV non introduce qualcosa di nuovo ma unifica due cose già esistenti (e in forme diverse esistenti già anche negli altri paesi dell'Europa occidentale).
E soprattutto non allarga la base di chi ha diritto a detto sostegno. Ergo: se Hartz IV fosse veramente un reddito di cittadinanza significherebbe che quest'ultimo esisteva già e che ha solo cambiato nome.
Una cosa importante è che se tu hai famigliari (genitori o figli) che guadagnano a sufficienza puoi vederti ridotto e in casi estremi negato il sostegno anche se tu non sei legalmente a loro carico in quanto puoi venir aiutato da loro (e questa è una delle più frequenti ragioni di cause legali relative al diritto a Hartz IV).
Cosa che non sarebbe possibile neanche in teoria se fosse un vero reddito di cittadinanza.
Hartz IV non è incondizionato.
Oltre alle condizioni economiche e occupazionali già citate, condizione per ricevere Hartz IV è essere attivi nella ricerca di un lavoro o comunque di un modo legale per non essere a carico dello Stato. Questo "essere attivi" non è definito con precisione assoluta e questo lascia quindi spazio a possibili arbitrii (ho conosciuto persone che non facevano assolutamente nulla prendere Hartz IV e persone che si facevano il mazzo per trovare lavoro vederselo ridotto o tolto).
Le prestazioni di Hartz IV sono limitate e limitanti. L'esempio migliore è il calcolo dell'affitto: dato che questo fa parte delle prestazioni, se secondo gli uffici preposti il tuo alloggio costa troppo, può venirti imposto di cambiare casa o di arraggiarti senza aiuto (e in certi casi ciò ti viene imposto anche se l'affitto è economico ma il tuo alloggio viene giudicato troppo grande o troppo lussuoso per le tue esigenze).
Un vantaggio indubbio di Hartz IV rispetto ai sussidi sociali (ma non a quello di disoccupazione) è che hai assicurazione sanitaria e pensionistica (nel senso non che ti versano i contributi per la pensione, ma che gli anni di Hartz IV vengono contati come anni lavorativi).
Al di fuori di Hartz IV ci sono prestazioni economiche dovute a emergenze o necessità particolari. Per queste bisogna fare richieste apposite e la loro erogazione è di fatto indipendente dal livello di Hartz IV che uno riceve.
Va in più detto che, almeno in teoria, il controllo della situazione economica da parte degli uffici erogatori di Hartz IV è addirittura più severo di quella del fisco.
Per esempio se tu ti stai facendo una pensione integrativa può venirti negato Hartz IV in quanto tu puoi richiedere (con perdite, come sappiamo tutti) di risolvere il contratto e che quanto accumulato ti venga versato subito. E poi vivere con quello (e fare nuova richiesta per Hartz IV quando stai per finire i soldi). Ciò vale per le pensioni integrative private, ma non per quelle garantite dallo Stato.
Ci sarebbe tanto altro da dire, ma mi pare quanto sopra basti per mettere fine alla leggenda che Hartz IV sia una specie di reddito di cittadinanza.
Un'ultima precisazione prima di chiudere.
Al di là delle somiglianze e differenze tra Hartz IV e reddito di cittadinanza, il problema comunque non sono i tedeschi cattivi che (manovrando Bruxelles) vogliono sfruttarci e impoverirci.
Il problema sono quello che i conti di questo o quel paese ti permettono materialmente di fare senza mettere a repentaglio il futuro del paese stesso.
Saluti,
Mauro.
Etichette:
Arbeitslosengeld,
Bruxelles,
conti,
futuro,
Germania,
Hartz IV,
Italia,
reddito di cittadinanza,
Stato,
sussidio di disoccupazione,
Twitter,
welfare
martedì 16 luglio 2019
L'abbondanza non sempre è un bene
In questo momento ci sono tanti, troppi temi su cui vorrei e potrei scrivere qualcosa di eretico. Ma devo anche lavorare e portare avanti altri progetti personali.
Per cui vi chiedo: su che argomento vorreste leggere le mie sparate?
Ditemelo e, se avrò al proposito qualcosa da dire, vi accontenterò.
Saluti,
Mauro.
Per cui vi chiedo: su che argomento vorreste leggere le mie sparate?
Ditemelo e, se avrò al proposito qualcosa da dire, vi accontenterò.
Saluti,
Mauro.
venerdì 12 luglio 2019
Für eine korrekte Vergütung der Homöopathie seitens Krankenkassen
In Frankreich erlässt man gerade Gesetze, um homöopathische "Medikamente" seitens Krankenkassen nicht zurückerstattbar zu machen (Anführungsstriche sind kein Zufall).
In Deutschland laufen heutzutage Kampagnen mit dem gleichen Ziel, aber Widerstände sind stärker als in Frankreich (übrigens ist Homöopathie eine deutsche Erfindung, wie auch die so genannte Neue Germanische Medizin oder andere Unsinn, wie die Heilpraktika... aber über den deutschen medizinischen Unsinn im allgemeinen werde ich ein anderes Mal schreiben).
Nun, ist es gerecht, homöopathischen "Medikamente" nicht zurückerstatten?
Wer mich kennt, weißt, dass die einzige von mir zu erwartenden Antwort klar und deutlich ja lautet.
Aber... aber denken wir kurz nach.
Homöopathie ist jetzt einen Glaube geworden.
Falls die Krankenkassen sie nicht mehr zurückerstattet, die Homöopathie-Verkäufer werden von den Kunden Geld verlangen (nein, sie sind nicht Patienten, da Homöopathie keine Medizin ist, sie sind nur Kunden). Und die Kunden werden bezahlen, gerade weil es ein Glaube ist. Und vielleicht werden sie für die "Therapien" sich sogar verschulden (letztendlich wirkt für vielen die Homöopathie wie die Ludopathie, sie ist eine Sucht).
Was machen dann?
Dann führen wir die homöopathische Rückerstattung ein.
Da es eine Rückerstattung ist, die Homöopathie-Verkäufer werden kein Geld von Kunden verlangen dürfen, es wäre illegal.
Außerdem werden sie damit verdienen: Nach ihrem Glaube, je homöopathischer, je verdünnter die Rückerstattung, desto stärker die positive Wirkung auf ihren Konten und Portemonnaies.
Richtig?
Grüße,
Mauro.
P.S.: Hier die italienische Version.
In Deutschland laufen heutzutage Kampagnen mit dem gleichen Ziel, aber Widerstände sind stärker als in Frankreich (übrigens ist Homöopathie eine deutsche Erfindung, wie auch die so genannte Neue Germanische Medizin oder andere Unsinn, wie die Heilpraktika... aber über den deutschen medizinischen Unsinn im allgemeinen werde ich ein anderes Mal schreiben).
Nun, ist es gerecht, homöopathischen "Medikamente" nicht zurückerstatten?
Wer mich kennt, weißt, dass die einzige von mir zu erwartenden Antwort klar und deutlich ja lautet.
Aber... aber denken wir kurz nach.
Homöopathie ist jetzt einen Glaube geworden.
Falls die Krankenkassen sie nicht mehr zurückerstattet, die Homöopathie-Verkäufer werden von den Kunden Geld verlangen (nein, sie sind nicht Patienten, da Homöopathie keine Medizin ist, sie sind nur Kunden). Und die Kunden werden bezahlen, gerade weil es ein Glaube ist. Und vielleicht werden sie für die "Therapien" sich sogar verschulden (letztendlich wirkt für vielen die Homöopathie wie die Ludopathie, sie ist eine Sucht).
Was machen dann?
Dann führen wir die homöopathische Rückerstattung ein.
Da es eine Rückerstattung ist, die Homöopathie-Verkäufer werden kein Geld von Kunden verlangen dürfen, es wäre illegal.
Außerdem werden sie damit verdienen: Nach ihrem Glaube, je homöopathischer, je verdünnter die Rückerstattung, desto stärker die positive Wirkung auf ihren Konten und Portemonnaies.
Richtig?
Grüße,
Mauro.
P.S.: Hier die italienische Version.
Etichette:
Deutschland,
Frankreich,
Geld,
Glaube,
Homöopathie,
Krankenkasse,
Kunde,
lingua,
Ludopathie,
Medikament,
Medizin,
Patient,
Pflege,
Rückerstattung,
tedesco,
Therapie,
Unsinn
giovedì 11 luglio 2019
Per un giusto trattamento mutualistico dell'omeopatia
In Francia si sta legiferando per rendere non rimborsabili dal sistema sanitario i "medicinali" omeopatici (virgolette non casuali).
In Germania ci sono campagne per raggiungere lo stesso obiettivo, ma le resistenze sono molto più forti che in Francia (del resto l'omeopatia è nata qui, come anche la cosiddetta Nuova Medicina Germanica e altra fuffa varia, come la Heilpraktik... ma della fuffa medica tedesca in genere ve ne parlerò un'altra volta).
Ora, è giusto non rimborsare i "medicinali" omeopatici?
Chi mi conosce sa che l'unica risposta che ci si possa attendere da me è un sì chiaro e deciso.
Ma... ma riflettiamo un attimo.
L'omoepatia ormai è una fede.
Se il sistema sanitario non la rimborsa più, i venditori di omeopatia chiederanno i soldi ai clienti (no, non sono pazienti, visto che l'omeopatia non è una cura, sono solo clienti). E questi pagheranno, proprio perché è una fede. E magari si indebiteranno per le "terapie" (in fondo l'omeopatia è paragonabile alla ludopatia, per molti è una dipendenza).
E allora?
Allora introduciamo il rimborso omeopatico.
Essendo un rimborso, i venditori di omeopatia non potranno chiedere nulla ai clienti, sarebbe illegale.
E oltretutto ci guadagnerebbero: secondo il loro credo, più un rimborso sarà omeopatico, più sarà diluito, più avrà effetto arricchente sui loro conti e sui loro portafogli.
Giusto?
Saluti,
Mauro.
P.S.: Qui la versione tedesca.
In Germania ci sono campagne per raggiungere lo stesso obiettivo, ma le resistenze sono molto più forti che in Francia (del resto l'omeopatia è nata qui, come anche la cosiddetta Nuova Medicina Germanica e altra fuffa varia, come la Heilpraktik... ma della fuffa medica tedesca in genere ve ne parlerò un'altra volta).
Ora, è giusto non rimborsare i "medicinali" omeopatici?
Chi mi conosce sa che l'unica risposta che ci si possa attendere da me è un sì chiaro e deciso.
Ma... ma riflettiamo un attimo.
L'omoepatia ormai è una fede.
Se il sistema sanitario non la rimborsa più, i venditori di omeopatia chiederanno i soldi ai clienti (no, non sono pazienti, visto che l'omeopatia non è una cura, sono solo clienti). E questi pagheranno, proprio perché è una fede. E magari si indebiteranno per le "terapie" (in fondo l'omeopatia è paragonabile alla ludopatia, per molti è una dipendenza).
E allora?
Allora introduciamo il rimborso omeopatico.
Essendo un rimborso, i venditori di omeopatia non potranno chiedere nulla ai clienti, sarebbe illegale.
E oltretutto ci guadagnerebbero: secondo il loro credo, più un rimborso sarà omeopatico, più sarà diluito, più avrà effetto arricchente sui loro conti e sui loro portafogli.
Giusto?
Saluti,
Mauro.
P.S.: Qui la versione tedesca.
martedì 9 luglio 2019
Povere percentuali
Quando impareremo a capirle?
Ormai ne ho parlato più volte (per esempio qui e qui), rischio di diventare noioso, ma trovare fraintendimenti sull'uso delle percentuali anche in un libro di due divulgatori (uno anche ricercatore) che stimo mi fa male.
È vero che l'errore non lo commettono loro ma una persona che intervistano, però loro non correggono l'errore (bastava aggiungere una nota a piè di pagina per spiegare, non serviva correggere direttamente l'intervistato).
Il libro di cui sto parlando è Contro Natura, di Beatrice Mautino e Dario Bressanini, edito nel 2015 da Rizzoli nella BUR.
E l'errore di cui parlo appare a pagina 199:
Leggiamo nel primo paragrafo (frase pronunciata dall'agronomo Eugenio Gentinetta e nel libro correttamente virgolettata):
La resa di una pianta di Carnaroli è per il 70% paglia e per il 30% chicco, mentre nel Karnak il rapporto è metà e metà. Quindi la resa per ettaro è maggiore del 20%.
A parte che la resa di cui parla nella prima frase è paglia+chicco mentre quella nella seconda è solo chicco, ma questo non è importante in quanto il concetto rimane chiaro e inequivocabile comunque.
Se passiamo però alle percentuali il problema c'è. E serio.
Io non so quanta sia la resa totale del riso per ettaro, ma ipotizziamo (per semplicità, immagino che nella realtà sia molto di più) che ogni ettaro fornisca 1000 kg di riso.
Col Carnaroli significa che per ogni ettaro raccoglieremo 700 kg di paglia e 300 di chicchi.
Se invece del Carnaroli coltivassimo Karnak raccoglieremo 500 kg di paglia e 500 di chicchi.
Quindi (accettando come premessa che il totale rimanga 1000 kg) avremo una resa in chicchi di 200 kg superiore col Karnak.
Ergo un'aumento della resa per ettaro del 66,67%.
Questo numero viene da un semplice calcolo: (500-300)/300=200/300=0,6667. Che moltiplicato per 100 ci dà appunto la percentuale: 66,67%.
