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giovedì 21 agosto 2025

Una proposta politica: l'obbligo (non vincolo) di mandato

Sì, obbligo, non vincolo. E no, non è la stessa cosa.
Leggete oltre e capirete cosa propongo.

Oggi questo tweet di Veronica De Romanis mi ha dato un'idea. O meglio me la ha chiarita, visto che in maniera informe in realtà già la avevo. Ma, appunto, informe.

Premetto che qui parlerò di una legge che desidero (e che ovviamente trovo giusta, se no non la desidererei), non di leggi esistenti ma non applicate o sbagliate.
Parlerò di una legge che non esiste (ancora), ma che per me dovrebbe esistere.

La mia proposta è quanto segue.
Quando uno si candida per una carica elettiva e viene eletto, deve portare il mandato fino in fondo (e no, il vincolo di mandato non c'entra, è un'altra cosa, qui c'entra solo la durata, per questo obbligo e non vincolo, che non sono sinonimi).
Ti puoi dimettere? Sì, puoi, soprattutto se hai motivi di salute o famigliari per farlo.
Detto così può sembrare una contraddizione, ma...
il portare il mandato "fino in fondo" non significa che non puoi dimetterti, ma che non puoi più candidarti ad altre cariche elettive (o ricoprire incarichi pubblici) fino alla fine ufficiale del mandato per cui eri stato originariamente eletto.
E no, ciò non impedisce che tu venga dal Presidente della Repubblica o, per incarichi di livello inferiore, da quello del Consiglio chiamato ad altri incarichi MENTRE sei ancora in carica. Impedisce solo che tu, di TUA iniziativa, cerchi altri incarichi mentre sei in carica (o dovresti esserlo).

E no, una legge del genere non sarebbe per niente incostituzionale. Forse tecnicamente non semplice, ma perfettamente costituzionale.

E sarebbe una legge nel rispetto della volontà dell'elettore.

Saluti,

Mauro.

domenica 29 giugno 2025

Deriva autoritaria

Fino a non molto tempo fa pensavamo che le democrazie occidentali fossero piene di difetti, ma che in quanto democrazie fossero inattaccabili, solide. Migliorabili, sì (anche tanto), ma non attaccabili, non distruggibili.

Ora ci stiamo accorgendo che l'autodefinitasi più grande democrazia dell'Occidente (gli USA) così democrazia non è, visto che può essere attaccata dall'interno e senza neanche fare un colpo di stato vero e proprio (visto che, nonostante le leggende metropolitane, lì un vero sistema di "checks e balances" non esiste, è di fatto lasciato alla correttezza dei singoli).

E ci stiamo purtroppo anche accorgendo che pure nelle democrazie europee, dove i "checks e balances" per fortuna esistono davvero, i vari governi (sulla scia di quello ungherese, obiettivamente pioniere in questo all'interno dell'UE) stanno usando ogni strumento legale e soprattutto ogni zona grigia della legislazione e delle Costituzioni per far sì che il potere legislativo e quello giudiziario vengano sottomessi a quello esecutivo, cioè Parlamento e magistratura sottomessi al Governo.
E dove non li si possa sottomettere, almeno che vengano depotenziati.

O forse invece non ce ne stiamo (a parte quattro gatti) accorgendo? Forse pensiamo che, sì, ci sono periodi migliori e periodi peggiori, ma che in fondo tutto va bene, madama la marchesa?

Io vi avverto: anche in passato molte dittature nacquero in questo modo, non (o almeno non solo) con azioni violente.

Teniamo gli occhi aperti, molto aperti. Perché rischia ormai di essere troppo tardi per evitare la deriva autoritaria... e l'autoritarismo è solo un passo distante dalla dittatura.

Saluti,

Mauro.

venerdì 27 giugno 2025

No, non se la è cercata

Ci sono reati per cui purtroppo spesso si sente dire che la vittima se la è cercata.
I due più tipici sono la donna che si cerca la violenza perché gira vestita sexy e la persona che si cerca la rapina perché entra in quartieri malfamati.
Ogni tanto si sente anche per altri reati, ma per nessuno al livello di questi due. Soprattutto il primo.

Diciamolo subito chiaro: nessuno si cerca nulla. Né violenza né rapina. Del resto nessuno punta un coltello alla gola dei criminali ordinandogli "violentami!" "rapinami!".
E questo in sé dovrebbe già bastare a chiudere l'argomento.
Ma oggi vorrei parlarne in maniera un po' più ampia, non così secca (prima di fraintenderci: la conclusione non cambia, nessuno si cerca nulla).

Intanto va detta chiaramente una cosa: solo chi commette un reato si cerca qualcosa.
Ed è vero che un reato lo può commettere anche la vittima delle situazioni di cui sopra.
Per esempio una donna (ma anche un uomo, ovviamente) che gira completamente nuda commette un reato e quindi se la cerca.
Ma non la violenza, come magari avrete capito voi.
Si è cercata l'arresto, infatti è giusto che venga arrestata, o almeno fermata, dalle Forze dell'Ordine, ma nessuno ovviamente è autorizzato a violentarla perché gira nuda.

Comunque, a parte questi casi estremi, bisogna essere chiari ed espliciti.
A meno di particolari situazioni definite per legge (e ribadisco: per legge, non perché la gente lo dice) chiunque ha il diritto di vestirsi come vuole in pubblico e di percorrere qualsiasi strada, entrare in qualsiasi quartiere. In tutta libertà e in tutta sicurezza.
L'unica cosa su cui queste persone possono al limite essere legittimamente contestate è il cattivo gusto (brutto abbigliamento usato e brutti - esteticamente - quartieri visitati). Non una virgola di più.
E anche qui ribadisco: contestate (in maniera civile!), non accusate o peggio.

