Tutte le donne hanno dei segreti.
Anche quando non sanno di averli.
Saluti,
Mauro.
lunedì 30 aprile 2018
sabato 28 aprile 2018
venerdì 27 aprile 2018
Un difetto del doppiaggio tedesco
Io sono un appassionato di serie TV gialle (ma credo in passato di avervelo già detto).
Non è che guardi e accetti tutto: mi piace il genere, ma sono critico... quindi a ogni nuova serie che esce guardo una o due puntate, ma se nessuna delle due prime puntate mi convince, ciao. Storia chiusa.
Comunque qui non voglio parlarvi dei miei gusti e di come decido quali serie seguire e quali no.
Qui voglio parlarvi di un problema di doppiaggio.
Io vivo in Germania, quindi la maggioranza delle serie in questione (indipendentemente dalla loro origine) le seguo in tedesco.
Serie in lingua inglese o italiana ho comunque talvolta la possibilità di seguirle anche in originale, in lingua francese anche ma più raramente.
In altre lingue non sarei in grado di seguirle io (ok, in spagnolo e olandese le capirei, ma non apprezzerei le finezze linguistiche o le variazioni dialettali).
Torniamo al tedesco.
Il problema del doppiaggio tedesco (nelle serie TV, nei film per fortuna la situazione è decisamente migliore) è il non apprezzamento delle differenze di accento o di dialetto.
Mi spiego meglio: se in originale (inglese, italiano, francese) uno parla male perché non madrelingua o perché usa il dialetto o perché semplicemente è ignorante... nel doppiaggio tedesco parla sempre e comunque un buon tedesco, generalmente senza particolari accenti.
Persino il Catarella di Montalbano in tedesco sembra quasi un linguista!
Per fortuna qui in Germania ci sono ottime serie autoctone che non dimenticano le differenze linguistiche e dialettali di cui sopra... in una serie tedesca uno straniero mantiene l'accento straniero (e anche alcune espressioni che si porta dietro dalla madrelingua), i dialetti rimangono presenti e gli incolti parlano pessimo tedesco.
Ma appunto: nelle serie autoctone. Non nelle serie doppiate.
Saluti,
Mauro.
Non è che guardi e accetti tutto: mi piace il genere, ma sono critico... quindi a ogni nuova serie che esce guardo una o due puntate, ma se nessuna delle due prime puntate mi convince, ciao. Storia chiusa.
Comunque qui non voglio parlarvi dei miei gusti e di come decido quali serie seguire e quali no.
Qui voglio parlarvi di un problema di doppiaggio.
Io vivo in Germania, quindi la maggioranza delle serie in questione (indipendentemente dalla loro origine) le seguo in tedesco.
Serie in lingua inglese o italiana ho comunque talvolta la possibilità di seguirle anche in originale, in lingua francese anche ma più raramente.
In altre lingue non sarei in grado di seguirle io (ok, in spagnolo e olandese le capirei, ma non apprezzerei le finezze linguistiche o le variazioni dialettali).
Torniamo al tedesco.
Il problema del doppiaggio tedesco (nelle serie TV, nei film per fortuna la situazione è decisamente migliore) è il non apprezzamento delle differenze di accento o di dialetto.
Mi spiego meglio: se in originale (inglese, italiano, francese) uno parla male perché non madrelingua o perché usa il dialetto o perché semplicemente è ignorante... nel doppiaggio tedesco parla sempre e comunque un buon tedesco, generalmente senza particolari accenti.
Persino il Catarella di Montalbano in tedesco sembra quasi un linguista!
Per fortuna qui in Germania ci sono ottime serie autoctone che non dimenticano le differenze linguistiche e dialettali di cui sopra... in una serie tedesca uno straniero mantiene l'accento straniero (e anche alcune espressioni che si porta dietro dalla madrelingua), i dialetti rimangono presenti e gli incolti parlano pessimo tedesco.
Ma appunto: nelle serie autoctone. Non nelle serie doppiate.
Saluti,
Mauro.
giovedì 26 aprile 2018
No, non sono paragonabili
In questi giorni si è fatto tanto chiasso sul "fallimento" dell'esperimento finlandese col cosiddetto reddito di cittadinanza.
Il luogo comune più usato: "Se ha fallito lì, figuriamoci cosa succederebbe qui da noi!".
Balle. Succederebbe semplicemente lo stesso, come succederebbe in qualsiasi altro paese del mondo: un reddito "gratis" è il sogno di tutti a ogni latitudine.
Per i fannulloni in maniera da vivere senza far niente.
Per gli altri in maniera da dedicarsi ad attività di soddisfazione personale (anche costruttive e produttive per la società eventualmente) senza l'assillo di dover aver successo a tutti i costi e possibilmente alla svelta.
E questo vale in Finlandia, in Italia, a Tuvalu, in Canada, in Uganda, in Svizzera, in Cambogia e in qualsiasi altro paese del mondo. Punto.
Però il problema vero è che il confronto dell'esperimento finlandese con la proposta del M5S non sta proprio per niente in piedi.
Al di là di Italia e Finlandia, di italiani e finlandesi.
Il reddito di cittadinanza proposto dal M5S pone delle condizioni precise per ottenerlo. Certo, sono molto più lasche delle condizioni poste dall'attuale reddito di inclusione (o dai vari sussidi sociali/di disoccupazione esistenti) o da analoghi sostegni in Germania o altri paesi e sembrano fatte per venire incontro ai fannulloni, ma queste condizioni ci sono, non lo si può negare.
Il reddito di cittadinanza finlandese era incondizionato a meno di non essere di fatto ricchi: potevi anche lavorare e continuare a riceverlo, potevi non cercare lavoro e dire chiaramente all'ufficio di collocamento di non chiamarti nemmeno e continuare a riceverlo, potevi fare quel che cavolo ti pare e continuare a riceverlo, ecc. ecc.