Da dove viene allora l'aumento di resa del 20%? Dalla classica confusione tra valori assoluti e valori relativi: Gentinetta ha utilizzato la percentuale come fosse un valore assoluto, mentre è un valore relativo.
Errore sempre più diffuso, purtroppo, tanto che anche persone preparate come gli autori del libro neanche ci fanno più caso.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Al di là dello svarione citato (tra l'altro non autografo ma di un intervistato 😉) Contro Natura è un libro molto interessante e di piacevole lettura. Posso solo consigliarlo.
Ormai ne ho parlato più volte (per esempio qui e qui), rischio di diventare noioso, ma trovare fraintendimenti sull'uso delle percentuali anche in un libro di due divulgatori (uno anche ricercatore) che stimo mi fa male.
È vero che l'errore non lo commettono loro ma una persona che intervistano, però loro non correggono l'errore (bastava aggiungere una nota a piè di pagina per spiegare, non serviva correggere direttamente l'intervistato).
Il libro di cui sto parlando è Contro Natura, di Beatrice Mautino e Dario Bressanini, edito nel 2015 da Rizzoli nella BUR.
E l'errore di cui parlo appare a pagina 199:
Leggiamo nel primo paragrafo (frase pronunciata dall'agronomo Eugenio Gentinetta e nel libro correttamente virgolettata):
La resa di una pianta di Carnaroli è per il 70% paglia e per il 30% chicco, mentre nel Karnak il rapporto è metà e metà. Quindi la resa per ettaro è maggiore del 20%.
A parte che la resa di cui parla nella prima frase è paglia+chicco mentre quella nella seconda è solo chicco, ma questo non è importante in quanto il concetto rimane chiaro e inequivocabile comunque.
Se passiamo però alle percentuali il problema c'è. E serio.
Io non so quanta sia la resa totale del riso per ettaro, ma ipotizziamo (per semplicità, immagino che nella realtà sia molto di più) che ogni ettaro fornisca 1000 kg di riso.
Col Carnaroli significa che per ogni ettaro raccoglieremo 700 kg di paglia e 300 di chicchi.
Se invece del Carnaroli coltivassimo Karnak raccoglieremo 500 kg di paglia e 500 di chicchi.
Quindi (accettando come premessa che il totale rimanga 1000 kg) avremo una resa in chicchi di 200 kg superiore col Karnak.
Ergo un'aumento della resa per ettaro del 66,67%.
Questo numero viene da un semplice calcolo: (500-300)/300=200/300=0,6667. Che moltiplicato per 100 ci dà appunto la percentuale: 66,67%.
Da dove viene allora l'aumento di resa del 20%? Dalla classica confusione tra valori assoluti e valori relativi: Gentinetta ha utilizzato la percentuale come fosse un valore assoluto, mentre è un valore relativo.
Errore sempre più diffuso, purtroppo, tanto che anche persone preparate come gli autori del libro neanche ci fanno più caso.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Al di là dello svarione citato (tra l'altro non autografo ma di un intervistato 😉) Contro Natura è un libro molto interessante e di piacevole lettura. Posso solo consigliarlo.
Etichette:
agricoltura,
agronomo,
aritmetica,
Bressanini,
capire,
Contro natura,
matematica,
Mautino,
percentuale,
riso,
valore assoluto,
valore relativo
domenica 7 luglio 2019
Dettagli dall'Oberpfalz 10 - Salsicce d'antan
A Regensburg (Ratisbona per chi non sa il tedesco) c'è la più antica Wurstküche del mondo.
Saluti,
Mauro.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui tutti i dettagli dall'Oberpfalz.
Qui tutti i dettagli dall'Oberpfalz.
sabato 6 luglio 2019
domenica 30 giugno 2019
Siamo diventati razzisti?
Risposta breve: no. Non lo siamo diventati, almeno non più di quanto già lo fossimo.
Razzisti lo siamo sempre stati (infatti se la domanda fosse stata "Siamo razzisti?", la risposta sarebbe stata sì). O meglio una discreta parte di noi è sempre stata razzista.
E vale per tutti, non solo per noi italiani. Alcuni di più, alcuni di meno, ma nessuno è immune.
Risposta lunga: la situazione si è evoluta negli ultimi tempi e richiede un'analisi più complessa di un semplice sì o no.
Vediamola (spoiler: comunque non smentisce la risposta breve).
Il razzismo è connaturato alla natura umana.
Ma il conformismo ancora di più.
Ergo in un periodo in cui il governo, la politica sembrano sdoganare il razzismo i razzisti sembrano aumentare (e le statistiche sugli atti di razzismo che avvengono generalmente lo confermano).
In un periodo in cui il governo, la politica sembrano veramente impegnarsi contro il razzismo i razzisti sembrano diminuire (e anche qui le statistiche generalmente confermano).
Ma in realtà il numero di razzisti rimane pressoché uguale.
Cosa succede allora?
Che chi si comporta da razzista come norma se ne frega di chi è al governo e di cosa dicono le leggi. E fa il razzista sempre.
Però c'è chi è razzista ma, diciamo, prima di tutto tiene alle proprie chiappe e quindi annusa l'aria. Se c'è uno sdoganamento si sente libero di vivere il proprio razzismo. Se invece vive in un periodo politicamente corretto mette la coda tra le gambe e si trattiene.
Poi c'è chi è indifferente, colui a cui non interessa né sostenere né combattere il razzismo, ma anche lui annusa l'aria e si accoda a chi comanda in un determinato momento.
Tra le altre cose queste due ultime categorie (soprattutto la prima, quella dei razzisti "paurosi") vivono in una condizione di legge percepita (cosa intendo con legge percepita lo spiegai qui in altro contesto).
Queste persone credono che le leggi sul razzismo siano state ora ammorbidite da Salvini e prima fossero state irrigidite da Renzi. E pensano che siano ora permesse cose in realtà proibite e che durante la legislatura precedente fossero proibite cose che proibite non erano.
Perché le leggi sul razzismo in Italia non sono state cambiate né da Renzi né da Salvini, almeno nella parte sostanziale. Sono ben più vecchie.
Come non è tutto permesso ora, non era tutto proibito prima. Anche se molti lo credono.
Tornando al punto: no, il razzismo in sé non è aumentato. Ma sono aumentate le espressioni palesi di razzismo (sia illegali che no).
Saluti,
Mauro.
Razzisti lo siamo sempre stati (infatti se la domanda fosse stata "Siamo razzisti?", la risposta sarebbe stata sì). O meglio una discreta parte di noi è sempre stata razzista.
E vale per tutti, non solo per noi italiani. Alcuni di più, alcuni di meno, ma nessuno è immune.
Risposta lunga: la situazione si è evoluta negli ultimi tempi e richiede un'analisi più complessa di un semplice sì o no.
Vediamola (spoiler: comunque non smentisce la risposta breve).
Il razzismo è connaturato alla natura umana.
Ma il conformismo ancora di più.
Ergo in un periodo in cui il governo, la politica sembrano sdoganare il razzismo i razzisti sembrano aumentare (e le statistiche sugli atti di razzismo che avvengono generalmente lo confermano).
In un periodo in cui il governo, la politica sembrano veramente impegnarsi contro il razzismo i razzisti sembrano diminuire (e anche qui le statistiche generalmente confermano).
Ma in realtà il numero di razzisti rimane pressoché uguale.
Cosa succede allora?
Che chi si comporta da razzista come norma se ne frega di chi è al governo e di cosa dicono le leggi. E fa il razzista sempre.
Però c'è chi è razzista ma, diciamo, prima di tutto tiene alle proprie chiappe e quindi annusa l'aria. Se c'è uno sdoganamento si sente libero di vivere il proprio razzismo. Se invece vive in un periodo politicamente corretto mette la coda tra le gambe e si trattiene.
Poi c'è chi è indifferente, colui a cui non interessa né sostenere né combattere il razzismo, ma anche lui annusa l'aria e si accoda a chi comanda in un determinato momento.
Tra le altre cose queste due ultime categorie (soprattutto la prima, quella dei razzisti "paurosi") vivono in una condizione di legge percepita (cosa intendo con legge percepita lo spiegai qui in altro contesto).
Queste persone credono che le leggi sul razzismo siano state ora ammorbidite da Salvini e prima fossero state irrigidite da Renzi. E pensano che siano ora permesse cose in realtà proibite e che durante la legislatura precedente fossero proibite cose che proibite non erano.
Perché le leggi sul razzismo in Italia non sono state cambiate né da Renzi né da Salvini, almeno nella parte sostanziale. Sono ben più vecchie.
Come non è tutto permesso ora, non era tutto proibito prima. Anche se molti lo credono.
Tornando al punto: no, il razzismo in sé non è aumentato. Ma sono aumentate le espressioni palesi di razzismo (sia illegali che no).
Saluti,
Mauro.
Etichette:
antirazzismo,
conformismo,
ipocrisia,
Italia,
legge,
legge percepita,
mondo,
razzismo,
Renzi,
Salvini
venerdì 28 giugno 2019
Non vedere più un ponte
Durante le vacanze natalizie volli vedere il ponte.
Quando lunedì tornerò a Genova sarà la prima volta che vedrò la mia città senza il ponte.
A Natale e a Pasqua in fondo c'era ancora, anche se a pezzi.
Io Genova senza il Ponte Morandi non la conosco. Il ponte è stato costruito tra il 1963 e il 1967. Io sono nato nel 1968.
Per la mia generazione e per quelle successive il ponte Morandi semplicemente faceva parte della città, del panorama. Non esisteva una Genova senza ponte, non era concepibile.
Il ponte era parte della città. Il ponte era la città. Era lì, semplicemente era lì.
Come non si può concepire una Genova senza Lanterna, senza Righi o senza Boccadasse.
Come la Lanterna, il Righi o Boccadasse sono la città.
Di sicuro quando arriverò giù dalla A7 Milano-Genova, la camionale, e girerò verso Genova Est mi farà uno strano effetto non dover stare attento a sbagliare corsia per non infilarmi verso Aeroporto e Voltri.
Non ci sarà un'altra corsia.
E mi verrà un groppo in gola.
(È vero che anche a Natale e Pasqua non c'era la possibilità di sbagliare corsia, ma nelle due occasioni ero andato a Genova in aereo. Lunedì vado in auto.)
Saluti,
Mauro.
Quando lunedì tornerò a Genova sarà la prima volta che vedrò la mia città senza il ponte.
A Natale e a Pasqua in fondo c'era ancora, anche se a pezzi.
Io Genova senza il Ponte Morandi non la conosco. Il ponte è stato costruito tra il 1963 e il 1967. Io sono nato nel 1968.
Per la mia generazione e per quelle successive il ponte Morandi semplicemente faceva parte della città, del panorama. Non esisteva una Genova senza ponte, non era concepibile.
Il ponte era parte della città. Il ponte era la città. Era lì, semplicemente era lì.
Come non si può concepire una Genova senza Lanterna, senza Righi o senza Boccadasse.
Come la Lanterna, il Righi o Boccadasse sono la città.
Di sicuro quando arriverò giù dalla A7 Milano-Genova, la camionale, e girerò verso Genova Est mi farà uno strano effetto non dover stare attento a sbagliare corsia per non infilarmi verso Aeroporto e Voltri.
Non ci sarà un'altra corsia.
E mi verrà un groppo in gola.
(È vero che anche a Natale e Pasqua non c'era la possibilità di sbagliare corsia, ma nelle due occasioni ero andato a Genova in aereo. Lunedì vado in auto.)
Saluti,
Mauro.
mercoledì 26 giugno 2019
La legge dei grandi numeri
Non è quella che credete che sia.
E infatti ne sbagliate spesso l'applicazione.
Se io vi chiedessi cosa dice la legge dei grandi numeri, molti di voi mi direbbero che in una serie di eventi casuali (tipo il lancio di una moneta o le estrazioni del Lotto) prima o poi tutti i numeri o eventi devono uscire/verificarsi.
E infatti, per esempio, quando giocate al Lotto controllate quali numeri non escono da molto tempo e li giocate. O almeno molti di voi fanno così.
E sbagliate.
La legge dei grandi numeri (che andrebbe più correttamente chiamata teorema di Bernoulli) dice che in una sequenza di eventi casuali e indipendenti tra loro la distribuzione dei risultati tende tanto più ad avvicinarsi alla loro probabilità teorica quanto più numerosi sono gli eventi presi in considerazione.
Mi spiego con un esempio.
Prendiamo una moneta e giochiamo a testa o croce. Se la moneta è perfetta, senza difetti, non truccata sappiamo che testa e croce hanno entrambe una probabilità teorica di verificarsi del 50%.
Quindi la legge dei grandi numeri ci dice che più lanci faccio più sarà facile che la distribuzione testa-croce dei risultati si avvicini al 50%-50%.
Se faccio 10 lanci la distribuzione sarà probabilmente lontana da ciò, se ne faccio 1000 sarà decisamente più vicina, se ne faccio un milione lo sarà ancora di più. Eccetera, eccetera.
Questo dice la legge dei grandi numeri. Non dice nulla - ma proprio nulla - sui singoli lanci.
Se mi è uscita per 50 volte di seguito testa (difficile ma non impossibile) è inutile che al 51° lancio io scommetta su croce perché "per la legge dei grandi numeri prima o poi dovrà uscire croce". No, a ogni nuovo singolo lancio testa e croce continueranno ad avere ciascuna il 50% di probabilità di uscire.
