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mercoledì 11 giugno 2025

Riflessioni sballate

Leggete questo tweet (è un tweet pubblico, non nascosto, quindi non c'è ragione legale di nascondere il nome dell'autore):


L'autore manipola per portare acqua al proprio mulino.

Infatti usa la parola "expat" - unita alle allusioni su reddito e istruzione - per far capire che gli italiani benestanti e soprattutto istruiti, visto che la parola "expat" si riferisce generalmente ai giovani italiani laureati espatriati negli ultimi anni, siano contro la cittadinanza "facile" (che poi facile comunque non è).

Peccato che l'autore non sappia (voglio augurarmi che la sua sia ignoranza, non malafede) alcune cose.

- Tra gli espatriati giovani ci sono anche molti non istruiti che sono venuti all'estero a fare i camerieri, i pizzaioli o simili. Non tutti gli "expat" sono ingegneri, informatici o scienziati.

- La maggioranza degli elettori italiani all'estero (sia intesi come aventi diritto al voto, sia come votanti effettivi) è ancora costituita dagli emigrati classici (quelli che qui in Germania sono chiamati "Gastarbeiter") e dai loro discedenti, che solo in pochi casi sono riusciti a fare poi grandi studi e ottenere lavori importanti.

- Questi emigrati classici sono sempre stati tendenti a destra. Ai tempi la DC riusciva un po' ad arginare, non certo le sinistre. E lo sono diventati ancora di più dopo la legge Tremaglia, che ha permesso a tutti gli espatriati di poter votare senza dover tornare in Italia.

Riflettete su questi fatti.
Il dato che l'autore del tweet cita deriva da questi, non da ciò che lui sottintende.

Saluti,

Mauro.

martedì 4 gennaio 2022

Scuola in presenza, scuola a distanza... ma l'istruzione?

Stanno per riaprire le scuole dopo le vacanze natalizie.

E riparte il dibattito "didattica (scuola) in presenza" contro "didattica a distanza" (alias DAD).
Con la solita conflittualità che spesso (purtroppo) trascende i limiti dell'educazione e del rispetto.

Ora mi darete del benaltrista, ma se ci pensate bene il problema vero non è né la scuola in presenza né la DAD.
Il problema vero è il sabotaggio ormai decennale operato dalla politica (con il silenzio accondiscendente della cittadinanza e il plauso delle varie conf, Confindustria in particolare) nei confronti della scuola, dell'istruzione, dell'educazione (e non voglio qui parlare di università e ricerca, che è già di per sé un tema vastissimo).

Non si è fatto niente per mettere in sicurezza le scuole (per tacere poi dei trasporti da e per le scuole).
Niente aerazione meccanica.
Niente filtri.
Niente rivelatori di CO2.
Niente distanziamento (le classi pollaio esistono ancora, eccome se esistono).
Le mascherine poi... a scuola bastano le chirurgiche, non sia mai che siano obbligatorie le museruole FFP2!
Solo finestre aperte a intervalli più o meno regolari (ma poco, se no gli scolari prendono il raffreddore).
Insomma... quarantene, chiusure, classi dimezzate a gogò di fatto già programmate.
E prima o poi DAD di fatto.

Ma non si è fatto niente neanche per permettere una DAD ben fatta.
L'informatica nelle scuole? Primitiva.
Connessioni internet veloci? Beh, sì, veloci rispetto a una tartaruga, questo sì.
Istruzione dei docenti all'uso dei supporti informatici? Non serve, tanto tutti sanno usare uno smartphone (sì, per certi ministri per la DAD basta uno smartphone!).
Fornitura di detti supporti? Lasciamo perdere.
Garanzia di poter seguire in DAD per tutti i discenti? Tutti ormai hanno uno smartphone (vedi sopra)! Non si è tenuto conto delle enormemente diverse possibilità sia economiche che culturali delle varie famiglie. Non tutti gli scolari hanno adeguato collegamento internet e famiglie in grado di seguirli (ne parlai qui già nel marzo 2020... e la situazione non è cambiata di una virgola).

Ergo: in presenza o in DAD sarà comunque una strage.

