domenica 30 dicembre 2018
Dettagli genovesi 31 - Le navi nella navata
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venerdì 28 dicembre 2018
giovedì 27 dicembre 2018
Siete sicuri di sapere cos'è un policlinico?
Tutti sappiamo cos'è un policlinico. Anzi, tutti crediamo di saperlo.
Cioè, per quello che riguarda le sue funzioni, la sua sostanza, lo sappiamo veramente: un'istituzione di cura, ospedaliera, che comprende diverse specialità, nel caso ideale tutte le possibili specialità medico-chirurgiche.
E su questo siamo tutti d'accordo.
Ma la parola? Cosa significa la parola?
La maggioranza di noi sarebbe tentata di rispondere: policlinico = molte cliniche, molte specialità, facendo derivare il poli- dal greco antico polús (πολύς), che significa molto.
Siamo sicuri che sia corretto?
Beh, effettivamente è - volendo ragionare in maniera storica - un po' difficile poter credere che possa significare quello, visto che il concetto è nato in epoche (il '700) in cui la separazione tra le varie specialità era confusa, in alcuni settori addirittura inesistente.
E infatti osserviamo l'epoca in cui questo concetto è nato: l'epoca in cui gli ospedali cominciavano a venire costruiti in città, con scopi di cura, non erano più solo i lazzaretti che venivano costruiti isolati, allo scopo di isolare i malati (e i malati che soffrivano di malattie non contagiose venivano lasciati e - dove possibile - curati in casa).
Detto ciò, la parola policlinico potrebbe anche assumere un altro significato: policlinico = clinica, ospedale di città, dove poli- non ha più a che fare col molto, ma col greco antico pólis (πόλις), che significa città.
Non c'è una certezza storico-linguistica che faccia pendere la bilancia da una parte o dall'altra (entrambe le versioni sono state prese in considerazione dai linguisti e dagli storici), ma a me sinceramente la seconda pare molto più logica e credibile.
Saluti,
Mauro.
Cioè, per quello che riguarda le sue funzioni, la sua sostanza, lo sappiamo veramente: un'istituzione di cura, ospedaliera, che comprende diverse specialità, nel caso ideale tutte le possibili specialità medico-chirurgiche.
E su questo siamo tutti d'accordo.
Ma la parola? Cosa significa la parola?
La maggioranza di noi sarebbe tentata di rispondere: policlinico = molte cliniche, molte specialità, facendo derivare il poli- dal greco antico polús (πολύς), che significa molto.
Siamo sicuri che sia corretto?
Beh, effettivamente è - volendo ragionare in maniera storica - un po' difficile poter credere che possa significare quello, visto che il concetto è nato in epoche (il '700) in cui la separazione tra le varie specialità era confusa, in alcuni settori addirittura inesistente.
E infatti osserviamo l'epoca in cui questo concetto è nato: l'epoca in cui gli ospedali cominciavano a venire costruiti in città, con scopi di cura, non erano più solo i lazzaretti che venivano costruiti isolati, allo scopo di isolare i malati (e i malati che soffrivano di malattie non contagiose venivano lasciati e - dove possibile - curati in casa).
Detto ciò, la parola policlinico potrebbe anche assumere un altro significato: policlinico = clinica, ospedale di città, dove poli- non ha più a che fare col molto, ma col greco antico pólis (πόλις), che significa città.
Non c'è una certezza storico-linguistica che faccia pendere la bilancia da una parte o dall'altra (entrambe le versioni sono state prese in considerazione dai linguisti e dagli storici), ma a me sinceramente la seconda pare molto più logica e credibile.
Saluti,
Mauro.
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lunedì 24 dicembre 2018
Una domanda mal posta (ma giustificata)
Oggi mia mamma, riferendosi all'eruzione con successivo tsunami in Indonesia, mi ha chiesto come mai queste catastrofi naturali colpiscono maggiormente i paesi poveri (o comunque non ricchi).
E, a pensarci bene, anche quando colpiscono nei paesi ricchi generalmente colpiscono le parti meno ricche, meno avanzate di questi paesi.
Ora ho sentito tante persone (tra cui quella citata sopra, mia mamma) dire ma che sfiga, Dio ce l'ha coi poveri... i più colti, quelli che hanno letto anche l'Antico Testamento, tirano fuori la storia di Giobbe.
I non credenti poi talvolta (cosa sentita con le mie orecchie) tirano fuori la storia che le zone povere per mancanza di mezzi e/o di cultura non sappiano proteggersi.
Eppure la spiegazione dovrebbe essere palese anche a chi non ha chissà quali studi.
Il problema va ribaltato.
Non è che le catastrofi colpiscano solo o quasi zone povere.
È che le zone sono povere a causa delle catastrofi.
Sono proprio le condizioni naturali che impediscono a determinati territori di svilupparsi.
È logico che in un territorio stabile, dove le catastrofi naturali sono rare, una popolazione ha la possibilità di insediarsi e svilupparsi senza il timore di dover ricominciare tutto daccapo ogni tre per due e quindi, dopo un po', può cominciare a pensare a lungo termine e non solo al sostentamento.
Mentre dove le catastrofi naturali avvengono spesso chi vi si insedia lo fa perché non ha la possibilità di andare altrove e dopo essersi insediato non può andare oltre un certo livello di sviluppo economico, si troverà per forza di cose in una cultura di sostentamento o poco più.
Poi certo il mondo, soprattutto oggi, è complesso e la spiegazione di cui sopra non spiega tutto, rimane un po' troppo semplicistica.
Ma è la spiegazione di base, il punto di partenza da cui poi sviluppare i discorsi più complessi necessari a gestire e capire il mondo d'oggi.
Ma che senza questa spiegazione di partenza non si potrebbero fare.
Saluti,
Mauro.
E, a pensarci bene, anche quando colpiscono nei paesi ricchi generalmente colpiscono le parti meno ricche, meno avanzate di questi paesi.
Ora ho sentito tante persone (tra cui quella citata sopra, mia mamma) dire ma che sfiga, Dio ce l'ha coi poveri... i più colti, quelli che hanno letto anche l'Antico Testamento, tirano fuori la storia di Giobbe.
I non credenti poi talvolta (cosa sentita con le mie orecchie) tirano fuori la storia che le zone povere per mancanza di mezzi e/o di cultura non sappiano proteggersi.
Eppure la spiegazione dovrebbe essere palese anche a chi non ha chissà quali studi.
Il problema va ribaltato.
Non è che le catastrofi colpiscano solo o quasi zone povere.
È che le zone sono povere a causa delle catastrofi.
Sono proprio le condizioni naturali che impediscono a determinati territori di svilupparsi.
È logico che in un territorio stabile, dove le catastrofi naturali sono rare, una popolazione ha la possibilità di insediarsi e svilupparsi senza il timore di dover ricominciare tutto daccapo ogni tre per due e quindi, dopo un po', può cominciare a pensare a lungo termine e non solo al sostentamento.
Mentre dove le catastrofi naturali avvengono spesso chi vi si insedia lo fa perché non ha la possibilità di andare altrove e dopo essersi insediato non può andare oltre un certo livello di sviluppo economico, si troverà per forza di cose in una cultura di sostentamento o poco più.
Poi certo il mondo, soprattutto oggi, è complesso e la spiegazione di cui sopra non spiega tutto, rimane un po' troppo semplicistica.
Ma è la spiegazione di base, il punto di partenza da cui poi sviluppare i discorsi più complessi necessari a gestire e capire il mondo d'oggi.
Ma che senza questa spiegazione di partenza non si potrebbero fare.
Saluti,
Mauro.
sabato 22 dicembre 2018
Vedere un ponte
Torni a Genova per le vacanze di Natale.
Sai che ti farà male, ma vuoi andare a vedere coi tuoi occhi la ferita subita dalla città il 14 agosto 2018.
Forse, nel tuo intimo, ti vuoi illudere che sia stato tutto un incubo o, come va di moda oggi, una fake news. Un complotto.
Vuoi vedere un ponte. Il ponte.
Che scavalca fiume, strade, ferrovie, case e stabilimenti nella sua inquietante maestosità.
E allora una mattina prendi la metropolitana a Brignole e scendi al capolinea opposto, a Brin.
E ti incammini verso via Fillak. Poi la raggiungi e la percorri in direzione mare.
Vedi avvicinarsi la campata del ponte... alta, enorme, incombente sulle case.
Intatta... non è una delle campate interessate dal crollo e da lì non puoi vedere il resto del ponte.
E inconsciamente magari speri...
Ti avvicini. E cominci a vedere.
Prima lo sbarramento, la famosa zona rossa. Poi il moncone est.
Se tu non sapessi, se tu non avessi visto (e percorso!) quel ponte mille volte il taglio apparentemente netto potrebbe farti quasi credere che sia un ponte ancora in costruzione.
O magari invece una delle mille opere incompiute di questo paese.
Invece tu quel ponte lo hai visto.
Poi arrivi allo sbarramento, non puoi passare.
Devi deviare in via Campi, muoverti in direzione del fiume, non in direzione del ponte.
E a un certo punto all'improvviso alla tua sinistra rivedi il moncone. E vedi che il taglio non è netto.
Sembra come rosicchiato. C'è anche il metallo deformato.
E al più tardi ora la realtà ti colpisce come un pugno alla bocca dello stomaco.
E arrivando in via Perlasca vedi anche il moncone ovest.
Quello senza le torri che danno un'illusoria idea di forza e resistenza.
E ti chiedi come fa a stare su, se per caso stia fluttuando nell'aria.
E poi ci arrivi sotto.
No, in realtà sotto non ci arrivi. Sotto i monconi non ci puoi andare.
Tu in realtà vorresti farlo, vorresti vedere tutto... vorresti ferirti come è ferita la tua città.
Ma giustamente non puoi.
Non puoi per la tua sicurezza e non puoi per non rompere le palle a chi lì sta lavorando. Indirettamente lavorando anche per te.
Però arrivi nel punto in cui, se il ponte ancora ci fosse, ci saresti stato sotto o quasi.
Prosegui oltre, vuoi vedere anche dall'altro lato.
Prosegui e continui a guardarti dietro le spalle. A guardare quei due monconi.
E ogni tanto alla tua sinistra vedi resti delle macerie del ponte e delle costruzioni sottostanti non ancora portati via.
E arrivi a via Renata Bianchi, un ponte cittadino sul Polcevera che i genovesi che arrivano da questo lato usano per andare all'IKEA, sull'altro lato.
E ti fermi a metà.
Per guardare il ponte.
Per quardare il buco.
Il vuoto rimasto.
Vedere un ponte.
Sperare, presto, di vederne un altro.
Saluti,
Mauro.
Sai che ti farà male, ma vuoi andare a vedere coi tuoi occhi la ferita subita dalla città il 14 agosto 2018.
Forse, nel tuo intimo, ti vuoi illudere che sia stato tutto un incubo o, come va di moda oggi, una fake news. Un complotto.
Vuoi vedere un ponte. Il ponte.
Che scavalca fiume, strade, ferrovie, case e stabilimenti nella sua inquietante maestosità.
E allora una mattina prendi la metropolitana a Brignole e scendi al capolinea opposto, a Brin.
E ti incammini verso via Fillak. Poi la raggiungi e la percorri in direzione mare.
Vedi avvicinarsi la campata del ponte... alta, enorme, incombente sulle case.
Intatta... non è una delle campate interessate dal crollo e da lì non puoi vedere il resto del ponte.
E inconsciamente magari speri...
Ti avvicini. E cominci a vedere.
Prima lo sbarramento, la famosa zona rossa. Poi il moncone est.
Se tu non sapessi, se tu non avessi visto (e percorso!) quel ponte mille volte il taglio apparentemente netto potrebbe farti quasi credere che sia un ponte ancora in costruzione.
O magari invece una delle mille opere incompiute di questo paese.
Invece tu quel ponte lo hai visto.
Poi arrivi allo sbarramento, non puoi passare.
Devi deviare in via Campi, muoverti in direzione del fiume, non in direzione del ponte.
E a un certo punto all'improvviso alla tua sinistra rivedi il moncone. E vedi che il taglio non è netto.
Sembra come rosicchiato. C'è anche il metallo deformato.
E al più tardi ora la realtà ti colpisce come un pugno alla bocca dello stomaco.
E arrivando in via Perlasca vedi anche il moncone ovest.
Quello senza le torri che danno un'illusoria idea di forza e resistenza.
E ti chiedi come fa a stare su, se per caso stia fluttuando nell'aria.
E poi ci arrivi sotto.
No, in realtà sotto non ci arrivi. Sotto i monconi non ci puoi andare.
Tu in realtà vorresti farlo, vorresti vedere tutto... vorresti ferirti come è ferita la tua città.
Ma giustamente non puoi.
Non puoi per la tua sicurezza e non puoi per non rompere le palle a chi lì sta lavorando. Indirettamente lavorando anche per te.
