Tutti avrete letto tra ieri e oggi la storia secondo cui tre ragazzini inglesi avrebbero "inventato" un preservativo che cambia colore entrando in contatto con fonti infettive, quindi utile a farti fermare in tempo quando hai rapporti sessuali con persone portatrici di malattie sessualmente trasmissibili.
Non è proprio una bufala, ma quell'"inventato" la rende comunque una cazzata (c'è chi - Butac - lo ha fatto notare prima di me, ma io al proposito vorrei dire qualcosa di più).
Come esempio vi riporto l'articolo del Fatto Quotidiano (anche se, con gli stessi errori, ne hanno parlato praticamente tutti... e come ci racconta qui Mats Schönauer, anche la stampa tedesca, non solo quella italiana).
Vi riporto quest'articolo per due motivi:
1) è stato il primo al proposito che ho letto;
2) non è scritto da un classico giornalista, ma dalla presidente della federazione italiana di sessuologia scientifica (a parte che dovrebbe spiegarmi perché "scientifica": ogni "-logia" - parapsicologia a parte, ma quel "para-" all'inizio ci chiarisce le cose se abbiamo due neuroni funzionanti - o è scientifica o proprio non esiste).
Ecco, quei ragazzini in realtà non hanno inventato (ancora) nulla.
I miei lettori più fedeli sanno che da anni mi occupo di proprietà intellettuale, innovazione, eccetera (uno degli articoli di maggior successo della storia di questo blog si occupava proprio di questi temi).
Quindi qualcosa al proposito posso chiarire.
Come dice il sito della competizione a cui i ragazzini hanno partecipato, questi hanno avuto una concept idea. Una "concept idea" altro non è che una semplice idea, un concetto di base, non un'invenzione.
Vi faccio un esempio: se io dico che sarebbe bello avere un autobus che possa sollevarsi di qualche metro da terra per evitare gli ingorghi ho espresso una concept idea.
Per farla diventare invenzione devo almeno presentare uno studio di fattibilità con conti e schemi che ne dimostrino la realizzabilità pratica (se non addirittura presentarne un prototipo, magari in scala ridotta).
Ecco, quei ragazzini si sono fermati al primo passo: hanno semplicemente dichiarato che sarebbe bello avere un preservativo che grazie alla sua composizione chimica possa cambiare colore in presenza di una malattia sessualmente trasmissibile.
Oltre (almeno per ora) non sono andati.
E, grazie alla mia esperienza con la proprietà intellettuale, posso dirvi che anche se andranno oltre (e glielo auguro e consiglio, perché è comunque un ottimo esercizio di scienza e tecnica) purtroppo non potranno mai brevettare la loro invenzione.
Perché?
Semplicemente perché detto preservativo è già stato brevettato una decina d'anni fa (qui il brevetto). Quindi... nulla di nuovo... in questo caso non sotto il sole, ma dove non batte il sole.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
A seconda delle fonti in inglese troverete le sigle STI e STD... non sono cose diverse: STD significa sexually transmitted disease, STI sexually transmitted illness, quindi sono sinonimi.
venerdì 26 giugno 2015
mercoledì 24 giugno 2015
Una leggenda cinematografica
Qualche giorno fa mi sono rivisto il film "Il Gattopardo". Gran film.
La citazione più famosa dal film (e dal libro da cui è tratto) è senza ombra di dubbio "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi".
Tanto famosa che in realtà la conoscono anche coloro che non hanno mai né visto il film né letto il libro.
C'è un solo piccolo problema (no, la citazione - contrariamente ad altre nella storia del cinema e della letteratura citate sempre sbagliate - è testualmente corretta, almeno riguardo al film... il romanzo lo ho letto secoli fa e non posso ora controllare)... questa frase viene sempre attribuita a Don Fabrizio, Principe di Salina (interpretato nel film da Burt Lancaster). Persino sulla copertina del DVD in mio possesso viene attribuita a lui.
Però Don Fabrizio non pronuncia mai questa frase. E quando parla del concetto che la frase esprime sembra quasi rattristarsene, non averlo come programma.
E allora?
La frase esce dalla bocca del nipote del principe, Tancredi (interpretato nel film da Alain Delon), che tra l'altro la intende veramente in maniera programmatica.
Ho voluto riguardarmi la scena più volte. Eppure continuava a pronunciarla Tancredi.
La cosa interessante è che sia in rete che nelle biblioteche si trova sufficiente materiale con l'attribuzione corretta (qui un esempio)... ma nella testa della gente rimane pronunciata da Don Fabrizio.
Il romanzo è del 1956 (pubblicato nel 1958) e il film del 1963. Ormai temo che quelle parole nelle teste rimarranno per l'eternità appiccicate al personaggio sbagliato.
Saluti,
Mauro.
La citazione più famosa dal film (e dal libro da cui è tratto) è senza ombra di dubbio "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi".
Tanto famosa che in realtà la conoscono anche coloro che non hanno mai né visto il film né letto il libro.