La politica ha sfruttato la pandemia per dare il definitivo colpo di grazia alla scuola, all'istruzione.

A questo punto non si dovrebbe più discutere su scuola in presenza o DAD.
Come spiegato sopra, ormai sarà un fallimento, una strage comunque.

Ciò che servirebbe sarebbe unirsi tutti per mettere la politica spalle al muro e difendere - anzi ormai ricostruire, visto che è rimasto ben poco da difendere - l'istruzione.
Bisogna mettere da parte particolarismi, egoismi e convenienze personali e rendersi conto di ciò che serve per il futuro (ma anche per il presente!) della società e per le nuove generazioni.

Se no il sogno politico populista di creare una generazione di ignoranti e incompetenti manipolabili si avvererà.
E il processo rischierà di essere irreversibile.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Quest'articolo è uno sviluppo di un thread scritto ieri su Twitter. Qui il thread originale, con vari commenti interessanti da parte dei lettori.

P.S.2:
Il problema non è solo italiano: lo ha fatto notare qui relativamente alla Germania anche l'avvocato Thorsten Frühmark, specializzato in diritto del lavoro e di famiglia.

lunedì 12 novembre 2018

Due principi per l'integrazione

Prima di fraintenderci: in questo articolo non parlo di cittadinanza. L'integrazione riguarda chiunque viva in un paese diverso da quello di nascita, indipendentemente dal fatto che voglia/possa richiederne la cittadinanza.

Quando si parla di integrazione bisognerebbe distinguere tra due livelli: quello burocratico e quello sociale.

A livello burocratico quando mi trasferisco in un altro Stato io ho il dovere di informarmi su quali documenti e condizioni servono per ottenere il diritto di vivere e lavorare in quello Stato (e poi presentarli completi alle autorità locali) e detto Stato ha il dovere di mettermi a disposizione uffici che mi aiutino a orientarmi riguardo alle procedure burocratiche (generalmente si tratta di sportelli appositi presso gli uffici anagrafe, ma il come e il dove in fondo è secondario).
E... e tutto qui. A parte il sottinteso dovere poi di rispettare la legge, né io come persona né lo Stato che mi accoglie abbiamo altri doveri.

Però parliamoci chiaro: questo esaurisce la parte burocratica dell'integrazione ma se ci si limita a quello non si va poi molto lontano.
Uno é sì a posto legalmente, ma socialmente rischia di rimanere un escluso, di vivere tra casa e ufficio (o officina o fabbrica o che altro sia) e stop.
Ci sono persone che sono contente così, ma la maggioranza non si accontenta.

Come fare per integrarsi socialmente?
Su questo tema si può discutere all'infinito.
È chiaro che serve volontà da entrambe le parti: da parte di chi arriva di inserirsi nella nuova realtà e da parte del paese di arrivo di agevolare l'inserimento di chi ha questa volontà.
Ed è chiaro anche che serve, da parte di detto paese, un approccio diverso verso chi arriva per scelta senza tragedie alle spalle (come il sottoscritto che si è trasferito in Germania perché voleva fare esperienze internazionali e poi qui si è fermato) e verso chi scappa da situazioni di guerra, persecuzione o anche solo estrema povertà.

Però a mio parere ci sono due punti imprescindibili che riguardano tutti coloro che arrivano in un nuovo paese, indipendentemente dal modo e dal perché ci arrivino.

Se tu arrivi in un nuovo paese hai comunque due doveri:
1) la tua religione, le tue tradizioni, le tue convinzioni personali vengono dopo la legge del paese che ti accoglie; se - per esempio - un precetto della tua religione va contro la legge del paese che ti accoglie... mi dispiace per il tuo dio, ma non hai diritto a eccezioni, devi buttare via quel precetto e rispettare la legge;
2) non puoi venirmi a dire che tanto l'inglese lo parlano ormai tutti o che la comunità di tuoi connazionali in quel paese è sufficientemente vasta da permetterti di andare avanti con la tua lingua; no, devi imparare a farti capire nella lingua del luogo (non serve impararla alla perfezione, basta un livello di base, ma comprendente la grammatica... quindi che vada oltre le poche parole - spesso poi in dialetto - che impari sul posto di lavoro ascoltando i colleghi).