Però arrivi nel punto in cui, se il ponte ancora ci fosse, ci saresti stato sotto o quasi.
Prosegui oltre, vuoi vedere anche dall'altro lato.
Prosegui e continui a guardarti dietro le spalle. A guardare quei due monconi.
E ogni tanto alla tua sinistra vedi resti delle macerie del ponte e delle costruzioni sottostanti non ancora portati via.
E arrivi a via Renata Bianchi, un ponte cittadino sul Polcevera che i genovesi che arrivano da questo lato usano per andare all'IKEA, sull'altro lato.
E ti fermi a metà.
Per guardare il ponte.
Per quardare il buco.
Il vuoto rimasto.
Vedere un ponte.
Sperare, presto, di vederne un altro.
Saluti,
Mauro.
mercoledì 19 dicembre 2018
Me ne vado in Italia
Domani (20 dicembre) volo in Italia.
Avrò sì accesso a Internet, ma non so se avrò tempo di scrivere...
Nel caso io non scriva, non suicidatevi e abbiate pazienza fino al 9 gennaio, quando tornerò in Germania.
Buone feste a tutti.
Saluti,
Mauro.
Avrò sì accesso a Internet, ma non so se avrò tempo di scrivere...
Nel caso io non scriva, non suicidatevi e abbiate pazienza fino al 9 gennaio, quando tornerò in Germania.
Buone feste a tutti.
Saluti,
Mauro.
domenica 16 dicembre 2018
L'arte delle installazioni
Io ho sempre considerato l'arte come qualcosa che - salvo incidenti o imprevisti - deve durare nel tempo, deve essere fruibile anche dai famigerati posteri.
Però il '900 - e ancora più gli anni 2000 - hanno portato alla ribalta le cosiddette installazioni o forme simili, cioè forme d'arte a tempo, destinate a "morire" dopo un periodo determinato (parlo chiaramente in particolare delle cosiddette arti plastiche).
Ecco, al di là delle loro qualità estetiche, tecniche, innovative... si possono considerare vera arte, visto che non sono destinate a durare?
Io penso di no... ma forse io sono antiquato.
Che ne dite voi?
Saluti,
Mauro.
Però il '900 - e ancora più gli anni 2000 - hanno portato alla ribalta le cosiddette installazioni o forme simili, cioè forme d'arte a tempo, destinate a "morire" dopo un periodo determinato (parlo chiaramente in particolare delle cosiddette arti plastiche).
Ecco, al di là delle loro qualità estetiche, tecniche, innovative... si possono considerare vera arte, visto che non sono destinate a durare?
Io penso di no... ma forse io sono antiquato.
Che ne dite voi?
Saluti,
Mauro.
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venerdì 14 dicembre 2018
Sicurezza informatica e automobili
Io lavoro nell'industria automobilistica. Ci avevo lavorato dal 2001 al 2003 e ci sono tornato nel 2016.
In entrambi i periodi non ho lavorato direttamente per i produttori automobilistici, ma per i fornitori dei sistemi elettronici ed elettrici.
E oggi sono coinvolto anche nella cosiddetta e-mobility (cioè la mobilità elettrica) e, anche se in maniera marginale, nelle auto a guida autonoma.
Qui vi posso dire chiaramente una cosa (senza entrare nei dettagli, per ovvii problemi di proprietà intellettuale): la fattibilità delle auto a guida autonoma è certa da anni, il problema è la sicurezza.
Ed è lo stesso problema (anche se ovviamente amplificato) di tutte le auto attuali: l'elettronica, anzi l'informatica, e la connettività.
L'hackeraggio e il crackeraggio sono escludibili a priori solo in auto che non abbiano nessun sistema di comunicazione con il mondo esterno (quindi neanche sistemi di navigazione basati su GPS o tecnologie simili).
In ogni altro caso, un minimo rischio rimane.
E con la guida autonoma i rischi sono maggiori (con la guida tradizionale o quella solo assistita il guidatore umano può sempre intervenire, almeno in teoria, con la guida autonoma non è detto che sia neanche presente, quindi se qualcuno prende il controllo dell'auto dall'esterno...).
Questa premessa per dire: in questo momento le case automobilistiche e i loro fornitori stanno spendendo molti più soldi per la sicurezza informatica (la cosiddetta Cybersecurity), che per la guida autonoma stessa (e in parte anche per la mobilità elettrica).
Senza poter però dare garanzie.
Ormai la garanzia che un auto possa guidarsi da sola c'è (e non da ieri).
La garanzia che detta auto non sarà mai attaccabile e quindi controllabile dall'esterno, no. E non ci sarà mai.
Rifletteteci.
Saluti,
Mauro.
In entrambi i periodi non ho lavorato direttamente per i produttori automobilistici, ma per i fornitori dei sistemi elettronici ed elettrici.
E oggi sono coinvolto anche nella cosiddetta e-mobility (cioè la mobilità elettrica) e, anche se in maniera marginale, nelle auto a guida autonoma.
Qui vi posso dire chiaramente una cosa (senza entrare nei dettagli, per ovvii problemi di proprietà intellettuale): la fattibilità delle auto a guida autonoma è certa da anni, il problema è la sicurezza.
Ed è lo stesso problema (anche se ovviamente amplificato) di tutte le auto attuali: l'elettronica, anzi l'informatica, e la connettività.
L'hackeraggio e il crackeraggio sono escludibili a priori solo in auto che non abbiano nessun sistema di comunicazione con il mondo esterno (quindi neanche sistemi di navigazione basati su GPS o tecnologie simili).
In ogni altro caso, un minimo rischio rimane.
E con la guida autonoma i rischi sono maggiori (con la guida tradizionale o quella solo assistita il guidatore umano può sempre intervenire, almeno in teoria, con la guida autonoma non è detto che sia neanche presente, quindi se qualcuno prende il controllo dell'auto dall'esterno...).
Questa premessa per dire: in questo momento le case automobilistiche e i loro fornitori stanno spendendo molti più soldi per la sicurezza informatica (la cosiddetta Cybersecurity), che per la guida autonoma stessa (e in parte anche per la mobilità elettrica).
Senza poter però dare garanzie.
Ormai la garanzia che un auto possa guidarsi da sola c'è (e non da ieri).
La garanzia che detta auto non sarà mai attaccabile e quindi controllabile dall'esterno, no. E non ci sarà mai.
Rifletteteci.
Saluti,
Mauro.
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martedì 11 dicembre 2018
Il videodiscorso di Macron
Lasciamo perdere le idee politiche per un attimo.
Esaminiamo solo il video in sé.
Di video di politici costruiti a tavolino (quindi più fiction che politica) nella mia (ormai non più così corta) vita ne ho visti in abbondanza.
Politici di destra, di centro, di sinistra.
Politici democratici e politici populisti.
Nel 90% e passa dei casi si sapeva che erano costruiti, che non erano spontanei.
Ma...
Ma uno come quello di ieri di Macron non lo avevo mai visto neanch'io.
E ho sempre seguito molto la politica.
Però la rigidità, la non spontaneità, la gelidità, oserei quasi dire l'assenza e/o il disinteresse mostrate nella forma, indipendentemente dai contenuti, da Macron nel discorso suddetto non le avrei mai ritenute possibili.
Un politico deve anche saper recitare, a di là del credere in quel che dice o meno, ma Macron ieri aveva la vitalità di un robot con un'audiocassetta preregistrata che gira.
Giusto o sbagliato che fosse quel che ha detto, lo ha detto nella maniera meno credibile possibile.
E pensare che aveva puntato tutto sull'immagine, non sui contenuti... e alla fine sull'immagine crolla. Nonostante schiere di pubblicitari come consiglieri.
Saluti,
Mauro.
Esaminiamo solo il video in sé.
Di video di politici costruiti a tavolino (quindi più fiction che politica) nella mia (ormai non più così corta) vita ne ho visti in abbondanza.
Politici di destra, di centro, di sinistra.
Politici democratici e politici populisti.
Nel 90% e passa dei casi si sapeva che erano costruiti, che non erano spontanei.
Ma...
Ma uno come quello di ieri di Macron non lo avevo mai visto neanch'io.
E ho sempre seguito molto la politica.
Però la rigidità, la non spontaneità, la gelidità, oserei quasi dire l'assenza e/o il disinteresse mostrate nella forma, indipendentemente dai contenuti, da Macron nel discorso suddetto non le avrei mai ritenute possibili.
Un politico deve anche saper recitare, a di là del credere in quel che dice o meno, ma Macron ieri aveva la vitalità di un robot con un'audiocassetta preregistrata che gira.
Giusto o sbagliato che fosse quel che ha detto, lo ha detto nella maniera meno credibile possibile.
E pensare che aveva puntato tutto sull'immagine, non sui contenuti... e alla fine sull'immagine crolla. Nonostante schiere di pubblicitari come consiglieri.
Saluti,
Mauro.
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lunedì 10 dicembre 2018
La verità sull'Altare della Patria
No, non è un monumento fascista.
Nonostante che Salvini in una delle sue ultime uscite lo abbia lodato come tale. E nonostante che molti in realtà lo disprezzino in quanto tale.
E non è neanche (come altri credono) un monumento costruito per celebrare la vittoria nella prima guerra mondiale.
No, l'Altare della Patria è precedente. E non celebra (almeno non direttamente) atti guerreschi.
L'Altare della Patria è stato eretto nel 1911 (quindi non solo prima del fascismo, ma anche prima della prima guerra mondiale) per celebrare il cinquantenario dell'unità di Italia (avvenuta appunto nel 1861).
L'errore di chi lo crede un monumento per la vittoria nella prima guerra mondiale è comunque almeno in parte comprensibile.
Nel1918 1921 venne infatti traslata lì la salma del milite ignoto (in realtà di uno dei tanti militi ignoti), perché nella vulgata politica del tempo la prima guerra mondiale era in realtà l'ultima guerra di indipendenza in quanto "riportò" in patria Trento e Trieste.
L'errore di chi lo crede un monumento di epoca fascista invece dimostra solo ignoranza. Tanta ignoranza.
Saluti,
Mauro.
Nonostante che Salvini in una delle sue ultime uscite lo abbia lodato come tale. E nonostante che molti in realtà lo disprezzino in quanto tale.
E non è neanche (come altri credono) un monumento costruito per celebrare la vittoria nella prima guerra mondiale.
No, l'Altare della Patria è precedente. E non celebra (almeno non direttamente) atti guerreschi.
L'Altare della Patria è stato eretto nel 1911 (quindi non solo prima del fascismo, ma anche prima della prima guerra mondiale) per celebrare il cinquantenario dell'unità di Italia (avvenuta appunto nel 1861).
L'errore di chi lo crede un monumento per la vittoria nella prima guerra mondiale è comunque almeno in parte comprensibile.
Nel
L'errore di chi lo crede un monumento di epoca fascista invece dimostra solo ignoranza. Tanta ignoranza.
Saluti,
Mauro.
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domenica 9 dicembre 2018
Porche istituzioni - Google Maps insiste
Già qualche tempo fa vi feci notare qui come Google Maps confonda uffici pubblici con salumifici.
Però ora Goggle Maps rilancia, dopo l'Emilia anche il Piemonte, per la precisione Cocconato in provincia di Asti:
Il salumificio Ferrero diventa un Behörde, cioè un ente, un ufficio pubblico.
Se volete controllare personalmente, cliccate qui.
A questo punto penso che sia qualche problema negli algoritmi di Google.
Saluti,
Mauro.
Però ora Goggle Maps rilancia, dopo l'Emilia anche il Piemonte, per la precisione Cocconato in provincia di Asti:
Il salumificio Ferrero diventa un Behörde, cioè un ente, un ufficio pubblico.
Se volete controllare personalmente, cliccate qui.
A questo punto penso che sia qualche problema negli algoritmi di Google.
Saluti,
Mauro.
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giovedì 6 dicembre 2018
Lo ho già fatto una volta...
...ma sono megalomane e lo rifaccio.
Oggi non ho nulla da scrivere, ma lo scrivo lo stesso 😃
Saluti,
Mauro.
Oggi non ho nulla da scrivere, ma lo scrivo lo stesso 😃
Saluti,
Mauro.
lunedì 3 dicembre 2018
Brexit e sovranismo italico
Il video qui sotto riguarda la Brexit. Ma le conseguenze di un'eventuale uscita dell'Italia dall'UE o anche solo dall'Euro sarebbero se non identiche comunque molto simili.
Saluti,
Mauro.
Saluti,
Mauro.
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mercoledì 28 novembre 2018
CeBIT è morto
Oggi la Deutsche Messe AG, società che gestisce l'area fieristica di Hannover in Germania (la più grande area fieristica del mondo, dove tra le altre cose si svolse l'Expo 2000), ha dichiarato che il CeBIT non si farà più.
Quella del 2018 è stata l'ultima edizione. Alcune sue parti verranno integrate nella Hannover Messe, una delle più importanti fiere mondiali nel settore industriale, ma non esisterà più come evento autonomo.