Gli unici che si cercano qualcosa sono i violentatori e i rapinatori: si cercano la galera.
Per il resto nessuno si cerca niente, quindi piantatela di colpevolizzare le vittime.
E se lo fate, siete voi che vi cercate qualcosa: il disprezzo e la condanna delle persone serie.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Se parliamo di reati finanziari, invece lì sì, purtroppo, qualcuno talvolta se la cerca, affidandosi a banche, assicurazioni, intermediari o altro poco serie senza informarsi bene prima... ma per fortuna non si tratta di reati violenti, per quanto ovviamente gravi senza se e senza ma.

venerdì 18 aprile 2025

Trans-sport

La recente sentenza della Corte Suprema britannica sul sesso biologico che può essere solo maschile o femminile ha ulteriormente aperto il vaso di Pandora delle discussioni sul tema.
Io non sono in grado di giudicare da un punto di vista giuridico la sentenza in quanto, al di là del non essere un giurista, non conosco a sufficienza la legge britannica per valutare.
Da un punto di vista biologico vi rimando a un lungo tweet di chi ne sa molto più di me (il bravissimo Ranieri Bizzarri).

Io qui ne voglio parlare da un punto di vista sportivo.
Sì, da un punto di vista sportivo, ripartendo dalle Olimpiadi di Parigi dell'anno scorso.
Ricorderete tutti le polemiche relative alla partecipazione della pugile algerina Imane Khalif.
Ok, il suo "problema" era un altro, lei non è transgender, ma ai tempi come tale venne trattata (e qualcuno sostiene ancora che lo sia, ma vabbé).

Ai tempi un follower su Twitter mi chiese (in privato, quindi nessun link) la mia opinione su come si potrebbe risolvere il problema della partecipazione di questi/e atleti/e alle competizioni.
Io una mia opinione la ho, anche se non la ho mai espressa in pubblico fino a oggi.
Prima di andare avanti: è la mia opinione, non una definizione legale e/o scientifica. Quindi come tale prendetela e, se volete, commentatela.

Generalmente quando si parla di questo tema in campo sportivo si parla solo di uomini che fanno (o hanno già fatto) la transizione per diventare donne. Quasi mai della transizione inversa.
Io non ho statistiche sottomano ma di sicuro la cosa è in parte dovuta al fatto che la transizione uomo->donna è più frequente della transizione donna->uomo.
Poi magari ci sono anche altre ragioni, non lo so.

Un fatto è chiaro: chi fa la transizione da adulto (o almeno a partire dai 14-15 anni circa) ha già comunque sviluppato una struttura muscolare e ossea che non potrà essere fatta tornare indietro o cambiata con la transizione stessa (ovviamente vale a maggior ragione per la struttura ossea).
Questo significa che un atleta transgender nato uomo e poi transito a donna sarà atleticamente svantaggiato rispetto a un atleta nato uomo e tale rimasto ma avvantaggiato rispetto a un'atleta nata donna e tale rimasta.
Quindi continuando a gareggiare tra gli uomini finirebbe (quasi) sempre ultimo e passando a gareggiare  tra le donne finirebbe (quasi) sempre primo.
E nessuna delle due cose, siamo sinceri, apparirebbe molto sportiva.
E certi paesi diversamente democratici magari imporrebbero anche la transizione a qualche atleta per vincere più medaglie nello sport femminile (posso immaginare cosa farebbe oggi il sistema medico-sportivo della vecchia Germania Est se questa esistesse ancora).

Come risolvere la questione?
Ecco, la mia opinione è prevedere nelle manifestazioni sportive (per lo meno in quelle di una certa importanza) tre e non due categorie.
Oggi ci sono le competizioni per uomini e quelle per donne.
Domani dovrebbero esserci le competizioni per uomini, quelle per donne e quelle per transgender.

Vedo già qualcuno che sta per saltare su pensando "ma esiste già lo sport paralimpico, mandiamoli lì!".
A parte che anche lì i transgender partirebbero avvantaggiati, quindi torniamo al punto di partenza... gli sport paralimpici sono sport per persone con disabilità (che sia dovuta a malattia, genetica, incidente o che so io qui non conta). Gli atleti transgender sono invece persone normodotate, senza nessuna disabilità, quindi avvantaggiati o svantaggiati che siano, con quell'ambiente comunque non c'entrano.

Saluti,

Mauro.

Aggiornamento 19.04.2025
Come mi ha fatto notare Martina Pugliese su BlueSky, in realtà gli atleti transgender avrebbero bisogno di essere divisi in due categorie, non messi tutti insieme: uomo->donna e donna->uomo.

mercoledì 9 aprile 2025

I misteri del tedesco 35 - Delitti e cavalieri

In tedesco esiste una parola che non ha corrispettivi in altre lingue, a meno di non usare perifrasi (e non è l'unica in tedesco 😉): Kavaliersdelikt.
La traduzione letterale sarebbe delitto cavalleresco, delitto da cavaliere.
Indica un reato o un'infrazione a qualche regola ufficiale considerato di poco conto, quasi giusto da commettersi, di sicuro da non condannare moralmente.
Quella che in italiano (usando quello che io credo un francesismo, anche se il dizionario Treccani parla di "etimo incerto") chiameremmo bagattella, solo che in italiano ha un significato molto più ampio e raramente viene usata per reati, anche se di poca importanza.

