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domenica 3 novembre 2024

Riparliamo del paradosso del barbiere

A marzo dell'anno scorso (2023) vi raccontai come il paradosso del barbiere in italiano sia più un'ambiguità che un paradosso.
Facciamo ora finta che l'ambiguità non esista e sia veramente un paradosso... ma...

...siamo sicuri che sia veramente un paradosso?

No, per niente.

Infatti, pur con tutto il rispetto e l'affetto che provo per Bertrand Russell (che la logica la conosceva, ma a quanto pare la dimenticava quando andava dal barbiere), non c'è nessun paradosso.
Infatti un paradosso, per essere definito tale, non deve avere lacune, deve essere "irrisolvibile" comunque lo si affronti.
E invece il paradosso del barbiere di lacune ne ha eccome.

Partiamo dalla sua formulazione standard, quella di Russell (formulazioni alternative e successive servono solo a risolvere il problema truccando le carte): In un paese il barbiere fa la barba a tutti quelli, e solo a quelli, che non se la fanno da soli, quindi chi fa la barba al barbiere?

Se uno conosce un minimo di logica (e anche di vita quotidiana) vede già due possibili soluzioni al "paradosso".

1) Chi ha deciso che il barbiere debba farsi la barba? Non avete mai visto barbieri barbuti?
2) Chi si fa la barba da solo, se la fa a casa la mattina appena alzato. Se il barbiere se la facesse da solo appena alzato, se la farebbe da privato cittadino, non da barbiere, quindi rientrerebbe nella categoria di coloro che se la fanno da soli.

Ergo, non c'è nessun paradosso, visto che la formulazione ha varie lacune, non considera ogni possibilità (come dovrebbe un paradosso ben formulato).

Saluti,

Mauro.

mercoledì 19 giugno 2024

Repubblica e matematica... di nuovo (strano, vero?)

Oggi l'amico Moreno Colaiacovo su Mastodon ha pubblicato qualcosa di estremamente "interessante" riguardo a un articolo (purtroppo solo per abbonati) di Stefano Cappellini su Repubblica.
Secondo Cappellini le opposizioni si sono accordate su un "massimo comune multiplo"... 😮

Non ci credete?
Guardate l'immagine che ho chiesto a Moreno di mandarmi:


Il massimo comune multiplo!

Una cosa enorme! In pratica... il tutto!

Ve ne rendete conto che implicazioni ha questa scoperta di Repubblica non solo in matematica, ma anche in fisica e filosofia?
Chiudete il mondo, non c'è più nulla da scoprire e da indagare!

Saluti,

Mauro.

mercoledì 12 luglio 2023

Popper, la tolleranza, noi e la democrazia

Nel 1945 Karl Popper formulò il paradosso della tolleranza, all'interno del suo libro La società aperta e i suoi nemici.

Popper lo formula in questi termini:
Meno noto è invece il paradosso della tolleranza: la tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l'illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l'attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.
E qualche riga sotto conclude quindi che:
Noi dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti.

E qui sta il paradosso: per salvare la società dall'intolleranza bisogna essere intolleranti.

Ed è un paradosso assolutamente non risolvibile, se ci ragionate bene.
È impossibile concludere usando solo la logica se sia giusto tollerare gli intolleranti o se bisogni "abbassare" il livello di tolleranza per bloccarli.

Ed è questo, in fondo, il motivo per cui oggi (ma non è certo la prima volta nella storia) vediamo partiti palesemente antidemocratici sedere nei vari parlamenti dopo essere stati eletti in maniera assolutamente democratica.

La democrazia è come la tolleranza di Popper.
È giusto trovare modi di impedire agli antidemocratici di sfruttare la democrazia per andare al potere?

In termini di diritto credo che la risposta sia semplice: questi partiti si possono fermare se compiono atti anticostituzionali, ma non si possono fermare solo per i loro programmi e idee.

Mentre a livello logico e filosofico rimane un paradosso irrisolvibile.

Saluti,

Mauro.

venerdì 9 luglio 2021

Non ti darebbe fastidio se un gay cercasse di flirtare con te?

Tutte le discussioni sul DDL Zan mi hanno fatto venire in mente che un paio di volte mi è stata posta la domanda del titolo.
Mi è sempre stata posta da persone che con l'omosessualità avevano problemi, ovviamente.
Non so se fossero omofobi o criptoomosessuali o semplicemente ignoranti, ma problemi con l'omosessualità li avevano. Senza se e senza ma.

E io ho sempre risposto: "No, per niente."
Premessa: io sono etero. 100% etero.
E questa mia risposta ha, va detto, sempre sorpreso anche persone che posso garantire sono quanto di più lontano dall'omofobia ci sia.