Ma cos'è... anzi cos'era il CeBIT?
Nato nel 1986 è stato per lungo il tempo la più importante fiera mondiale nel settore elettronico e informatico (CeBIT è l'acronimo di Centrum für Büroautomation, Informationstechnologie und Telekommunikation, che significa Centro per l'automazione dell'ufficio, l'informatica e la telecomunicazione).
Negli anni a cavallo del cambio di millennio attraeva circa 800000 visitatori a ogni edizione (ottocentomila, nel caso abbiate contato male gli zeri). Nel 2018 ne ha attratti neanche 120000 (centoventimila).
E fino a non molti anni fa la maggioranza delle aziende del settore (e non solo quelle europee) aspettava il CeBIT per presentare i propri prodotti di punta, le proprie innovazioni.
Cosa è successo nel frattempo?
Che gli organizzatori non si sono accorti del salto nel digitale. È vero che il digitale senza elettronica e informatica non può esserci, ma il digitale non è l'elettronica e l'informatica (e men che meno viceversa).
Gli organizzatori hanno continuato a gestire la fiera come se l'elettronica e l'informatica fossero ancora quelle degli anni '80 e '90.
Quando due anni fa hanno aperto gli occhi "grazie" alla continua perdita di visitatori (e di espositori) hanno provato a trasformarla in evento, in festival... ma questo - oltre a essere avvenuto troppo tardi - ha dato a molti l'impressione che rischiasse di diventare una fiera che si allontana dall'industria e dall'economia.
E quindi ciao.
In fondo è un piccolo pezzo di storia recente che muore, quindi un po' mi dispiace.
Però forse è anche un insegnamento: non puoi gestire realtà cangianti e continuamente nuove con schemi fissi, non tanto magari vecchi quanto però immutabili.
Se il contenuto si innova, deve innovarsi anche il contenitore.
Saluti,
Mauro.
Quella del 2018 è stata l'ultima edizione. Alcune sue parti verranno integrate nella Hannover Messe, una delle più importanti fiere mondiali nel settore industriale, ma non esisterà più come evento autonomo.
Ma cos'è... anzi cos'era il CeBIT?
Nato nel 1986 è stato per lungo il tempo la più importante fiera mondiale nel settore elettronico e informatico (CeBIT è l'acronimo di Centrum für Büroautomation, Informationstechnologie und Telekommunikation, che significa Centro per l'automazione dell'ufficio, l'informatica e la telecomunicazione).
Negli anni a cavallo del cambio di millennio attraeva circa 800000 visitatori a ogni edizione (ottocentomila, nel caso abbiate contato male gli zeri). Nel 2018 ne ha attratti neanche 120000 (centoventimila).
E fino a non molti anni fa la maggioranza delle aziende del settore (e non solo quelle europee) aspettava il CeBIT per presentare i propri prodotti di punta, le proprie innovazioni.
Cosa è successo nel frattempo?
Che gli organizzatori non si sono accorti del salto nel digitale. È vero che il digitale senza elettronica e informatica non può esserci, ma il digitale non è l'elettronica e l'informatica (e men che meno viceversa).
Gli organizzatori hanno continuato a gestire la fiera come se l'elettronica e l'informatica fossero ancora quelle degli anni '80 e '90.
Quando due anni fa hanno aperto gli occhi "grazie" alla continua perdita di visitatori (e di espositori) hanno provato a trasformarla in evento, in festival... ma questo - oltre a essere avvenuto troppo tardi - ha dato a molti l'impressione che rischiasse di diventare una fiera che si allontana dall'industria e dall'economia.
E quindi ciao.
In fondo è un piccolo pezzo di storia recente che muore, quindi un po' mi dispiace.
Però forse è anche un insegnamento: non puoi gestire realtà cangianti e continuamente nuove con schemi fissi, non tanto magari vecchi quanto però immutabili.
Se il contenuto si innova, deve innovarsi anche il contenitore.
Saluti,
Mauro.
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martedì 20 novembre 2018
Domande di un ignorante in economia
Salvini ha dichiarato che lo spread scenderà e se non succederà sarà perché qualcuno specula contro l'Italia. Ma che il governo saprà impedirlo.
Ora, facciamo finta che l'Italia sia vittima di speculatori (cioè, non nego che esistano speculatori, ma che ce l'abbiano particolarmente con l'Italia).
Qualcuno mi sa spiegare come oggi un governo da solo può impedire le speculazioni?
Che poi mi faccio anche un'altra domanda: come fai a distinguere uno speculatore (cioè chi ti danneggia di proposito per guadagnare) da un investitore (cioè chi semplicemente pensa alle proprie finanze, ma non ti danneggia di proposito)?
Entrambi operano sugli stessi mercati/prodotti.
Ora qualcuno mi dirà: uno speculatore è disonesto, un investitore no.
Però... uno può speculare anche senza infrangere la legge. E allora?
Sono domande di un ignorante in economia.
Ogni risposta è gradita.
Saluti,
Mauro.
Ora, facciamo finta che l'Italia sia vittima di speculatori (cioè, non nego che esistano speculatori, ma che ce l'abbiano particolarmente con l'Italia).
Qualcuno mi sa spiegare come oggi un governo da solo può impedire le speculazioni?
Che poi mi faccio anche un'altra domanda: come fai a distinguere uno speculatore (cioè chi ti danneggia di proposito per guadagnare) da un investitore (cioè chi semplicemente pensa alle proprie finanze, ma non ti danneggia di proposito)?
Entrambi operano sugli stessi mercati/prodotti.
Ora qualcuno mi dirà: uno speculatore è disonesto, un investitore no.
Però... uno può speculare anche senza infrangere la legge. E allora?
Sono domande di un ignorante in economia.
Ogni risposta è gradita.
Saluti,
Mauro.
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domenica 18 novembre 2018
I misteri del tedesco 14 - Strane città
In Germania (come in qualsiasi altro paese) esistono città che hanno un nome che preso oggi alla lettera (parlo proprio della precisa grafia attuale, non di assonanze o similitudini) ha un significato assurdo o perlomeno poco logico. O per lo meno antiquato. Anche se, spesso, il significato originale è tutt'altro.
Ma se glielo fai notare, i tedeschi cascheranno dalle nuvole e ti diranno "Eh? È solo il nome di una città!".
Del resto, se la fantasia non la hai, non te la puoi inventare.
Ma vediamo qualche esempio (l'articolo verrà aggiornato man mano che mi verranno in mente altre città con nomi particolari, segnalazioni da parte di voi lettori sono benvenute).
1) Müllheim
Significato letterale: casa della spazzatura (Müll=spazzatura, Heim=casa).
Origine vera: casa del mugnaio, mulino (Müll come storpiatura di Mühlen).
2) Essen
Significato letterale: mangiare (se visto come verbo), cibo (se visto come sostantivo).
Origine vera: nessuna certezza, ma probabilmente storpiatura del tardo latino Asthnidi (nome di una famiglia nobile del medioevo).
3) Karlsruhe
Significato letterale: riposo di Carlo (Karl=Carlo, Ruhe=riposo).
Origine vera: corrisponde al significato letterale, anche se non è chiaro se si riferisca a Carlo Magno o a qualche altro Carlo dell'epoca.
4) Erlangen
Significato letterale: ottenere, aggiudicarsi.
Origine vera: ignota; si è cercato di ricondurla a un albero (Erle=ontano) o a un tipo di terreno (Anger=valle prativa), ma in realtà si tratta probabilmente di arrampicate sugli specchi.
5) Geilenkirchen
Significato letterale: chiese lascive, libidinose (Kirche=chiesa, geil=lascivo, libidinoso, ma oggi anche figo).
Origine vera: apparentemente l'origine del nome è dovuta un franco di nome Gelo che costruì nel luogo una chiesa di legno. Da lì il nome Gelos Kirche (chiesa di Gelo) che nel corso del tempo si è trasformato in Geilenkirchen.
6) Darmstadt
Significato letterale: città dell'intestino (Darm=intestino, Stadt=città).
Origine vera: ignota, ma ci sono diverse interpretazioni (per lo meno quattro).
7) Feucht
Significato letterale: umido, bagnato.
Origine vera: apparentemente deriva dal tedesco antico viuhtje - fichta da cui il tedesco moderno Fichte (abete rosso, peccio).
8) Mutterstadt
Significato letterale: città della mamma (Mutter=mamma, Stadt=città).
Origine vera: ignota, forse derivante dal nome di una famiglia locale.
9) Siegen
Significato letterale: vincere, trionfare.
Origine vera: deriva dal nome del fiume Sieg che attraversa la città e che a sua volta deriva dal celtico Sikkere, che significa fiume veloce, tumultuoso.
Aggiornamento 30.11.2018:
10) Friedrichshafen
Significato letterale: porto di Federico (Hafen=porto, Friedrich=Federico).
Origine vera: esattamente il significato letterale, città portuale lacustre denominata dal re del Württemberg durante il cui regno venne creata (Federico I, fondazione datata 1811).
Aggiornamento 12.12.2018:
11) Regensburg
Significato letterale: castello, fortezza di pioggia (Burg=castello, fortezza, Regen=pioggia).
Origine vera: in realtà viene dal latino Castra Regina, dove Regina però non siginifica il nostro regina, ma deriva dal celtico Regana, che siginifica corso d'acqua, corso del fiume, da cui il nome di uno dei fiumi di Regensburg: la Regen. E comunque, pioggia o fiume, sempre di acqua si tratta.
Aggiornamento 08.09.2019:
12) Landshut
Significato letterale: cappello della regione, del territorio (Land=regione, territorio, Hut=cappello).
Origine vera: in realtà corrisponde al significato letterale, dove cappello è inteso come protezione, riparo in quanto la posizione del castello permetteva la protezione e l'osservazione del territorio circostante.
Aggiornamento 09.09.2020:
13) Machtlos (in realtà non è una città, ma una frazione di Ronshausen)
Significato letterale: impotente (Macht=potere, los è un suffisso che indica assenza).
Origine vera: il primo documento in cui il paese viene nominato (secolo XIV) lo cita come villa Mechtolfes, dove Mechtolfes dovrebbe significare der mächtige Wolf, cioè "il lupo forte, potente"... di fatto esattamente il contrario del significato letterale attuale.
Altre puntate:
I misteri del tedesco - Lista completa
Ma se glielo fai notare, i tedeschi cascheranno dalle nuvole e ti diranno "Eh? È solo il nome di una città!".
Del resto, se la fantasia non la hai, non te la puoi inventare.
Ma vediamo qualche esempio (l'articolo verrà aggiornato man mano che mi verranno in mente altre città con nomi particolari, segnalazioni da parte di voi lettori sono benvenute).
1) Müllheim
Significato letterale: casa della spazzatura (Müll=spazzatura, Heim=casa).
Origine vera: casa del mugnaio, mulino (Müll come storpiatura di Mühlen).
2) Essen
Significato letterale: mangiare (se visto come verbo), cibo (se visto come sostantivo).
Origine vera: nessuna certezza, ma probabilmente storpiatura del tardo latino Asthnidi (nome di una famiglia nobile del medioevo).
3) Karlsruhe
Significato letterale: riposo di Carlo (Karl=Carlo, Ruhe=riposo).
Origine vera: corrisponde al significato letterale, anche se non è chiaro se si riferisca a Carlo Magno o a qualche altro Carlo dell'epoca.
4) Erlangen
Significato letterale: ottenere, aggiudicarsi.
Origine vera: ignota; si è cercato di ricondurla a un albero (Erle=ontano) o a un tipo di terreno (Anger=valle prativa), ma in realtà si tratta probabilmente di arrampicate sugli specchi.
5) Geilenkirchen
Significato letterale: chiese lascive, libidinose (Kirche=chiesa, geil=lascivo, libidinoso, ma oggi anche figo).
Origine vera: apparentemente l'origine del nome è dovuta un franco di nome Gelo che costruì nel luogo una chiesa di legno. Da lì il nome Gelos Kirche (chiesa di Gelo) che nel corso del tempo si è trasformato in Geilenkirchen.
6) Darmstadt
Significato letterale: città dell'intestino (Darm=intestino, Stadt=città).
Origine vera: ignota, ma ci sono diverse interpretazioni (per lo meno quattro).
7) Feucht
Significato letterale: umido, bagnato.
Origine vera: apparentemente deriva dal tedesco antico viuhtje - fichta da cui il tedesco moderno Fichte (abete rosso, peccio).
8) Mutterstadt
Significato letterale: città della mamma (Mutter=mamma, Stadt=città).
Origine vera: ignota, forse derivante dal nome di una famiglia locale.
9) Siegen
Significato letterale: vincere, trionfare.
Origine vera: deriva dal nome del fiume Sieg che attraversa la città e che a sua volta deriva dal celtico Sikkere, che significa fiume veloce, tumultuoso.
Aggiornamento 30.11.2018:
10) Friedrichshafen
Significato letterale: porto di Federico (Hafen=porto, Friedrich=Federico).