Per inciso: la definizione Bagatelldelikt esiste anche in tedesco, ha una certa sovrapposizione d'uso con Kavaliersdelikt, ma non è al 100% la stessa cosa (Bagatelldelikt può essere usato anche per comportamenti ritenuti negativi, ma che non costituiscono né reato né infrazione a regole ufficiali, Kavaliersdelikt no).

Il significato è chiaro (anche se oggi la parola è prevalentemente usata in negazioni tipo Es ist kein Kavaliersdelikt!, che significa Non è una cosa da niente!), ma che origine ha?
Perché proprio i delitti di un cavaliere dovrebbero essere delitti da nulla?
Come e quando è nata l'espressione non è noto, ma l'origine viene da un certo animo romantico tedesco, che vede (o almeno vedeva) ovviamente i cavalieri come nobili eroi che se si trovano ad andare contro le regole o la legge lo fanno per nobili motivi, a fin di bene, quindi il loro delitto non può essere condannato.

Piccola aggiunta sullo spirito dei tempi: oggi la maggioranza dei tedeschi ritiene l'elusione e l'evasione fiscale dei Kavaliersdelikte, purtroppo.

Saluti,

Mauro.

mercoledì 9 agosto 2023

Un ragionamento sugli "extraprofitti"

Ieri su Twitter (o meglio su X) ho pubblicato un breve thread in cui esprimevo alcune considerazioni sui tanto famigerati "extraprofitti" delle banche che il governo vorrebbe tassare.
Qui vorrei riprendere quelle considerazioni in testo unico, in maniera che le mie idee siano (forse) più comprensibili, anche ampliando un po' il ragionamento.
Vorrei comunque invitarvi ad andare a leggere anche tutti gli interessanti commenti e segnalazioni ricevuti nel thread: quelli non posso riportarli qui sul blog, ma sono assolutamente da leggere.

Ho voluto provare a fare un ragionamento da persona che vive di numeri, da fisico che vive - tra le altre cose - di statistica, ma da persona che non vive di economia.
Un ragionamento, appunto, sui famigerati extraprofitti.
Leggete tutto e poi ditemi dove sbaglio. Se sbaglio.

Gli extraprofitti (oggi se ne parla per le banche, ieri per il settore energetico, in altri momenti per altri settori... e non solo in Italia) sono quei profitti che - detto terra terra - esplodono per situazioni contingenti particolari.
Profitti che vanno molto oltre i profitti "standard" del settore, per i quali non si può quindi parlare di normale andamento dei mercati.
E secondo certi governi (ma anche certe opposizioni e certi economisti, politicizzati o meno che siano) vanno tassati extra in quanto ingiusti.
Ed è questo il problema: cosa significa ingiusti?
Giustizia/ingiustizia è un concetto morale... in diritto (e la tassazione dovrebbe dipendere dal diritto) vale la legge, non la giustizia.

Inciso.
Non per niente nei tribunali c'è - correttamente - la scritta "La legge è uguale per tutti" e non "La giustizia è uguale per tutti".
Inciso chiuso.

Ora, a mio parere esistono due situazioni: o questi extraprofitti sono ottenuti legalmente o sono ottenuti illegalmente.
Nel secondo caso, ovviamente, la tassazione non c'entra. Ciò che va applicato è una confisca o un sequestro (al di là delle eventuali responsabilità penali personali delle singole persone).
A noi quindi è il primo caso che interessa: gli "extraprofitti" legali.
La tassazione attuale (giusta o sbagliata, alta o bassa che la si consideri) è già su tutti i profitti, anche su quelli cosiddetti extra. Alti o bassi che siano.
Ci sono qui due "sottocasi" in base alla tassazione.
O i miei profitti rientrano in una categoria sottoposta a tassazione fissa, diciamo per esempio al 25%, e allora se io guadagno 10 pago 2,5 e se guadagno 1000 pago 250. L'eventuale extraprofitto è già tassato.
Se invece i miei profitti rientrano in una categoria sottoposta a tassazione progressiva... a maggior ragione l'extraprofitto è già tassato: più guadagno più l'aliquota sale, quindi più pago, anche in percentuale, non solo in valore assoluto.

E faccio questo ragionamento da uomo di sinistra, non da liberista.
Ditemi dove sbaglio.

E questo è quanto scrissi nel thread originale.
Ma ho poi aggiunto qualcosa oggi in un minithread successivo, che riporto qui sotto.

La motivazione principale che sento/leggo spesso riguardo un'ulteriore tassazione di questi extraprofitti quando si parla delle banche sono i guadagni che queste farebbero ai danni di coloro che hanno sottoscritto mutui o prestiti a tasso variabile.
Ma siamo sicuri che questi ultimi siano sempre e solo vittime?
A me la cosa ricorda però tanto un'altra storia che riguardava le banche (nel mio racconto in particolare una banca, ma in realtà fu un fenomeno che riguardava molte banche e che, come prevedibile, finì nel nulla), cioè il vedere come vittime chi comprò azioni e/o obbligazioni di certe banche.
Leggetevi quanto scrissi qui allora, nel 2019.

Prima di chiudere vi segnalo due letture decisamente interessanti che mi sono state consigliate nei commenti al mio thread originario:
1) Un testo di Mario Seminerio (alias Phastidio);
2) Un thread di Carlo Alberto Carnevale-Maffè.

Saluti,

Mauro.

mercoledì 16 febbraio 2022

Ancora sui brevetti (vaccini edition)

Su Twitter (ma immagino che sugli altri social networks non sia diverso) cominciano ad apparire tweet di questo tenore:


Questi tweet, anche se tecnicamente non del tutto sbagliati, sono altamente fuorvianti per il modo in cui presentano la notizia.
Non dicono cose assolutamente false, ma mirano a far passare un messaggio sbagliato: cioè che gli Stati vogliono solo far regali alle aziende produttrici di vaccini.
Ovviamente non è così e gli autori di questi tweet lo sanno, ma contano sull'ignoranza della massa riguardo al tema "brevetti".