C'è un solo piccolo problema (no, la citazione - contrariamente ad altre nella storia del cinema e della letteratura citate sempre sbagliate - è testualmente corretta, almeno riguardo al film... il romanzo lo ho letto secoli fa e non posso ora controllare)... questa frase viene sempre attribuita a Don Fabrizio, Principe di Salina (interpretato nel film da Burt Lancaster). Persino sulla copertina del DVD in mio possesso viene attribuita a lui.
Però Don Fabrizio non pronuncia mai questa frase. E quando parla del concetto che la frase esprime sembra quasi rattristarsene, non averlo come programma.
E allora?
La frase esce dalla bocca del nipote del principe, Tancredi (interpretato nel film da Alain Delon), che tra l'altro la intende veramente in maniera programmatica.
Ho voluto riguardarmi la scena più volte. Eppure continuava a pronunciarla Tancredi.
La cosa interessante è che sia in rete che nelle biblioteche si trova sufficiente materiale con l'attribuzione corretta (qui un esempio)... ma nella testa della gente rimane pronunciata da Don Fabrizio.
Il romanzo è del 1956 (pubblicato nel 1958) e il film del 1963. Ormai temo che quelle parole nelle teste rimarranno per l'eternità appiccicate al personaggio sbagliato.
Saluti,
Mauro.
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venerdì 19 giugno 2015
Il casino col pedaggio in Germania - 3 (e la censura del Fatto Quotidiano)
Ricorderete che già due volte vi ho parlato dell'introduzione del pedaggio autostradale in Germania per le automobili: qui e qui.
Ora finalmente l'Europa è intervenuta e ha aperto una procedura d'infrazione contro la Germania.
La prima risposta del governo tedesco è stata quella di rinviare ulteriormente l'introduzione del pedaggio. Non più 2015 (come originariamente previsto) o 2016 (come poi deciso per ragioni "tecniche"), bensì 2017.
Intanto aspettiamo la sentenza dell'Europa.
Nel frattempo credo possa interessarvi il commento che ho scritto oggi all'articolo pubblicato in proposito dal Fatto Quotidiano (non che il Fatto abbia scritto un articolo particolarmente buono o particolarmente cattivo... ma è stato il primo che ho letto, avrei risposto lo stesso su altri quotidiani).
Io sono italiano ma vivo in Germania, quindi sarei uno dei "beneficiati" (visto che per risparmiarsi il pedaggio non serve essere cittadini tedeschi, ma residenti in Germania, anzi aver l'auto immatricolata in Germania).
E dico due cose:
1) Questo pedaggio è uno scandalo;
2) Il pedaggio in Germania deve essere introdotto.
Contraddizione? No: il pedaggio di fatto solo per gli stranieri è una stronzata delinquenziale, indipendentemente da ciò che deciderà l'Europa.
Però le infrastrutture stradali e autostradali (ma anche molte ferroviarie, ma questa è un'altra storia che non c'entra col pedaggio) tedesche sono in una condizione penosa, da vent'anni (se non di più) solo manutenzione di facciata, autostrade allargate a tre-quattro corsie, ma senza sanare le due originarie (il cui substrato somiglia più a stracchino che ad asfalto o cemento), nuove corsie costruite con materiali già vecchi, ponti soprattutto in condizioni pericolose (un sacco di ponti - anche autostradali - tedeschi sono proibiti al traffico pesante in quanto i TIR rischierebbero di farli crollare). Eccetera, eccetera.
Quindi il pedaggio è necessario per avere i fondi per, almeno, risolvere i problemi più urgenti (visto che lo stato delle strade e autostrade non è solo un pericolo, ma danneggia anche l'economia: giri più lunghi per i trasporti pesanti con aumento di costi e di code, quindi provocando aumenti di costi e tempi anche per il traffico leggero).
Ma è necessario un pedaggio per tutti. Auto tedesche comprese.
E non solo per ragioni di giustizia, ma anche di pragmaticità: se il pedaggio lo pagassero solo le auto straniere, i fondi così raccolti servirebbero solo a fare un po' di cosmetica. Non basterebbero per interventi seri (e necessari!).
Se alla fine il pedaggio verrà introdotto nella forma prevista o simili (e voluta, guarda caso, soprattutto dai bavaresi... gli altri tedeschi magari non parlano contro, ma comunque storcono il naso) io probabilmente venderò l'auto... così lo stato tedesco perderà anche quei soldi che otterrebbe da me con tasse, accise sui carburanti, ecc.
E molti cittadini stranieri con auto immatricolata in Germania (ma anche alcuni tedeschi per solidarietà) stanno pensando la stessa cosa (certo, se poi lo faranno veramente sta scritto su un'altra pagina... non sempre il comportamento effettivo poi corrisponde alle dichiarazioni d'intenti).
Per quanto riguarda l'esempio portato da Dobrindt sul comune austriaco che risparmia rispetto non solo agli stranieri ma anche rispetto ad altri austriaci... dimostra solo l'ignoranza (o ipocrisia?) di Dobrindt stesso... agevolazioni per residenti degli immediati dintorni sono un discorso diverso da un pedaggio solo per stranieri (che di fatto corrisponderebbe a un tassa d'entrata, quindi a una limitazione occulta di Schengen).