Scusate, ma come poteva funzionare una cosa del genere?
E ditemi, come fate a paragonarlo alla proposta del M5S (o a proposte analoghe di altri partiti)?
Ecco, cari giornalisti, politici, politologi ed economisti, state semplicemente confrontando mele con pere.
Saluti,
Mauro.
Il luogo comune più usato: "Se ha fallito lì, figuriamoci cosa succederebbe qui da noi!".
Balle. Succederebbe semplicemente lo stesso, come succederebbe in qualsiasi altro paese del mondo: un reddito "gratis" è il sogno di tutti a ogni latitudine.
Per i fannulloni in maniera da vivere senza far niente.
Per gli altri in maniera da dedicarsi ad attività di soddisfazione personale (anche costruttive e produttive per la società eventualmente) senza l'assillo di dover aver successo a tutti i costi e possibilmente alla svelta.
E questo vale in Finlandia, in Italia, a Tuvalu, in Canada, in Uganda, in Svizzera, in Cambogia e in qualsiasi altro paese del mondo. Punto.
Però il problema vero è che il confronto dell'esperimento finlandese con la proposta del M5S non sta proprio per niente in piedi.
Al di là di Italia e Finlandia, di italiani e finlandesi.
Il reddito di cittadinanza proposto dal M5S pone delle condizioni precise per ottenerlo. Certo, sono molto più lasche delle condizioni poste dall'attuale reddito di inclusione (o dai vari sussidi sociali/di disoccupazione esistenti) o da analoghi sostegni in Germania o altri paesi e sembrano fatte per venire incontro ai fannulloni, ma queste condizioni ci sono, non lo si può negare.
Il reddito di cittadinanza finlandese era incondizionato a meno di non essere di fatto ricchi: potevi anche lavorare e continuare a riceverlo, potevi non cercare lavoro e dire chiaramente all'ufficio di collocamento di non chiamarti nemmeno e continuare a riceverlo, potevi fare quel che cavolo ti pare e continuare a riceverlo, ecc. ecc.
Scusate, ma come poteva funzionare una cosa del genere?
E ditemi, come fate a paragonarlo alla proposta del M5S (o a proposte analoghe di altri partiti)?
Ecco, cari giornalisti, politici, politologi ed economisti, state semplicemente confrontando mele con pere.
Saluti,
Mauro.
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martedì 24 aprile 2018
Siamo arrivati allo Ius Morbi
Dimenticatevi lo Ius Soli, lo Ius Sanguinis o lo Ius Culturae.
Ormai siamo oltre: siamo arrivati allo Ius Morbi.
Avrete letto tutti la storia di Alfie, il bambino di Liverpool a cui le autorità britanniche vogliono, come si usa dire, "staccare la spina".
Io non sono in grado di valutare la cosa da un punto di vista medico, quindi non posso dare né ragione né torto a chi ha preso questa decisione. Non credo però che la decisione sia stata presa con leggerezza e senza considerare ogni minima possibilità.
Quello che è scandaloso, per quanto cinico possa sembrare dirlo, è l'intervento del governo italiano - che con questa storia non c'entra nulla! - per concedere la cittadinanza italiana al piccolo in modo da bloccare le decisioni della magistratura britannica (tra l'altro supportate dalla corte europea consultata).
Leggiamo le motivazioni della concessione della cittadinanza:
Ormai siamo oltre: siamo arrivati allo Ius Morbi.
Avrete letto tutti la storia di Alfie, il bambino di Liverpool a cui le autorità britanniche vogliono, come si usa dire, "staccare la spina".
Io non sono in grado di valutare la cosa da un punto di vista medico, quindi non posso dare né ragione né torto a chi ha preso questa decisione. Non credo però che la decisione sia stata presa con leggerezza e senza considerare ogni minima possibilità.
Quello che è scandaloso, per quanto cinico possa sembrare dirlo, è l'intervento del governo italiano - che con questa storia non c'entra nulla! - per concedere la cittadinanza italiana al piccolo in modo da bloccare le decisioni della magistratura britannica (tra l'altro supportate dalla corte europea consultata).
Leggiamo le motivazioni della concessione della cittadinanza:
in considerazione dell'eccezionale interesse per la comunità nazionale ad assicurare al minore ulteriori sviluppi terapeutici, nella tutela di preminenti valori umanitari che, nel caso di specie, attengono alla salvaguardia della salute
Eccezionale interesse per la comunità nazionale? Scusate, è vero che un bambino malato fa tenerezza e suscita compassione, ma dove sta l'eccezionale interesse per la comunità nazionale italiana in un caso di un bambino straniero, che non ha nessun legame con l'Italia e che è nato e vive in un paese non certo non dotato di strutture sanitarie adeguate e di istanze democratiche a cui rivolgersi?
Assicurare ulteriori sviluppi terapeutici? Oppure gli si vuole assicurare solo accanimento terapeutico? Perché se veramente questi sviluppi terapeutici sono possibili, significa che i giudici britannici hanno semplicemente pensato "Questo bambino ci costa, uccidiamolo". Pensate veramente questo?
Preminenti valori umanitari? Scusate, allora i valori umanitari valgono solo per chi vive già in un paese democratico, visto come trattiamo chi arriva - anche legalmente! - dal cosiddetto terzo mondo.
A questo punto mi sento di dare un consiglio a tutti i profughi che vogliono arrivare in Italia: ammalatevi!
Tanto per la cittadinanza in Italia abbiamo scoperto che vale lo Ius Morbi.
Saluti,
Mauro.
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lunedì 23 aprile 2018
Ma che fretta c'è?