Ma perché rispondo così?
Ora vi spiego.
Per prima cosa il flirt è un gioco, non una cosa seria. Ma questo non è qui il punto, visto che la risposta riguarda anche ciò che va oltre il flirt.
Anche se un gay si innamorasse di me non mi darebbe fastidio, anche se da etero ovviamente non contraccambierei il sentimento (mi dispiacerebbe per lui, ovviamente, ma amen, la vita ti sbatte anche porte in faccia, devi accettarlo, ragazzo mio, omo o etero che tu sia).

Ma perché?

In realtà la motivazione è molto, ma molto semplice.
Ed è la stessa motivazione per cui non mi dà fastidio se una donna che non mi interessa per nulla cercasse di flirtare con me o volesse qualcosa di più: semplicemente il problema è se mi interessi o meno. Indipendentemente dal sesso o da qualsiasi altra caratteristica.
Punto.
Nulla di meno, nulla di più.

Vediamo il flirt.
Essendo come detto il flirt solo un gioco, per quello non c'è problema.
Dipende dal mio umore del momento, uomo o donna che tu sia (anche se ovviamente da etero flirtare con una donna è più semplice, più spontaneo).

Se andiamo invece oltre il flirt, beh allora conta se la persona mi piace, mi interessa.
Ed essendo io, come detto, etero ovviamente se andiamo oltre il flirt mi interesseranno solo donne.
Ma non mi darà mai fastidio se un uomo si dovesse interessare a me: semplicemente riceverebbe il due di picche come lo riceverebbe una donna per cui io non provi nessun interesse.
Tutto qui.
Semplicemente questo.
Non c'è nessuna profonda filosofia o psicologia da tirare in ballo.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Comunque a flirtare sono un imbranato, quindi uomini, donne o qualsiasi altra cosa siate, se volete solo flirtare è meglio se vi rivolgete a qualcun altro... vi divertirete di più 😉

martedì 28 luglio 2020

Il rasoio di Occam... sicuri di averlo capito?

Normalmente il rasoio di Occam viene espresso nella forma secondo cui la spiegazione più semplice per un fenomeno è quella più probabile, quella da preferire.
Sembra ragionevole, però...
Però c'è un problema: cosa significa "semplice"? È una parola un po' troppo generica, non è molto concreta.
Guglielmo di Occam (in originale: William of Ockham) non fu in realtà così impreciso. Lui era logico, rigoroso.
Una delle sue formulazioni fu infatti: "Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem." (cioè: "Non moltiplicare gli elementi più del necessario.").
Formulazioni alternative nella forma, ma non nel contenuto, sono "Pluralitas non est ponenda sine necessitate." e "Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora." (lascio a voi le traduzioni 😉).
Cosa significa questo? Significa che per spiegare un fenomeno bisogna scegliere la spiegazione che abbisogna del minor numero di ipotesi (o di leggi o di prove), indipendentemente dalla semplicità intrinseca di queste ipotesi (o leggi o prove).
Non è la semplicità in sé il valore principale quindi, ma la quantità di ipotesi necessarie.
Altrimenti detto: È il numero di ipotesi determinante, meno ipotesi servono, più è da preferire la spiegazione.
Va però aggiunto che quello di Occam è un principio, non una legge.
Cosa significa questo? Che la spiegazione più semplice è da preferire e che generalmente è quella giusta... ma non lo è sempre! Bisogna verificare che detta spiegazione spieghi veramente TUTTO del fenomeno. Se non lo fa, o non è giusta o non è completa.

Due appunti storici.
1) Occam costituisce il culmine di un percorso cominciato con Moses Ben-Maimon (alcuni dicono addirittura con Aristotele, ma mi pare un po' tirata) e portato avanti da Giovanni Duns-Scoto (senza Duns-Scoto non è pensabile Occam, neanche senza rasoio).
2) Il rasoio di Occam è in fondo la prima pietra che secoli dopo con Newton e soprattutto Galilei portò alla definizione e all'affermazione del metodo scientifico.

Saluti,

Mauro.

domenica 16 giugno 2019

Savona, Socrate e il debito

Tutti avrete sentito il casino riguardo alle parole di Savona nel suo primo discorso come presidente di Consob.
Prima di tutto, prima di venire ai punti che voglio trattare, per coloro che non hanno già sentito o letto il discorso, vi rinvio al testo completo, così potete ragionare su di esso con la vostra testa. E valutare obiettivamente i commenti che sentite in giro.

Partiamo dalle levate di scudi sulla "caverna di Socrate".
Siamo sicuri che coloro che si sono scandalizzati per aver sentito Socrate invece che Platone conoscano la filosofia?
Vero che il mito è noto come il mito della caverna di Platone, ma nel testo in cui Platone ne parla (il libro settimo de La Repubblica) il mito è narrato da Socrate. Platone mette il mito in bocca a Socrate.
E dato che Socrate è stato il maestro di Platone e che tutto ciò che sappiamo di lui è quanto riporta Platone (Socrate non ha lasciato nulla di scritto) è molto probabile che Platone il mito della caverna lo abbia veramente ascoltato da Socrate.
Se volete accertarvene leggetevi La Repubblica (quella di Platone, non quella di Scalfari). Il libro settimo comincia a pagina 86 della versione nel link.
Per concludere: Platone o Socrate... in questo caso vanno benissimo entrambi.