Quindi cerchiamo di chiarire.
Una premessa: tutto quello che leggerete sotto vale per tutti i brevetti, non solo per quelli sui vaccini.

Per prima cosa va detto che un brevetto, quando viene concesso, vale per un anno. Non di più.
Può essere rinnovato più volte (ogni volta solo per un anno, ogni rinnovo dura un anno) fino a un massimo di vent'anni totali. Non di più.
Quindi significa che il brevetto viene concesso una volta e poi può essere rinnovato (o prorogato, usando il linguaggio del tweet di cui sopra) al massimo diciannove volte.

Ma questi rinnovi non sono un favore che lo Stato, tramite gli uffici brevetti, fa alle aziende.

All'inizio un'azienda presenta una richiesta di brevetto.
L'ufficio brevetti (in Italia l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, ma ormai i brevetti importanti vengono richiesti all'EPO, l'European Patent Office) esamina la richiesta, sia formalmente che tecnicamente, e decide se il brevetto su quell'invenzione, su quel prodotto, può essere concesso o meno.
E qui detto ufficio ha un ruolo attivo.

Non però sui rinnovi (o proroghe).

Alla scadenza del primo anno (e di ogni anno successivo) il brevetto può essere rinnovato.
Ma sono di fatto le aziende stesse a decidere: loro pagano la tariffa annuale e la validità del brevetto viene prolungata di un anno.
Non è una concessione del singolo Stato o dell'Europa: la cosa è automatica. Non c'è un nuovo esame formale o tecnico dell'invenzione, del prodotto. Quella - come detto - viene fatta solo la prima volta, quando l'azienda (o l'inventore) fa la richiesta per ottenere il brevetto.
Dopo, se il detentore del brevetto paga, il brevetto viene automaticamente rinnovato, se non paga il brevetto decade.
E dopo vent'anni è comunque fine: il brevetto non potrà più essere rinnovato.
Punto.

E ogni rinnovo costa. E soprattutto non è una tariffa fissa: anno dopo anno la tariffa cresce. Per le aziende non è una passeggiata di salute, comunque.

Va anche aggiunto che queste regole - giuste o sbagliate che siano - sono uguali ovunque, non valgono solo per l'Italia.
È inutile che cerchiate di far passare che l'Italia sia al servizio delle aziende, sottintendendo che gli altri paesi siano meno cedevoli.

Comunque sui brevetti ne ho scritto già in abbondanza in passato.
Se volete sapere di più su di essi, vi consiglio di leggere questi miei articoli:

Saluti,

Mauro.

lunedì 7 febbraio 2022

Contro il bipolarismo

In Italia ormai esiste il mito del bipolarismo: sembra che tutti credano che la democrazia sia avere la scelta tra due partiti (o al limite due coalizioni). Uno di centrosinistra (aka progressista) e uno di centrodestra (aka conservatore).

Bene, chi ve lo dice non parla di democrazia, sappiatelo.
Parla solo di scimmiottare la parte meno democratica del mito USA.

La democrazia è altro.
E oltretutto l'Italia è in Europa, non in Nord America. In Europa sia le esigenze che le tradizioni sono altre (e soprattutto l'Europa sa cosa siano sia la dittatura che la democrazia... gli USA non hanno di fatto mai conosciuto nessuna delle due, ma hanno sempre vissuto in una sorta di anarchia regolamentata).

Per prima cosa rispondiamo alla seguente domanda: Cos'è il bipolarismo?
Il bipolarismo è un sistema politico in cui o grazie alla legge elettorale o ad altri fattori esistono due partiti o schieramenti che si alternano al governo del Paese ed eventuali altre terze parti rimangono permanentemente insignificanti o quasi.

Ora, parlando di democrazie occidentali, dove esiste (se poi ivi funziona anche bene, non è tema di questo articolo) il bipolarismo?
Esatto, come accennato prima solo in un Paese: gli USA. Paese imparagonabile a quelli europei, come storia, come tradizione, come sistema politico, come tutto.

E non venitemi a tirare fuori Regno Unito e Germania!
Nel Regno Unito il bipolarismo è esistito, vero, ma non esiste più: ormai sono sempre governi di coalizione con coalizioni diverse.
In Germania non è mai esistito: sono praticamente sempre stati governi di coalizione e con coalizioni ben diverse tra loro (e i due partiti maggiori, quelli che dovrebbero alternarsi, hanno anche governato insieme!).

Eppure in Italia si vede questo "bipolarismo" come sistema ideale per risolvere tutti i problemi.
Per i partiti italiani il bipolarismo (che poi, sotto sotto, credo nessuno voglia veramente) sembra essere come il Godot di Beckett: colui che risolve tutto, ma non arriva mai.

E comunque, oltre che di fatto irraggiungibile, il bipolarismo sarebbe anche antidemocratico.

Infatti il bipolarismo sarebbe raggiungibile solo con una legge elettorale ad hoc, visto che in un Paese non minuscolo è impossibile che l'elettorato si polarizzi solo su due poli e che questi poli rimangano nella composizione stabili nel tempo. Ci sono troppe esigenze diverse in una popolazione vasta per poterci arrivare.
Non capita in nessun medio o grande Paese europeo.
E, se facciamo una legge elettorale ad hoc, sarebbe - comunque la si formuli - antidemocratica, visto che dovrebbe bene o male imporre due cose a priori: che i due poli siano bene o male fossilizzati nella composizione e che chi non vuole stare in nessuno dei due poli venga condannato a rimanere piccolo.
Se vuoi raggiungere un vero bipolarismo è inevitabile che in un modo o nell'altro tu imponga queste due cose.
Ed è quindi inevitabile che la tua legge sia antidemocratica.