Abbiamo votato il 4 marzo. Oggi è il 23 aprile. E non c'è ancora un governo, dopo più di un mese e mezzo.
Come? Non c'è un governo?
Un governo c'è eccome, invece: il governo Gentiloni. A qualcuno come governo piacerà, a qualcun altro no, ognuno ha diritto di pensarla come vuole, ma il governo c'è, è funzionante e non è dimissionario (no, non saltate sulla sedia: Gentiloni ha sì presentato per cortesia istituzionale le dimissioni a Mattarella, ma questo le ha rifiutate, quindi il governo ufficialmente non è dimissionario).
Però tutti a dire che serve far presto, che al paese serve un governo, e bla bla bla.
No, non serve far presto. Serve far bene.
In questo mese e mezzo l'Italia è andata a fondo? No, anzi.
La Germania nei quasi sei mesi passati tra elezioni e formazione del nuovo governo è andata a fondo? No, anzi.
Il Belgio qualche anno fa, quando ha lasciato passare circa un anno e mezzo tra elezioni e nuovo governo, è andato a fondo? No, anzi.
E potrei fare altri esempi.
Il problema è che la fretta porterebbe a un governo raffazzonato. E un governo raffazzonato fa solo danni, di qualsiasi colore sia.
Mentre il fatto che non ci sia governo ora o che ci sia un governo con le mani legate è solo una leggenda metropolitana.
Il governo c'è, può lavorare (dovendo rendere conto al Parlamento come ogni altro governo) e nella situazione attuale ha un grandissimo vantaggio (per il paese) nei confronti del governo che gli succederà: non può permettersi voli pindarici, è costretto a occuparsi di cose concrete.
E credetemi: ciò non è un male. Anzi.
Saluti,
Mauro.
Come? Non c'è un governo?
Un governo c'è eccome, invece: il governo Gentiloni. A qualcuno come governo piacerà, a qualcun altro no, ognuno ha diritto di pensarla come vuole, ma il governo c'è, è funzionante e non è dimissionario (no, non saltate sulla sedia: Gentiloni ha sì presentato per cortesia istituzionale le dimissioni a Mattarella, ma questo le ha rifiutate, quindi il governo ufficialmente non è dimissionario).
Però tutti a dire che serve far presto, che al paese serve un governo, e bla bla bla.
No, non serve far presto. Serve far bene.
In questo mese e mezzo l'Italia è andata a fondo? No, anzi.
La Germania nei quasi sei mesi passati tra elezioni e formazione del nuovo governo è andata a fondo? No, anzi.
Il Belgio qualche anno fa, quando ha lasciato passare circa un anno e mezzo tra elezioni e nuovo governo, è andato a fondo? No, anzi.
E potrei fare altri esempi.
Il problema è che la fretta porterebbe a un governo raffazzonato. E un governo raffazzonato fa solo danni, di qualsiasi colore sia.
Mentre il fatto che non ci sia governo ora o che ci sia un governo con le mani legate è solo una leggenda metropolitana.
Il governo c'è, può lavorare (dovendo rendere conto al Parlamento come ogni altro governo) e nella situazione attuale ha un grandissimo vantaggio (per il paese) nei confronti del governo che gli succederà: non può permettersi voli pindarici, è costretto a occuparsi di cose concrete.
E credetemi: ciò non è un male. Anzi.
Saluti,
Mauro.
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venerdì 20 aprile 2018
Una pubblicità decisamente ben fatta
Sulle TV tedesche gira una pubblicità di EDEKA (una specie di CONAD tedesca, per chi non lo sapesse) che io trovo decisamente ben fatta.
È questa:
Per chi non parla il tedesco, la storia è più meno così.
Mamma e bambino vanno a fare la spesa, il bambino nota che sui prodotti c'è appunto il marchio EDEKA e quando arriva un commesso gli chiede perché.
Quest'ultimo gli spiega che sulle cose di cui si è particolarmente orgogliosi si mette il proprio nome in bella evidenza.
A questo punto arriva una ragazza (forse la sorella maggiore del bimbo, almeno così io intendo) dotata, obiettivamente, di un bel seno - cosa quindi di cui andare orgogliosa - e sulla maglietta, proprio all'altezza del seno, ha scritto "Zicke".
A quel punto tutti ammutoliscono imbarazzati.
Perché?
"Zicke" in tedesco significa bisbetica.
Quello che mi stupisce è che non siano ancora saltate su femministe varie e cosiddetti social justice warriors a urlare al sessismo, alla donna oggetto, ecc., ecc.
Saluti,
Mauro.
È questa:
Per chi non parla il tedesco, la storia è più meno così.
Mamma e bambino vanno a fare la spesa, il bambino nota che sui prodotti c'è appunto il marchio EDEKA e quando arriva un commesso gli chiede perché.
Quest'ultimo gli spiega che sulle cose di cui si è particolarmente orgogliosi si mette il proprio nome in bella evidenza.
A questo punto arriva una ragazza (forse la sorella maggiore del bimbo, almeno così io intendo) dotata, obiettivamente, di un bel seno - cosa quindi di cui andare orgogliosa - e sulla maglietta, proprio all'altezza del seno, ha scritto "Zicke".
A quel punto tutti ammutoliscono imbarazzati.
Perché?
"Zicke" in tedesco significa bisbetica.
Quello che mi stupisce è che non siano ancora saltate su femministe varie e cosiddetti social justice warriors a urlare al sessismo, alla donna oggetto, ecc., ecc.
Saluti,
Mauro.
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giovedì 19 aprile 2018
La sicurezza totale non esiste e non può esistere
Uno degli argomenti che gli antivaccinisti generalmente portano a difesa delle proprie posizioni è: "Ma la vedete la lista dei possibili effetti collaterali sui bugiardini? È lunghissima!".