E questo vale anche per distribuzioni/probabilità asimmetriche (tipo 60%-40% invece di 50%-50%) o per casi in cui i risultati possibili sono più di due (tipo le estrazioni del Lotto).
Gli eventi casuali non hanno memoria. Le monete, i numeri del Lotto non hanno memoria.
Ci sono però casi in cui invece conviene puntare su ciò che non è ancora uscito/accaduto pur trattandosi di eventi casuali.
Si tratta di quando ci troviamo di fronte a probabilità condizionate.
Ma come? - direte voi - l'evento o è casuale o è condizionato!
Sì, vero, ma l'evento può essere casuale e la probabilità condizionata.
Mi spiego anche qui con un esempio.
Prendete un classico mazzo di carte da 40 (per giocare a scopa, briscola o altro). Le 40 carte saranno 20 rosse e 20 nere (o meglio, rossi o neri saranno i loro semi, ma ci siamo comunque capiti).
Fatele spargere a caso col dorso in alto sul pavimento da qualcuno.
Dopo averlo fatto, chiamate qualcuno che era fuori e chiedetegli di scegliere una carta a caso. Evento casuale, visto che sul dorso le carte sono tutte uguali e lui non era presente durante lo spargimento sul pavimento.
Le probabilità che peschi una carta rossa o una nera sono pari: 50%-50%.
Lui pesca una rossa.
Se gli chiedete di pescarne una seconda vi conviene scommettere che sia nera, che sia rossa o è lo stesso?
Ebbene, vi conviene scommettere su una carta nera.
Infatti gli eventi sono sì completamente casuali (lui pesca sempre a caso), ma sono cambiate le condizioni in cui pesca, il che cambia la probabilità.
Alla prima pescata le carte nere erano 20 su 40, cioè il 50%.
Alla seconda pescata le carte nere sono sempre 20, ma su 39 (una rossa è stata già pescata), cioè sono circa il 51,3%.
Anche qui le carte non hanno memoria, ma il gioco cambia le condizioni a ogni pescata.
E qui non si applica la legge dei grandi numeri.
Saluti,
Mauro.
E infatti ne sbagliate spesso l'applicazione.
Se io vi chiedessi cosa dice la legge dei grandi numeri, molti di voi mi direbbero che in una serie di eventi casuali (tipo il lancio di una moneta o le estrazioni del Lotto) prima o poi tutti i numeri o eventi devono uscire/verificarsi.
E infatti, per esempio, quando giocate al Lotto controllate quali numeri non escono da molto tempo e li giocate. O almeno molti di voi fanno così.
E sbagliate.
La legge dei grandi numeri (che andrebbe più correttamente chiamata teorema di Bernoulli) dice che in una sequenza di eventi casuali e indipendenti tra loro la distribuzione dei risultati tende tanto più ad avvicinarsi alla loro probabilità teorica quanto più numerosi sono gli eventi presi in considerazione.
Mi spiego con un esempio.
Prendiamo una moneta e giochiamo a testa o croce. Se la moneta è perfetta, senza difetti, non truccata sappiamo che testa e croce hanno entrambe una probabilità teorica di verificarsi del 50%.
Quindi la legge dei grandi numeri ci dice che più lanci faccio più sarà facile che la distribuzione testa-croce dei risultati si avvicini al 50%-50%.
Se faccio 10 lanci la distribuzione sarà probabilmente lontana da ciò, se ne faccio 1000 sarà decisamente più vicina, se ne faccio un milione lo sarà ancora di più. Eccetera, eccetera.
Questo dice la legge dei grandi numeri. Non dice nulla - ma proprio nulla - sui singoli lanci.
Se mi è uscita per 50 volte di seguito testa (difficile ma non impossibile) è inutile che al 51° lancio io scommetta su croce perché "per la legge dei grandi numeri prima o poi dovrà uscire croce". No, a ogni nuovo singolo lancio testa e croce continueranno ad avere ciascuna il 50% di probabilità di uscire.
E questo vale anche per distribuzioni/probabilità asimmetriche (tipo 60%-40% invece di 50%-50%) o per casi in cui i risultati possibili sono più di due (tipo le estrazioni del Lotto).
Gli eventi casuali non hanno memoria. Le monete, i numeri del Lotto non hanno memoria.
Ci sono però casi in cui invece conviene puntare su ciò che non è ancora uscito/accaduto pur trattandosi di eventi casuali.
Si tratta di quando ci troviamo di fronte a probabilità condizionate.
Ma come? - direte voi - l'evento o è casuale o è condizionato!
Sì, vero, ma l'evento può essere casuale e la probabilità condizionata.
Mi spiego anche qui con un esempio.
Prendete un classico mazzo di carte da 40 (per giocare a scopa, briscola o altro). Le 40 carte saranno 20 rosse e 20 nere (o meglio, rossi o neri saranno i loro semi, ma ci siamo comunque capiti).
Fatele spargere a caso col dorso in alto sul pavimento da qualcuno.
Dopo averlo fatto, chiamate qualcuno che era fuori e chiedetegli di scegliere una carta a caso. Evento casuale, visto che sul dorso le carte sono tutte uguali e lui non era presente durante lo spargimento sul pavimento.
Le probabilità che peschi una carta rossa o una nera sono pari: 50%-50%.
Lui pesca una rossa.
Se gli chiedete di pescarne una seconda vi conviene scommettere che sia nera, che sia rossa o è lo stesso?
Ebbene, vi conviene scommettere su una carta nera.
Infatti gli eventi sono sì completamente casuali (lui pesca sempre a caso), ma sono cambiate le condizioni in cui pesca, il che cambia la probabilità.
Alla prima pescata le carte nere erano 20 su 40, cioè il 50%.
Alla seconda pescata le carte nere sono sempre 20, ma su 39 (una rossa è stata già pescata), cioè sono circa il 51,3%.
Anche qui le carte non hanno memoria, ma il gioco cambia le condizioni a ogni pescata.
E qui non si applica la legge dei grandi numeri.
Saluti,
Mauro.
Etichette:
Bernoulli,
caso,
condizionata,
distribuzione,
grandi numeri,
legge,
matematica,
percentuale,
probabilità,
teorema,
teoria
domenica 23 giugno 2019
Gli extraterrestri ci sono, gli UFO no
Se qualcuno mi chiede se credo agli UFO, rispondo di no.
Se qualcuno mi chiede se credo agli extraterrestri, rispondo di sì.
E vi garantisco che non c'è nessuna contraddizione, nonostante l'apparenza. Seguitemi e capirete.
Il problema è che si considerano sinonimi cose che non lo sono, anzi neanche sono veramente collegate tra loro (a parte l'aver a che fare con lo spazio, con ciò che sta fuori dalla Terra).
Cos'è un UFO? La sigla significa Unidentified Flying Object, cioè Oggetto Volante non Identificato (e già il nome stesso spiega molti "avvistamenti"... aerei spia, prototipi militari, ecc. per i primi che li vedono sono chiaramente oggetti non identificati).
Il che già ci dice in che ambito ci muoviamo: la tecnologia.
E la tecnologia deve sottostare alle leggi della fisica. Anche nello spazio profondo. Quindi è estremamente improbabile (non assolutamente impossibile, però) che una civiltà aliena abbia una tecnologia tale da permettere a loro veicoli spaziali di arrivare fin da noi.
E va anche detto che arrivare qui e non prendere contatto è assurdo. Pensiamo alle esplorazioni terrestri dei secoli passati: pacifiche o violente che fossero, il contatto con altre civiltà è sempre stato cercato. Perché per gli alieni dovrebbe essere diverso?
Mettendo insieme tutto ciò... no, non credo agli UFO. Proprio per niente.
Passiamo ora agli extraterrestri.
Cosa si intende con extraterrestre nel linguaggio comune? Un essere vivente di origine non terrestre. Non si parla proprio di tecnologia.
Ci stiamo muovendo in un altro ambito: la biologia.
La biologia terrestre è basata sul carbonio e usa come solvente l'acqua. Sia che ipotizziamo la stessa base biochimica per le forme di vita extraterrestri, sia che pensiamo ad altre possibilità (tipo una biologia basata sul silicio o sul fosforo o altri solventi come per esempio ammoniaca o metanolo) è possibilissimo, anzi molto probabile, che i meccanismi per creare vita si siano messi in moto anche altrove nell'universo.
Non siamo in grado di dire che tipo di forme di vita siano, avanzate (nel senso che diamo noi terrestri al termine) o primitive, esteticamente simili a forme terrestri o completamente diverse, ecc., ecc. Ma che ci siano è molto, molto probabile.
Mettendo insieme tutto ciò... sì, credo a esseri viventi extraterrestri. Eccome.
Saluti,
Mauro.
Se qualcuno mi chiede se credo agli extraterrestri, rispondo di sì.
E vi garantisco che non c'è nessuna contraddizione, nonostante l'apparenza. Seguitemi e capirete.
Il problema è che si considerano sinonimi cose che non lo sono, anzi neanche sono veramente collegate tra loro (a parte l'aver a che fare con lo spazio, con ciò che sta fuori dalla Terra).
Cos'è un UFO? La sigla significa Unidentified Flying Object, cioè Oggetto Volante non Identificato (e già il nome stesso spiega molti "avvistamenti"... aerei spia, prototipi militari, ecc. per i primi che li vedono sono chiaramente oggetti non identificati).
Il che già ci dice in che ambito ci muoviamo: la tecnologia.
E la tecnologia deve sottostare alle leggi della fisica. Anche nello spazio profondo. Quindi è estremamente improbabile (non assolutamente impossibile, però) che una civiltà aliena abbia una tecnologia tale da permettere a loro veicoli spaziali di arrivare fin da noi.
E va anche detto che arrivare qui e non prendere contatto è assurdo. Pensiamo alle esplorazioni terrestri dei secoli passati: pacifiche o violente che fossero, il contatto con altre civiltà è sempre stato cercato. Perché per gli alieni dovrebbe essere diverso?
Mettendo insieme tutto ciò... no, non credo agli UFO. Proprio per niente.
Passiamo ora agli extraterrestri.
Cosa si intende con extraterrestre nel linguaggio comune? Un essere vivente di origine non terrestre. Non si parla proprio di tecnologia.
Ci stiamo muovendo in un altro ambito: la biologia.
La biologia terrestre è basata sul carbonio e usa come solvente l'acqua. Sia che ipotizziamo la stessa base biochimica per le forme di vita extraterrestri, sia che pensiamo ad altre possibilità (tipo una biologia basata sul silicio o sul fosforo o altri solventi come per esempio ammoniaca o metanolo) è possibilissimo, anzi molto probabile, che i meccanismi per creare vita si siano messi in moto anche altrove nell'universo.
Non siamo in grado di dire che tipo di forme di vita siano, avanzate (nel senso che diamo noi terrestri al termine) o primitive, esteticamente simili a forme terrestri o completamente diverse, ecc., ecc. Ma che ci siano è molto, molto probabile.
Mettendo insieme tutto ciò... sì, credo a esseri viventi extraterrestri. Eccome.
Saluti,
Mauro.
Etichette:
acqua,
biologia,
carbonio,
chimica,
civiltà,
esplorazione,
extraterrestre,
fisica,
spazio,
tecnologia,
Terra,
UFO,
vita
venerdì 21 giugno 2019
Twitter e le segnalazioni
Così non va, non funziona. Sto parlando delle segnalazioni su Twitter (e da quel che sento su Facebook è anche peggio, ma ormai Facebook lo frequento molto poco, quindi in realtà non so).
No, non sto parlando di segnalazioni fatte in malafede, fatte per intimidire o silenziare chi non la pensa come noi o cose simili.
Questi sono problemi seri (e i cui colpevoli siamo prima di tutto noi frequentatori che crediamo che le discussioni siano guerre senza possibilità di dialogo), ma io voglio parlare di altri problemi: quelli che ci sono dopo aver fatto la segnalazione, corretta o no che essa fosse.
Ecco, il problema vero sta lì. Perché se la gestione delle segnalazioni funzionasse quelle in malafede si ridurrebbero a un limite fisiologico e quelle in buonafede ma moderate male anche.
Il primo problema è legato a paese, IP e lingua.
Ve lo spiego con un esempio pratico.
Io mi muovo su Twitter in tre lingue: italiano, tedesco e inglese. Ma soprattutto italiano. Però scrivo dalla Germania e l'IP del mio computer (sia a casa che sul lavoro) è ovviamente tedesco.
Cosa significa questo? Che se io segnalo un tweet in italiano (o in inglese) il sistema riconosce il mio IP e mi pone le scelte in base alla normativa, alla legislazione tedesca.
Ora, le cose permesse e proibite sono più o meno le stesse in tutta Europa, ma con formulazioni diverse, con riferimenti di legge diversi, ecc.
Quindi in molti casi non posso segnalare perché Twitter non mi mette a disposizione la scelta adeguata.
Quando riesco a superare questo ostacolo, la mia segnalazione (a meno che non riguardi tweet in tedesco) viene invariabilmente cassata. Ed è inevitabile (e a suo modo giusto) perché il desk tedesco non capisce i tweet in italiano (anche se qualcuno dei moderatori parlasse italiano non avrebbe certo il tempo di valutare e poi reagire... visto che dovrebbe tradurre e i moderatori si trovano in una situazione stile catena di montaggio).
E al di là della lingua: il desk applica (ovviamente) la lettera della legge e anche se leggi diverse di paesi diversi hanno lo stesso senso, la stessa sostanza, hanno per forza di cose lettere diverse.
Il secondo problema è relativo ai diversi registri di linguaggio.