Toglietevi il bipolarismo dalla testa.

Saluti,

Mauro.

giovedì 14 ottobre 2021

Il Covid, i giuristi e la Costituzione

Oggi voglio fare un po' di polemica con gli amici giuristi 😉

Il governo compie azioni per contrastare la pandemia.
Regolamenti, leggi, decreti.
Talvolta sono obiettivamente condivisibili, talvolta altrettanto obiettivamente no.
Ma non è questo il punto.

I giuristi (giustamente!) ogni volta si dedicano a spiegarci cosa è giusto e cosa no.
Nel senso "questa cosa rispetta la legge, la Costituzione e quest'altra no".

Il problema è che, anche quando hanno totalmente ragione nello smontare una norma (qualche volta sbagliano anche loro, chiaro, ma quelli che conosco io sono generalmente affidabili), non mettono fuori gioco la norma incriminata, come i loro lettori spesso credono.

Quindi chi li prende alla lettera e rifiuta di fare le cose che i giuristi hanno teoricamente cassato, si mette nei guai.

Perché quello dei giuristi, anche se corretto, è solo un giudizio professionale. È un'analisi tecnica.
Non è una sentenza della Corte Costituzionale.


Fino a che la Corte Costituzionale (o altra istituzione preposta per le norme di rango inferiore alla legge) non cassa una legge, questa rimane valida.
Punto.
Qualsiasi altro giudizio, anche se corretto nella sostanza e perfetto nella forma, ha solo valore informativo.

Fino a che la Corte Costituzionale (o chi di dovere, vedasi sopra) non le cassa, il non rispettare le leggi o i decreti è sempre e comunque una pessima idea. Anche quando sono palesemente sbagliate.

Sapevatelo!

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Nel caso qualcuno ora mi tiri fuori la disobbedienza civile, questa, in caso di assurdità palesi, è in realtà un'ottima idea, una dimostrazione di patriottismo e serietà, ma solo se chi la opera ha anche il coraggio di accettarne le conseguenze, non se pretende l'impunità.
La disobbedienza civile è una cosa molto più alta e nobile del fregarsene di norme e leggi, per quanto sbagliate.

venerdì 21 maggio 2021

Pesto genovese o alla genovese?

Il pesto è un argomento delicato, da trattare con le molle, soprattutto quando ne parlate con noi liguri.
Ne parlai già su questo blog e l'argomento torna ciclicamente a galla sui social networks.

Oggi voglio insegnarvi qualcosa, aiutarvi a riconoscere quando fidarvi e quando no.
Quando voi andate al ristorante, al supermercato, nei negozi di specialità liguri oppure in rosticceria, dove lo fanno fresco, vi troverete davanti a pesti genovesi e a pesti alla genovese.
E molti di voi neanche faranno caso alla differenza.

Eppure, sappiatelo, la differenza c'è.
Ed è anche una differenza legale, non solo qualitativa.

Il pesto infatti è un prodotto DOP (Denominazione di Origine Protetta), come molti altri prodotti tipici di qualità.
Questo significa che il pesto ha un disciplinare ben preciso, del cui controllo e applicazione si occupa il Consorzio del Pesto Genovese (e qui comincerete già a capire quale è la denominazione giusta).

Il disciplinare è questo:


Detto tutto questo ora sappiamo cosa dobbiamo cercare quando vogliamo un vero pesto come lo facciamo noi liguri:
- il Pesto Genovese è il vero pesto, quello autorizzato dal Consorzio, quello fatto secondo il disciplinare (e che, salvo imprevisti durante la preparazione o annate andate male di qualche ingrediente, è anche quello più buono, più gustoso) e solo chi lo fa seguendo il disciplinare può denominarlo così;
- il Pesto alla Genovese non è un prodotto definito, è un prodotto che si ispira al Pesto Genovese, ma che può fare chiunque senza seguire nessun disciplinare. Magari poi come gusto può piacere, non sono certo io a negarlo, ma nel 99% dei casi sarà inferiore sia come gusto che come qualità a quello fatto secondo il disciplinare.

Due osservazioni:
- se da qualche parte trovate un pesto che non segue il disciplinare (come clienti ovviamente voi, tranne rari casi, potrete controllare solo gli ingredienti) ma che è denominato "Pesto Genovese" e non "Pesto alla Genovese", quella è una truffa dal punto di vista legale, per quanto buono sia quel pesto;
- se un pesto si allontana veramente troppo dal disciplinare (come quelli che usano la rucola invece del basilico, per esempio) chi lo produce dovrebbe avere l'onestà intellettuale di non usare neanche l'espressione "Pesto alla Genovese", anche se questa non è una denominazione protetta e quindi chiunque la può usare.

C'è un'ultima cosa da dire.
Molti di voi ora diranno... e il pesto coi fagiolini e con le patate?
Vero, in Liguria trovate spesso piatti di pasta al pesto con fagiolini e patate... ma i fagiolini e le patate non fanno parte del pesto. Fanno parte della pasta, infatti vengono bolliti insieme alla pasta nella sua acqua di cottura.

Ecco, ora sapete tutto sul pesto, quindi se vi fate fregare... colpa vostra.