Esistono in tutta Europa (anzi, in tutto il mondo) località raggiungibili solo con difficoltà o non in grado di accogliere troppo traffico (o dove chi ci vive ha passaggi obbligati mentre chi solo attraversa può scegliere altri percorsi), dove vi sono "pedaggi" per chi arriva da fuori, ma non per i residenti.
Non mi pare che la Germania sia raggiungibile con difficoltà o non sia (manutenzione mancante a parte) in grado di accogliere troppo traffico.
Interessante è che il Fatto Quotidiano ha rimosso il commento.
Sul sito non lo trovate, in quanto rimosso (e dato che il Fatto si affida a Disqus, quindi i rifiuti e le rimozioni non sono facilmente documentabili, io posso vedere cosa è successo col mio commento, ma salvarlo in versione poi pubblicabile non è altrettanto semplice).
Comunque, perché ciò? Chiaramente non ho ricevuto motivazioni... ma i fatti sono comunque chiari: ho criticato la Germania, non l'Italia. E per il Fatto (e non solo) sono accettabili solo commenti che - anche quando l'Italia non c'entra - contengano almeno una critica all'Italia e mettano in buona luce l'estero. L'opposto merita solo censura.
Secondo voi il mio commento era da censurare/cancellare?
Oppure, se considerato sbagliato, non si sarebbero potuti portare argomenti per contestarlo?
Ma argomentare è difficile, cancellare facile...
Saluti,
Mauro.
P.S.:
"Stranamente" dopo le mie accuse di censura (sia qui sopra che sul Fatto Quotidiano stesso) il mio commento prima "rimosso" (come testimoniato da Disqus, che gestisce i commenti del Fatto Quotidiano) ora è incredibilmente visibile.
Ora finalmente l'Europa è intervenuta e ha aperto una procedura d'infrazione contro la Germania.
La prima risposta del governo tedesco è stata quella di rinviare ulteriormente l'introduzione del pedaggio. Non più 2015 (come originariamente previsto) o 2016 (come poi deciso per ragioni "tecniche"), bensì 2017.
Intanto aspettiamo la sentenza dell'Europa.
Nel frattempo credo possa interessarvi il commento che ho scritto oggi all'articolo pubblicato in proposito dal Fatto Quotidiano (non che il Fatto abbia scritto un articolo particolarmente buono o particolarmente cattivo... ma è stato il primo che ho letto, avrei risposto lo stesso su altri quotidiani).
Io sono italiano ma vivo in Germania, quindi sarei uno dei "beneficiati" (visto che per risparmiarsi il pedaggio non serve essere cittadini tedeschi, ma residenti in Germania, anzi aver l'auto immatricolata in Germania).
E dico due cose:
1) Questo pedaggio è uno scandalo;
2) Il pedaggio in Germania deve essere introdotto.
Contraddizione? No: il pedaggio di fatto solo per gli stranieri è una stronzata delinquenziale, indipendentemente da ciò che deciderà l'Europa.
Però le infrastrutture stradali e autostradali (ma anche molte ferroviarie, ma questa è un'altra storia che non c'entra col pedaggio) tedesche sono in una condizione penosa, da vent'anni (se non di più) solo manutenzione di facciata, autostrade allargate a tre-quattro corsie, ma senza sanare le due originarie (il cui substrato somiglia più a stracchino che ad asfalto o cemento), nuove corsie costruite con materiali già vecchi, ponti soprattutto in condizioni pericolose (un sacco di ponti - anche autostradali - tedeschi sono proibiti al traffico pesante in quanto i TIR rischierebbero di farli crollare). Eccetera, eccetera.
Quindi il pedaggio è necessario per avere i fondi per, almeno, risolvere i problemi più urgenti (visto che lo stato delle strade e autostrade non è solo un pericolo, ma danneggia anche l'economia: giri più lunghi per i trasporti pesanti con aumento di costi e di code, quindi provocando aumenti di costi e tempi anche per il traffico leggero).
Ma è necessario un pedaggio per tutti. Auto tedesche comprese.
E non solo per ragioni di giustizia, ma anche di pragmaticità: se il pedaggio lo pagassero solo le auto straniere, i fondi così raccolti servirebbero solo a fare un po' di cosmetica. Non basterebbero per interventi seri (e necessari!).
Se alla fine il pedaggio verrà introdotto nella forma prevista o simili (e voluta, guarda caso, soprattutto dai bavaresi... gli altri tedeschi magari non parlano contro, ma comunque storcono il naso) io probabilmente venderò l'auto... così lo stato tedesco perderà anche quei soldi che otterrebbe da me con tasse, accise sui carburanti, ecc.
E molti cittadini stranieri con auto immatricolata in Germania (ma anche alcuni tedeschi per solidarietà) stanno pensando la stessa cosa (certo, se poi lo faranno veramente sta scritto su un'altra pagina... non sempre il comportamento effettivo poi corrisponde alle dichiarazioni d'intenti).