Origine vera: esattamente il significato letterale, città portuale lacustre denominata dal re del Württemberg durante il cui regno venne creata (Federico I, fondazione datata 1811).
Aggiornamento 12.12.2018:
11) Regensburg
Significato letterale: castello, fortezza di pioggia (Burg=castello, fortezza, Regen=pioggia).
Origine vera: in realtà viene dal latino Castra Regina, dove Regina però non siginifica il nostro regina, ma deriva dal celtico Regana, che siginifica corso d'acqua, corso del fiume, da cui il nome di uno dei fiumi di Regensburg: la Regen. E comunque, pioggia o fiume, sempre di acqua si tratta.
Aggiornamento 08.09.2019:
12) Landshut
Significato letterale: cappello della regione, del territorio (Land=regione, territorio, Hut=cappello).
Origine vera: in realtà corrisponde al significato letterale, dove cappello è inteso come protezione, riparo in quanto la posizione del castello permetteva la protezione e l'osservazione del territorio circostante.
Aggiornamento 09.09.2020:
13) Machtlos (in realtà non è una città, ma una frazione di Ronshausen)
Significato letterale: impotente (Macht=potere, los è un suffisso che indica assenza).
Origine vera: il primo documento in cui il paese viene nominato (secolo XIV) lo cita come villa Mechtolfes, dove Mechtolfes dovrebbe significare der mächtige Wolf, cioè "il lupo forte, potente"... di fatto esattamente il contrario del significato letterale attuale.
Aggiornamento 17.07.2021:
14) Schuld
Significato letterale: colpa.
Origine vera: il nome deriva probabilmente dal celtico scolta, il quale è a sua volta l'unione di scolt, cioè "curva, curvo", e aha, cioè "acque scorrenti". La descrizione corrisponde bene alla curva che il fiume Ahr compie nella località.
Saluti,
Mauro.
14) Schuld
Significato letterale: colpa.
Origine vera: il nome deriva probabilmente dal celtico scolta, il quale è a sua volta l'unione di scolt, cioè "curva, curvo", e aha, cioè "acque scorrenti". La descrizione corrisponde bene alla curva che il fiume Ahr compie nella località.
Aggiornamento 24.02.2022:
15) Freudenstadt
Significato letterale: città della gioia (Freude=gioia, Stadt=città).
Origine vera: per quanto incredibile possa sembrare... il significato letterale è anche quello originario, essendo stato deciso dal duca del Württemberg in persona quando a cavallo tra 16° e 17° decise di fondare la città, creandola a tavolino.
15) Freudenstadt
Significato letterale: città della gioia (Freude=gioia, Stadt=città).
Origine vera: per quanto incredibile possa sembrare... il significato letterale è anche quello originario, essendo stato deciso dal duca del Württemberg in persona quando a cavallo tra 16° e 17° decise di fondare la città, creandola a tavolino.
Aggiornamento 02.04.2022:
16) Kotzen
Significato letterale: vomitare.
Origine vera: il nome è in realtà di origine slava, non germanica, e significa "il luogo dove crescono piante pelose", la grafia con cui venne citato per la prima volta era Cozym.
16) Kotzen
Significato letterale: vomitare.
Origine vera: il nome è in realtà di origine slava, non germanica, e significa "il luogo dove crescono piante pelose", la grafia con cui venne citato per la prima volta era Cozym.
Aggiornamento 02.04.2022:
17) Benzin (in realtà non è una città, ma una frazione di Kritzow)
Significato letterale: benzina.
Origine vera: non sono purtroppo riuscito a trovare fonti, ma tenendo conto sia della posizione geografica che dell'epoca in cui venne citato per la prima volta, di sicuro non può avere a che fare con petrolio, benzina o simili.
17) Benzin (in realtà non è una città, ma una frazione di Kritzow)
Significato letterale: benzina.
Origine vera: non sono purtroppo riuscito a trovare fonti, ma tenendo conto sia della posizione geografica che dell'epoca in cui venne citato per la prima volta, di sicuro non può avere a che fare con petrolio, benzina o simili.
Aggiornamento 01.09.2022:
18) Poppendorf
Significato letterale: villaggio (Dorf) dove si scopa (poppen=scopare... ma non mi riferisco alle pulizie in casa).
Origine vera: non sono purtroppo riuscito a trovare spiegazioni sull'origine del nome, tranne che è molto probabilmente di origine slava, poi germanizzato. Ma sono comunque sicuro non volesse dire quello che oggi letteralmente significa!
18) Poppendorf
Significato letterale: villaggio (Dorf) dove si scopa (poppen=scopare... ma non mi riferisco alle pulizie in casa).
Origine vera: non sono purtroppo riuscito a trovare spiegazioni sull'origine del nome, tranne che è molto probabilmente di origine slava, poi germanizzato. Ma sono comunque sicuro non volesse dire quello che oggi letteralmente significa!
Aggiornamento 13.07.2023:
19) Wolfsburg
Significato letterale: borgo, fortezza (Burg) del lupo (Wolf).
Origine vera: la città è in realtà molto giovane, è stata fondata nel 1938 per accogliere gli operai della neonata Volkswagen e all'inizio era chiamata Stadt des Kdf-Wagens (città dell'automobile KdF). Nel 1945 il suo nome venne cambiato in Wolfsburg, prendendolo dal vicino castello. Quindi in realtà il nome per la città non ha un vero significato, ma il nome del castello ha veramente il suo significato letterale, trattandosi di una zona nel medioevo (periodo di fondazione del castello stesso) ricca di lupi.
Origine vera: la città è in realtà molto giovane, è stata fondata nel 1938 per accogliere gli operai della neonata Volkswagen e all'inizio era chiamata Stadt des Kdf-Wagens (città dell'automobile KdF). Nel 1945 il suo nome venne cambiato in Wolfsburg, prendendolo dal vicino castello. Quindi in realtà il nome per la città non ha un vero significato, ma il nome del castello ha veramente il suo significato letterale, trattandosi di una zona nel medioevo (periodo di fondazione del castello stesso) ricca di lupi.
Aggiornamento 25.02.2024:
20) Ohne
Significato letterale: senza.
Origine vera: centro abitato di antica origine (zona abitata già dal paleolitico). Sono riuscito a trovare l'antica radice franca di epoca carolingia del nome (Oen), ma non il suo significato originale.
Origine vera: centro abitato di antica origine (zona abitata già dal paleolitico). Sono riuscito a trovare l'antica radice franca di epoca carolingia del nome (Oen), ma non il suo significato originale.
Aggiornamento 02.05.2024:
21) Hölle (in realtà non è una città, ma una frazione di Naila)
Significato letterale: inferno.
Origine vera: Le uniche informazioni fanno risalire il nome al 1565 e sembrano confermare il significato letterale, visto che si parla come origine del borgo di una fucina il cui padrone era un senza Dio che imponeva ai suoi dipendenti di lavorare anche nelle feste comandate. Ma, se chiedete il mio parere... credo che la vera origine sia una qualche antica parola germanica il cui significato e la cui grafia si sono ormai perse.
21) Hölle (in realtà non è una città, ma una frazione di Naila)
Significato letterale: inferno.
Origine vera: Le uniche informazioni fanno risalire il nome al 1565 e sembrano confermare il significato letterale, visto che si parla come origine del borgo di una fucina il cui padrone era un senza Dio che imponeva ai suoi dipendenti di lavorare anche nelle feste comandate. Ma, se chiedete il mio parere... credo che la vera origine sia una qualche antica parola germanica il cui significato e la cui grafia si sono ormai perse.
Mauro.
I misteri del tedesco - Lista completa
venerdì 16 novembre 2018
Tutti gli a zonzo per...
Quando vado un po' in giro mi piace poi pubblicare qui sul blog qualcosa del mio turismo.
Scelgo tre foto della città dove sono stato e le pubblico con brevi commenti.
Le foto che scelgo non rappresentano quanto di più bello, significativo o famoso c'è in quella città, ma solo cose particolari che mi hanno colpito.
Per ora lo ho fatto con le seguenti città:
- Praga
- Brugge
- Potsdam
- Londra
- Brema
- Würzburg
- Bamberg
- Ratisbona (aggiornamento 01.05.2019)
- Sestri Levante (aggiornamento 03.05.2019)
- Salisburgo (aggiornamento 09.09.2019)
- Chiemsee (aggiornamento 17.09.2019... sì, lo so, il Chiemsee non è una città)
Scelgo tre foto della città dove sono stato e le pubblico con brevi commenti.
Le foto che scelgo non rappresentano quanto di più bello, significativo o famoso c'è in quella città, ma solo cose particolari che mi hanno colpito.
Per ora lo ho fatto con le seguenti città:
- Praga
- Brugge
- Potsdam
- Londra
- Brema
- Würzburg
- Bamberg
- Ratisbona (aggiornamento 01.05.2019)
- Sestri Levante (aggiornamento 03.05.2019)
- Salisburgo (aggiornamento 09.09.2019)
- Chiemsee (aggiornamento 17.09.2019... sì, lo so, il Chiemsee non è una città)
- Bayreuth (aggiornamento 20.12.2020)
- Amburgo (aggiornamento 22.12.2020)
- Genova (aggiornamento 08.01.2021)
- Val Trebbia (aggiornamento 04.09.2021... anche qui, lo so, la Val Trebbia non è una città)
- Parigi (aggiornamento 09.09.2021)
- Monaco di Baviera (aggiornamento 14.12.2021)
- Rothenburg ob der Tauber (aggiornamento 05.04.2022)
- Stella (aggiornamento 28.04.2022)
- Parigi (aggiornamento 09.09.2021)
- Monaco di Baviera (aggiornamento 14.12.2021)
- Rothenburg ob der Tauber (aggiornamento 05.04.2022)
- Stella (aggiornamento 28.04.2022)
- Genova 2 (aggiornamento 08.07.2022)
- Scansano (aggiornamento 10.07.2022)
- Colonia (aggiornamento 05.08.2022)
- Auerbach in der Oberpfalz (aggiornamento 08.08.2022)
- Poligono militare di Grafenwöhr (aggiornamento 30.08.2022... sì, lo so, non è ufficialmente una città, ma di fatto lo è)
- Scansano (aggiornamento 10.07.2022)
- Colonia (aggiornamento 05.08.2022)
- Auerbach in der Oberpfalz (aggiornamento 08.08.2022)
- Poligono militare di Grafenwöhr (aggiornamento 30.08.2022... sì, lo so, non è ufficialmente una città, ma di fatto lo è)
- Monaco di Baviera 2 (aggiornamento 11.04.2023)
- Kassel (aggiornamento 02.05.2023)
- Beigua (aggiornamento 24.12.2023... sì, lo so, è un monte, non una città... e oltretutto avevo già pubblicato relativamente al Beigua ad aprile, ma l'articolo è sparito)
Gli "a zonzo" apocrifi:
- Dresda città nera
Altre seguiranno in futuro. E questo elenco verrà continuamente aggiornato.
Saluti,
Mauro.
- Dresda città nera
Altre seguiranno in futuro. E questo elenco verrà continuamente aggiornato.
Saluti,
Mauro.
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giovedì 15 novembre 2018
A zonzo per Bamberg
Camminando per Bamberg ci si può imbattere in una bicicletta che vi fa il caffé:
Ma anche in monaci rossi accovacciati:
Saluti,
Mauro.
Ma anche in monaci rossi accovacciati:
E i milanesi che amano la birra possono trovare una birreria molto "ambrosiana" (Bräu in tedesco può indicare tanto birra quanto birrificio o birreria):
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui tutti gli "A zonzo per...".
Qui tutti gli "A zonzo per...".
mercoledì 14 novembre 2018
Germania: Ombre dal passato
Qui in Germania fino al 14 marzo scorso esisteva il Ministero degli Interni, in tedesco Bundesministerium des Innern, guidato - ovviamente - dal ministro degli Interni, alias Bundesminister des Innern.
E tale ministero era esattamente quello che è il Ministero degli Interni in Italia. A parte alcune competenze che in Germania appartengono ai singoli Länder, ma queste sono nel globale secondarie.
Ora voi mi chiederete: perché fino al 14 marzo? Cosa è successo quel giorno?
Il 14 marzo 2018 si è semplicemente insediato il nuovo governo federale tedesco. Ebbene? E allora? Mica è la prima volta che in Germania si insedia un nuovo governo.
Vero, tutto vero, ma quel giorno il Bundesministerium des Innern ha smesso di esistere ed è nato il Bundesministerium des Innern, für Bau und Heimat.
Che tradotto letteralmente significa Ministero degli Interni, per l'Edilizia e la Patria.
Nuova denominazione fortemente voluta dalla bavarese CSU e dal suo leader (ora dimissionario) Horst Seehofer.
Ora, quell'Heimat ricorda ben altri governi, non proprio democratici... molti di voi avranno (giustamente) pensato al nazifascismo (e i più esperti di storia avranno magari anche associato il discorso Edilizia ad Albert Speer).