Saluti,

Mauro.

domenica 16 maggio 2021

Riparliamo delle quote rosa

Più di dieci anni fa (gennaio 2010) scrissi la mia opinione sulle quote rosa su questo blog.
Nel corso degli anni il tema non ha perso, purtroppo, importanza. Purtroppo sia che si sia favorevoli, sia che si sia contrari. Spero di non dovervi spiegare quel purtroppo.

Negli ultimi giorni la questione tra Rula Jebreal e Propaganda Live (di cui tutti avete sentito, non voglio ripetervela qui) ha riportato il tema in prima pagina.

Ma, al di là delle questioni etiche, servono le quote (rosa o di qualsiasi altro tipo)?

Parliamoci chiaro: le quote sono dannose.

Quelle rosa rischiano addirittura di fornire combustibile al maschilismo, quasi di giustificarlo.
Faccio un esempio.
Mettiamo che io partecipi a un concorso che preveda quattro assunzioni ma anche la parità di genere.
Io arrivo quarto, quindi dovrei essere uno dei quattro assunti. Ma la mia sfortuna è che davanti a me sono arrivati due uomini e una donna. E quindi io sono fuori. Serve una seconda donna. Ma dietro di me tanti altri uomini e la prima (anzi, seconda) donna arriva solo decima in graduatoria.
E non perché la commissione valutatrice sia misogina o le donne siano sceme... solo perché si sono presentate pochissime donne, quindi il risultato è statisticamente logico.
Però immaginatevi come ci sentiremmo io e gli altri uomini finiti, per merito, davanti a questa donna che poi ha ottenuto il posto.
Potreste biasimarci se diventassimo almeno un po' più maschilisti?
Se rispondete sì, siete fuori dalla realtà, vivete su un altro pianeta. O siete in malafede.

Però c'è una considerazione ancora più importante da fare e di cui parlai già nel mio articolo del 2010 citato sopra.
Le quote garantite portano la parte garantita a pensare di avere diritto a quel punto di arrivo, indipendentemente dal meritarlo.
L'uguaglianza, la parità (di genere o di qualsiasi altra cosa) invece si ottiene quando tutti hanno garantite le stesse condizioni di partenza, le stesse possibilità di studiare, di presentarsi, di mettersi in mostra, di essere presi sul serio... non quando si hanno posizioni di arrivo garantite.
Queste ultime sono la negazione della parità e dell'uguaglianza.

In sostanza le quote alla fine mortificano chi ne gode, perché in pratica è come se ti dicessero: "Da sola non ce la farai mai, quindi ti do una bella spinta" (rimango sull'esempio delle quote rosa, per questo il femminile, ma vale per ogni tipo di quota).

Il problema è culturale, non legislativo o normativo.
Affrontarlo solo dal punto di vista delle norme (anche se magari non scritte, come nel caso posto da Rula Jebreal) e delle leggi, può solo esasperarlo, non risolverlo.

Saluti,

Mauro.

martedì 12 gennaio 2021

La "censura" dei social networks contro Trump

Non serve che vi racconti che Trump è stato bannato da alcuni social networks. Ne avete letto tutti.
Voglio però fare alcune riflessioni per stimolare una discussione seria, al di là dell'essere d'accordo col ban di cui sopra o meno.
Voglio darvi da pensare, non darvi delle risposte.

La prima cosa da osservare è che una qualsiasi azienda, come sono Twitter o Facebook, ha il diritto di stabilire le proprie condizioni di utilizzo (fino a che ovviamente non confliggono con le leggi dei paesi in cui operano, in particolare del paese in cui hanno sede legale). E in base a queste condizioni di utilizzo hanno il diritto di fornire o negare i propri servizi.

Seconda cosa. Come già stabilito da vari tribunali in giro per il mondo, aziende con miliardi di utilizzatori come quelle che gestiscono i social networks hanno ovviamente, a causa del loro impatto sull'opinione pubblica, doveri un po' diversi da quelli di un'azienda privata media. Per loro l'asticella sta ovviamente un po' più in alto. Ma ciò comunque non fa di loro istituzioni pubbliche. Non possiamo valutarle come valutiamo un ente pubblico.

Terza cosa. Non è stato bannato il profilo del presidente degli Stati Uniti d'America. È stato bannato il profilo privato di Donald Trump (esempio per quanto riguarda Twitter: @POTUS è perfettamente visibile, @realdonaldtrump no... e il fatto che fosse account verificato non conta nulla... lo era da ben prima che diventasse presidente).

Il vero problema dei social networks non è comunque che abbiano bannato Trump: è che bannino arbitrariamente, ignorando le proprie stesse condizioni di utilizzo. Vero che se incita alla violenza Trump ha un effetto molto maggiore che se lo faccia io. Ma in base alle condizioni di utilizzo (che noi accettiamo nel momento stesso in cui ci iscriviamo) andremmo bannati allo stesso modo (e oltretutto in base alle stesse Trump avrebbe dovuto essere bannato da anni... ma Trump portava click e quindi guadagni).

Saluti,

Mauro.

martedì 28 luglio 2020

Il rasoio di Occam... sicuri di averlo capito?