Argomento assurdo: proprio tale lista parla a favore dei vaccini (o di altri farmaci).
Vi sembra assurdo? Comprensibile, ma solo perché (purtroppo) non si sa come viene gestita la qualità nell'industria.
Io non lavoro nell'industria farmaceutica, ma mi occupo comunque di qualità nell'industria. Oggi nell'industria automobilistica, in passato anche nella tecnologia medicale e nell'elettrotecnica.
Quindi vi posso raccontare qualcosa al proposito.
La parte centrale del mio lavoro è la cosiddetta FMEA, cioè la valutazione dei possibili problemi di un prodotto o processo con l'analisi di possibili cause ed effetti e la ricerca di misure per evitare o almeno ridurre il verificarsi di detti problemi e di misure sul come scoprirli il prima possibile se alla fine comunque si presentano (detto in maniera grossolana, se siete interessati a maggiori dettagli, chiedete pure).
Se voi vedeste le tabelle che ottengo come risultati di queste analisi e valutazioni vi spaventereste e non comprereste più nessun prodotto, che sia un'automobile, un televisore, un antibiotico, un vaccino, un divano, un martello o chissà cos'altro.
Però è proprio questa dettagliata analisi che è una garanzia per l'utente: tale lunga lista di possibili problemi (alias effetti collaterali nel bugiardino) dimostra che il prodotto in questione è stato analizzato fin nei minimi dettagli, che sono state considerate tutte le possibili misure per ridurre al minimo i rischi e che chi lo produce è consapevole che un rischio residuo esiste sempre e che - anche grazie alle leggi - non vuole e non può nascondercelo.
Però... appunto: rischio residuo.
Le valutazioni e le analisi che vi ho descritto servono a scoprire ed evitare i rischi.
Ma la perfezione non è di questo mondo: quindi la sicurezza totale non esiste, non può esistere.
Lo scopo di un qualsiasi processo di qualità (di qualsiasi tipo) è e sarà sempre quello di minimizzare i rischi, non quello di annullarli (ok, il marketing lo promette... ma infatti noi che lavoriamo sul prodotto concreto coi colleghi del marketing più che collaborare spesso litighiamo).
Il rischio zero non esiste: chi lo promette o dice che può essere raggiunto è solo un ciarlatano.
L'unico prodotto che non comporta assolutamente rischi è il prodotto che non esiste.
Saluti,
Mauro.
Argomento assurdo: proprio tale lista parla a favore dei vaccini (o di altri farmaci).
Vi sembra assurdo? Comprensibile, ma solo perché (purtroppo) non si sa come viene gestita la qualità nell'industria.
Io non lavoro nell'industria farmaceutica, ma mi occupo comunque di qualità nell'industria. Oggi nell'industria automobilistica, in passato anche nella tecnologia medicale e nell'elettrotecnica.
Quindi vi posso raccontare qualcosa al proposito.
La parte centrale del mio lavoro è la cosiddetta FMEA, cioè la valutazione dei possibili problemi di un prodotto o processo con l'analisi di possibili cause ed effetti e la ricerca di misure per evitare o almeno ridurre il verificarsi di detti problemi e di misure sul come scoprirli il prima possibile se alla fine comunque si presentano (detto in maniera grossolana, se siete interessati a maggiori dettagli, chiedete pure).
Se voi vedeste le tabelle che ottengo come risultati di queste analisi e valutazioni vi spaventereste e non comprereste più nessun prodotto, che sia un'automobile, un televisore, un antibiotico, un vaccino, un divano, un martello o chissà cos'altro.
Però è proprio questa dettagliata analisi che è una garanzia per l'utente: tale lunga lista di possibili problemi (alias effetti collaterali nel bugiardino) dimostra che il prodotto in questione è stato analizzato fin nei minimi dettagli, che sono state considerate tutte le possibili misure per ridurre al minimo i rischi e che chi lo produce è consapevole che un rischio residuo esiste sempre e che - anche grazie alle leggi - non vuole e non può nascondercelo.
Però... appunto: rischio residuo.
Le valutazioni e le analisi che vi ho descritto servono a scoprire ed evitare i rischi.
Ma la perfezione non è di questo mondo: quindi la sicurezza totale non esiste, non può esistere.
Lo scopo di un qualsiasi processo di qualità (di qualsiasi tipo) è e sarà sempre quello di minimizzare i rischi, non quello di annullarli (ok, il marketing lo promette... ma infatti noi che lavoriamo sul prodotto concreto coi colleghi del marketing più che collaborare spesso litighiamo).
Il rischio zero non esiste: chi lo promette o dice che può essere raggiunto è solo un ciarlatano.
L'unico prodotto che non comporta assolutamente rischi è il prodotto che non esiste.
Saluti,
Mauro.
mercoledì 18 aprile 2018
Sviluppo web e programmazione
Sempre più spesso sento gente che confonde la costruzione di siti web con la programmazione.
Anzi, sento addirittura sviluppatori web che si autodefiniscono programmatori.
Balle.
Per costruire un sito web non hai bisogno di essere un programmatore.
Esistono tanti software e sistemi che ti permettono di costruire siti web anche molto complessi con l'unica precondizione di conoscere (possibilmente bene) l'HTML.
Ma l'HTML non è un linguaggio di programmazione. È "solo" un linguaggio evoluto di formattazione.
Certo, se vuoi inserire funzioni particolari nel tuo sito web è utile saper programmare strumenti che poi - appunto - inserisci nel sito. Ma questo è un altro livello, non è più semplicemente sviluppare una pagina web.
Per chiarire meglio, vi parlo di me.
Io non sono né un programmatore né uno sviluppatore web. Almeno non a livello professionale.