Per quanto riguarda l'esempio portato da Dobrindt sul comune austriaco che risparmia rispetto non solo agli stranieri ma anche rispetto ad altri austriaci... dimostra solo l'ignoranza (o ipocrisia?) di Dobrindt stesso... agevolazioni per residenti degli immediati dintorni sono un discorso diverso da un pedaggio solo per stranieri (che di fatto corrisponderebbe a un tassa d'entrata, quindi a una limitazione occulta di Schengen).
Esistono in tutta Europa (anzi, in tutto il mondo) località raggiungibili solo con difficoltà o non in grado di accogliere troppo traffico (o dove chi ci vive ha passaggi obbligati mentre chi solo attraversa può scegliere altri percorsi), dove vi sono "pedaggi" per chi arriva da fuori, ma non per i residenti.
Non mi pare che la Germania sia raggiungibile con difficoltà o non sia (manutenzione mancante a parte) in grado di accogliere troppo traffico.
Interessante è che il Fatto Quotidiano ha rimosso il commento.
Sul sito non lo trovate, in quanto rimosso (e dato che il Fatto si affida a Disqus, quindi i rifiuti e le rimozioni non sono facilmente documentabili, io posso vedere cosa è successo col mio commento, ma salvarlo in versione poi pubblicabile non è altrettanto semplice).
Comunque, perché ciò? Chiaramente non ho ricevuto motivazioni... ma i fatti sono comunque chiari: ho criticato la Germania, non l'Italia. E per il Fatto (e non solo) sono accettabili solo commenti che - anche quando l'Italia non c'entra - contengano almeno una critica all'Italia e mettano in buona luce l'estero. L'opposto merita solo censura.
Secondo voi il mio commento era da censurare/cancellare?
Oppure, se considerato sbagliato, non si sarebbero potuti portare argomenti per contestarlo?
Ma argomentare è difficile, cancellare facile...
Saluti,
Mauro.
P.S.:
"Stranamente" dopo le mie accuse di censura (sia qui sopra che sul Fatto Quotidiano stesso) il mio commento prima "rimosso" (come testimoniato da Disqus, che gestisce i commenti del Fatto Quotidiano) ora è incredibilmente visibile.
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mercoledì 17 giugno 2015
Il cinema e il tempo che passa
Io sono arrivato in Germania nel 1996. Ormai sono quasi 19 anni (era il 31 agosto 1996).
Nell'autunno del 1996 amici mi portarono al cinema a vedere un film comico (o forse meglio: satirico) tedesco appena uscito: "Irren ist Männlich".
La traduzione letterale del titolo in italiano sarebbe "Sbagliare è maschile" (non so se il film sia arrivato in Italia... nel caso il titolo potrebbe essere stato anche tradotto diversamente).
Il titolo è una palese parodia del modo dire "Irren ist Menschlich", in italiano "sbagliare è umano", in latino "errare humanum est".
Ma non voglio tenervi una lezione linguistica... voglio solo parlarvi del passare del tempo.
Nel 1996 detto film ha fatto scompisciare dalle risate sia me che i miei amici tedeschi che gli altri amici non tedeschi presenti. Bastava capire sufficientemente il tedesco e si rideva a crepapelle.
Negli ultimi giorni ho rivisto il film. In lingua originale (come allora). Quasi vent'anni dopo mi ha strappato giusto qualche sorriso. Non ho riso a crepapelle.
E sono sicuro che le persone (tedesche e no) che lo videro con me nel 1996 avrebbero avuto una reazione uguale o simile alla mia oggi.
Quant'è vero che solo i capolavori (e sono pochi) mantegono il loro effetto anche a distanza di decenni.
Se un film è solo buono, o anche ottimo, ma non è un capolavoro... beh, rimane prigioniero dell'epoca in cui è uscito. Punto.
Saluti,
Mauro.
Nell'autunno del 1996 amici mi portarono al cinema a vedere un film comico (o forse meglio: satirico) tedesco appena uscito: "Irren ist Männlich".
La traduzione letterale del titolo in italiano sarebbe "Sbagliare è maschile" (non so se il film sia arrivato in Italia... nel caso il titolo potrebbe essere stato anche tradotto diversamente).
Il titolo è una palese parodia del modo dire "Irren ist Menschlich", in italiano "sbagliare è umano", in latino "errare humanum est".
Ma non voglio tenervi una lezione linguistica... voglio solo parlarvi del passare del tempo.
Nel 1996 detto film ha fatto scompisciare dalle risate sia me che i miei amici tedeschi che gli altri amici non tedeschi presenti. Bastava capire sufficientemente il tedesco e si rideva a crepapelle.
Negli ultimi giorni ho rivisto il film. In lingua originale (come allora). Quasi vent'anni dopo mi ha strappato giusto qualche sorriso. Non ho riso a crepapelle.
E sono sicuro che le persone (tedesche e no) che lo videro con me nel 1996 avrebbero avuto una reazione uguale o simile alla mia oggi.
Quant'è vero che solo i capolavori (e sono pochi) mantegono il loro effetto anche a distanza di decenni.
Se un film è solo buono, o anche ottimo, ma non è un capolavoro... beh, rimane prigioniero dell'epoca in cui è uscito. Punto.