E veniamo ai contenuti economici, finaziari del discorso, cioè quelli al momento importanti.
Io ne esaminerò uno solo (che è prima matematica e solo dopo economia). Per un'analisi globale del discorso vi rimando a Michele Boldrin e alla sua banda che in questo video hanno fatto una disanima irriverente ma scientificamente accurata di quanto detto da Savona.

Torniamo a noi.
Il punto di cui vorrei parlare è il famoso debito al 200% del PIL che non sarebbe un dramma (lo trovate a pagina 10 del testo che vi ho messo in link all'inizio).
A parte il fatto che invece sarebbe eccome un dramma, il problema è quando - nel paragrafo successivo - Savona (o chi gli ha scritto il discorso) sostiene che l'importante è che il PIL cresca più del debito.
Il che in astratto può anche essere giusto... se non fosse che la crescita del PIL superiore alla crescita del debito impedirebbe all'Italia di arrivare al 200%.
Facciamo due conti.
Il debito italiano attualmente è al 132,1% del PIL.
Il che significa che posto il PIL a 100, il debito è 132,1.
Facciamo crescere il PIL - per esempio - di 3. Crescere più del debito significa che quest'ultimo al massimo cresce di 2,9 (mi limito sempre solo al primo decimale per semplicità). Abbiamo quindi il PIL a 103 e il debito a 135. Il che significa un rapporto debito/PIL di 135/103=131,1%.
Quindi il rapporto debito/PIL è sceso, anche se il debito assoluto è aumentato.
Continuando a far crescere il PIL più del debito in valori assoluti, il rapporto continuerà a scendere. Non potrà mai raggiungere il 200%.
Va detto che il testo di Savona è un po' ambiguo, lascia la porta socchiusa all'ipotesi che intendesse "facciamo finta di avere un debito al 200%"... ma (a parte il fatto che il buon senso leggendo il tutto esclude questa interpretazione) parlando di temi così importanti per l'economia del Paese è criminale rimanere ambigui. Soprattutto se ricopri una posizione delicata e importante come quella di presidente della Consob.

Saluti,

Mauro.

mercoledì 17 maggio 2017

Due piccole verità sulla vita

La vita fa schifo, questo è vero, ma teniamo conto che le alternative sono peggio.

La vita è l'unica malattia veramente incurabile. Nessuno, per quanto sano fosse, ne è mai uscito vivo.

Saluti,

Mauro.

martedì 18 agosto 2015

Domanda ornitologico-filosofica

Perché i piccioni scambiano la mia auto per un WC e così fanno la fortuna degli autolavaggi?

Saluti,

Mauro.

giovedì 3 aprile 2014

Aristotele e il valore del denaro

Da che mondo è mondo gli economisti (e non solo) si chiedono se il denaro abbia un valore in sè, intrinseco, oppure se il suo valore sia dato dal suo essere unità di misura convenzionale per il valore di oggetti e servizi concreti.

Su un libro - estremamente interessante - che sto leggendo (e di cui avevo già parlato qui, una recensione arriverà quando avrò finito di leggerlo) ho trovato una splendida e a mio parere tuttora valida definizione del valore intrinseco del denaro. Definizione che risale a più di duemila anni fa.
Detta definizione - formulata da Aristotele - dice quanto segue:

Perciò tutto ciò che è scambiabile deve essere in qualche modo confrontabile. A tal scopo è entrato in gioco il denaro: esso è in un certo modo un'istanza mediatrice che permette di misurare su di sé ogni cosa, anche il troppo e il troppo poco, quante scarpe valgono circa una casa oppure generi alimentari... Ma il denaro è stato creato come una sorta di rappresentante interscambiabile del bisogno, sulla base delle rispettive posizioni. Ed esso porta il nome "denaro" (nomisma) perché non deve la sua esistenza alla natura, bensì perché è stato deciso come "valido" (nomos) e dipende da noi se vogliamo cambiare le cose o annullarle.

Per correttezza: la traduzione italiana è mia, però è dal tedesco, non dall'originale greco antico.
Primo perché non conosco il greco antico, secondo perché il libro su cui la ho letta non riporta l'originale ma solo la traduzione tedesca.
Quindi non garantisco che la citazione da Aristotele sia letteralmente corretta... ma corretta o no che sia, rimane comunque un interessante spunto di discussione e riflessione.

Saluti,

Mauro.