Ecco, se tu non accetti questi due punti, non puoi pretendere nulla dallo Stato che ti accoglie a parte l'aiuto per le procedure di registrazione citato all'inizio.
Se invece accetti questi due punti, poi puoi anche chiedere allo Stato di venirti incontro mettendoti a disposizione corsi di lingua ed eventualmente corsi che ti spieghino le leggi che ti riguardano e possibili "collisioni" con pratiche religiose, culturali o altro a cui sei abituato.

Saluti,

Mauro.

martedì 24 aprile 2018

Siamo arrivati allo Ius Morbi

Dimenticatevi lo Ius Soli, lo Ius Sanguinis o lo Ius Culturae.
Ormai siamo oltre: siamo arrivati allo Ius Morbi.

Avrete letto tutti la storia di Alfie, il bambino di Liverpool a cui le autorità britanniche vogliono, come si usa dire, "staccare la spina".
Io non sono in grado di valutare la cosa da un punto di vista medico, quindi non posso dare né ragione né torto a chi ha preso questa decisione. Non credo però che la decisione sia stata presa con leggerezza e senza considerare ogni minima possibilità.

Quello che è scandaloso, per quanto cinico possa sembrare dirlo, è l'intervento del governo italiano - che con questa storia non c'entra nulla! - per concedere la cittadinanza italiana al piccolo in modo da bloccare le decisioni della magistratura britannica (tra l'altro supportate dalla corte europea consultata).
Leggiamo le motivazioni della concessione della cittadinanza:

in considerazione dell'eccezionale interesse per la comunità nazionale ad assicurare al minore ulteriori sviluppi terapeutici, nella tutela di preminenti valori umanitari che, nel caso di specie, attengono alla salvaguardia della salute

Eccezionale interesse per la comunità nazionale? Scusate, è vero che un bambino malato fa tenerezza e suscita compassione, ma dove sta l'eccezionale interesse per la comunità nazionale italiana in un caso di un bambino straniero, che non ha nessun legame con l'Italia e che è nato e vive in un paese non certo non dotato di strutture sanitarie adeguate e di istanze democratiche a cui rivolgersi?

Assicurare ulteriori sviluppi terapeutici? Oppure gli si vuole assicurare solo accanimento terapeutico? Perché se veramente questi sviluppi terapeutici sono possibili, significa che i giudici britannici hanno semplicemente pensato "Questo bambino ci costa, uccidiamolo". Pensate veramente questo?

Preminenti valori umanitari? Scusate, allora i valori umanitari valgono solo per chi vive già in un paese democratico, visto come trattiamo chi arriva - anche legalmente! - dal cosiddetto terzo mondo.

A questo punto mi sento di dare un consiglio a tutti i profughi che vogliono arrivare in Italia: ammalatevi!
Tanto per la cittadinanza in Italia abbiamo scoperto che vale lo Ius Morbi.

Saluti,

Mauro.

venerdì 5 maggio 2017

L'ignoranza della stampa e la seconda generazione

Oggi la Gazzetta dello Sport pubblica un articolo su una giovane pugile di cittadinanza tunisina che vive in Italia e che vorrebbe rappresentare l'Italia nel suo sport.
I desideri della ragazza non sono qui però importanti. Importante è la cazzata che scrive la Gazzetta:


Cosa c'è che non va?
Gli immigrati di seconda generazione sono le persone nate in un dato paese da genitori stranieri.
Peccato solo che la ragazza sia nata in Tunisia, non in Italia.
Quindi, anche se in Italia lei è venuta quando aveva solo due anni, non è di seconda generazione. È immigrata vera e propria, di prima generazione. I suoi figli (se ne avrà) saranno di seconda generazione.

Purtroppo quando si parla di cittadinanza e immigrazione la stampa scrive spesso a casaccio senza sapere di cosa parla.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
L'errore è importante, non voglio spezzare il capello in quattro. È importante perché la legge prevede strade diverse per ottenere la cittadinanza se si è nati all'estero o meno.