Saluti,
Mauro.
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sabato 13 giugno 2015
L'aritmetica, questa sconosciuta
Chi mi legge sa già che con Repubblica ho i miei problemi.
Anzi, no, in realtà non sono io ad avere problemi con Repubblica. È Repubblica ad avere problemi con tutto ciò che è scienza e tecnica. Quindi di fatto con tutto ciò di cui mi occupo io. Quindi con me.
Oggi ho letto questo articolo.
Lasciamo perdere i giudizi sul tema dell'articolo. Qui non mi interessa. Mi interessano i numeri.
Nel 1980, poco più che adolescente, Adele resta incinta
A casa mia, dal 1980 a oggi sono passati 35 anni.
Avevo soltanto 16 anni
A casa mia, una persona che nel 1980 ha 16 anni, è nata nel 1964.
ha 55 anni ed è una "madre anonima"
A casa mia, chi è nato nel 1964 oggi ha 51 anni, non 55.
Ma forse l'aritmetica è solo un'opinione. E io ho opinioni strane. Anzi eretiche ;-)
Saluti,
Mauro.
Anzi, no, in realtà non sono io ad avere problemi con Repubblica. È Repubblica ad avere problemi con tutto ciò che è scienza e tecnica. Quindi di fatto con tutto ciò di cui mi occupo io. Quindi con me.
Oggi ho letto questo articolo.
Lasciamo perdere i giudizi sul tema dell'articolo. Qui non mi interessa. Mi interessano i numeri.
Nel 1980, poco più che adolescente, Adele resta incinta
A casa mia, dal 1980 a oggi sono passati 35 anni.
Avevo soltanto 16 anni
A casa mia, una persona che nel 1980 ha 16 anni, è nata nel 1964.
ha 55 anni ed è una "madre anonima"
A casa mia, chi è nato nel 1964 oggi ha 51 anni, non 55.
Ma forse l'aritmetica è solo un'opinione. E io ho opinioni strane. Anzi eretiche ;-)
Saluti,
Mauro.
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venerdì 12 giugno 2015
Altro che le metropolitane italiane - Aggiornamento
Il primo marzo scorso qui già vi aggiornai sullo stato dei lavori della nuova linea della metropolitana di Colonia (il mio primo articolo sul tema risale però al 2012).
Al primo marzo indiscrezioni di stampa parlavano di completamento lavori nel 2023.
Nuove indiscrezioni di stampa datate ieri posticipano nuovamente la data al 2025.
Credo non serva commentare oltre.
Saluti,
Mauro.
Al primo marzo indiscrezioni di stampa parlavano di completamento lavori nel 2023.
Nuove indiscrezioni di stampa datate ieri posticipano nuovamente la data al 2025.
Credo non serva commentare oltre.
Saluti,
Mauro.
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giovedì 11 giugno 2015
Un mistero telefonico
Io, come la maggioranza di voi, possiedo uno smartphone.
È un Samsung, del quale sono decisamente soddisfatto.
Non ho un contratto, sfrutto una tariffa mensile (flat rate per internet, telefonate e sms) che posso disdire in ogni momento con un semplice sms e senza termine (nel senso che io oggi ti mando l'sms e domani sono libero). E se non ricarico, amen, non posso sfruttare la flat rate. Punto.
Nei giorni scorsi però mi è capitata una cosa particolare.
Giovedì scorso (cioè una settimana fa) scadeva la tariffa. Fino a lunedì per vari motivi non ho potuto ricaricare (inteso come soldi, non come batteria) il cellulare.
Cosa è successo tra giovedì 4 giugno e lunedì 8 giugno? È successo che la batteria si consumava molto più alla svelta che a cellulare carico.
Per spiegarmi meglio: normalmente quando la sera vado a letto metto il cellulare sul comodino (lo uso come sveglia) e quando la mattina la sveglia suona il cellulare ha la batteria praticamente allo stesso livello di carica della sera.
Nei giorni tra il 4 e l'8 giugno (cioè a cellulare "finanziariamente" scarico) lo mettevo sul comodino come sempre e la mattina, quando la sveglia suonava, lo trovavo praticamente scarico.
La cosa tecnicamente non ha senso.
Qualcuno di voi ha mai sperimentato qualcosa di simile?
Saluti,
Mauro.
È un Samsung, del quale sono decisamente soddisfatto.
Non ho un contratto, sfrutto una tariffa mensile (flat rate per internet, telefonate e sms) che posso disdire in ogni momento con un semplice sms e senza termine (nel senso che io oggi ti mando l'sms e domani sono libero). E se non ricarico, amen, non posso sfruttare la flat rate. Punto.
Nei giorni scorsi però mi è capitata una cosa particolare.
Giovedì scorso (cioè una settimana fa) scadeva la tariffa. Fino a lunedì per vari motivi non ho potuto ricaricare (inteso come soldi, non come batteria) il cellulare.
Cosa è successo tra giovedì 4 giugno e lunedì 8 giugno? È successo che la batteria si consumava molto più alla svelta che a cellulare carico.