Normalmente il rasoio di Occam viene espresso nella forma secondo cui la spiegazione più semplice per un fenomeno è quella più probabile, quella da preferire.
Sembra ragionevole, però...
Però c'è un problema: cosa significa "semplice"? È una parola un po' troppo generica, non è molto concreta.
Guglielmo di Occam (in originale: William of Ockham) non fu in realtà così impreciso. Lui era logico, rigoroso.
Una delle sue formulazioni fu infatti: "Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem." (cioè: "Non moltiplicare gli elementi più del necessario.").
Formulazioni alternative nella forma, ma non nel contenuto, sono "Pluralitas non est ponenda sine necessitate." e "Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora." (lascio a voi le traduzioni 😉).
Cosa significa questo? Significa che per spiegare un fenomeno bisogna scegliere la spiegazione che abbisogna del minor numero di ipotesi (o di leggi o di prove), indipendentemente dalla semplicità intrinseca di queste ipotesi (o leggi o prove).
Non è la semplicità in sé il valore principale quindi, ma la quantità di ipotesi necessarie.
Altrimenti detto: È il numero di ipotesi determinante, meno ipotesi servono, più è da preferire la spiegazione.
Va però aggiunto che quello di Occam è un principio, non una legge.
Cosa significa questo? Che la spiegazione più semplice è da preferire e che generalmente è quella giusta... ma non lo è sempre! Bisogna verificare che detta spiegazione spieghi veramente TUTTO del fenomeno. Se non lo fa, o non è giusta o non è completa.

Due appunti storici.
1) Occam costituisce il culmine di un percorso cominciato con Moses Ben-Maimon (alcuni dicono addirittura con Aristotele, ma mi pare un po' tirata) e portato avanti da Giovanni Duns-Scoto (senza Duns-Scoto non è pensabile Occam, neanche senza rasoio).
2) Il rasoio di Occam è in fondo la prima pietra che secoli dopo con Newton e soprattutto Galilei portò alla definizione e all'affermazione del metodo scientifico.

Saluti,

Mauro.

giovedì 23 aprile 2020

La app e il virus

Tutti ormai sappiamo della app "Immuni" per il tracciamento del Covid19.
Io non ho le competenze per valutare tecnicamente la app in sé e, oltre ciò, non voglio lasciarmi andare a dietrologie varie (anche se forse non sarebbero proprio dietrologie, date informazioni riservate che ho).
Però ci sono tre domande che sorgono comunque spontanee, indipendentemente dalle informazioni e dalle competenze che uno ha o meno.

Domanda numero 1
Come può un'app di tracciamento funzionare se non ci sono test a tappeto? Per lo meno se non ci sono test per tutti i sintomatici?

Domanda numero 2
Si dice che già diciamo tutto (o quasi) di noi a Google, Facebook & co., quindi che male c'è a dirlo al governo? A parte che a Google, Facebook & co. la maggioranza di noi dice meno di quel che si racconta... loro non possono modificare le leggi in base alle informazioni raccolte. Un governo sì. Non è pericoloso?

Domanda numero 3
Visto lo scopo della app, in un mondo ideale dovrebbe venire cancellata automaticamente appena finita la pandemia. Qualcuno ha pensato a questo?

Saluti,

Mauro.

mercoledì 11 marzo 2020

Cosa succederà ora in Germania?

Oggi qui in Germania la Merkel finalmente si è svegliata e si è espressa sulla situazione relativa al coronavirus.
In aggiunta a ciò i numeri tedeschi salgono velocemente e l'OMS ha finalmente dichiarato ufficialmente la pandemia.

Cosa succederà ora in Germania?

Prima di tutto dobbiamo osservare una cosa: la Germania è uno stato federale.
Quindi il governo centrale ha meno competenze di quelli, per esempio, di Italia o Francia mentre i governi regionali (i governi dei Länder) ne hanno di più di quelli regionali italiani o francesi.

Cosa significa questo?
Per prima cosa che la Germania avrebbe più difficoltà dell'Italia a emettere un decreto come l'ultimo nostro che riguarda tutto il paese. E questo indipendentemente dalla volontà del governo.
Non sarebbe impossibile, certo, ma più difficile.
Secondariamente che, per esempio, il divieto di assembramento e misure analoghe sarebbero competenza dei Länder.
Potrebbe teoricamente succedere che la Baviera, per esempio, decida il lockdown mentre il vicino Baden-Württemberg non prenda nessuna misura.

Può succedere anche praticamente?
Nì.
Nel senso che i Länder in parte per obbligo in parte per uso tendono a coordinarsi tra loro e col governo centrale, ma la decisione finale di cosa fare sul proprio territorio è prerogativa di ogni singolo Land.

Ma cosa può fare il governo centrale?
Beh, la Costituzione (anzi Legge Fondamentale, come è il nome ufficiale) dice che le istituzioni centrali (governo e parlamento federali) sono responsabili per situazioni di emergenza che riguardino più Länder o il paese intero.
In questi casi il governo può imporsi ai Länder.
C'è un inghippo però.
La Costituzione parla esplicitamente di emergenze riguardanti l'ordine pubblico e le catastrofi naturali. Ma non prevede situazioni di emergenza sanitaria. E la sanità è competenza dei Länder.
E quindi?
Quindi alla fine, se necessario, il governo centrale si imporrà, ma non sarà una passeggiata di salute.
Io personalmente sono comunque convinto che i Länder si coordineranno spontaneamente tra loro e col governo centrale.
Puntare i piedi non conviene a nessuno.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Io non sono un giurista, ho cercato di spiegare le cose in termini terra terra.
Un giurista potrà essere di sicuro più preciso ed esaustivo di me.

domenica 30 giugno 2019

Siamo diventati razzisti?

Risposta breve: no. Non lo siamo diventati, almeno non più di quanto già lo fossimo.
Razzisti lo siamo sempre stati (infatti se la domanda fosse stata "Siamo razzisti?", la risposta sarebbe stata ). O meglio una discreta parte di noi è sempre stata razzista.
E vale per tutti, non solo per noi italiani. Alcuni di più, alcuni di meno, ma nessuno è immune.

Risposta lunga: la situazione si è evoluta negli ultimi tempi e richiede un'analisi più complessa di un semplice sì o no.
Vediamola (spoiler: comunque non smentisce la risposta breve).