Anche qui passiamo tramite un esempio.
Magari io sto "litigando" con un amico e ci permettiamo - conoscendoci - un linguaggio sopra le righe. Magari con minacce semiserie, del resto tra amici quando non si è d'accordo su qualcosa ci si lascia andare e non ci si pongono problemi (visto che ci si conosce si sa fino a dove ci si può spingere e poi comunque spiegarsi è più semplice).
Però può capitare che si usi lo stesso linguaggio litigando veramente con uno sconosciuto.
È sì lo stesso linguaggio. Ma non è per niente lo stesso registro, visto che io non so fino a dove posso spingermi ed è quindi molto probabile che io sia serio nelle mie minacce e offese (al di là del fatto che abbia una qualche seria intenzione di metterle in pratica).
E se qualcuno segnala i miei due tweet di minacce (quello all'amico e quello allo sconosciuto) i moderatori che leggeranno capiranno il linguaggio ma non il registro (non avranno neanche il tempo di porsi il problema del registro, vista la pressione temporale ai cui sono sottoposti) e quindi o bloccheranno un tweet innocuo o ne lasceranno passare uno pericoloso.
Come si possono risolvere questi problemi?
Il primo in realtà è molto semplice da risolvere: basta che tra le schermate che appaiono durante il processo di segnalazione la prima ti chieda a quale desk ti vuoi rivolgere (italiano, tedesco, inglese, ecc.). Sarebbe una funzione facilissima da programmare. E neanche costosa.
Il secondo tecnicamente sarebbe anche risolvibile: moderatori più preparati e con più tempo a disposizione, aiutati da algoritmi più sofisticati per una prima scrematura automatica. Ma sarebbe molto più costoso.
Il problema vero è comunque che entrambe le soluzioni imporrebbero una presa di responsabilità attiva da parte dei social networks. Con la situazione attuale invece possono nascondersi dietro i vuoti della politica (e di conseguenza della legge).
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Articolo leggermente ampliato il 17/01/2020.
No, non sto parlando di segnalazioni fatte in malafede, fatte per intimidire o silenziare chi non la pensa come noi o cose simili.
Questi sono problemi seri (e i cui colpevoli siamo prima di tutto noi frequentatori che crediamo che le discussioni siano guerre senza possibilità di dialogo), ma io voglio parlare di altri problemi: quelli che ci sono dopo aver fatto la segnalazione, corretta o no che essa fosse.
Ecco, il problema vero sta lì. Perché se la gestione delle segnalazioni funzionasse quelle in malafede si ridurrebbero a un limite fisiologico e quelle in buonafede ma moderate male anche.
Il primo problema è legato a paese, IP e lingua.
Ve lo spiego con un esempio pratico.
Io mi muovo su Twitter in tre lingue: italiano, tedesco e inglese. Ma soprattutto italiano. Però scrivo dalla Germania e l'IP del mio computer (sia a casa che sul lavoro) è ovviamente tedesco.
Cosa significa questo? Che se io segnalo un tweet in italiano (o in inglese) il sistema riconosce il mio IP e mi pone le scelte in base alla normativa, alla legislazione tedesca.
Ora, le cose permesse e proibite sono più o meno le stesse in tutta Europa, ma con formulazioni diverse, con riferimenti di legge diversi, ecc.
Quindi in molti casi non posso segnalare perché Twitter non mi mette a disposizione la scelta adeguata.
Quando riesco a superare questo ostacolo, la mia segnalazione (a meno che non riguardi tweet in tedesco) viene invariabilmente cassata. Ed è inevitabile (e a suo modo giusto) perché il desk tedesco non capisce i tweet in italiano (anche se qualcuno dei moderatori parlasse italiano non avrebbe certo il tempo di valutare e poi reagire... visto che dovrebbe tradurre e i moderatori si trovano in una situazione stile catena di montaggio).
E al di là della lingua: il desk applica (ovviamente) la lettera della legge e anche se leggi diverse di paesi diversi hanno lo stesso senso, la stessa sostanza, hanno per forza di cose lettere diverse.
Il secondo problema è relativo ai diversi registri di linguaggio.
Anche qui passiamo tramite un esempio.
Magari io sto "litigando" con un amico e ci permettiamo - conoscendoci - un linguaggio sopra le righe. Magari con minacce semiserie, del resto tra amici quando non si è d'accordo su qualcosa ci si lascia andare e non ci si pongono problemi (visto che ci si conosce si sa fino a dove ci si può spingere e poi comunque spiegarsi è più semplice).
Però può capitare che si usi lo stesso linguaggio litigando veramente con uno sconosciuto.
È sì lo stesso linguaggio. Ma non è per niente lo stesso registro, visto che io non so fino a dove posso spingermi ed è quindi molto probabile che io sia serio nelle mie minacce e offese (al di là del fatto che abbia una qualche seria intenzione di metterle in pratica).
E se qualcuno segnala i miei due tweet di minacce (quello all'amico e quello allo sconosciuto) i moderatori che leggeranno capiranno il linguaggio ma non il registro (non avranno neanche il tempo di porsi il problema del registro, vista la pressione temporale ai cui sono sottoposti) e quindi o bloccheranno un tweet innocuo o ne lasceranno passare uno pericoloso.
Come si possono risolvere questi problemi?
Il primo in realtà è molto semplice da risolvere: basta che tra le schermate che appaiono durante il processo di segnalazione la prima ti chieda a quale desk ti vuoi rivolgere (italiano, tedesco, inglese, ecc.). Sarebbe una funzione facilissima da programmare. E neanche costosa.
Il secondo tecnicamente sarebbe anche risolvibile: moderatori più preparati e con più tempo a disposizione, aiutati da algoritmi più sofisticati per una prima scrematura automatica. Ma sarebbe molto più costoso.
Il problema vero è comunque che entrambe le soluzioni imporrebbero una presa di responsabilità attiva da parte dei social networks. Con la situazione attuale invece possono nascondersi dietro i vuoti della politica (e di conseguenza della legge).
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Articolo leggermente ampliato il 17/01/2020.
Etichette:
desk,
dialogo,
discussione,
Facebook,
guerra,
inglese,
IP,
italiano,
legge,
lingua,
linguaggio,
politica,
registro,
segnalazione,
social networks,
tedesco,
Twitter
giovedì 20 giugno 2019
I misteri del tedesco 17 - Sorelle, fratelli e malati
Un tweet di qualche tempo fa (24 marzo scorso) dello Spectator Index mi ha dato lo spunto per questo articolo.
Lo Spectator Index si chiedeva come si traducesse l'inglese nurse in altre lingue europee.
Intanto nurse da dove viene?
Attraverso diversi passaggi dal latino nutrix, che non serve che vi traduca, vero?
Nelle lingue neolatine si usa infermiera, derivante, come il corrispettivo maschile, da infermo (infirmière in francese, enfermera in spagnolo, enfermeira in portoghese).
Ma noi qui siamo interessati al tedesco.
E come si dice in tedesco?
In tedesco si dice Krankenschwester, che tradotto letteralmente significa sorella dei malati.
Può sembrare una definizione strana, ma in realtà l'origine è chiara e viene dai tempi in cui a occuparsi dei malati erano le religiose e i religiosi nei lazzaretti e... suora=sorella.
Fin qui tutto logico, anche se può sembrare anacronistico oggi il riferimento all'origine religiosa della professione (assente nelle altre lingue citate sopra).
La cosa strana viene quando passiamo al termine maschile per detta professione.
Nelle altre lingue tutto normale, si cambia genere (in inglese neanche quello) e via: (male) nurse, infermiere, infirmier, enfermero, enfermeiro.
Quindi uno potrebbe pensare (e quando col tedesco ero ancora un principiante lo pensai anch'io e feci una gaffe) che si faccia lo stesso in tedesco e si dica Krankenbruder (fratello dei malati... anche qui avrebbe origine religiosa: frate=fratello).
Sbagliato.
In tedesco infermiere si dice Krankenpfleger.
Pfleger da solo indica chiunque si prenda cura di malati, invalidi, anziani non necessariamente a livello infermieristico, Krankenpfleger come parola composta invece indica esattamente il nostro infermiere.
La cosa strana e che è difficile da spiegare è come Krankenbruder non si sia mai affermato, pur essendoci una lunga tradizione di frati e religiosi di sesso maschile nella cura dei malati e come altrettanto non si sia affermata nei tempi recenti Krankenpflegerin (Pflegerin è il femminile di Pfleger) per infermiera, pur essendo le suore sempre meno nella professione (anzi nella maggioranza degli ospedali sono oggi proprio assenti).
Nelle altre lingue germaniche (olandese, svedese, danese, norvegese) l'etimologia e l'ortografia sono parallele a quelle tedesche, ma non vi è questa asimmetria maschile-femminile, che rimane quindi esclusiva tipica (almeno in Europa occidentale) del tedesco.
Saluti,
Mauro.
Lo Spectator Index si chiedeva come si traducesse l'inglese nurse in altre lingue europee.
Intanto nurse da dove viene?
Attraverso diversi passaggi dal latino nutrix, che non serve che vi traduca, vero?
Nelle lingue neolatine si usa infermiera, derivante, come il corrispettivo maschile, da infermo (infirmière in francese, enfermera in spagnolo, enfermeira in portoghese).
Ma noi qui siamo interessati al tedesco.
E come si dice in tedesco?
In tedesco si dice Krankenschwester, che tradotto letteralmente significa sorella dei malati.
Può sembrare una definizione strana, ma in realtà l'origine è chiara e viene dai tempi in cui a occuparsi dei malati erano le religiose e i religiosi nei lazzaretti e... suora=sorella.
Fin qui tutto logico, anche se può sembrare anacronistico oggi il riferimento all'origine religiosa della professione (assente nelle altre lingue citate sopra).
La cosa strana viene quando passiamo al termine maschile per detta professione.
Nelle altre lingue tutto normale, si cambia genere (in inglese neanche quello) e via: (male) nurse, infermiere, infirmier, enfermero, enfermeiro.
Quindi uno potrebbe pensare (e quando col tedesco ero ancora un principiante lo pensai anch'io e feci una gaffe) che si faccia lo stesso in tedesco e si dica Krankenbruder (fratello dei malati... anche qui avrebbe origine religiosa: frate=fratello).
Sbagliato.
In tedesco infermiere si dice Krankenpfleger.
Pfleger da solo indica chiunque si prenda cura di malati, invalidi, anziani non necessariamente a livello infermieristico, Krankenpfleger come parola composta invece indica esattamente il nostro infermiere.
La cosa strana e che è difficile da spiegare è come Krankenbruder non si sia mai affermato, pur essendoci una lunga tradizione di frati e religiosi di sesso maschile nella cura dei malati e come altrettanto non si sia affermata nei tempi recenti Krankenpflegerin (Pflegerin è il femminile di Pfleger) per infermiera, pur essendo le suore sempre meno nella professione (anzi nella maggioranza degli ospedali sono oggi proprio assenti).
Nelle altre lingue germaniche (olandese, svedese, danese, norvegese) l'etimologia e l'ortografia sono parallele a quelle tedesche, ma non vi è questa asimmetria maschile-femminile, che rimane quindi esclusiva tipica (almeno in Europa occidentale) del tedesco.
Saluti,
Mauro.
martedì 18 giugno 2019
Un'appendice alla panoramica sulla giallistica tedesca contemporanea
Circa due settimane fa scrissi un articolo sulla giallistica tedesca contemporanea.
Oggi vorrei scrivere una piccola appendice a detto articolo.
Un autore degno di nota che colpevolmente non citai è Ferdinand von Schirach (sì, il cognome è giusto: è proprio il nipote di uno dei nazisti processati a Norimberga: Baldur von Schirach). Avvocato di professione, lo si può definire il rappresentante tedesco della letteratura legale, più che propriamente gialla. Nei suoi racconti e romanzi è essenziale risalire ai motivi, prima ancora che ai colpevoli.
I suoi primi libri (di racconti) sono tratti da suoi casi professionali mentre i successivi romanzi si liberano da questo legame.
Ci sono poi tre autori che sforano nel thriller e in parte addirittura nell'horror.
Il primo è Sebastian Fitzek, probabilmente anche quello di maggior successo di vendite (la critica si divide tra chi lo idolatra e chi lo distrugge).
I suoi thriller vengono definiti "psicothriller" e sotto un certo punto di vista possono ricordare i film di Dario Argento.
Il secondo (il mio preferito nel terzetto, evitate però i suoi due libri "vaticani") è Arno Strobel, stesso genere di Fitzek, ma un po' più soft, meno pericoloso per chi teme incubi notturni (meno pericoloso, non innocuo).
In particolare consiglio Der Trakt.
Il terzo, il meno chiaramente definibile dei tre come genere, è Veit Etzold. Anche lui può ricordare un po' il cinema di Dario Argento ma accompagnato alle atmosfere dello scrittore francese Jean-Christophe Grangé, pur con storie che si svolgono in abienti molto diversi.
E vorrei qui chiudere con un bonus, cioè un autore non tedesco, cioè lo scozzese Craig Russell (che scrive logicamente in inglese).
Russell è famoso per due personaggi: Lennox, che si muove tra i crimini di Glasgow, e (ed è per questo che lo cito qui) Jan Fabel, commissario che indaga ad Amburgo e le cui indagini hanno spesso a che fare con temi storici e mitologici (non per niente il personaggio ha studiato storia prima di entrare in polizia).