Aggiungiamoci che la Baviera ai tempi di Hitler era la regione più fortemente nazista della Germania e che la CSU oggi si sta spostando sempre più a destra, confondendosi quasi in alcuni punti con la AfD e capirete che quel nome, quel nuovo nome del ministero non suona certo promettente...
Saluti,
Mauro.
E tale ministero era esattamente quello che è il Ministero degli Interni in Italia. A parte alcune competenze che in Germania appartengono ai singoli Länder, ma queste sono nel globale secondarie.
Ora voi mi chiederete: perché fino al 14 marzo? Cosa è successo quel giorno?
Il 14 marzo 2018 si è semplicemente insediato il nuovo governo federale tedesco. Ebbene? E allora? Mica è la prima volta che in Germania si insedia un nuovo governo.
Vero, tutto vero, ma quel giorno il Bundesministerium des Innern ha smesso di esistere ed è nato il Bundesministerium des Innern, für Bau und Heimat.
Che tradotto letteralmente significa Ministero degli Interni, per l'Edilizia e la Patria.
Nuova denominazione fortemente voluta dalla bavarese CSU e dal suo leader (ora dimissionario) Horst Seehofer.
Ora, quell'Heimat ricorda ben altri governi, non proprio democratici... molti di voi avranno (giustamente) pensato al nazifascismo (e i più esperti di storia avranno magari anche associato il discorso Edilizia ad Albert Speer).
Aggiungiamoci che la Baviera ai tempi di Hitler era la regione più fortemente nazista della Germania e che la CSU oggi si sta spostando sempre più a destra, confondendosi quasi in alcuni punti con la AfD e capirete che quel nome, quel nuovo nome del ministero non suona certo promettente...
Saluti,
Mauro.
lunedì 12 novembre 2018
Due principi per l'integrazione
Prima di fraintenderci: in questo articolo non parlo di cittadinanza. L'integrazione riguarda chiunque viva in un paese diverso da quello di nascita, indipendentemente dal fatto che voglia/possa richiederne la cittadinanza.
Quando si parla di integrazione bisognerebbe distinguere tra due livelli: quello burocratico e quello sociale.
A livello burocratico quando mi trasferisco in un altro Stato io ho il dovere di informarmi su quali documenti e condizioni servono per ottenere il diritto di vivere e lavorare in quello Stato (e poi presentarli completi alle autorità locali) e detto Stato ha il dovere di mettermi a disposizione uffici che mi aiutino a orientarmi riguardo alle procedure burocratiche (generalmente si tratta di sportelli appositi presso gli uffici anagrafe, ma il come e il dove in fondo è secondario).
E... e tutto qui. A parte il sottinteso dovere poi di rispettare la legge, né io come persona né lo Stato che mi accoglie abbiamo altri doveri.
Però parliamoci chiaro: questo esaurisce la parte burocratica dell'integrazione ma se ci si limita a quello non si va poi molto lontano.
Uno é sì a posto legalmente, ma socialmente rischia di rimanere un escluso, di vivere tra casa e ufficio (o officina o fabbrica o che altro sia) e stop.
Ci sono persone che sono contente così, ma la maggioranza non si accontenta.
Come fare per integrarsi socialmente?
Su questo tema si può discutere all'infinito.
È chiaro che serve volontà da entrambe le parti: da parte di chi arriva di inserirsi nella nuova realtà e da parte del paese di arrivo di agevolare l'inserimento di chi ha questa volontà.
Ed è chiaro anche che serve, da parte di detto paese, un approccio diverso verso chi arriva per scelta senza tragedie alle spalle (come il sottoscritto che si è trasferito in Germania perché voleva fare esperienze internazionali e poi qui si è fermato) e verso chi scappa da situazioni di guerra, persecuzione o anche solo estrema povertà.
Però a mio parere ci sono due punti imprescindibili che riguardano tutti coloro che arrivano in un nuovo paese, indipendentemente dal modo e dal perché ci arrivino.
Se tu arrivi in un nuovo paese hai comunque due doveri:
1) la tua religione, le tue tradizioni, le tue convinzioni personali vengono dopo la legge del paese che ti accoglie; se - per esempio - un precetto della tua religione va contro la legge del paese che ti accoglie... mi dispiace per il tuo dio, ma non hai diritto a eccezioni, devi buttare via quel precetto e rispettare la legge;
2) non puoi venirmi a dire che tanto l'inglese lo parlano ormai tutti o che la comunità di tuoi connazionali in quel paese è sufficientemente vasta da permetterti di andare avanti con la tua lingua; no, devi imparare a farti capire nella lingua del luogo (non serve impararla alla perfezione, basta un livello di base, ma comprendente la grammatica... quindi che vada oltre le poche parole - spesso poi in dialetto - che impari sul posto di lavoro ascoltando i colleghi).
Ecco, se tu non accetti questi due punti, non puoi pretendere nulla dallo Stato che ti accoglie a parte l'aiuto per le procedure di registrazione citato all'inizio.
Se invece accetti questi due punti, poi puoi anche chiedere allo Stato di venirti incontro mettendoti a disposizione corsi di lingua ed eventualmente corsi che ti spieghino le leggi che ti riguardano e possibili "collisioni" con pratiche religiose, culturali o altro a cui sei abituato.
Saluti,
Mauro.
Quando si parla di integrazione bisognerebbe distinguere tra due livelli: quello burocratico e quello sociale.
A livello burocratico quando mi trasferisco in un altro Stato io ho il dovere di informarmi su quali documenti e condizioni servono per ottenere il diritto di vivere e lavorare in quello Stato (e poi presentarli completi alle autorità locali) e detto Stato ha il dovere di mettermi a disposizione uffici che mi aiutino a orientarmi riguardo alle procedure burocratiche (generalmente si tratta di sportelli appositi presso gli uffici anagrafe, ma il come e il dove in fondo è secondario).
E... e tutto qui. A parte il sottinteso dovere poi di rispettare la legge, né io come persona né lo Stato che mi accoglie abbiamo altri doveri.
Però parliamoci chiaro: questo esaurisce la parte burocratica dell'integrazione ma se ci si limita a quello non si va poi molto lontano.
Uno é sì a posto legalmente, ma socialmente rischia di rimanere un escluso, di vivere tra casa e ufficio (o officina o fabbrica o che altro sia) e stop.
Ci sono persone che sono contente così, ma la maggioranza non si accontenta.
Come fare per integrarsi socialmente?
Su questo tema si può discutere all'infinito.
È chiaro che serve volontà da entrambe le parti: da parte di chi arriva di inserirsi nella nuova realtà e da parte del paese di arrivo di agevolare l'inserimento di chi ha questa volontà.
Ed è chiaro anche che serve, da parte di detto paese, un approccio diverso verso chi arriva per scelta senza tragedie alle spalle (come il sottoscritto che si è trasferito in Germania perché voleva fare esperienze internazionali e poi qui si è fermato) e verso chi scappa da situazioni di guerra, persecuzione o anche solo estrema povertà.
Però a mio parere ci sono due punti imprescindibili che riguardano tutti coloro che arrivano in un nuovo paese, indipendentemente dal modo e dal perché ci arrivino.
Se tu arrivi in un nuovo paese hai comunque due doveri:
1) la tua religione, le tue tradizioni, le tue convinzioni personali vengono dopo la legge del paese che ti accoglie; se - per esempio - un precetto della tua religione va contro la legge del paese che ti accoglie... mi dispiace per il tuo dio, ma non hai diritto a eccezioni, devi buttare via quel precetto e rispettare la legge;
2) non puoi venirmi a dire che tanto l'inglese lo parlano ormai tutti o che la comunità di tuoi connazionali in quel paese è sufficientemente vasta da permetterti di andare avanti con la tua lingua; no, devi imparare a farti capire nella lingua del luogo (non serve impararla alla perfezione, basta un livello di base, ma comprendente la grammatica... quindi che vada oltre le poche parole - spesso poi in dialetto - che impari sul posto di lavoro ascoltando i colleghi).
Ecco, se tu non accetti questi due punti, non puoi pretendere nulla dallo Stato che ti accoglie a parte l'aiuto per le procedure di registrazione citato all'inizio.
Se invece accetti questi due punti, poi puoi anche chiedere allo Stato di venirti incontro mettendoti a disposizione corsi di lingua ed eventualmente corsi che ti spieghino le leggi che ti riguardano e possibili "collisioni" con pratiche religiose, culturali o altro a cui sei abituato.
Saluti,
Mauro.
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venerdì 9 novembre 2018
Un giorno nella storia della Germania
Il 9 novembre, un giorno nella storia della Germania.
Anzi più giorni: bisognerebbe parlare dei 9 novembre, non del 9 novembre.
1918. 1938. 1989.
Tante cose sono successe in Germania il 9 novembre. E non cose da poco. Se uno credesse a cose come il destino si potrebbe dire che il 9 novembre è il giorno del destino in Germania.
9 novembre 1918: proclamazione della repubblica.
Verso la fine della prima guerra mondiale in Germania, come anche altrove, si verificarono rivolte e tumulti causati in primis dall'insistere nel combattere pur essendo la guerra ormai chiaramente persa, ma anche dalla mancanza di democrazia e di generi di prima necessità.
L'inizio della fine venne dato dalla rivolta dei marinai nei porti militari di Wilhelmshaven e Kiel e si estese velocemente arrivando in breve a Berlino.
Il culmine si raggiunse appunto il 9 novembre quando a Weimar venne proclamata la repubblica con tanto di nuova Costituzione (tra l'altro una buona Costituzione, anche se nel secondo dopoguerra venne ignorata quando si trattò di redigere la nuova Costituzione della Repubblica Federale Tedesca).
L'imperatore rinunciò ufficialmente al trono pochi giorni dopo.
9 novembre 1938: notte dei cristalli.
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 vennero organizzati in tutta la Germania (ma anche in Austria e Cecoslovacchia) attacchi ai cittadini ebrei e alle loro proprietà. Gli ebrei erano sì già cittadini di serie B per la legge, ma fino a quel momento non si era verificata una persecuzione violenta (certo casi isolati di aggressioni sì, ma non una vera e propria persecuzione organizzata).
Quella notte molti ebrei vennero deportati, alcuni uccisi, i loro beni confiscati, sinagoghe e negozi di loro proprietà bruciati.
Se fino ad allora gli ingenui e i poco informati potevano sperare nel nazismo come in una specie di incidente di percorso da cui uscire magari con un paio di ammaccature ma senza grossi danni, quella notte ogni speranza venne seppellita.
Si potrebbe quasi dire che in realtà la seconda guerra mondiale cominciò quella notte.
9 novembre 1989: caduta del muro.
E qui, vista la vicinanza nel tempo, la storia è in parte ancora cronaca.
Nell'autunno 1989, soprattutto a seguito delle aperture concesse da Gorbaciov in Unione Sovietica, in Germania Est (o Repubblica Democratica Tedesca) ci fu un'ondata di manifestazioni e proteste (in grandissima parte, ma non totalmente, pacifiche) che portò il 9 novembre alla concessione da parte del governo comunista dell'apertura delle frontiere con Berlino Ovest (sì, all'inizio l'apertura avrebbe dovuto essere solo tra le due Berlino) scatenando un imprevisto (dal governo) movimento di massa con gente che scavalcò il muro anche arrampicandocisi sopra e di fatto dando la prima e più importante picconata per il suo crollo.
Da lì poi derivarono tutti gli avvenimenti successivi, che il 3 ottobre 1990 portarono la DDR a entrare nella BRD dissolvendosi come stato autonomo.
È interessante notare che, nonostante l'importanza dei 9 novembre 1918 e 1989, questa data non è festività ufficiale in Germania.
Perché? I vari partiti presenti in Parlamento negli anni subito successivi alla riunificazione volevano evitare il rischio che neonazisti ed estreme destre varie ne approfittassero per celebrare ufficialmente il 9 novembre 1938.
Per questo la festività ufficiale è il 3 ottobre e non il 9 novembre.
Saluti,
Mauro.
Anzi più giorni: bisognerebbe parlare dei 9 novembre, non del 9 novembre.
1918. 1938. 1989.
Tante cose sono successe in Germania il 9 novembre. E non cose da poco. Se uno credesse a cose come il destino si potrebbe dire che il 9 novembre è il giorno del destino in Germania.
9 novembre 1918: proclamazione della repubblica.
Verso la fine della prima guerra mondiale in Germania, come anche altrove, si verificarono rivolte e tumulti causati in primis dall'insistere nel combattere pur essendo la guerra ormai chiaramente persa, ma anche dalla mancanza di democrazia e di generi di prima necessità.
L'inizio della fine venne dato dalla rivolta dei marinai nei porti militari di Wilhelmshaven e Kiel e si estese velocemente arrivando in breve a Berlino.