Per spiegarmi meglio: normalmente quando la sera vado a letto metto il cellulare sul comodino (lo uso come sveglia) e quando la mattina la sveglia suona il cellulare ha la batteria praticamente allo stesso livello di carica della sera.
Nei giorni tra il 4 e l'8 giugno (cioè a cellulare "finanziariamente" scarico) lo mettevo sul comodino come sempre e la mattina, quando la sveglia suonava, lo trovavo praticamente scarico.
La cosa tecnicamente non ha senso.
Qualcuno di voi ha mai sperimentato qualcosa di simile?
Saluti,
Mauro.
lunedì 8 giugno 2015
Viale delle acconciature
Nel novembre del 2011 vi parlai qui dell'"esplosione" delle farmacie in Germania.
Bene, le farmacie non sono diminuite, ma almeno l'espansione si è fermata.
In compenso, fermatasi l'esplosione farmaceutica, è cominciata l'esplosione delle acconciature.
Stanno aprendo parrucchieri (di ogni livello, dal piccolo bugigattolo al salone di gran lusso) quasi a ogni angolo di strada.
Nello stesso tratto di strada di cui vi parlai per le farmacie (circa 1200 metri) ora ci sono una decina di parrucchieri. Un paio di anni fa erano la metà.
E le teste da acconciare non è che siano aumentate.
Io un sospetto lo avrei (sia allora per le farmacie, sia ora per le acconciature)... diciamo che suppongo che in certi ambienti queste attività abbiano soppiantato la gastronomia usata nei decenni passati... chi vuol capire, capisca ;-)
Saluti,
Mauro.
Bene, le farmacie non sono diminuite, ma almeno l'espansione si è fermata.
In compenso, fermatasi l'esplosione farmaceutica, è cominciata l'esplosione delle acconciature.
Stanno aprendo parrucchieri (di ogni livello, dal piccolo bugigattolo al salone di gran lusso) quasi a ogni angolo di strada.
Nello stesso tratto di strada di cui vi parlai per le farmacie (circa 1200 metri) ora ci sono una decina di parrucchieri. Un paio di anni fa erano la metà.
E le teste da acconciare non è che siano aumentate.
Io un sospetto lo avrei (sia allora per le farmacie, sia ora per le acconciature)... diciamo che suppongo che in certi ambienti queste attività abbiano soppiantato la gastronomia usata nei decenni passati... chi vuol capire, capisca ;-)
Saluti,
Mauro.
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sabato 6 giugno 2015
Girare su sé stessi
Sempre a proposito della cultura scientifica - in particolare matematica - italiana.
È purtroppo sempre più diffuso il modo di dire "svoltare a 360°" (o espressioni analoghe, ma contenenti sempre i fatidici 360°) per indicare un cambiamento totale di direzione nella propria vita (o di qualsiasi altra cosa).
L'ultima volta lo ho letta stamattina qui (e da Venturi proprio non me lo sarei aspettato).
Ma cosa cavolo cambi "svoltando a 360°"? Nulla, proprio nulla!
Infatti 360° sono il cosiddetto angolo giro, cioè il percorrere completamente una circonferenza, tornando al punto di partenza.
Quindi se svolti a 360° non cambi strada... perdi solo tempo a girare su te stesso e poi riprendi la strada precedente.
L'espressione giusta, il modo di dire corretto è "svoltare a 180°", cioè voltarti e tornare indietro.
Se proprio il tornare indietro non ti sconfinfera come "cambiare"... allora puoi dire "svoltare a 90°", così lasci completamente la strada su cui sei, non continui a percorrerla e neanche torni indietro sulla stessa.
Ma se svolti a 360°... non svolti proprio!
Saluti,
Mauro.
È purtroppo sempre più diffuso il modo di dire "svoltare a 360°" (o espressioni analoghe, ma contenenti sempre i fatidici 360°) per indicare un cambiamento totale di direzione nella propria vita (o di qualsiasi altra cosa).
L'ultima volta lo ho letta stamattina qui (e da Venturi proprio non me lo sarei aspettato).
Ma cosa cavolo cambi "svoltando a 360°"? Nulla, proprio nulla!
Infatti 360° sono il cosiddetto angolo giro, cioè il percorrere completamente una circonferenza, tornando al punto di partenza.
Quindi se svolti a 360° non cambi strada... perdi solo tempo a girare su te stesso e poi riprendi la strada precedente.
L'espressione giusta, il modo di dire corretto è "svoltare a 180°", cioè voltarti e tornare indietro.
Se proprio il tornare indietro non ti sconfinfera come "cambiare"... allora puoi dire "svoltare a 90°", così lasci completamente la strada su cui sei, non continui a percorrerla e neanche torni indietro sulla stessa.
Ma se svolti a 360°... non svolti proprio!
Saluti,
Mauro.
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lunedì 1 giugno 2015
Una buona idea nell'ambiente sbagliato
Qualche giorno fa mi è capitato di leggere su Neues Deutschland un interessantissimo articolo del bravo giornalista tedesco Roberto De Lapuente dedicato ai referenda e al fatto se è il caso di far decidere alla volontà popolare su temi che possono essere sfruttati demagogicamente (o, aggiungo io, su questioni tecniche, complicate che pochi possono veramente capire bene) e la sua conclusione è scettica, pur non essendo lui in principio contrario ai referenda.