Però in passato ho sviluppato programmi (come sostegno per il mio lavoro di ricerca prima e di gestione progetti dopo) e ho anche sviluppato siti web (come hobby per associazioni culturali italo-tedesche).
Ecco: ogni volta che ho sviluppato un programma non ho mai avuto bisogno delle mie conoscenze web (o HTML che dir si voglia) e ogni volta che ho sviluppato un sito web non ho mai avuto bisogno delle mie conoscenze di programmazione (qualche volta mi hanno aiutato, come accennato sopra, per inserire funzioni particolari... ma necessarie non lo sono mai state).
E aggiungo: la programmazione - anche quella di base - sta come sfida sia intellettuale che tecnica a un livello molto superiore del creare siti web.
Oggi un sito web - anche complesso - può metterlo su chiunque non sia analfabeta.
Programmare in maniera seria invece richiede studio, conoscenza e impegno.
Saluti,
Mauro.
Anzi, sento addirittura sviluppatori web che si autodefiniscono programmatori.
Balle.
Per costruire un sito web non hai bisogno di essere un programmatore.
Esistono tanti software e sistemi che ti permettono di costruire siti web anche molto complessi con l'unica precondizione di conoscere (possibilmente bene) l'HTML.
Ma l'HTML non è un linguaggio di programmazione. È "solo" un linguaggio evoluto di formattazione.
Certo, se vuoi inserire funzioni particolari nel tuo sito web è utile saper programmare strumenti che poi - appunto - inserisci nel sito. Ma questo è un altro livello, non è più semplicemente sviluppare una pagina web.
Per chiarire meglio, vi parlo di me.
Io non sono né un programmatore né uno sviluppatore web. Almeno non a livello professionale.
Però in passato ho sviluppato programmi (come sostegno per il mio lavoro di ricerca prima e di gestione progetti dopo) e ho anche sviluppato siti web (come hobby per associazioni culturali italo-tedesche).
Ecco: ogni volta che ho sviluppato un programma non ho mai avuto bisogno delle mie conoscenze web (o HTML che dir si voglia) e ogni volta che ho sviluppato un sito web non ho mai avuto bisogno delle mie conoscenze di programmazione (qualche volta mi hanno aiutato, come accennato sopra, per inserire funzioni particolari... ma necessarie non lo sono mai state).
E aggiungo: la programmazione - anche quella di base - sta come sfida sia intellettuale che tecnica a un livello molto superiore del creare siti web.
Oggi un sito web - anche complesso - può metterlo su chiunque non sia analfabeta.
Programmare in maniera seria invece richiede studio, conoscenza e impegno.
Saluti,
Mauro.
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venerdì 13 aprile 2018
Ma cos'è l'industria "tech"?
La notte scorsa su Twitter mi stavo chiedendo una cosa.
Perché oggi vengono considerate "tecnologiche" solo aziende che hanno a che fare con informatica e internet o al limite robotica (ma queste ultime solo se collegate all'internet delle cose)?
Meccanica, farmaceutica, strumentazione medicale, elettrotecnica, automotive, aeronautica, logistica, ecc. non hanno bisogno di tecnologia? Non sono tecnologiche?
E non ditemi che non è vero: basta vedere gli articoli che appaiono nelle pagine di tecnologia di giornali, riviste e siti o quali aziende vengono trattate nei listini tecnologici delle borse (solo per citare i due esempi più evidenti).
Credete forse che la tecnologia che c'è dietro un tomografo o una centrale elettrica sia meno complessa di quella che c'è dietro il vostro laptop o il vostro profilo Facebook?
O forse è invece il contrario?
Saluti,
Mauro.
Perché oggi vengono considerate "tecnologiche" solo aziende che hanno a che fare con informatica e internet o al limite robotica (ma queste ultime solo se collegate all'internet delle cose)?
Meccanica, farmaceutica, strumentazione medicale, elettrotecnica, automotive, aeronautica, logistica, ecc. non hanno bisogno di tecnologia? Non sono tecnologiche?
E non ditemi che non è vero: basta vedere gli articoli che appaiono nelle pagine di tecnologia di giornali, riviste e siti o quali aziende vengono trattate nei listini tecnologici delle borse (solo per citare i due esempi più evidenti).
Credete forse che la tecnologia che c'è dietro un tomografo o una centrale elettrica sia meno complessa di quella che c'è dietro il vostro laptop o il vostro profilo Facebook?
O forse è invece il contrario?
Saluti,
Mauro.
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giovedì 12 aprile 2018
Rispettare il diritto di parola
La tentazione della censura è purtroppo trasversale, anzi universale.
Gli unici che rispettano veramente il diritto di parola e combattono (nei fatti, non solo a parole) la sua negazione sono quelli che sono troppo deboli per negare detto diritto.
E che quindi non potrebbero farsi sentire se non esistesse.
Quando questi deboli diventano forti, non combattono più (nei fatti, a parole magari sì).
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Pubblicato in origine (in versione ridotta) come commento a questo articolo di Shevathas.
Gli unici che rispettano veramente il diritto di parola e combattono (nei fatti, non solo a parole) la sua negazione sono quelli che sono troppo deboli per negare detto diritto.
E che quindi non potrebbero farsi sentire se non esistesse.
Quando questi deboli diventano forti, non combattono più (nei fatti, a parole magari sì).
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Pubblicato in origine (in versione ridotta) come commento a questo articolo di Shevathas.
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mercoledì 11 aprile 2018
La legge Severino e le consultazioni
Durante il primo giro di consultazioni per formare il nuovo governo (a parte che, come scrissi qui, un nuovo governo non è comunque necessario per legge, importante è solo che il governo, vecchio o nuovo che sia, abbia la fiducia del Parlamento) molti si sono scandalizzati per il fatto che Berlusconi sia andato al Quirinale nonostante la legge Severino.