Il culmine si raggiunse appunto il 9 novembre quando a Weimar venne proclamata la repubblica con tanto di nuova Costituzione (tra l'altro una buona Costituzione, anche se nel secondo dopoguerra venne ignorata quando si trattò di redigere la nuova Costituzione della Repubblica Federale Tedesca).
L'imperatore rinunciò ufficialmente al trono pochi giorni dopo.
9 novembre 1938: notte dei cristalli.
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 vennero organizzati in tutta la Germania (ma anche in Austria e Cecoslovacchia) attacchi ai cittadini ebrei e alle loro proprietà. Gli ebrei erano sì già cittadini di serie B per la legge, ma fino a quel momento non si era verificata una persecuzione violenta (certo casi isolati di aggressioni sì, ma non una vera e propria persecuzione organizzata).
Quella notte molti ebrei vennero deportati, alcuni uccisi, i loro beni confiscati, sinagoghe e negozi di loro proprietà bruciati.
Se fino ad allora gli ingenui e i poco informati potevano sperare nel nazismo come in una specie di incidente di percorso da cui uscire magari con un paio di ammaccature ma senza grossi danni, quella notte ogni speranza venne seppellita.
Si potrebbe quasi dire che in realtà la seconda guerra mondiale cominciò quella notte.
9 novembre 1989: caduta del muro.
E qui, vista la vicinanza nel tempo, la storia è in parte ancora cronaca.
Nell'autunno 1989, soprattutto a seguito delle aperture concesse da Gorbaciov in Unione Sovietica, in Germania Est (o Repubblica Democratica Tedesca) ci fu un'ondata di manifestazioni e proteste (in grandissima parte, ma non totalmente, pacifiche) che portò il 9 novembre alla concessione da parte del governo comunista dell'apertura delle frontiere con Berlino Ovest (sì, all'inizio l'apertura avrebbe dovuto essere solo tra le due Berlino) scatenando un imprevisto (dal governo) movimento di massa con gente che scavalcò il muro anche arrampicandocisi sopra e di fatto dando la prima e più importante picconata per il suo crollo.
Da lì poi derivarono tutti gli avvenimenti successivi, che il 3 ottobre 1990 portarono la DDR a entrare nella BRD dissolvendosi come stato autonomo.
È interessante notare che, nonostante l'importanza dei 9 novembre 1918 e 1989, questa data non è festività ufficiale in Germania.
Perché? I vari partiti presenti in Parlamento negli anni subito successivi alla riunificazione volevano evitare il rischio che neonazisti ed estreme destre varie ne approfittassero per celebrare ufficialmente il 9 novembre 1938.
Per questo la festività ufficiale è il 3 ottobre e non il 9 novembre.
Saluti,
Mauro.
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domenica 4 novembre 2018
Originale?
O è il TUC originale o è una nuova ricetta. Decidetevi.
Comunque tranquilli: il consumatore medio non noterà la contraddizione. È un analfabeta funzionale. E a quanto pare il vostro marketing lo sa.
Saluti,
Mauro.
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giovedì 1 novembre 2018
Non voglio né più Europa né meno Europa
Ma ciò non significa che mi va bene l'Europa, la UE così com'è, con le competenze trasferite all'Europa e le competenze lasciate ai singoli stati.
E non è neanche che io considero la UE come è organizzata ora fatta bene: ci sono cose che sono state pensate bene e che funzionano bene e cose che sarebbero completamente da rifare.
Ma il punto non è cosa funziona bene e cosa no.
Il punto è se serve più Europa o se ce n'è in realtà troppa.
Bene: per me né l'una, né l'altra cosa.
Io non voglio più Europa. Io voglio solo Europa.
Io vorrei finalmente veder sparire Italia, Germania, Francia e compagnia bella come stati indipendenti e veder nascere uno stato unitario europeo.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
So che è scorretto, ma in quanto scritto sopra ho usato Europa e UE come sinonimi.
In termini attuali e politici con entrambi i termini intendo logicamente sempre e solo la UE.
E non è neanche che io considero la UE come è organizzata ora fatta bene: ci sono cose che sono state pensate bene e che funzionano bene e cose che sarebbero completamente da rifare.
Ma il punto non è cosa funziona bene e cosa no.
Il punto è se serve più Europa o se ce n'è in realtà troppa.
Bene: per me né l'una, né l'altra cosa.
Io non voglio più Europa. Io voglio solo Europa.
Io vorrei finalmente veder sparire Italia, Germania, Francia e compagnia bella come stati indipendenti e veder nascere uno stato unitario europeo.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
So che è scorretto, ma in quanto scritto sopra ho usato Europa e UE come sinonimi.
In termini attuali e politici con entrambi i termini intendo logicamente sempre e solo la UE.
mercoledì 31 ottobre 2018
Quiz geografico 3
A maggio vi proposi due quiz geografici (link in fondo a questo articolo).
Ora me ne è venuto in mente un altro, sempre legato alle coordinate geografiche come il secondo di allora.
Dei 50 stati federali degli Stati Uniti d'America, quale contiene in sé l'estremo punto sud degli USA, quale l'estremo punto nord, quale l'estremo punto est e quale l'estremo punto ovest?
Almeno una delle quattro risposte non è per niente banale.
Saluti,
Mauro.
Altre puntate:
Quiz geografico 1
Quiz geografico 2
Ora me ne è venuto in mente un altro, sempre legato alle coordinate geografiche come il secondo di allora.
Dei 50 stati federali degli Stati Uniti d'America, quale contiene in sé l'estremo punto sud degli USA, quale l'estremo punto nord, quale l'estremo punto est e quale l'estremo punto ovest?
Almeno una delle quattro risposte non è per niente banale.
Saluti,
Mauro.
Altre puntate:
Quiz geografico 1
Quiz geografico 2
lunedì 29 ottobre 2018
Cose viste a Lauf an der Pegnitz - Reazioni da Genova
Due giorni fa vi raccontai qui di una cosa vista a Lauf an der Pegnitz ispirata da un'opera presente al Museo di Sant'Agostino.
Su Facebook la segnalai al Museo stesso (non cercatela sulla mia pagina: gliela segnalai con messaggio privato) e oggi il conservatore del Museo mi ha risposto:
Lo scultore Berndt Wagner venne ospitato nel Museo di Sant'Agostino per una importante mostra. Ispirato dalle opere esposte, ne produsse di proprie e una, simile a quella in foto, la donò al Museo, che tuttora la conserva (è rimasta esposta all'ingresso del Museo fino alla scorsa primavera). E' bello che tale esperienza sia rimasta viva e venga ricordata nella patria dell'artista. Grazie per la segnalazione. Adelmo Taddei, Conservatore del Museo
Grazie Dottor Taddei!
Saluti,
Mauro.
Su Facebook la segnalai al Museo stesso (non cercatela sulla mia pagina: gliela segnalai con messaggio privato) e oggi il conservatore del Museo mi ha risposto:
Lo scultore Berndt Wagner venne ospitato nel Museo di Sant'Agostino per una importante mostra. Ispirato dalle opere esposte, ne produsse di proprie e una, simile a quella in foto, la donò al Museo, che tuttora la conserva (è rimasta esposta all'ingresso del Museo fino alla scorsa primavera). E' bello che tale esperienza sia rimasta viva e venga ricordata nella patria dell'artista. Grazie per la segnalazione. Adelmo Taddei, Conservatore del Museo
Grazie Dottor Taddei!
Saluti,
Mauro.
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sabato 27 ottobre 2018
Cose viste a Lauf an der Pegnitz
A quanto pare la Franconia - parte un po' ribelle della Baviera - ha deciso di genovesizzarsi.
Dopo quello che vi ho riportato qui su Bayreuth, oggi (anzi ormai ieri, la mezzanotte è passata) a Lauf an der Pegnitz nella vetrina dell'atelier di uno scultore ho visto questo:
Lo so, la foto non è granché, ma ho fotografato attraverso una vetrina...
E Augustino al posto di Agostino non si può accettare...
Ma rimane il fatto che un'opera conservata al Museo di Sant'Agostino a Genova ha ispirato un artista locale.
Saluti,
Mauro.
Dopo quello che vi ho riportato qui su Bayreuth, oggi (anzi ormai ieri, la mezzanotte è passata) a Lauf an der Pegnitz nella vetrina dell'atelier di uno scultore ho visto questo:
Lo so, la foto non è granché, ma ho fotografato attraverso una vetrina...
E Augustino al posto di Agostino non si può accettare...
Ma rimane il fatto che un'opera conservata al Museo di Sant'Agostino a Genova ha ispirato un artista locale.
Saluti,
Mauro.
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domenica 21 ottobre 2018
martedì 16 ottobre 2018
Porche istituzioni
No, non sono io che ce l'ho con le istituzioni (almeno non in questo momento), ma è Google Maps che fa un po' di confusione.
Guardate cosa ci propone nella località di Funo, in provincia di Bologna:
Guardate cosa ci propone nella località di Funo, in provincia di Bologna:
In tedesco Behörde significa ente, istituzione pubblica... ma lì si tratta di un salumificio (va be' che siamo in Emilia, però mi sembra un pochino improbabile...).
Se volete controllare da soli, andate qui.
Saluti,
Mauro.
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sabato 13 ottobre 2018
Riformare i centri per l'impiego non serve
Il governo gialloverde vuole riformare i centri per l'impiego (per noi vecchi: uffici di collocamento) come misura per combattere la disoccupazione.
Ma su che pianeta vivono?
I centri per l'impiego sono strumenti di intermediazione... se il lavoro non c'è, cosa cavolo possono fare i centri per l'impiego, sia che funzionino bene, sia che funzionino male?
Bisogna intervenire sulla creazione del lavoro prima che sull'intermediazione tra domanda e offerta.
Perché vi garantisco: se il lavoro c'è... in un modo o nell'altro domanda e offerta si incontrano (con centri per l'impiego efficienti magari in maniera più efficace, ma alla fine le posizioni si riempiono anche senza centri per l'impiego efficienti).
Se non c'è... un centro per l'impiego ben funzionante può al massimo contribuire a riempire le poche posizioni che si liberano nella maniera più veloce e competente... ma mai potrà contribuire a creare nuovi posti di lavoro.
Salvo che non sia incaricato anche di creare posizioni fittizie pur di dare uno stipendio a qualcuno (ergo trasformare il suo compito da ente di intermediazione a ente di assistenza).
Rendere più efficienti i centri per l'impiego non è certo da denigrare, anzi. Ma non è neanche la priorità.
La priorità è introdurre politiche industriali e infrastrutturali che creino lavoro.
Ma industria e infrastrutture sono parole cancellate dal vocabolario del M5S (ma anche politica, eh, se non nei casi in cui la si può usare a sproposito).
Saluti,
Mauro.
Ma su che pianeta vivono?
I centri per l'impiego sono strumenti di intermediazione... se il lavoro non c'è, cosa cavolo possono fare i centri per l'impiego, sia che funzionino bene, sia che funzionino male?
Bisogna intervenire sulla creazione del lavoro prima che sull'intermediazione tra domanda e offerta.
Perché vi garantisco: se il lavoro c'è... in un modo o nell'altro domanda e offerta si incontrano (con centri per l'impiego efficienti magari in maniera più efficace, ma alla fine le posizioni si riempiono anche senza centri per l'impiego efficienti).
Se non c'è... un centro per l'impiego ben funzionante può al massimo contribuire a riempire le poche posizioni che si liberano nella maniera più veloce e competente... ma mai potrà contribuire a creare nuovi posti di lavoro.
Salvo che non sia incaricato anche di creare posizioni fittizie pur di dare uno stipendio a qualcuno (ergo trasformare il suo compito da ente di intermediazione a ente di assistenza).
Rendere più efficienti i centri per l'impiego non è certo da denigrare, anzi. Ma non è neanche la priorità.
La priorità è introdurre politiche industriali e infrastrutturali che creino lavoro.
Ma industria e infrastrutture sono parole cancellate dal vocabolario del M5S (ma anche politica, eh, se non nei casi in cui la si può usare a sproposito).
Saluti,
Mauro.
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giovedì 4 ottobre 2018
A zonzo per Würzburg
Vecchie buche per le lettere ancora in uso:
Micioni in giro per la città:
Raccolta differenziata nei bagni:
Saluti,
Mauro.
Micioni in giro per la città:
Raccolta differenziata nei bagni:
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui tutti gli "A zonzo per...".
Qui tutti gli "A zonzo per...".
martedì 2 ottobre 2018
Il Nobel per la Fisica 2018
Oggi sono stati resi noti i nomi degli scienziati premiati col Nobel per la Fisica quest'anno, 2018.
Essi sono: Arthur Ashkin, Gérard Mourou e Donna Strickland (se qualche SJW si scandalizza perché ho citato l'unica donna per terza, vada a quel paese: sono citati in ordine alfabetico del cognome, come fa anche la Fondazione Nobel e come è giusto che sia).