L'articolo si intitola Gute Idee im schlechten Umfeld (letteralmente "Una buona idea in un cattivo ambiente", ma in italiano rende meglio "Una buona idea nell'ambiente sbagliato").
Chiaramente De Lapuente si riferisce alla situazione tedesca. Ma il suo discorso è applicabile con minime correzioni anche all'Italia e a (quasi) ogni altro paese.
Con il suo permesso pubblico qui sotto la traduzione del suddetto articolo.
Grazie Roberto.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
In realtà io all'articolo ci sono arrivato tramite il suo blog Ad Sinistram, che consiglio a chiunque sa leggere il tedesco.
---
Neues Deutschland, 28.05.2015
Una buona idea nell'ambiente sbagliato
Dopo il referendum e le sue conseguenze sul matrimonio omosessuale in Irlanda, alcuni ritengono di nuovo che giunto il momento di indire anche in Germania più referenda. In sè è una buona idea di democrazia di base. Solo le condizioni al contorno rendono scettici.
Naturalmente una persona di sinistra ha un debole per forti elementi di partecipazione in ogni campo. Se essere di sinistra significa qualcosa, allora significa essere veementemente per il fatto che le persone si gestiscano, organizzino autonomamente e conseguentemente debbano partecipare ai necessari processi decisionali. I referenda sono, particolarmente tra persone di sinistra, classici mezzi per cui ci si debba impegnare. Io ritengo gli argomenti a favore dei referenda completamente condivisibili. Ma il tutto mi provoca mal di pancia. Perché per qualche motivo partiamo dal presupposto di trovarci nelle condizioni ottimali: il cittadino colto e che pondera con intelligenza prende una decisione. E proprio a questo punto la bella teoria traballa.
Si possono naturalmente citare grandi momenti delle consultazioni popolari, per supportare questa idea fondante della democrazia di base. Risultati appunto come quello che ha visto la luce la scorsa settimana in Irlanda. Quando la maggioranza della gente vota per far sì che anche gay e lesbiche d'ora in avanti possano contrarre matrimonio, uno potrebbe anche essere orgoglioso per il referendum come mezzo di partecipazione. Il problema è che talvolta ne viene fuori anche un sacco di porcheria.
Basti pensare agli svizzeri che seguendo un impulso islamofobo si sono espressi contro i minareti e di conseguenza contro la libertà di religione. Se nei mesi precedenti Hartz IV, durante la sbornia generale per l'Agenda 2010, si fosse chiesto alla gente se bisognasse tenere al guinzaglio i disoccupati, cosa ne sarebbe venuto fuori? Può sembrare pura speculazione, ma il clima contro i parassiti sociali era già stato preparato. Il vento nuovo di queste "riforme sociali" era ampiamente apprezzato. E cosa sarebbe successo se la settimana scorsa si fosse chiesto al popolo se la riduzione dell'autonomia sindacale fosse giusta?
Nel mio libro "Unzugehörig" ("Non appartenente") invitavo già qualche anno fa a riflettere sul fatto che "in un mondo dove la formazione dell'opinione pubblica è concentrata, difficilmente ci si [può] immaginare il prezioso bene della consultazione popolare". Perché i cittadini di una mediocrazia, quale questa è, che si informano sulla stampa scandalistica e si devono lasciar istruire dalla Bild e formare economicamente dall'INSM, in realtà esercitano solo molto limitatamente un "libero" voto. Riproducono semplicemente nella cabina elettorale ciò che gli opinion maker gli hanno instillato in testa. Si indica sì la loro scelta come libera volontà, ma, come scrissi ulteriormente allora, "esaminando bene, non [è] altro che la rappresentazione inoculata, premasticata, sempre ripetentesi, spezzettata, gonfiata, condizionata, limitata e strozzata di un mondo come ci viene instillata in maniera mediaticamente efficace attraverso l'etere".
Detto più semplicemente, per ridurlo a uno semplice slogan: dove gruppi industriali come Springer o Bertelsmann guidano l'opinione pubblica, dove la Bild-Zeitung e RTL liquidano le persone con punti di vista monodimensionali sugli avvenimenti in Germania e nel mondo, lì allora la consultazione popolare non è più una così buona idea, forse è addirittura l'opposto. Diventerà uno strumento di approvazione popolare per concetti neoliberali, idee reazionarie e anacronistiche retromarce. Per la serie: "Noi ve lo abbiamo chiesto - voi lo avete approvato e perciò avete così voluto!". E il fondamento per la decisione lo si è preso così da coloro che hanno formato l'opinione pubblica contro i rifugiati economici, i musulmani o i macchinisti. Uno deve pur prendere le proprie informazioni da qualche parte.
Prima che i sostenitori della democrazia di base si delizino con sogni referendari, bisognerebbe sognare come liberarsi dall'incubo che le truppe di Bertelsmann e Springer vendono quotidianamente come giornalismo illuminato e non unilaterale. Solo allora la consultazione popolare potrà andare bene. Forse.