Particolarmente degno di nota The Valkyrie Song, ma tutta la sua produzione è decisamente consigliabile.
Saluti,
Mauro.
Oggi vorrei scrivere una piccola appendice a detto articolo.
Un autore degno di nota che colpevolmente non citai è Ferdinand von Schirach (sì, il cognome è giusto: è proprio il nipote di uno dei nazisti processati a Norimberga: Baldur von Schirach). Avvocato di professione, lo si può definire il rappresentante tedesco della letteratura legale, più che propriamente gialla. Nei suoi racconti e romanzi è essenziale risalire ai motivi, prima ancora che ai colpevoli.
I suoi primi libri (di racconti) sono tratti da suoi casi professionali mentre i successivi romanzi si liberano da questo legame.
Ci sono poi tre autori che sforano nel thriller e in parte addirittura nell'horror.
Il primo è Sebastian Fitzek, probabilmente anche quello di maggior successo di vendite (la critica si divide tra chi lo idolatra e chi lo distrugge).
I suoi thriller vengono definiti "psicothriller" e sotto un certo punto di vista possono ricordare i film di Dario Argento.
Il secondo (il mio preferito nel terzetto, evitate però i suoi due libri "vaticani") è Arno Strobel, stesso genere di Fitzek, ma un po' più soft, meno pericoloso per chi teme incubi notturni (meno pericoloso, non innocuo).
In particolare consiglio Der Trakt.
Il terzo, il meno chiaramente definibile dei tre come genere, è Veit Etzold. Anche lui può ricordare un po' il cinema di Dario Argento ma accompagnato alle atmosfere dello scrittore francese Jean-Christophe Grangé, pur con storie che si svolgono in abienti molto diversi.
E vorrei qui chiudere con un bonus, cioè un autore non tedesco, cioè lo scozzese Craig Russell (che scrive logicamente in inglese).
Russell è famoso per due personaggi: Lennox, che si muove tra i crimini di Glasgow, e (ed è per questo che lo cito qui) Jan Fabel, commissario che indaga ad Amburgo e le cui indagini hanno spesso a che fare con temi storici e mitologici (non per niente il personaggio ha studiato storia prima di entrare in polizia).
Particolarmente degno di nota The Valkyrie Song, ma tutta la sua produzione è decisamente consigliabile.
Saluti,
Mauro.
domenica 16 giugno 2019
Savona, Socrate e il debito
Tutti avrete sentito il casino riguardo alle parole di Savona nel suo primo discorso come presidente di Consob.
Prima di tutto, prima di venire ai punti che voglio trattare, per coloro che non hanno già sentito o letto il discorso, vi rinvio al testo completo, così potete ragionare su di esso con la vostra testa. E valutare obiettivamente i commenti che sentite in giro.
Partiamo dalle levate di scudi sulla "caverna di Socrate".
Siamo sicuri che coloro che si sono scandalizzati per aver sentito Socrate invece che Platone conoscano la filosofia?
Vero che il mito è noto come il mito della caverna di Platone, ma nel testo in cui Platone ne parla (il libro settimo de La Repubblica) il mito è narrato da Socrate. Platone mette il mito in bocca a Socrate.
E dato che Socrate è stato il maestro di Platone e che tutto ciò che sappiamo di lui è quanto riporta Platone (Socrate non ha lasciato nulla di scritto) è molto probabile che Platone il mito della caverna lo abbia veramente ascoltato da Socrate.
Se volete accertarvene leggetevi La Repubblica (quella di Platone, non quella di Scalfari). Il libro settimo comincia a pagina 86 della versione nel link.
Per concludere: Platone o Socrate... in questo caso vanno benissimo entrambi.
E veniamo ai contenuti economici, finaziari del discorso, cioè quelli al momento importanti.
Io ne esaminerò uno solo (che è prima matematica e solo dopo economia). Per un'analisi globale del discorso vi rimando a Michele Boldrin e alla sua banda che in questo video hanno fatto una disanima irriverente ma scientificamente accurata di quanto detto da Savona.
Torniamo a noi.
Il punto di cui vorrei parlare è il famoso debito al 200% del PIL che non sarebbe un dramma (lo trovate a pagina 10 del testo che vi ho messo in link all'inizio).
A parte il fatto che invece sarebbe eccome un dramma, il problema è quando - nel paragrafo successivo - Savona (o chi gli ha scritto il discorso) sostiene che l'importante è che il PIL cresca più del debito.
Il che in astratto può anche essere giusto... se non fosse che la crescita del PIL superiore alla crescita del debito impedirebbe all'Italia di arrivare al 200%.
Facciamo due conti.
Il debito italiano attualmente è al 132,1% del PIL.
Il che significa che posto il PIL a 100, il debito è 132,1.
Facciamo crescere il PIL - per esempio - di 3. Crescere più del debito significa che quest'ultimo al massimo cresce di 2,9 (mi limito sempre solo al primo decimale per semplicità). Abbiamo quindi il PIL a 103 e il debito a 135. Il che significa un rapporto debito/PIL di 135/103=131,1%.
Quindi il rapporto debito/PIL è sceso, anche se il debito assoluto è aumentato.
Continuando a far crescere il PIL più del debito in valori assoluti, il rapporto continuerà a scendere. Non potrà mai raggiungere il 200%.
Va detto che il testo di Savona è un po' ambiguo, lascia la porta socchiusa all'ipotesi che intendesse "facciamo finta di avere un debito al 200%"... ma (a parte il fatto che il buon senso leggendo il tutto esclude questa interpretazione) parlando di temi così importanti per l'economia del Paese è criminale rimanere ambigui. Soprattutto se ricopri una posizione delicata e importante come quella di presidente della Consob.
Saluti,
Mauro.
Prima di tutto, prima di venire ai punti che voglio trattare, per coloro che non hanno già sentito o letto il discorso, vi rinvio al testo completo, così potete ragionare su di esso con la vostra testa. E valutare obiettivamente i commenti che sentite in giro.
Partiamo dalle levate di scudi sulla "caverna di Socrate".
Siamo sicuri che coloro che si sono scandalizzati per aver sentito Socrate invece che Platone conoscano la filosofia?
Vero che il mito è noto come il mito della caverna di Platone, ma nel testo in cui Platone ne parla (il libro settimo de La Repubblica) il mito è narrato da Socrate. Platone mette il mito in bocca a Socrate.
E dato che Socrate è stato il maestro di Platone e che tutto ciò che sappiamo di lui è quanto riporta Platone (Socrate non ha lasciato nulla di scritto) è molto probabile che Platone il mito della caverna lo abbia veramente ascoltato da Socrate.
Se volete accertarvene leggetevi La Repubblica (quella di Platone, non quella di Scalfari). Il libro settimo comincia a pagina 86 della versione nel link.
Per concludere: Platone o Socrate... in questo caso vanno benissimo entrambi.
E veniamo ai contenuti economici, finaziari del discorso, cioè quelli al momento importanti.
Io ne esaminerò uno solo (che è prima matematica e solo dopo economia). Per un'analisi globale del discorso vi rimando a Michele Boldrin e alla sua banda che in questo video hanno fatto una disanima irriverente ma scientificamente accurata di quanto detto da Savona.
Torniamo a noi.
Il punto di cui vorrei parlare è il famoso debito al 200% del PIL che non sarebbe un dramma (lo trovate a pagina 10 del testo che vi ho messo in link all'inizio).
A parte il fatto che invece sarebbe eccome un dramma, il problema è quando - nel paragrafo successivo - Savona (o chi gli ha scritto il discorso) sostiene che l'importante è che il PIL cresca più del debito.
Il che in astratto può anche essere giusto... se non fosse che la crescita del PIL superiore alla crescita del debito impedirebbe all'Italia di arrivare al 200%.
Facciamo due conti.
Il debito italiano attualmente è al 132,1% del PIL.
Il che significa che posto il PIL a 100, il debito è 132,1.
Facciamo crescere il PIL - per esempio - di 3. Crescere più del debito significa che quest'ultimo al massimo cresce di 2,9 (mi limito sempre solo al primo decimale per semplicità). Abbiamo quindi il PIL a 103 e il debito a 135. Il che significa un rapporto debito/PIL di 135/103=131,1%.
Quindi il rapporto debito/PIL è sceso, anche se il debito assoluto è aumentato.
Continuando a far crescere il PIL più del debito in valori assoluti, il rapporto continuerà a scendere. Non potrà mai raggiungere il 200%.
Va detto che il testo di Savona è un po' ambiguo, lascia la porta socchiusa all'ipotesi che intendesse "facciamo finta di avere un debito al 200%"... ma (a parte il fatto che il buon senso leggendo il tutto esclude questa interpretazione) parlando di temi così importanti per l'economia del Paese è criminale rimanere ambigui. Soprattutto se ricopri una posizione delicata e importante come quella di presidente della Consob.
Saluti,
Mauro.
giovedì 13 giugno 2019
L'etica nell'arte contemporanea
Come su Twitter ho risposto a precisa domanda di Andrea Santangelo, storico astorico:
L'etica astratta del surrealismo materialista dell'opera artistica contemporanea classicamente intesa è solo un sottostrato neoromantico sovrapposto alla filosofia qualunquista della critica acritica di un'accademia ormai stanca e avulsa dai valori etici dell'amorale società.
Saluti,
Mauro.
L'etica astratta del surrealismo materialista dell'opera artistica contemporanea classicamente intesa è solo un sottostrato neoromantico sovrapposto alla filosofia qualunquista della critica acritica di un'accademia ormai stanca e avulsa dai valori etici dell'amorale società.
Saluti,
Mauro.
Etichette:
Andrea Santangelo,
arte,
contemporanea,
etica,
parodia,
satira,
società,
storia,
Svagaia,
Twitter
martedì 11 giugno 2019
L'occupazione dello spazio cittadino
Non esistono solo l'inquinamento atmosferico e quello acustico.
È giusto combatterli - entrambi, ma ovviamente soprattutto il primo - se vogliamo migliorare l'ambiente in cui viviamo e soprattutto se vogliamo lasciare un mondo vivibile alle prossime generazioni.
Ma c'è un altro inquinamento, anche se pochi lo chiamerebbero con questo termine, e contribuisce altrettanto a rendere le nostre città invivibili.
Io lo chiamo inquinamento "spaziale".
E no, non c'entrano astronauti e cosmonauti. C'entra lo spazio che abbiamo a disposizione nelle nostre città.
E questo spazio è sempre più occupato da veicoli di ogni tipo. Ce n'è sempre meno a disposizione per gli esseri viventi (umani e no).
E questo problema, questo inquinamento, non cambia se camion, auto e moto sono diesel o elettriche o qualsiasi altra cosa. Anzi, per quanto possa sembrare un paradosso, anche le biciclette contribuiscono.
Oltre alle politiche per ridurre le emissioni servono politiche per ridurre l'occupazione dello spazio cittadino da parte delle ruote a scapito dei piedi.
Prima che ci fraintendiamo: non voglio la sparizione dei mezzi di trasporto (di ogni tipo), voglio solo che se ne ripensi l'uso.
Uso in molti casi necessario (e allora lo difendo a spada tratta, che si tratti di camion, auto o biciclette).
In molti altri però no (e allora lo combatto, indipendentemente dal mezzo di trasporto usato).
E in particolare: sono per una crescita del trasporto pubblico (a prezzi ragionevoli, ma non sottocosto, visto che ciò spingerebbe a usarlo anche quando non serve e quindi lo gonfierebbe oltremisura).
Saluti,
Mauro.
È giusto combatterli - entrambi, ma ovviamente soprattutto il primo - se vogliamo migliorare l'ambiente in cui viviamo e soprattutto se vogliamo lasciare un mondo vivibile alle prossime generazioni.
Ma c'è un altro inquinamento, anche se pochi lo chiamerebbero con questo termine, e contribuisce altrettanto a rendere le nostre città invivibili.
Io lo chiamo inquinamento "spaziale".
E no, non c'entrano astronauti e cosmonauti. C'entra lo spazio che abbiamo a disposizione nelle nostre città.
E questo spazio è sempre più occupato da veicoli di ogni tipo. Ce n'è sempre meno a disposizione per gli esseri viventi (umani e no).
E questo problema, questo inquinamento, non cambia se camion, auto e moto sono diesel o elettriche o qualsiasi altra cosa. Anzi, per quanto possa sembrare un paradosso, anche le biciclette contribuiscono.
Oltre alle politiche per ridurre le emissioni servono politiche per ridurre l'occupazione dello spazio cittadino da parte delle ruote a scapito dei piedi.
Prima che ci fraintendiamo: non voglio la sparizione dei mezzi di trasporto (di ogni tipo), voglio solo che se ne ripensi l'uso.
Uso in molti casi necessario (e allora lo difendo a spada tratta, che si tratti di camion, auto o biciclette).
In molti altri però no (e allora lo combatto, indipendentemente dal mezzo di trasporto usato).
E in particolare: sono per una crescita del trasporto pubblico (a prezzi ragionevoli, ma non sottocosto, visto che ciò spingerebbe a usarlo anche quando non serve e quindi lo gonfierebbe oltremisura).
Saluti,
Mauro.
Etichette:
auto,
bicicletta,
città,
futuro,
inquinamento,
moto,
occupazione,
pedone,
spazio,
trasporto,
trasporto pubblico,
veicolo
mercoledì 5 giugno 2019
Una panoramica sulla giallistica tedesca contemporanea
Qualche anno fa vi raccontai della mia passione per la letteratura gialla, in particolare nordica, dandovi qui qualche consiglio su cosa leggere dal profondo nord.