Ora queste anime belle dimenticano due cose:
1) le consultazioni sono una prassi istituzionale, non sono regolate da leggi, da nessuna legge e quindi neanche dalla legge Severino (basta leggersi lo stesso mio articolo citato sopra);
2) la legge Severino (qui potete leggerla nella sua interezza) per quanto riguarda ciò di cui parliamo in questo caso parla solo di incarichi elettivi (ma nel senso di elettivi pubblici, istituzionali, non privati), e Berlusconi è andato al Quirinale come leader di Forza Italia, non come eletto a qualche cosa.
Ergo: Berlusconi si è comportato in maniera totalmente inelegante e tutto sommato irrispettosa, su questo sono il primo a censurarlo, ma non ha tenuto assolutamente nessun comportamento illegale o, peggio, incostituzionale, e quindi in questo mi trovo costretto a difenderlo.
Il problema è che le leggi vengono spesso citate, ma molto meno spesso lette.
Saluti,
Mauro.
Ora queste anime belle dimenticano due cose:
1) le consultazioni sono una prassi istituzionale, non sono regolate da leggi, da nessuna legge e quindi neanche dalla legge Severino (basta leggersi lo stesso mio articolo citato sopra);
2) la legge Severino (qui potete leggerla nella sua interezza) per quanto riguarda ciò di cui parliamo in questo caso parla solo di incarichi elettivi (ma nel senso di elettivi pubblici, istituzionali, non privati), e Berlusconi è andato al Quirinale come leader di Forza Italia, non come eletto a qualche cosa.
Ergo: Berlusconi si è comportato in maniera totalmente inelegante e tutto sommato irrispettosa, su questo sono il primo a censurarlo, ma non ha tenuto assolutamente nessun comportamento illegale o, peggio, incostituzionale, e quindi in questo mi trovo costretto a difenderlo.
Il problema è che le leggi vengono spesso citate, ma molto meno spesso lette.
Saluti,
Mauro.
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martedì 10 aprile 2018
La matematica, la storia e l'ignoranza
Voi sapete che, pur essendo questo blog un blog generalista, uno degli argomenti che mi interessano di più è sbugiardare l'ignoranza scientifica dell'informazione (in particolare, ed è logico vista la mia formazione, su temi matematici e fisici).
Ora Linkiesta ha superato ogni mia speranza (o incubo, fate voi): è riuscita a mettere insieme ignoranza matematica e ignoranza storica.
Sì, avete letto bene: Linkiesta ha violentato insieme matematica e storia.
In un articolo di ieri dedicato a un film austriaco uscito nelle sale nel 1924, l'autore (non so chi sia: l'articolo è firmato genericamente LinkPop) sostiene che il film predice Hitler e la sua caccia agli ebrei di 20 anni.
Ora 1924+20 fa (nel mio mondo dove la matematica non è un'opinione) 1944... e nel 1944 Hitler ormai stava perdendo la guerra, dopo undici anni di regime.
Oppure tra il 1933 e il 1944 la Germania è stata governata da Churchill e gli ebrei erano rispettati e amati?
Per di più (e qui anche il più impreparato degli storici avrebbe potuto evitare l'errore all'autore) nel 1924 non c'era nulla da predire: Hitler nel mondo di lingua tedesca era ben noto almeno a partire dal 1923 (tentato putsch di Monaco) e anche la caccia agli ebrei era già sport comune (esempio per tutti i pogrom in Russia, ma non solo).
Insomma, l'unica cosa che (forse) ha predetto quel film è l'ignoranza di chi ha scritto l'articolo.
Saluti,
Mauro.
Ora Linkiesta ha superato ogni mia speranza (o incubo, fate voi): è riuscita a mettere insieme ignoranza matematica e ignoranza storica.
Sì, avete letto bene: Linkiesta ha violentato insieme matematica e storia.
In un articolo di ieri dedicato a un film austriaco uscito nelle sale nel 1924, l'autore (non so chi sia: l'articolo è firmato genericamente LinkPop) sostiene che il film predice Hitler e la sua caccia agli ebrei di 20 anni.
Ora 1924+20 fa (nel mio mondo dove la matematica non è un'opinione) 1944... e nel 1944 Hitler ormai stava perdendo la guerra, dopo undici anni di regime.
Oppure tra il 1933 e il 1944 la Germania è stata governata da Churchill e gli ebrei erano rispettati e amati?
Per di più (e qui anche il più impreparato degli storici avrebbe potuto evitare l'errore all'autore) nel 1924 non c'era nulla da predire: Hitler nel mondo di lingua tedesca era ben noto almeno a partire dal 1923 (tentato putsch di Monaco) e anche la caccia agli ebrei era già sport comune (esempio per tutti i pogrom in Russia, ma non solo).
Insomma, l'unica cosa che (forse) ha predetto quel film è l'ignoranza di chi ha scritto l'articolo.
Saluti,
Mauro.
domenica 8 aprile 2018
Che cos'è il Kiepenkerl?
Molti dei miei lettori sanno che Münster è stata, per così dire, il mio ingresso in Germania.
Ho vissuto lì dal 1996 al 2001 e lì ho ancora molti amici e conoscenti.
Quindi l'attentato di ieri (che non è legato al terrorismo bensì a problemi psichici del responsabile, a quanto pare) mi ha colpito particolarmente.
Però qui oggi non voglio parlarvi dell'attentato in sé o dei miei sentimenti, bensì del Kiepenkerl.
Tutti avrete sentito o letto questa parola. E tutti avrete letto che il Kiepenkerl è un ristorante di Münster e che prende il nome dalla statua di un mercante posta fuori dal locale (e molti avranno pensato che Kiepenkerl fosse il cognome di detto mercante... no, non lo è).