La motivazione (qui la pagina della Fondazione Nobel al proposito) dice:
Essi sono: Arthur Ashkin, Gérard Mourou e Donna Strickland (se qualche SJW si scandalizza perché ho citato l'unica donna per terza, vada a quel paese: sono citati in ordine alfabetico del cognome, come fa anche la Fondazione Nobel e come è giusto che sia).
La motivazione (qui la pagina della Fondazione Nobel al proposito) dice:
The Nobel Prize in Physics 2018 was awarded "for groundbreaking inventions in the field of laser physics" with one half to Arthur Ashkin "for the optical tweezers and their application to biological Systems", the other half jointly to Gérard Mourou and Donna Strickland "for their method of generating high-intensity, ultra-short optical pulses".
I lavori premiati sono di levatura eccezionale e degni del massimo rispetto e ammirazione (soprattutto quello di Ashkin e non è casuale che a lui vada la parte grossa del premio e che questo non sia stato diviso in tre parti uguali), ma nella motivazione c'é una parolina che mi fa storcere il naso: inventions.
Cioè i tre premiati hanno sì fatto cose eccezionali, ma non hanno scoperto nulla di fondamentale, hanno "solo" applicato al massimo livello scoperte precedenti, principi e leggi già conosciute.
Certo, non siamo al livello che contestai nel 2009 (dove il Nobel per Fisica divenne un premio a pure realizzazioni ingegneristiche neanche poi tanto incredibili, come scrissi qui), qui il livello è di molto, moltissimo superiore... ma siamo pur sempre nel campo delle invenzioni, non delle scoperte.
Io come fisico sono forse antiquato (o troppo idealista), ma per me un premio Nobel per la Fisica andrebbe assegnato a scoperte, a nuove teorie, eventualmente a conferme sperimentali di teorie e intuizioni, ma non a invenzioni.
Se un anno non si riesce a trovare nulla in tal senso che meriti un premio, semplicemente non si assegna il premio. Stop.
Saluti,
Mauro.
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lunedì 1 ottobre 2018
Il fallimento del referendum macedone
...è in realtà colpa della Grecia.
Quasi tutti i mezzi di informazione riportano i risultati del referendum macedone (per esempio qui) dicendo, chi più esplicitamente chi meno, che la Macedonia ha così rifiutato l'Europa.
Di fatto, come risultato è vero: i macedoni (non facendo raggiungere il quorum al Referendum) hanno bloccato ogni possibilità a breve termine di fare entrare il paese nella UE e nella NATO.
Però diciamo le cose come stanno: i macedoni sono stati costretti dalla Grecia a fare ciò.
Perché?
Il Referendum, con quesito unico (cioè o accettavi tutto o rifiutavi tutto), chiedeva se si volevano le trattative per entrare nell'UE e nella NATO e se si accettava l'accordo con la Grecia per il cambio del nome del paese da Macedonia a Macedonia del Nord (o formulazione analoga).
La Grecia, infatti, come membro UE o NATO ha sempre posto il veto a ogni possibilità di accordo per l'ingresso della Macedonia nelle due istituzioni.
Perché la Grecia si comporta così?
Le motivazioni ufficiali sono due (entrambe assurde):
1) Il nome Macedonia è legato alla storia greca;
2) Il timore che la Macedonia abbia pretese territoriali sulla regione greca Macedonia (quella intorno a Salonicco, per intenderci).
Perché sono entrambe assurde?
1) La Macedonia di Filippo e di Alessandro Magno non era la Grecia (ai tempi Grecia e Macedonia erano concetti separati, non solo politicamente), infatti la combattè e la conquistò. Il fatto che Alessandro riconobbe la superiorità culturale greca (in realtà di fatto poi lui si rifece solo ad Atene, non a tutta la Grecia), non significa che lui ritenesse la Macedonia come greca. Oltretutto la Macedonia storica si estendava a cavallo tra tre stati odierni: Grecia, Macedonia e Bulgaria.
2) Per quanto la Grecia abbia le pezze al culo... cosa volete che reclami la Macedonia? I rapporti di forza sono tutti a favore della Grecia, nonostante tutto, sia politicamente che economicamente che militarmente. Per di più l'ingresso nella UE e nella NATO della Macedonia sarebbe il miglior antidoto a eventuali rivendicazioni territoriali, qualunque sia il nome dello stato.
Ma forse in realtà la Grecia con queste "importanti" rivendicazioni storiche (ma soprattutto nazionalistiche) vuole solo distrarre la propria gente da problemi ben più seri.
E per far ciò è disposta a limitare la libertà di altri paesi. Paesi indipendenti e non minacciosi.
Saluti,
Mauro.
Quasi tutti i mezzi di informazione riportano i risultati del referendum macedone (per esempio qui) dicendo, chi più esplicitamente chi meno, che la Macedonia ha così rifiutato l'Europa.
Di fatto, come risultato è vero: i macedoni (non facendo raggiungere il quorum al Referendum) hanno bloccato ogni possibilità a breve termine di fare entrare il paese nella UE e nella NATO.
Però diciamo le cose come stanno: i macedoni sono stati costretti dalla Grecia a fare ciò.
Perché?
Il Referendum, con quesito unico (cioè o accettavi tutto o rifiutavi tutto), chiedeva se si volevano le trattative per entrare nell'UE e nella NATO e se si accettava l'accordo con la Grecia per il cambio del nome del paese da Macedonia a Macedonia del Nord (o formulazione analoga).
La Grecia, infatti, come membro UE o NATO ha sempre posto il veto a ogni possibilità di accordo per l'ingresso della Macedonia nelle due istituzioni.
Perché la Grecia si comporta così?
Le motivazioni ufficiali sono due (entrambe assurde):
1) Il nome Macedonia è legato alla storia greca;
2) Il timore che la Macedonia abbia pretese territoriali sulla regione greca Macedonia (quella intorno a Salonicco, per intenderci).
Perché sono entrambe assurde?
1) La Macedonia di Filippo e di Alessandro Magno non era la Grecia (ai tempi Grecia e Macedonia erano concetti separati, non solo politicamente), infatti la combattè e la conquistò. Il fatto che Alessandro riconobbe la superiorità culturale greca (in realtà di fatto poi lui si rifece solo ad Atene, non a tutta la Grecia), non significa che lui ritenesse la Macedonia come greca. Oltretutto la Macedonia storica si estendava a cavallo tra tre stati odierni: Grecia, Macedonia e Bulgaria.
2) Per quanto la Grecia abbia le pezze al culo... cosa volete che reclami la Macedonia? I rapporti di forza sono tutti a favore della Grecia, nonostante tutto, sia politicamente che economicamente che militarmente. Per di più l'ingresso nella UE e nella NATO della Macedonia sarebbe il miglior antidoto a eventuali rivendicazioni territoriali, qualunque sia il nome dello stato.
Ma forse in realtà la Grecia con queste "importanti" rivendicazioni storiche (ma soprattutto nazionalistiche) vuole solo distrarre la propria gente da problemi ben più seri.
E per far ciò è disposta a limitare la libertà di altri paesi. Paesi indipendenti e non minacciosi.
Saluti,
Mauro.
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martedì 25 settembre 2018
Gemeinsame Fehler, doppelte Schaden
Auf
Deutsch sagt man geteiltes Leid ist halbes Leid.
Ich habe
immer diesen Satz gehasst, weil ein Leid, das mehrere Personen betrifft, ist
ein größeres, schmerzhafteres Leid. Von wegen halbes Leid.
Und
Fehler bringen Leid: Wenn sie wiederholt und gängig werden, werden sie noch größer,
noch schädlicher, nicht kleiner, nicht gemäßigter.
Und in Deutschland wird gerade einen
Fehler kopiert, den wir in Italien in den letzten Jahren begangen haben und
dessen Schaden für allen gut sichtbar sind.
Und falls
Deutschland ihn kopiert, werden die Schaden für Deutschland sehr groß sein und
sie werden in ganz Europa widerhallen (und das wird die Schaden in Italien noch
größer machen).
In Italien heißt es, dass die 5
Sterne Bewegung (M5S) nach rechts gerutscht ist (und man meint, dass man sich
bemühen soll, sie wieder nach links oder der Mitte zu bringen).
Blödsinn:
die M5S ist immer rechts gewesen,
sie ist nicht nach rechts gerutscht.Deswegen kann man sie nirgendwohin wiederbringen.
Die einzige schlaue Möglichkeit ist deren Wählern mit seriöserer und ehrlicherer Angebote zu überzeugen, als die von den grillini.
In Deutschland passiert gerade
etwas Ähnliches.
In
Deutschland heißt es, dass die AfD sich radikalisiert hat (und man meint, dass
man sich bemühen soll, sie wieder nach gemäßigteren Ufern zu bringen).Blödsinn: die AfD ist immer radikal gewesen, sie hat sich nicht radikalisiert.
Deswegen kann man sie nirgendwohin wiederbringen.
Die einzige schlaue Möglichkeit ist deren Wählern mit seriöserer und ehrlicherer Angebote zu überzeugen, als die von den Neonazis.
Grüße,
Error comune, doppio danno
In Italia si dice Mal comune, mezzo gaudio.
Io ho sempre odiato questa frase, perché il male più è comune, più persone colpisce... più è grosso e doloroso. Altro che mezzo gaudio.
E gli errori sono dei mali: quando sono comuni, quando vengono ripetuti, diventano più grandi, più dannosi, non è che si moderino, rimpiccioliscano.
E in questo momento in Germania stanno di fatto copiando un errore che abbiamo fatto in Italia negli ultimi anni e i cui danni sono sotto gli occhi di tutti.
E se la Germania lo ripete, i danni per la Germania saranno grossi e si ripercuoteranno sull'Europa (aumentando quindi di conseguenza anche quelli italiani).
In Italia si dice che il M5S si è spostato a destra (e il senso è che bisogna impegnarsi per riportarlo al centro o a sinistra).
Cazzata: il M5S è sempre stato di destra, non si è spostato a destra.
Quindi non lo si può riportare da nessuna parte.
L'unica cosa seria è convincere i suoi elettori con proposte più serie e oneste di quelle grilline.
In Germania sta succedendo una cosa analoga.
In Germania si dice che l'AfD si è estremizzata (e il senso è che bisogna impegnarsi per riportala su sponde più moderate).
Cazzata: l'AfD è sempre stata estrema, non si è estremizzata.
Quindi non la si può riportare da nessuna parte.
L'unica cosa seria è convincere i suoi elettori con proposte più serie e oneste di quelle neonaziste.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui la versione tedesca.
Hier die deutsche Version.
Io ho sempre odiato questa frase, perché il male più è comune, più persone colpisce... più è grosso e doloroso. Altro che mezzo gaudio.
E gli errori sono dei mali: quando sono comuni, quando vengono ripetuti, diventano più grandi, più dannosi, non è che si moderino, rimpiccioliscano.
E in questo momento in Germania stanno di fatto copiando un errore che abbiamo fatto in Italia negli ultimi anni e i cui danni sono sotto gli occhi di tutti.
E se la Germania lo ripete, i danni per la Germania saranno grossi e si ripercuoteranno sull'Europa (aumentando quindi di conseguenza anche quelli italiani).
In Italia si dice che il M5S si è spostato a destra (e il senso è che bisogna impegnarsi per riportarlo al centro o a sinistra).
Cazzata: il M5S è sempre stato di destra, non si è spostato a destra.
Quindi non lo si può riportare da nessuna parte.
L'unica cosa seria è convincere i suoi elettori con proposte più serie e oneste di quelle grilline.
In Germania sta succedendo una cosa analoga.
In Germania si dice che l'AfD si è estremizzata (e il senso è che bisogna impegnarsi per riportala su sponde più moderate).
Cazzata: l'AfD è sempre stata estrema, non si è estremizzata.
Quindi non la si può riportare da nessuna parte.
L'unica cosa seria è convincere i suoi elettori con proposte più serie e oneste di quelle neonaziste.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui la versione tedesca.
Hier die deutsche Version.
martedì 18 settembre 2018
Gli scienziati sui social
Il collega blogger Shevathas in uno dei suoi ultimi articoli pone una questione interessante:
Se abitui la gente a pensare che gli scienziati dicano cavolate e che il parere di zia Maria sia equivalente a quello del luminare negli argomenti sopra riportati, perché se parla Burioni deve stare zitta mentre se parlano Silvio Garattini, Enzo Boschi o Ilaria Capua, invece può parlare e straparlare? Cosa hanno di speciale Burioni e i vaccini?
A parte il fatto che zia Maria purtroppo non tace neanche con Burioni, ma semplicemente in quel caso non viene ascoltata, a mio parere la risposta a questa domanda è abbastanza semplice.
Il fatto è che Burioni, pur continuando a comportarsi da scienziato per quanto riguarda i contenuti, ha capito che sui social networks si usa però un linguaggio (oserei quasi dire una lingua) diverso.