Negli ultimi giorni un dialogo su Twitter (grazie Rudi e Appia Landscapes) mi ha stimolato a preparare una serie di consigli riguardanti la letteratura gialla tedesca, che conosco anche bene (e che oltretutto posso godermi in lingua originale, il che non guasta).
Due premesse:
1) gli autori che citerò li ho letti in tedesco, quindi non posso garantire la qualità delle traduzioni se vorrete leggerli in italiano, ma solo quella degli originali;
2) vi segnalerò gli autori che a me sono piaciuti di più, che non necessariamente sono quelli più amati dalla critica o più venduti (alcuni lo sono, altri no).
E allora partiamo.
Il primo autore da leggere è Veit Heinichen, un tedesco "italiano".
"Italiano" in quanto vive da più di vent'anni a Trieste, dove ambienta (con "sforamenti" nel resto del Nord-Est e nell'Istria croato-slovena, più raramente in Austria o Germania) i suoi romanzi centrati sul personaggio di Proteo Laurenti.
Sono romanzi dove il giallo si accompagna più o meno esplicitamente a temi socio-politici legati all'Italia e all'Europa (e prima che lo chiediate: sì, è evidente che l'autore è pro-Europa).
Il mio preferito tra gli autori tedeschi contemporanei.
Poi non si può non citare il compianto Andreas Franz (mancato nel 2011), forse il più apprezzato e noto autore tedesco contemporaneo nel genere.
I suoi gialli sono ambientati principalmente nella zona Francoforte-Offenbach e sono tutto sommato di stampo classico, pur trattando di crimini "moderni".
Franz ha creato due serie, che talvolta si incrociano: quella basata su Julia Durant (personaggio volutamente antipatico, ma perfettamente adeguato all'ambiente) a Francoforte e quella basata su Peter Brandt a Offenbach.
La serie di Julia Durant è stata proseguita da Daniel Holbe dopo la morte di Franz, ma io i romanzi "apocrifi" (anche se approvati dagli eredi) non li ho letti, quindi non posso giudicarli.
(N.B.: Franz ha ambientato anche una serie gialla nel nord della Germania, ma non la conosco e comunque ha avuto meno successo di pubblico e di critica delle altre due).
E adesso scendiamo nel profondo sud, in Baviera. Per la precisione nell'Allgäu, dove Volker Klüpfel e Michael Kobr ambientano i loro romanzi scritti a quattro mani e incentrati su un personaggio ormai di culto: il commissario Kluftinger.
Kluftinger è un personaggio molto particolare. Provinciale, mischia tedesco e dialetto, vede tutto ciò che culturalmente viene da fuori come pericoloso... ma alla fine cede sempre (non nelle indagini, però) e si fa comunque amare.
Da segnalare anche Stephan Ludwig col suo commissario Claudius Zorn (Zorn in tedesco significa stizza, collera e il nome non è del tutto casuale).
È l'unico autore di un certo livello che ambienta i suoi gialli all'est (per la precisione a Erfurt) e questo si nota molto nelle atmosfere intorno ai protagonisti, la decadenza economica reale di parte dell'ex DDR è molto ben rappresentata.
E poi ci sono i romanzi storici di Cay Rademacher. Molti ambientati nell'antica Roma, ma quelli di cui vi voglio parlare sono tre romanzi scritti tra il 2011 e il 2013 e ambientati nell'Amburgo dell'immediato dopoguerra, ancora cumulo di macerie dovute ai bombardamenti alleati.
In questi romanzi l'ispettore Frank Stave indaga su diversi crimini (in parte basati su fatti storici reali, come una serie di omicidi nella realtà mai chiariti nel romanzo Der Trümmermörder, L'assassino delle macerie) con tutte le difficoltà dovute alla situazione drammatica e le limitazioni alla sua libertà d'azione dovute al fatto di dover rispondere anche alle forze di occupazione.
Vorrei poi citare due autori che non rientrano nella definizione classica di giallo, ma più che altro in quella di thriller, ma dove i confini tra i due generi sono abbastanza labili.
Il primo è Max Landorff (in realtà uno pseudonimo) col suo personaggio Der Regler (Il regolatore), un personaggio il cui lavoro consiste nel "regolare" i problemi altrui - di vario tipo, ma mai limpidi - senza lasciare tracce e, possibilmente, senza violenza.
Il secondo è Marc Elsberg (in realtà austriaco, non tedesco, ma noi non siamo schizzinosi, vero?), i cui romanzi trattano dei rischi legati al mondo attuale, tipo un blackout continentale doloso (descritto nel suo romanzo Blackout), problemi legati ai Big Data e alla protezione dei dati personali (Zero) o alla genetica (Helix). Autore veramente di altissimo livello.
Prima di lasciarvi, una nota: i romanzi di Heinichen e quelli di Klüpfel & Kobr sono anche esperienze culinarie, non solo letterarie e poliziesche.
Buona lettura e buon appetito.
Saluti,
Mauro.
Negli ultimi giorni un dialogo su Twitter (grazie Rudi e Appia Landscapes) mi ha stimolato a preparare una serie di consigli riguardanti la letteratura gialla tedesca, che conosco anche bene (e che oltretutto posso godermi in lingua originale, il che non guasta).
Due premesse:
1) gli autori che citerò li ho letti in tedesco, quindi non posso garantire la qualità delle traduzioni se vorrete leggerli in italiano, ma solo quella degli originali;
2) vi segnalerò gli autori che a me sono piaciuti di più, che non necessariamente sono quelli più amati dalla critica o più venduti (alcuni lo sono, altri no).
E allora partiamo.
Il primo autore da leggere è Veit Heinichen, un tedesco "italiano".
"Italiano" in quanto vive da più di vent'anni a Trieste, dove ambienta (con "sforamenti" nel resto del Nord-Est e nell'Istria croato-slovena, più raramente in Austria o Germania) i suoi romanzi centrati sul personaggio di Proteo Laurenti.
Sono romanzi dove il giallo si accompagna più o meno esplicitamente a temi socio-politici legati all'Italia e all'Europa (e prima che lo chiediate: sì, è evidente che l'autore è pro-Europa).
Il mio preferito tra gli autori tedeschi contemporanei.
Poi non si può non citare il compianto Andreas Franz (mancato nel 2011), forse il più apprezzato e noto autore tedesco contemporaneo nel genere.
I suoi gialli sono ambientati principalmente nella zona Francoforte-Offenbach e sono tutto sommato di stampo classico, pur trattando di crimini "moderni".
Franz ha creato due serie, che talvolta si incrociano: quella basata su Julia Durant (personaggio volutamente antipatico, ma perfettamente adeguato all'ambiente) a Francoforte e quella basata su Peter Brandt a Offenbach.
La serie di Julia Durant è stata proseguita da Daniel Holbe dopo la morte di Franz, ma io i romanzi "apocrifi" (anche se approvati dagli eredi) non li ho letti, quindi non posso giudicarli.
(N.B.: Franz ha ambientato anche una serie gialla nel nord della Germania, ma non la conosco e comunque ha avuto meno successo di pubblico e di critica delle altre due).
E adesso scendiamo nel profondo sud, in Baviera. Per la precisione nell'Allgäu, dove Volker Klüpfel e Michael Kobr ambientano i loro romanzi scritti a quattro mani e incentrati su un personaggio ormai di culto: il commissario Kluftinger.
Kluftinger è un personaggio molto particolare. Provinciale, mischia tedesco e dialetto, vede tutto ciò che culturalmente viene da fuori come pericoloso... ma alla fine cede sempre (non nelle indagini, però) e si fa comunque amare.
Da segnalare anche Stephan Ludwig col suo commissario Claudius Zorn (Zorn in tedesco significa stizza, collera e il nome non è del tutto casuale).
È l'unico autore di un certo livello che ambienta i suoi gialli all'est (per la precisione a Erfurt) e questo si nota molto nelle atmosfere intorno ai protagonisti, la decadenza economica reale di parte dell'ex DDR è molto ben rappresentata.
E poi ci sono i romanzi storici di Cay Rademacher. Molti ambientati nell'antica Roma, ma quelli di cui vi voglio parlare sono tre romanzi scritti tra il 2011 e il 2013 e ambientati nell'Amburgo dell'immediato dopoguerra, ancora cumulo di macerie dovute ai bombardamenti alleati.
In questi romanzi l'ispettore Frank Stave indaga su diversi crimini (in parte basati su fatti storici reali, come una serie di omicidi nella realtà mai chiariti nel romanzo Der Trümmermörder, L'assassino delle macerie) con tutte le difficoltà dovute alla situazione drammatica e le limitazioni alla sua libertà d'azione dovute al fatto di dover rispondere anche alle forze di occupazione.
Vorrei poi citare due autori che non rientrano nella definizione classica di giallo, ma più che altro in quella di thriller, ma dove i confini tra i due generi sono abbastanza labili.
Il primo è Max Landorff (in realtà uno pseudonimo) col suo personaggio Der Regler (Il regolatore), un personaggio il cui lavoro consiste nel "regolare" i problemi altrui - di vario tipo, ma mai limpidi - senza lasciare tracce e, possibilmente, senza violenza.
Il secondo è Marc Elsberg (in realtà austriaco, non tedesco, ma noi non siamo schizzinosi, vero?), i cui romanzi trattano dei rischi legati al mondo attuale, tipo un blackout continentale doloso (descritto nel suo romanzo Blackout), problemi legati ai Big Data e alla protezione dei dati personali (Zero) o alla genetica (Helix). Autore veramente di altissimo livello.
Prima di lasciarvi, una nota: i romanzi di Heinichen e quelli di Klüpfel & Kobr sono anche esperienze culinarie, non solo letterarie e poliziesche.
Buona lettura e buon appetito.
Saluti,
Mauro.
martedì 4 giugno 2019
Pesto alla tedesca - Il ritorno
Qualcuno di voi ricorderà quando, ormai più di 8 anni fa, vi raccontai che la Rewe - tedesca - produce un pesto alla genovese più fedele alla ricetta originale di quanto faccia la Barilla - italiana.
Oggi uscito dal lavoro sono andato al supermercato qui ad Auerbach a fare la spesa. Il supermercato è Edeka, una delle catene più importanti della Germania, come Rewe, ma comunque meno fornita di prodotti italiani rispetto alla concorrente Rewe.
E mi è venuta la curiosità di controllare nuovamente i pesti...
Ho guardato il Barilla...
Gli ingredienti sono sempre: Basilico, olio di semi di girasole, parmigiano, pecorino, aglio, sale, anacardi.
E il prezzo è 3,29 € per 190 g.
E poi ho guardato il prodotto di casa di Edeka (anzi del marchio economico di Edeka, "Gut und Günstig")...
Gli ingredienti sono, come da Rewe otto anni fa: Basilico, olio di oliva, parmigiano, pecorino, aglio, sale, pinoli.
E il prezzo è 1,19 € per 190 g.
A voi i commenti.
Saluti,
Mauro.
Oggi uscito dal lavoro sono andato al supermercato qui ad Auerbach a fare la spesa. Il supermercato è Edeka, una delle catene più importanti della Germania, come Rewe, ma comunque meno fornita di prodotti italiani rispetto alla concorrente Rewe.
E mi è venuta la curiosità di controllare nuovamente i pesti...
Ho guardato il Barilla...
E il prezzo è 3,29 € per 190 g.
E poi ho guardato il prodotto di casa di Edeka (anzi del marchio economico di Edeka, "Gut und Günstig")...
E il prezzo è 1,19 € per 190 g.
A voi i commenti.
Saluti,
Mauro.
mercoledì 29 maggio 2019
Una proposta provocatoria
Riprendo una proposta provocatoria che avevo già fatto tempo fa, riguardo il problema dell'astensionismo.
Proposta che, come si addice a questo blog, può essere definita istituzionalmente eretica.
Sul fatto che l'astensionismo sia un problema o, nel migliore dei casi, comunque un fenomeno negativo penso che siamo d'accordo quasi tutti, al di là di colori politici e ideologie.
E questo vale quali che siano le motivazioni (reali o di facciata) che portano all'astensione.
Prendiamo come esempio le elezioni europee di domenica scorsa, per quanto riguarda il voto in Italia.
Tenendo conto dell'astensionismo il successo della Lega e la ripresa del PD verrebbero entrambi ridimensionati.
La Lega infatti si scopre che non ha un terzo degli italiani (inteso come italiani con diritto di voto) dalla sua parte, bensì solo un terzo dei votanti (cioè tra un sesto e un quinto degli italiani).
E il PD si scopre che rispetto al 2018 ha sì guadagnato in percentuale dei votanti, ma in realtà ha perso in percentuale degli italiani (infatti ha preso numericamente meno voti, che sembrano di più grazie all'astensionismo).
E al di là dei discorsi numerici, una cosa che a me dà ai nervi sono gli astenuti che poi si lamentano di chi governa (chiunque questi sia).
Non hai votato? Significa che non te ne fregava nulla, quindi non hai nessun diritto morale di lamentarti. Punto.
Chi ha votato invece quel diritto lo ha: chi ha votato per chi ha vinto, se questo non mantiene le promesse o non lo fa abbastanza, e chi ha votato per chi ha perso, visto che probabilmente la maggioranza farà cose che non approva.
E allora, vi starete chiedendo, qual è questa proposta di cui sto blaterando?