Non è proprio così, anche se è vero che il ristorante davanti a cui è avvenuta la strage si chiama Kiepenkerl.
Qui vorrei raccontarvi cos'è veramente il Kiepenkerl. Sperando che vi interessi.
Partiamo dal ristorante.
In realtà si tratta di due ristoranti: il Großer Kiepenkerl e il Kleiner Kiepenkerl, siti fianco a fianco nella piazzetta chiamata Spiekerhof.
L'attentato è avvenuto sui tavoli all'aperto del primo, il "grande" Kiepenkerl.
Si tratta di due tra i più tradizionali locali di Münster, con ambiente famigliare ma servizio e cucina di alta qualità. Il primo esistente nella forma attuale dal 1891 (ma erede di una tradizione ben più lunga) e il secondo con già comunque i suoi 60 anni sul groppone.
In entrambi i locali sono spesso andato quando vivevo a Münster e se capitate da quelle parti non posso che consigliarveli entrambi (anche se il Großer Kiepenkerl ha comunque un qualcosa di più, non solo storicamente).
E ora veniamo al mercante.
Intanto chiariamo: i ristoranti non prendono il nome dalla statua. Ma proprio dal mercante (come anche la statua stessa).
Del resto la statua è stata fatta e posizionata nel 1896, mentre come detto sopra il primo dei due ristoranti esiste almeno dal 1891.
Kiepenkerl (plurale: Kiepenkerle) non era un cognome, bensì la denominazione dei mercanti ambulanti diffusi nell'area compresa tra il Sauerland (poco a nordest di Colonia) e Amburgo (infatti il nome viene non dal tedesco ufficiale, bensì dal dialetto parlato in parte di quell'area).
Questi ambulanti rifornivano le città con prodotti della campagna (uova, latticini, pollame, ecc.) e le campagne con prodotti come sale, tessuti, ecc. ma anche notizie, quando i giornali non esistevano ancora (o erano limitati alle città).
Nella zona di Münster (il Münsterland) questi ambulanti avevano un abbigliamento più o meno standard e facilmente riconoscibile: gerla a spalla, berretto, pipa, giacchetta blu, bastone, zoccoli di legno.
Il nome viene proprio dalla gerla a spalla: in tedesco locale si chiama Kiepe (Kerl invece significa uomo, tipo... quindi Kiepenkerl si può tradurre come "l'uomo, il tipo con la gerla").
Saluti,
Mauro.
Ho vissuto lì dal 1996 al 2001 e lì ho ancora molti amici e conoscenti.
Quindi l'attentato di ieri (che non è legato al terrorismo bensì a problemi psichici del responsabile, a quanto pare) mi ha colpito particolarmente.
Però qui oggi non voglio parlarvi dell'attentato in sé o dei miei sentimenti, bensì del Kiepenkerl.
Tutti avrete sentito o letto questa parola. E tutti avrete letto che il Kiepenkerl è un ristorante di Münster e che prende il nome dalla statua di un mercante posta fuori dal locale (e molti avranno pensato che Kiepenkerl fosse il cognome di detto mercante... no, non lo è).
Non è proprio così, anche se è vero che il ristorante davanti a cui è avvenuta la strage si chiama Kiepenkerl.
Qui vorrei raccontarvi cos'è veramente il Kiepenkerl. Sperando che vi interessi.
Partiamo dal ristorante.
In realtà si tratta di due ristoranti: il Großer Kiepenkerl e il Kleiner Kiepenkerl, siti fianco a fianco nella piazzetta chiamata Spiekerhof.
L'attentato è avvenuto sui tavoli all'aperto del primo, il "grande" Kiepenkerl.
Si tratta di due tra i più tradizionali locali di Münster, con ambiente famigliare ma servizio e cucina di alta qualità. Il primo esistente nella forma attuale dal 1891 (ma erede di una tradizione ben più lunga) e il secondo con già comunque i suoi 60 anni sul groppone.
In entrambi i locali sono spesso andato quando vivevo a Münster e se capitate da quelle parti non posso che consigliarveli entrambi (anche se il Großer Kiepenkerl ha comunque un qualcosa di più, non solo storicamente).
E ora veniamo al mercante.
Intanto chiariamo: i ristoranti non prendono il nome dalla statua. Ma proprio dal mercante (come anche la statua stessa).
Del resto la statua è stata fatta e posizionata nel 1896, mentre come detto sopra il primo dei due ristoranti esiste almeno dal 1891.
Kiepenkerl (plurale: Kiepenkerle) non era un cognome, bensì la denominazione dei mercanti ambulanti diffusi nell'area compresa tra il Sauerland (poco a nordest di Colonia) e Amburgo (infatti il nome viene non dal tedesco ufficiale, bensì dal dialetto parlato in parte di quell'area).
Questi ambulanti rifornivano le città con prodotti della campagna (uova, latticini, pollame, ecc.) e le campagne con prodotti come sale, tessuti, ecc. ma anche notizie, quando i giornali non esistevano ancora (o erano limitati alle città).
Nella zona di Münster (il Münsterland) questi ambulanti avevano un abbigliamento più o meno standard e facilmente riconoscibile: gerla a spalla, berretto, pipa, giacchetta blu, bastone, zoccoli di legno.
Il nome viene proprio dalla gerla a spalla: in tedesco locale si chiama Kiepe (Kerl invece significa uomo, tipo... quindi Kiepenkerl si può tradurre come "l'uomo, il tipo con la gerla").
Saluti,
Mauro.
sabato 7 aprile 2018
Attentato a Münster
La "mia" Münster sembrava risparmiata dalla violenza cieca contro la folla, invece era solo illusione.