Al di là di tutto l'odio e la volgarità che debordano su Twitter, Facebook & co., anche quando riesci a intavolare un dialogo civile non puoi comunque scrivere come lo faresti su una rivista (anche se divulgativa o proprio non scientifica) o come parleresti a una conferenza, per informale che sia.
Ecco, Burioni questo lo ha capito e si è adeguato.
Gli altri, altrettanto ammirevoli da un punto di vista scientifico, però non si sono resi conto di ciò e usano sui social networks lo stesso stile che userebbero nello scrivere un testo divulgativo, che è sì destinato a tutti, ma che è comunque più vicino allo stile di una conferenza o di una lezione universitaria che a quello di Twitter o Facebook.
A questo poi dobbiamo comunque aggiungere che i vaccini sono un tema particolarmente sensibile in quanto visto come più concreto degli altri e riguardante in primis i bambini, quindi coloro che tutti (almeno a parole) vorremmo proteggere.
Saluti,
Mauro.
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domenica 16 settembre 2018
Je suis Charlie, je suis Gênes
L'amico Salvo Ruotolo mi ha chiesto di scrivere qualcosa su un argomento molto particolare, che riguarda Genova, riguarda la satira e riguarda la libertà di espressione.
Voleva sapere cosa penso, da genovese, di una certa vignetta.
Come molti sapranno, dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, Charlie Hebdo ha pubblicato una vignetta che ha provocato molte polemiche:
E - come anche era successo dopo il terremoto di Amatrice - le "anime belle" della destra ci si sono subito buttate sopra chiedendo a chi aveva manifestato per C.H. dopo gli attentati di Parigi, se diceva ancora "Je suis Charlie".
Dimostrando di non avere capito nulla.
Per spiegare bisogna tornare agli attentati di Parigi.
L'irruzione con strage nella sede di Charlie Hebdo era stata provocata da vignette viste come antiislamiche.
E molti a dire (paradossalmente soprattutto a destra, dove in realtà l'antiislamismo dovrebbe essere ben visto... ma il mondo è un posto strano) che noi (sì, anch'io dissi "Je suis Charlie") approvavamo quelle vignette.
No, signori miei, tra noi c'era chi le approvava, chi le disapprovava e chi neanche le conosceva... però tutti ritenevamo diritto di C.H. disegnarle e pubblicarle.
E ora veniamo al dopo.
Ad Amatrice.
A Genova.
E soprattutto a chi dice: lo avete difeso, ora dovete apprezzare anche queste vignette.
No, proprio per niente. Anzi come diciamo a Genova: proprio per un belino che le apprezziamo.
Però, per quanto ci facciano male (e comunque quella su Amatrice era obiettivamente molto peggiore di quella sul ponte Morandi), Charlie Hebdo ha tutto il diritto di disegnarle e pubblicarle.
Sento già che mormorate con rabbia una domanda: allora la satira può permettersi tutto?
La risposta è sì, ma è anche no. Dipende da cosa intendete con "tutto".
Se intendete che la satira può essere fatta su ogni tema, su ogni argomento, su ogni avvenimento... senza tabù, allora la risposta è sì. Senza se e senza ma.
Se invece intendete che la satira può dire qualsiasi cosa su qualsiasi tema, argomento o avvenimento allora la risposta è no. La satira è, come ogni altra cosa, sottomessa alla legge... ergo non può sforare nella diffamazione, nell'istigazione all'odio, nell'apologia di reato.
Tornando al punto.
No, la vignetta di C.H. sulla tragedia di Genova non mi è piaciuta proprio per niente, da genovese mi ha fatto male e se non fossi genovese non mi farebbe comunque ridere né sorridere, e se incontrassi il vignettista una botta di stronzo gliela darei, ma senza mettere in discussione il suo diritto di averla disegnata e pubblicata.
Perché... Je suis encore Charlie...
Però soprattutto... Je suis pour toujours Gênes!!!
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Per chi avesse dimenticato la vignetta su Amatrice:
Voleva sapere cosa penso, da genovese, di una certa vignetta.
Come molti sapranno, dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, Charlie Hebdo ha pubblicato una vignetta che ha provocato molte polemiche:
E - come anche era successo dopo il terremoto di Amatrice - le "anime belle" della destra ci si sono subito buttate sopra chiedendo a chi aveva manifestato per C.H. dopo gli attentati di Parigi, se diceva ancora "Je suis Charlie".
Dimostrando di non avere capito nulla.
Per spiegare bisogna tornare agli attentati di Parigi.
L'irruzione con strage nella sede di Charlie Hebdo era stata provocata da vignette viste come antiislamiche.
E molti a dire (paradossalmente soprattutto a destra, dove in realtà l'antiislamismo dovrebbe essere ben visto... ma il mondo è un posto strano) che noi (sì, anch'io dissi "Je suis Charlie") approvavamo quelle vignette.
No, signori miei, tra noi c'era chi le approvava, chi le disapprovava e chi neanche le conosceva... però tutti ritenevamo diritto di C.H. disegnarle e pubblicarle.
E ora veniamo al dopo.
Ad Amatrice.
A Genova.
E soprattutto a chi dice: lo avete difeso, ora dovete apprezzare anche queste vignette.
No, proprio per niente. Anzi come diciamo a Genova: proprio per un belino che le apprezziamo.
Però, per quanto ci facciano male (e comunque quella su Amatrice era obiettivamente molto peggiore di quella sul ponte Morandi), Charlie Hebdo ha tutto il diritto di disegnarle e pubblicarle.
Sento già che mormorate con rabbia una domanda: allora la satira può permettersi tutto?
La risposta è sì, ma è anche no. Dipende da cosa intendete con "tutto".
Se intendete che la satira può essere fatta su ogni tema, su ogni argomento, su ogni avvenimento... senza tabù, allora la risposta è sì. Senza se e senza ma.
Se invece intendete che la satira può dire qualsiasi cosa su qualsiasi tema, argomento o avvenimento allora la risposta è no. La satira è, come ogni altra cosa, sottomessa alla legge... ergo non può sforare nella diffamazione, nell'istigazione all'odio, nell'apologia di reato.
Tornando al punto.
No, la vignetta di C.H. sulla tragedia di Genova non mi è piaciuta proprio per niente, da genovese mi ha fatto male e se non fossi genovese non mi farebbe comunque ridere né sorridere, e se incontrassi il vignettista una botta di stronzo gliela darei, ma senza mettere in discussione il suo diritto di averla disegnata e pubblicata.
Perché... Je suis encore Charlie...
Però soprattutto... Je suis pour toujours Gênes!!!
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Per chi avesse dimenticato la vignetta su Amatrice:
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Dettagli dall'Oberpfalz 8 - Un rilievo asinino
A ricordo di chi trasportò le pietre per il duomo di Amberg:
Saluti,
Mauro.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Qui tutti i dettagli dall'Oberpfalz.
Qui tutti i dettagli dall'Oberpfalz.
venerdì 7 settembre 2018
Nonnismo e bullismo
Ogni volta che sento parlare di episodi di bullismo, nonnismo o cose simili mi sovviene sempre un aneddoto di quando ero militare io.
Io ho fatto la leva dopo la laurea, quindi al reparto ero uno dei più vecchi anagraficamente.
Un giorno un "anziano" (cioè uno di uno scaglione precedente al mio) ha provato a fare il "nonno" con me.
Io ho fatto la leva dopo la laurea, quindi al reparto ero uno dei più vecchi anagraficamente.
Un giorno un "anziano" (cioè uno di uno scaglione precedente al mio) ha provato a fare il "nonno" con me.
Io lo ho guardato con pietà (oserei dire dall'alto verso il basso, anche se ciò non mi fa onore) e gli ho detto con calma "Tu sarai anziano, ma io sono vecchio, quindi non rompere".
Da quel giorno nessuno ha più provato neanche i più innocenti scherzi con me.
Morale della favola?
Chi fa nonnismo o bullismo (o qualsiasi cosa paragonabile) è un grandissimo stronzo e un delinquente... ma spesso, per
non diventare vittime, basta non volerlo essere.
Saluti,
Mauro.
lunedì 3 settembre 2018
Quando la carne è carne?
Stamattina ho letto un interessante articoletto sul blog di Alberto Celotto, che pone qualche interrogativo.
E che dimostra quanto la scienza (in questo caso la chimica) sia poco conosciuta.
In pratica ci si chiede come chiamare la carne prodotta in laboratorio.
E già il titolo parte male, facendo vedere che l'autore ha dei pregiudizi (probabilmente legati all'eterna lotta tra naturale e artificiale su cui ci sarebbe tanto da dire, ma forse lo faremo un'altra volta): Come chiamare carne qualcosa che carne non è ovvero il punto sulla "clean meat".
Perché "carne non è"?
Perché è prodotta in laboratorio e non tagliuzzando un manzo o un maiale?
No, mi dispiace, la cosa non funziona così.
Se la carne prodotta in laboratorio ha la stessa composizione chimica, molecolare, proteica, ecc. della "vera" carne... beh, è carne e basta.
Il metodo di produzione non conta, conta solo la distinguibilità del prodotto finale sottoposto ad analisi chimico-fisiche. Se non c'è distinguibilità, è lo stesso prodotto. Punto.
La cosa mi ricorda tutti quelli che distinguono tra proteine (o vitamine o altro) naturali e artificiali, sostenendo che le prime fanno bene e le seconde no.
Pura ignoranza.
La proteina estratta da qualche struttura organica e la stessa proteina prodotta in laboratorio sono indistinguibili per il corpo umano.
Il corpo umano "vede" solo la composizione chimica della proteina, non come è stata prodotta (come anche le analisi chimico-fisiche non possono distinguere le due proteine).
Facciamo un esempio dal regno minerale senza mettere in campo la biologia?
I diamanti artificiali. Non sono bigiotteria, sono veri diamanti, in quanto hanno la stessa composizione chimica e - se fatti bene - la stessa struttura dei diamanti estratti da una miniera (l'apparente minor valore dei diamanti artificiali è dovuto alla difficoltà di riprodurre la struttura perfetta, ma quando ci si riesce, allora sono diamanti in tutto e per tutto).
Tornando alla carne, ho anche paura che si faccia confusione con i surrogati prodotti per vegetariani/vegani: questi ultimi non sono carne semplicemente perché hanno una composizione chimica, molecolare, proteica diversa. Tutto qui.
Marketing o altro non c'entrano.
La carne prodotta in laboratorio invece è vera carne, se indistinguibile da quella vera facendo analisi chimico-fisiche, come detto.
Darle un altro nome qui è sì solo questione di marketing e nient'altro.
Saluti,
Mauro.
E che dimostra quanto la scienza (in questo caso la chimica) sia poco conosciuta.
In pratica ci si chiede come chiamare la carne prodotta in laboratorio.
E già il titolo parte male, facendo vedere che l'autore ha dei pregiudizi (probabilmente legati all'eterna lotta tra naturale e artificiale su cui ci sarebbe tanto da dire, ma forse lo faremo un'altra volta): Come chiamare carne qualcosa che carne non è ovvero il punto sulla "clean meat".
Perché "carne non è"?
Perché è prodotta in laboratorio e non tagliuzzando un manzo o un maiale?
No, mi dispiace, la cosa non funziona così.
Se la carne prodotta in laboratorio ha la stessa composizione chimica, molecolare, proteica, ecc. della "vera" carne... beh, è carne e basta.
Il metodo di produzione non conta, conta solo la distinguibilità del prodotto finale sottoposto ad analisi chimico-fisiche. Se non c'è distinguibilità, è lo stesso prodotto. Punto.
La cosa mi ricorda tutti quelli che distinguono tra proteine (o vitamine o altro) naturali e artificiali, sostenendo che le prime fanno bene e le seconde no.
Pura ignoranza.
La proteina estratta da qualche struttura organica e la stessa proteina prodotta in laboratorio sono indistinguibili per il corpo umano.
Il corpo umano "vede" solo la composizione chimica della proteina, non come è stata prodotta (come anche le analisi chimico-fisiche non possono distinguere le due proteine).
Facciamo un esempio dal regno minerale senza mettere in campo la biologia?
I diamanti artificiali. Non sono bigiotteria, sono veri diamanti, in quanto hanno la stessa composizione chimica e - se fatti bene - la stessa struttura dei diamanti estratti da una miniera (l'apparente minor valore dei diamanti artificiali è dovuto alla difficoltà di riprodurre la struttura perfetta, ma quando ci si riesce, allora sono diamanti in tutto e per tutto).
Tornando alla carne, ho anche paura che si faccia confusione con i surrogati prodotti per vegetariani/vegani: questi ultimi non sono carne semplicemente perché hanno una composizione chimica, molecolare, proteica diversa. Tutto qui.
Marketing o altro non c'entrano.
La carne prodotta in laboratorio invece è vera carne, se indistinguibile da quella vera facendo analisi chimico-fisiche, come detto.
Darle un altro nome qui è sì solo questione di marketing e nient'altro.
Saluti,
Mauro.
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