Premetto che è una proposta ai limiti della costituzionalità, probabilmente oltre: non c'è nessun articolo nella Costituzione che proibisce esplicitamente quanto propongo, ma ce ne sono che lo proibiscono implicitamente.
La proposta è la seguente: assegnare i seggi all'astensione.
Mi spiego meglio, usando come esempio la nostra Camera dei Deputati.
La Camera ha 630 seggi. La maggioranza è di 316.
Mettiamo che alle politiche si verifichi un 30% di astensione. Il 30% di 630 è 189.
Quindi 189 seggi alla Camera dovranno rimanere vuoti, i partiti si divideranno proporzionalmente gli altri 441.
Ma la maggioranza rimarrebbe 316, visto che non si tratterebbe di rimpicciolire la Camera, ma di tener conto della volontà di chi non ha votato.
Ciò significherebbe che per avere la maggioranza servirebbe avere circa il 71,6% dei seggi effettivamente occupati (cioè dei voti depositati nell'urna).
Quindi governare e legiferare sarebbe molto più difficile... e gli ignavi che non hanno votato si accorgerebbero del casino che hanno combinato e capirebbero quanto hanno precedentemente approfittato del voto di chi il proprio dovere di elettore lo ha veramente fatto (almeno si spera).
Saluti,
Mauro.
Proposta che, come si addice a questo blog, può essere definita istituzionalmente eretica.
Sul fatto che l'astensionismo sia un problema o, nel migliore dei casi, comunque un fenomeno negativo penso che siamo d'accordo quasi tutti, al di là di colori politici e ideologie.
E questo vale quali che siano le motivazioni (reali o di facciata) che portano all'astensione.
Prendiamo come esempio le elezioni europee di domenica scorsa, per quanto riguarda il voto in Italia.
Tenendo conto dell'astensionismo il successo della Lega e la ripresa del PD verrebbero entrambi ridimensionati.
La Lega infatti si scopre che non ha un terzo degli italiani (inteso come italiani con diritto di voto) dalla sua parte, bensì solo un terzo dei votanti (cioè tra un sesto e un quinto degli italiani).
E il PD si scopre che rispetto al 2018 ha sì guadagnato in percentuale dei votanti, ma in realtà ha perso in percentuale degli italiani (infatti ha preso numericamente meno voti, che sembrano di più grazie all'astensionismo).
E al di là dei discorsi numerici, una cosa che a me dà ai nervi sono gli astenuti che poi si lamentano di chi governa (chiunque questi sia).
Non hai votato? Significa che non te ne fregava nulla, quindi non hai nessun diritto morale di lamentarti. Punto.
Chi ha votato invece quel diritto lo ha: chi ha votato per chi ha vinto, se questo non mantiene le promesse o non lo fa abbastanza, e chi ha votato per chi ha perso, visto che probabilmente la maggioranza farà cose che non approva.
E allora, vi starete chiedendo, qual è questa proposta di cui sto blaterando?
Premetto che è una proposta ai limiti della costituzionalità, probabilmente oltre: non c'è nessun articolo nella Costituzione che proibisce esplicitamente quanto propongo, ma ce ne sono che lo proibiscono implicitamente.
La proposta è la seguente: assegnare i seggi all'astensione.
Mi spiego meglio, usando come esempio la nostra Camera dei Deputati.
La Camera ha 630 seggi. La maggioranza è di 316.
Mettiamo che alle politiche si verifichi un 30% di astensione. Il 30% di 630 è 189.
Quindi 189 seggi alla Camera dovranno rimanere vuoti, i partiti si divideranno proporzionalmente gli altri 441.
Ma la maggioranza rimarrebbe 316, visto che non si tratterebbe di rimpicciolire la Camera, ma di tener conto della volontà di chi non ha votato.
Ciò significherebbe che per avere la maggioranza servirebbe avere circa il 71,6% dei seggi effettivamente occupati (cioè dei voti depositati nell'urna).
Quindi governare e legiferare sarebbe molto più difficile... e gli ignavi che non hanno votato si accorgerebbero del casino che hanno combinato e capirebbero quanto hanno precedentemente approfittato del voto di chi il proprio dovere di elettore lo ha veramente fatto (almeno si spera).
Saluti,
Mauro.
Etichette:
astensione,
astensionismo,
blog,
Costituzione,
elezioni,
istituzioni,
maggioranza,
pensieri eretici,
proposta,
provocazione,
seggio,
voto
sabato 25 maggio 2019
Da dove viene l'Europa?
Soprattutto ora, con le nuove elezioni europee in corso, ci si chiede dove va e/o dove dovrebbe andare l'Europa.
Ma sarebbe in realtà più interessante e importante chiedersi da dove viene l'Europa.
Io purtroppo sospetto che sia tra chi vuole un'Europa chiusa sia tra chi la vuole aperta pochi sappiano l'origine della parola Europa (pur essendo questa facilmente ricercabile sia in rete che sulle enciclopedie tradizionali).
La parola Europa nasce nella mitologia greca, molto prima dell'era cristiana.
Europa (in greco antico Εὐρώπη, Európē) era principessa di Tiro... e dove stava Tiro? In Fenicia, l'attuale Libano (Libano, sì, quindi Medio Oriente, Asia).
Europa venne poi rapita da Zeus e portata a Creta, dove dalla sua discendenza nacque la civiltà minoica, radice della civiltà e della cultura europea.
Quindi l'Europa viene da radici fenicio-minoiche, che attraverso le civiltà greca e romana hanno portato a quello che siamo oggi.
Le radici cristiane tanto care ai sovranisti non sono radici, al massimo rami. Rami importanti, grandi - su questo non si discute - ma pur sempre rami.
Saluti,
Mauro.
Ma sarebbe in realtà più interessante e importante chiedersi da dove viene l'Europa.
Io purtroppo sospetto che sia tra chi vuole un'Europa chiusa sia tra chi la vuole aperta pochi sappiano l'origine della parola Europa (pur essendo questa facilmente ricercabile sia in rete che sulle enciclopedie tradizionali).
La parola Europa nasce nella mitologia greca, molto prima dell'era cristiana.
Europa (in greco antico Εὐρώπη, Európē) era principessa di Tiro... e dove stava Tiro? In Fenicia, l'attuale Libano (Libano, sì, quindi Medio Oriente, Asia).
Europa venne poi rapita da Zeus e portata a Creta, dove dalla sua discendenza nacque la civiltà minoica, radice della civiltà e della cultura europea.
Quindi l'Europa viene da radici fenicio-minoiche, che attraverso le civiltà greca e romana hanno portato a quello che siamo oggi.
Le radici cristiane tanto care ai sovranisti non sono radici, al massimo rami. Rami importanti, grandi - su questo non si discute - ma pur sempre rami.
Saluti,
Mauro.
giovedì 23 maggio 2019
Vestager e i paradisi fiscali
Qualche giorno fa sulla radio tedesca ho sentito una dichiarazione di Margrethe Vestager, commissaria europea alla concorrenza, in cui sosteneva che per lei i paradisi fiscali sono quelli in cui tutti pagano le tasse.
Per noi italiani e per i tedeschi (che usano l'espressione Steuerparadies) magari può sembrare un'apprezzabile provocazione, un gioco di parole per far capire che le tasse sono una cosa necessaria, giusta e utile (magari non bellissima come sostenne Padoa Schioppa, ma pur sempre più bella dell'alternativa).
Però anche se Vestager con le parole ha sì un po' giocato, lo ha fatto molto meno di quanto sembri, visto che l'espressione originale inglese, quella da cui sono poi derivate tutte le altre, è Tax Haven, cioè porto fiscale, e non (come italiani e tedeschi hanno interpretato, non so in altre lingue) Tax Heaven, cioè paradiso fiscale.
Nei parlai già qui tre anni fa. E Vestager me lo ha fatto tornare in mente.
Saluti,
Mauro.
Per noi italiani e per i tedeschi (che usano l'espressione Steuerparadies) magari può sembrare un'apprezzabile provocazione, un gioco di parole per far capire che le tasse sono una cosa necessaria, giusta e utile (magari non bellissima come sostenne Padoa Schioppa, ma pur sempre più bella dell'alternativa).
Però anche se Vestager con le parole ha sì un po' giocato, lo ha fatto molto meno di quanto sembri, visto che l'espressione originale inglese, quella da cui sono poi derivate tutte le altre, è Tax Haven, cioè porto fiscale, e non (come italiani e tedeschi hanno interpretato, non so in altre lingue) Tax Heaven, cioè paradiso fiscale.
Nei parlai già qui tre anni fa. E Vestager me lo ha fatto tornare in mente.
Saluti,
Mauro.
mercoledì 22 maggio 2019
La bellezza è una cosa concreta
Questo tweet del Museo Tattile di Varese mi ha fatto riflettere su un tema spesso trascurato: l'arte, la
bellezza nelle periferie, nelle baraccopoli, nei luoghi dove si potrebbe
pensare che le urgenze siano altre.
La persona di cui il tweet parla, un dirigente scolastico, cos'ha fatto?
Ha curato chi non poteva curarsi? Ha creato posti di lavoro? Ha dato da mangiare a qualcuno? No, niente di tutto questo.
Ha colorato la baraccopoli. Ha portato un po' di bellezza, un po' di luminosità in un luogo dove prima era solo bruttura.
Vedo già qualcuno che storce il naso.
Che perdita di tempo! Che cretinata! Invece di fare qualcosa di concreto, butta via soldi in vernice.
Non poteva occuparsi di istruzione o salute?
A parte il fatto che non sappiamo se fa anche dell'altro per la baraccopoli, non credete che anche la bellezza e l'arte siano cose concrete? Siano cose che possano aiutare a elevarsi da una situazione disperata?
Se non lo credete, sbagliate. E tanto.
Certo le prime cosa da portare in certi luoghi sono cibo e salute. E poi l'istruzione.
Ma se queste cose ai disperati gliele dai dentro la bruttura, la bruttura resterà dentro di loro.
Magari riusciranno a elevarsi dalla povertà materiale (non che sia poco, intendiamoci, eh!), ma dentro continueranno a portarsi la bruttura.
Difficilmente riusciranno a vedere un senso nella vita al di là della sopravvivenza.
Anche dovessero fare i soldi!
Se invece le cose "concrete" gliele dai in un ambiente di bellezza (e magari di allegria!) gli toglierai anche la bruttura dentro, non solo la povertà.
Farai di loro delle persone migliori.
Sia che divengano poi ricche, sia che rimangano povere.
Perché non solo gli darai la possibilità di lasciare le baracche, ma gli darai anche la voglia di far diventare quelle baracche dei palazzi senza dimenticarle.
Gli darai la capacità di sognare concretamente, di voler migliorare la società.
Gli insegnerai la gioia di vivere, non gli darai solo la capacità di sopravvivere.
Saluti,
Mauro.
La persona di cui il tweet parla, un dirigente scolastico, cos'ha fatto?
Ha curato chi non poteva curarsi? Ha creato posti di lavoro? Ha dato da mangiare a qualcuno? No, niente di tutto questo.
Ha colorato la baraccopoli. Ha portato un po' di bellezza, un po' di luminosità in un luogo dove prima era solo bruttura.
Vedo già qualcuno che storce il naso.
Che perdita di tempo! Che cretinata! Invece di fare qualcosa di concreto, butta via soldi in vernice.
Non poteva occuparsi di istruzione o salute?
A parte il fatto che non sappiamo se fa anche dell'altro per la baraccopoli, non credete che anche la bellezza e l'arte siano cose concrete? Siano cose che possano aiutare a elevarsi da una situazione disperata?
Se non lo credete, sbagliate. E tanto.
Certo le prime cosa da portare in certi luoghi sono cibo e salute. E poi l'istruzione.
Ma se queste cose ai disperati gliele dai dentro la bruttura, la bruttura resterà dentro di loro.
Magari riusciranno a elevarsi dalla povertà materiale (non che sia poco, intendiamoci, eh!), ma dentro continueranno a portarsi la bruttura.
Difficilmente riusciranno a vedere un senso nella vita al di là della sopravvivenza.
Anche dovessero fare i soldi!
Se invece le cose "concrete" gliele dai in un ambiente di bellezza (e magari di allegria!) gli toglierai anche la bruttura dentro, non solo la povertà.
Farai di loro delle persone migliori.
Sia che divengano poi ricche, sia che rimangano povere.
Perché non solo gli darai la possibilità di lasciare le baracche, ma gli darai anche la voglia di far diventare quelle baracche dei palazzi senza dimenticarle.
Gli darai la capacità di sognare concretamente, di voler migliorare la società.
Gli insegnerai la gioia di vivere, non gli darai solo la capacità di sopravvivere.
Saluti,
Mauro.
giovedì 9 maggio 2019
Contro il rimborso ai "truffati"
Ora vi racconto una storia. Una storia personale. Vera.
Quasi 15 anni fa mio papà ha investito qualche soldino in azioni CaRiGe (credo ca. 3000€, non ricordo bene, comunque la cifra precisa non è importante).
CaRiGe. Per voi oggi significa Banca CaRiGe. Per noi vecchi genovesi significa Cassa di Risparmio di Genova e Imperia.
Poi papà si è ammalato e non se ne è più curato. Aveva altri problemi.
Quando è mancato quelle azioni sono andate, come legge prescrive, metà a mia mamma e metà a me (cioè metà al coniuge e metà ai figli, ma io sono figlio unico).
Ora entrambi possediamo meno di 0,01€ di azioni della CaRiGe.