Quante volte sono andato al Kiepenkerl quando vivevo lì. E quante volte ho avuto il desiderio di tornarci quando me ne sono andato.
Certo, non è che un attentato a Münster sia più grave che in un'altra città... ma quando ciò avviene in un luogo a cui sei profondamente legato (come io con Münster) ti colpisce di più, molto di più.
Saluti,
Mauro.
Casaleggio e i giornalisti
Tutti (o almeno molti) avrete letto del fatto che all'evento sum#02 organizzato dalla Fondazione Casaleggio a Ivrea è stato impedito l'accesso al giornalista de La Stampa Jacopo Iacoboni.
Motivazione? Gli articoli (e un libro) critici del giornalista in questione sul Movimento 5 Stelle (e già questa motivazione smentisce le balle sempre raccontate da Casaleggio & co. sulla separazione tra M5S, Fondazione e Casaleggio srl).
Ora, la cosa va esaminata su due piani.
Il primo piano è quello meramente legale.
Essendo l'evento organizzato da una fondazione privata e non da un'istituzione pubblica, l'organizzatore ha legalmente tutto il diritto di decidere chi può accedervi e chi no.
E questo va riconosciuto (anche se molti giornalisti e commentatori lo dimenticano).
Il secondo piano, in questo caso preponderante, è quello politico.
La motivazione dell'esclusione di Iacoboni dimostra che non vi è distinzione di fatto tra M5S, Fondazione e Casaleggio srl.
E che questa esclusione è un atto puramente e solamente politico.
Oltretutto ciò dimostra chi veramente controlla il M5S e che considerazione della democrazia e della libertà di stampa questi abbia.
Saluti,
Mauro.
Motivazione? Gli articoli (e un libro) critici del giornalista in questione sul Movimento 5 Stelle (e già questa motivazione smentisce le balle sempre raccontate da Casaleggio & co. sulla separazione tra M5S, Fondazione e Casaleggio srl).
Ora, la cosa va esaminata su due piani.
Il primo piano è quello meramente legale.
Essendo l'evento organizzato da una fondazione privata e non da un'istituzione pubblica, l'organizzatore ha legalmente tutto il diritto di decidere chi può accedervi e chi no.
E questo va riconosciuto (anche se molti giornalisti e commentatori lo dimenticano).
Il secondo piano, in questo caso preponderante, è quello politico.
La motivazione dell'esclusione di Iacoboni dimostra che non vi è distinzione di fatto tra M5S, Fondazione e Casaleggio srl.
E che questa esclusione è un atto puramente e solamente politico.
Oltretutto ciò dimostra chi veramente controlla il M5S e che considerazione della democrazia e della libertà di stampa questi abbia.
Saluti,
Mauro.
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Misteri novaresi
Qualche tempo fa vi avevo raccontato qui dell'impennata di visite dalla Russia sperimentata dal mio blog nel 2017 (per inciso: sta continuando nel 2018).
Però la Russia in realtà non è l'unico caso particolare.
Io tengo statistiche abbastanza dettagliate solo per gli stati... ma in qualche modo tengo sott'occhio anche le città... e Novara sembra essere diventata la Russia italiana, almeno per quanto riguarda il mio blog ;-)
Come vi dissi quando scrissi dei misteri russi, tengo statistiche a partire dal 2010.
Bene, tra il 2010 e il 10 marzo 2018 dalla città di Novara ho ricevuto 164 visite. Tenendo conto delle dimensioni della città e della posizione geografica (rispetto ai "miei" luoghi) nulla di strano.
Però... tra l'11 marzo 2018 e il 31 marzo 2018 (cioè 20 giorni rispetto ai circa 8 anni di cui sopra) da Novara sono arrivate ben 105 visite.
Che i russi si siano trasferiti a Novara?
Saluti,
Mauro.
Però la Russia in realtà non è l'unico caso particolare.
Io tengo statistiche abbastanza dettagliate solo per gli stati... ma in qualche modo tengo sott'occhio anche le città... e Novara sembra essere diventata la Russia italiana, almeno per quanto riguarda il mio blog ;-)
Come vi dissi quando scrissi dei misteri russi, tengo statistiche a partire dal 2010.
Bene, tra il 2010 e il 10 marzo 2018 dalla città di Novara ho ricevuto 164 visite. Tenendo conto delle dimensioni della città e della posizione geografica (rispetto ai "miei" luoghi) nulla di strano.
Però... tra l'11 marzo 2018 e il 31 marzo 2018 (cioè 20 giorni rispetto ai circa 8 anni di cui sopra) da Novara sono arrivate ben 105 visite.
Che i russi si siano trasferiti a Novara?
Saluti,
Mauro.
domenica 1 aprile 2018
Pesci d'aprile mancanti
Non so voi, ma io quest'anno ho l'impressione che girino molti meno pesci d'aprile del solito.
Oggi però è anche Pasqua.
Se i pochi pesci d'aprile sono dovuti al rispetto per la Pasqua, allora vi dico che l'umanità è solo un branco di ipocriti.
Se invece si sta cominciando a capire che è un'usanza ormai solo portatrice di noia (e solo i minus habens ormai ci cascano) e quindi inutile... forse per l'umanità c'è speranza.
Buona Pasqua a tutti,
Mauro.
Oggi però è anche Pasqua.
Se i pochi pesci d'aprile sono dovuti al rispetto per la Pasqua, allora vi dico che l'umanità è solo un branco di ipocriti.
Se invece si sta cominciando a capire che è un'usanza ormai solo portatrice di noia (e solo i minus habens ormai ci cascano) e quindi inutile... forse per l'umanità c'è speranza.
Buona Pasqua a tutti,
Mauro.
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