Roberto J. De Lapuente
L'articolo si intitola Gute Idee im schlechten Umfeld (letteralmente "Una buona idea in un cattivo ambiente", ma in italiano rende meglio "Una buona idea nell'ambiente sbagliato").
Chiaramente De Lapuente si riferisce alla situazione tedesca. Ma il suo discorso è applicabile con minime correzioni anche all'Italia e a (quasi) ogni altro paese.
Con il suo permesso pubblico qui sotto la traduzione del suddetto articolo.
Grazie Roberto.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
In realtà io all'articolo ci sono arrivato tramite il suo blog Ad Sinistram, che consiglio a chiunque sa leggere il tedesco.
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Neues Deutschland, 28.05.2015
Una buona idea nell'ambiente sbagliato
Dopo il referendum e le sue conseguenze sul matrimonio omosessuale in Irlanda, alcuni ritengono di nuovo che giunto il momento di indire anche in Germania più referenda. In sè è una buona idea di democrazia di base. Solo le condizioni al contorno rendono scettici.
Naturalmente una persona di sinistra ha un debole per forti elementi di partecipazione in ogni campo. Se essere di sinistra significa qualcosa, allora significa essere veementemente per il fatto che le persone si gestiscano, organizzino autonomamente e conseguentemente debbano partecipare ai necessari processi decisionali. I referenda sono, particolarmente tra persone di sinistra, classici mezzi per cui ci si debba impegnare. Io ritengo gli argomenti a favore dei referenda completamente condivisibili. Ma il tutto mi provoca mal di pancia. Perché per qualche motivo partiamo dal presupposto di trovarci nelle condizioni ottimali: il cittadino colto e che pondera con intelligenza prende una decisione. E proprio a questo punto la bella teoria traballa.
Si possono naturalmente citare grandi momenti delle consultazioni popolari, per supportare questa idea fondante della democrazia di base. Risultati appunto come quello che ha visto la luce la scorsa settimana in Irlanda. Quando la maggioranza della gente vota per far sì che anche gay e lesbiche d'ora in avanti possano contrarre matrimonio, uno potrebbe anche essere orgoglioso per il referendum come mezzo di partecipazione. Il problema è che talvolta ne viene fuori anche un sacco di porcheria.
Basti pensare agli svizzeri che seguendo un impulso islamofobo si sono espressi contro i minareti e di conseguenza contro la libertà di religione. Se nei mesi precedenti Hartz IV, durante la sbornia generale per l'Agenda 2010, si fosse chiesto alla gente se bisognasse tenere al guinzaglio i disoccupati, cosa ne sarebbe venuto fuori? Può sembrare pura speculazione, ma il clima contro i parassiti sociali era già stato preparato. Il vento nuovo di queste "riforme sociali" era ampiamente apprezzato. E cosa sarebbe successo se la settimana scorsa si fosse chiesto al popolo se la riduzione dell'autonomia sindacale fosse giusta?
Nel mio libro "Unzugehörig" ("Non appartenente") invitavo già qualche anno fa a riflettere sul fatto che "in un mondo dove la formazione dell'opinione pubblica è concentrata, difficilmente ci si [può] immaginare il prezioso bene della consultazione popolare". Perché i cittadini di una mediocrazia, quale questa è, che si informano sulla stampa scandalistica e si devono lasciar istruire dalla Bild e formare economicamente dall'INSM, in realtà esercitano solo molto limitatamente un "libero" voto. Riproducono semplicemente nella cabina elettorale ciò che gli opinion maker gli hanno instillato in testa. Si indica sì la loro scelta come libera volontà, ma, come scrissi ulteriormente allora, "esaminando bene, non [è] altro che la rappresentazione inoculata, premasticata, sempre ripetentesi, spezzettata, gonfiata, condizionata, limitata e strozzata di un mondo come ci viene instillata in maniera mediaticamente efficace attraverso l'etere".
Detto più semplicemente, per ridurlo a uno semplice slogan: dove gruppi industriali come Springer o Bertelsmann guidano l'opinione pubblica, dove la Bild-Zeitung e RTL liquidano le persone con punti di vista monodimensionali sugli avvenimenti in Germania e nel mondo, lì allora la consultazione popolare non è più una così buona idea, forse è addirittura l'opposto. Diventerà uno strumento di approvazione popolare per concetti neoliberali, idee reazionarie e anacronistiche retromarce. Per la serie: "Noi ve lo abbiamo chiesto - voi lo avete approvato e perciò avete così voluto!". E il fondamento per la decisione lo si è preso così da coloro che hanno formato l'opinione pubblica contro i rifugiati economici, i musulmani o i macchinisti. Uno deve pur prendere le proprie informazioni da qualche parte.
Prima che i sostenitori della democrazia di base si delizino con sogni referendari, bisognerebbe sognare come liberarsi dall'incubo che le truppe di Bertelsmann e Springer vendono quotidianamente come giornalismo illuminato e non unilaterale. Solo allora la consultazione popolare potrà andare bene. Forse.
Roberto J. De Lapuente
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