E no, non ne abbiamo vendute: le abbiamo tenute tutte. La quantità di azioni che io e mamma possediamo è in totale la stessa di quando papà le comprò.
Oggi con 3000€ rischio di comprarmi tutta CaRiGe, immobili esclusi.
Però non chiederò nessun rimborso truffati, visto che la prima truffa è il rimborso stesso: noi abbiamo investito male. Nessuno ci ha costretto a farlo.
E dico "noi" coscientemente: io, ai tempi, se fossi stato a Genova e non in Germania avrei accondisceso al suo investimento. Anzi ci avrei aggiunto di mio.
E quello che sta dopo il primo dei due punti nel passaggio sopra scritto vale per almeno i tre quarti (e mi tengo basso) dei cosiddetti "truffati" (e vale per tutte le banche nei casini, non solo per CaRiGe).
Non sono truffati (o "risparmiatori", come i grillini vogliono farli passare). Nella maggioranza sono semplicemente investitori coscienti dei rischi che correvano e che hanno avuto sfortuna. O che hanno calcolato male per scarse conoscenze (ergo ignoranti).
Quindi il rimborso generalizzato è una truffa verso tutti quelli che non hanno investito in dette banche.
Qualche truffato c'è stato veramente. E questi meritano sì il rimborso. Ma sono una minoranza.
La maggioranza ha investito conoscendo i rischi. Magari non conoscendo nei dettagli ogni signolo rischio, ma comunque sapendo che non era un investitmento sicuro al 100%. Che nessun investimento può essere sicuro al 100%.
E no, l'essere truffato o no non dipende dal tuo essere ricco o povero (il M5S vorrebbe far passare tutti i poveri come truffati).
Dipende dalle informazioni che ti sono state messe a disposizione al momento dell'investimento: possono quindi benissimo esserci ricchi truffati e poveri non truffati (anche se obiettivamente è più facile che il povero, non esperto di questioni finanziarie, venga truffato).
Saluti,
Mauro.
Quasi 15 anni fa mio papà ha investito qualche soldino in azioni CaRiGe (credo ca. 3000€, non ricordo bene, comunque la cifra precisa non è importante).
CaRiGe. Per voi oggi significa Banca CaRiGe. Per noi vecchi genovesi significa Cassa di Risparmio di Genova e Imperia.
Poi papà si è ammalato e non se ne è più curato. Aveva altri problemi.
Quando è mancato quelle azioni sono andate, come legge prescrive, metà a mia mamma e metà a me (cioè metà al coniuge e metà ai figli, ma io sono figlio unico).
Ora entrambi possediamo meno di 0,01€ di azioni della CaRiGe.
E no, non ne abbiamo vendute: le abbiamo tenute tutte. La quantità di azioni che io e mamma possediamo è in totale la stessa di quando papà le comprò.
Oggi con 3000€ rischio di comprarmi tutta CaRiGe, immobili esclusi.
Però non chiederò nessun rimborso truffati, visto che la prima truffa è il rimborso stesso: noi abbiamo investito male. Nessuno ci ha costretto a farlo.
E dico "noi" coscientemente: io, ai tempi, se fossi stato a Genova e non in Germania avrei accondisceso al suo investimento. Anzi ci avrei aggiunto di mio.
E quello che sta dopo il primo dei due punti nel passaggio sopra scritto vale per almeno i tre quarti (e mi tengo basso) dei cosiddetti "truffati" (e vale per tutte le banche nei casini, non solo per CaRiGe).
Non sono truffati (o "risparmiatori", come i grillini vogliono farli passare). Nella maggioranza sono semplicemente investitori coscienti dei rischi che correvano e che hanno avuto sfortuna. O che hanno calcolato male per scarse conoscenze (ergo ignoranti).
Quindi il rimborso generalizzato è una truffa verso tutti quelli che non hanno investito in dette banche.
Qualche truffato c'è stato veramente. E questi meritano sì il rimborso. Ma sono una minoranza.
La maggioranza ha investito conoscendo i rischi. Magari non conoscendo nei dettagli ogni signolo rischio, ma comunque sapendo che non era un investitmento sicuro al 100%. Che nessun investimento può essere sicuro al 100%.
E no, l'essere truffato o no non dipende dal tuo essere ricco o povero (il M5S vorrebbe far passare tutti i poveri come truffati).
Dipende dalle informazioni che ti sono state messe a disposizione al momento dell'investimento: possono quindi benissimo esserci ricchi truffati e poveri non truffati (anche se obiettivamente è più facile che il povero, non esperto di questioni finanziarie, venga truffato).
Saluti,
Mauro.
Etichette:
azione,
banca,
CaRiGe,
Genova,
grillini,
ignoranza,
investimento,
investitore,
m5s,
Mauro,
personale,
rimborso,
risparmiatore,
truffa
L'autorete sulla cannabis
Ripropongo qui alcuni pensieri scritti oggi su twitter, pensando alla sparata di Salvini sulla cannabis
Premetto che io non sono mai riuscito a farmi un'idea mia precisa sulla legalizzazione della cannabis sotto certe condizioni, quindi non vi farò pipponi sul fatto che sia giusta o sbagliata (anche se tendo più al giusta).
Però due considerazioni mi sento di farle.
1) Il proibizionismo favorisce sempre il mercato illegale. Se proibisci devi essere pronto a preparare una vera azione militare contro quest'ultimo. Se no fai solo un'autorete.
2) La legge al momento ne consente la vendita, quindi per chiudere i negozi devi prima cambiare la legge.
Sul punto 2 si possono aggiungere due cose.
2a) Se i negozi sono invece aperti solo grazie a buchi nella legge (e non per esplicito permesso nella legge), prima chiudi i buchi, poi chiudi i negozi.
2b) Fino a che non cambi o non integri la legge, per le licenze sono responsabili i comuni. Tu ministro, no, non puoi.
Saluti,
Mauro.
Premetto che io non sono mai riuscito a farmi un'idea mia precisa sulla legalizzazione della cannabis sotto certe condizioni, quindi non vi farò pipponi sul fatto che sia giusta o sbagliata (anche se tendo più al giusta).
Però due considerazioni mi sento di farle.
1) Il proibizionismo favorisce sempre il mercato illegale. Se proibisci devi essere pronto a preparare una vera azione militare contro quest'ultimo. Se no fai solo un'autorete.
2) La legge al momento ne consente la vendita, quindi per chiudere i negozi devi prima cambiare la legge.
Sul punto 2 si possono aggiungere due cose.
2a) Se i negozi sono invece aperti solo grazie a buchi nella legge (e non per esplicito permesso nella legge), prima chiudi i buchi, poi chiudi i negozi.
2b) Fino a che non cambi o non integri la legge, per le licenze sono responsabili i comuni. Tu ministro, no, non puoi.
Saluti,
Mauro.
Etichette:
cannabis,
Comune,
droga,
governo,
legalizzare,
legge,
mercato,
proibizionismo,
Salvini,
Twitter
venerdì 3 maggio 2019
A zonzo per Sestri Levante
A Sestri Levante ci sono musei archeologici molto eleganti:
Il sole è uno spettacolo:
Saluti,
Mauro.
Il sole è uno spettacolo:
E vecchie barche a vela se ne stanno placide sulla spiaggia invece di navigare:
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui tutti gli "A zonzo per...".
Qui tutti gli "A zonzo per...".
mercoledì 1 maggio 2019
A zonzo per Ratisbona
A Ratisbona ci sono i carruggi come a Genova:
A Ratisbona visse anche il grande Johannes Kepler:
E ci sono anche frati che predicano alle oche:
Saluti,
Mauro.
A Ratisbona visse anche il grande Johannes Kepler:
E ci sono anche frati che predicano alle oche:
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui tutti gli "A zonzo per...".
Qui tutti gli "A zonzo per...".
venerdì 26 aprile 2019
Ci sono ancora
Per motivi in parte personali e in parte tecnici nelle ultime settimane non ho curato il blog.
Ma né io né il blog siamo morti e nei prossimi giorni riprenderò a curarlo e a scrivere regolarmente (a partire dalla dovuta e ancora in sospeso risposta ai commenti dell'ultimo articolo).
Saluti,
Mauro.
Ma né io né il blog siamo morti e nei prossimi giorni riprenderò a curarlo e a scrivere regolarmente (a partire dalla dovuta e ancora in sospeso risposta ai commenti dell'ultimo articolo).
Saluti,
Mauro.
giovedì 28 marzo 2019
La "comunicazione" del PD
Ovvero la proposta Zanda spiegata bene.
Oggi ha imperversato sui social la notizia (anzi la bufala) secondo cui Luigi Zanda, senatore PD, avrebbe depositato una proposta di legge per aumentare lo stipendio dei parlamentari.
E apriti cielo!
Soprattutto i grillini si sono gettati sulla cosa a corpo morto.
Ma cosa dice questa proposta di legge? Semplicemente prevede di equiparare lo stipendio dei parlamentari italiani a quello dei parlamentari europei.
E qui casca l'asino: tutti sanno che i parlamentari europei guadagnano di più. Scandalo!
E invece no: prima informatevi (anche se è più facile parlare senza informarsi).
I parlamentari europei hanno uno stipendio lordo inferiore a quello dei parlamentari italiani.
Ma in Europa c'è una tassazione agevolata rispetto a quelle nazionali (anche per i dipendenti, non solo per i parlamentari) e quindi, grazie a ciò, lo stipendio netto dei parlamentari europei risulta superiore a quello dei loro colleghi in patria.
Ma i parlamentari di Roma continuerebbero a restare sotto il regime fiscale italiano, non avrebbero il regime agevolato europeo.
E - sorpresa! - ciò significa che, calando il lordo, calerebbe anche il netto. Incredibile, vero?
Quando, oggi pomeriggio, sono venuto a sapere della bufala, in cinque minuti ho controllato e subito pubblicato questo tweet:
E qui veniamo alla comunicazione del PD.
Un tweet del genere me lo sarei aspettato dai responsabili della comunicazione del PD, non avrebbe dovuto scriverlo un semplice cittadino (che tra l'altro non ha neanche votato PD).
E invece nulla. Altri frequentatori dei social e blogger hanno fatto, indipendentemente da me, notare la cosa.
Ma dal partito nulla. Solo una presa di distanza nei confonti di Zanda in quanto la proposta non è una proposta ufficiale del PD (quindi di fatto avvallando il contenuto della bufala).
Tipo:
Ma benedetti ragazzi, a chi avete messo in mano la comunicazione del PD?
Minimo minimo a un incapace.
Potevate fare un figurone sbufalando tutto in un attimo e invece fate un autorete dietro l'altra gettando il povero Zanda in pasto ai lupi.
Veramente bravi. Continuate così.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
(Aggiornamento ore 21:15)
Col senno di poi, visto il tweet di Zingaretti, l'impressione è che Zingaretti stesso e i suoi collaboratori quella proposta neanche la abbiano letta.
Oggi ha imperversato sui social la notizia (anzi la bufala) secondo cui Luigi Zanda, senatore PD, avrebbe depositato una proposta di legge per aumentare lo stipendio dei parlamentari.
E apriti cielo!
Soprattutto i grillini si sono gettati sulla cosa a corpo morto.
Ma cosa dice questa proposta di legge? Semplicemente prevede di equiparare lo stipendio dei parlamentari italiani a quello dei parlamentari europei.
E qui casca l'asino: tutti sanno che i parlamentari europei guadagnano di più. Scandalo!
E invece no: prima informatevi (anche se è più facile parlare senza informarsi).
I parlamentari europei hanno uno stipendio lordo inferiore a quello dei parlamentari italiani.
Ma in Europa c'è una tassazione agevolata rispetto a quelle nazionali (anche per i dipendenti, non solo per i parlamentari) e quindi, grazie a ciò, lo stipendio netto dei parlamentari europei risulta superiore a quello dei loro colleghi in patria.
Ma i parlamentari di Roma continuerebbero a restare sotto il regime fiscale italiano, non avrebbero il regime agevolato europeo.
E - sorpresa! - ciò significa che, calando il lordo, calerebbe anche il netto. Incredibile, vero?
Quando, oggi pomeriggio, sono venuto a sapere della bufala, in cinque minuti ho controllato e subito pubblicato questo tweet:
E qui veniamo alla comunicazione del PD.
Un tweet del genere me lo sarei aspettato dai responsabili della comunicazione del PD, non avrebbe dovuto scriverlo un semplice cittadino (che tra l'altro non ha neanche votato PD).
E invece nulla. Altri frequentatori dei social e blogger hanno fatto, indipendentemente da me, notare la cosa.
Ma dal partito nulla. Solo una presa di distanza nei confonti di Zanda in quanto la proposta non è una proposta ufficiale del PD (quindi di fatto avvallando il contenuto della bufala).
Tipo:
Ma benedetti ragazzi, a chi avete messo in mano la comunicazione del PD?
Minimo minimo a un incapace.
Potevate fare un figurone sbufalando tutto in un attimo e invece fate un autorete dietro l'altra gettando il povero Zanda in pasto ai lupi.
Veramente bravi. Continuate così.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
(Aggiornamento ore 21:15)
Col senno di poi, visto il tweet di Zingaretti, l'impressione è che Zingaretti stesso e i suoi collaboratori quella proposta neanche la abbiano letta.
Etichette:
bufala,
comunicazione,
Luigi Zanda,
Nicola Zingaretti,
notizia,
Parlamento,
Parlamento Europeo,
partito,
PD,
social networks
Iscriviti a:
Post (Atom)