Il razzismo è connaturato alla natura umana.
Ma il conformismo ancora di più.
Ergo in un periodo in cui il governo, la politica sembrano sdoganare il razzismo i razzisti sembrano aumentare (e le statistiche sugli atti di razzismo che avvengono generalmente lo confermano).
In un periodo in cui il governo, la politica sembrano veramente impegnarsi contro il razzismo i razzisti sembrano diminuire (e anche qui le statistiche generalmente confermano).
Ma in realtà il numero di razzisti rimane pressoché uguale.

Cosa succede allora?
Che chi si comporta da razzista come norma se ne frega di chi è al governo e di cosa dicono le leggi. E fa il razzista sempre.
Però c'è chi è razzista ma, diciamo, prima di tutto tiene alle proprie chiappe e quindi annusa l'aria. Se c'è uno sdoganamento si sente libero di vivere il proprio razzismo. Se invece vive in un periodo politicamente corretto mette la coda tra le gambe e si trattiene.
Poi c'è chi è indifferente, colui a cui non interessa né sostenere né combattere il razzismo, ma anche lui annusa l'aria e si accoda a chi comanda in un determinato momento.

Tra le altre cose queste due ultime categorie (soprattutto la prima, quella dei razzisti "paurosi") vivono in una condizione di legge percepita (cosa intendo con legge percepita lo spiegai qui in altro contesto).
Queste persone credono che le leggi sul razzismo siano state ora ammorbidite da Salvini e prima fossero state irrigidite da Renzi. E pensano che siano ora permesse cose in realtà proibite e che durante la legislatura precedente fossero proibite cose che proibite non erano.
Perché le leggi sul razzismo in Italia non sono state cambiate né da Renzi né da Salvini, almeno nella parte sostanziale. Sono ben più vecchie.
Come non è tutto permesso ora, non era tutto proibito prima. Anche se molti lo credono.

Tornando al punto: no, il razzismo in sé non è aumentato. Ma sono aumentate le espressioni palesi di razzismo (sia illegali che no).

Saluti,

Mauro.

mercoledì 26 giugno 2019

La legge dei grandi numeri

Non è quella che credete che sia.
E infatti ne sbagliate spesso l'applicazione.

Se io vi chiedessi cosa dice la legge dei grandi numeri, molti di voi mi direbbero che in una serie di eventi casuali (tipo il lancio di una moneta o le estrazioni del Lotto) prima o poi tutti i numeri o eventi devono uscire/verificarsi.
E infatti, per esempio, quando giocate al Lotto controllate quali numeri non escono da molto tempo e li giocate. O almeno molti di voi fanno così.

E sbagliate.

La legge dei grandi numeri (che andrebbe più correttamente chiamata teorema di Bernoulli) dice che in una sequenza di eventi casuali e indipendenti tra loro la distribuzione dei risultati tende tanto più ad avvicinarsi alla loro probabilità teorica quanto più numerosi sono gli eventi presi in considerazione.

Mi spiego con un esempio.
Prendiamo una moneta e giochiamo a testa o croce. Se la moneta è perfetta, senza difetti, non truccata sappiamo che testa e croce hanno entrambe una probabilità teorica di verificarsi del 50%.
Quindi la legge dei grandi numeri ci dice che più lanci faccio più sarà facile che la distribuzione testa-croce dei risultati si avvicini al 50%-50%.
Se faccio 10 lanci la distribuzione sarà probabilmente lontana da ciò, se ne faccio 1000 sarà decisamente più vicina, se ne faccio un milione lo sarà ancora di più. Eccetera, eccetera.
Questo dice la legge dei grandi numeri. Non dice nulla - ma proprio nulla - sui singoli lanci.
Se mi è uscita per 50 volte di seguito testa (difficile ma non impossibile) è inutile che al 51° lancio io scommetta su croce perché "per la legge dei grandi numeri prima o poi dovrà uscire croce". No, a ogni nuovo singolo lancio testa e croce continueranno ad avere ciascuna il 50% di probabilità di uscire.
E questo vale anche per distribuzioni/probabilità asimmetriche (tipo 60%-40% invece di 50%-50%) o per casi in cui i risultati possibili sono più di due (tipo le estrazioni del Lotto).
Gli eventi casuali non hanno memoria. Le monete, i numeri del Lotto non hanno memoria.

Ci sono però casi in cui invece conviene puntare su ciò che non è ancora uscito/accaduto pur trattandosi di eventi casuali.
Si tratta di quando ci troviamo di fronte a probabilità condizionate.
Ma come? - direte voi - l'evento o è casuale o è condizionato!
Sì, vero, ma l'evento può essere casuale e la probabilità condizionata.
Mi spiego anche qui con un esempio.
Prendete un classico mazzo di carte da 40 (per giocare a scopa, briscola o altro). Le 40 carte saranno 20 rosse e 20 nere (o meglio, rossi o neri saranno i loro semi, ma ci siamo comunque capiti).
Fatele spargere a caso col dorso in alto sul pavimento da qualcuno.
Dopo averlo fatto, chiamate qualcuno che era fuori e chiedetegli di scegliere una carta a caso. Evento casuale, visto che sul dorso le carte sono tutte uguali e lui non era presente durante lo spargimento sul pavimento.
Le probabilità che peschi una carta rossa o una nera sono pari: 50%-50%.
Lui pesca una rossa.
Se gli chiedete di pescarne una seconda vi conviene scommettere che sia nera, che sia rossa o è lo stesso?
Ebbene, vi conviene scommettere su una carta nera.
Infatti gli eventi sono sì completamente casuali (lui pesca sempre a caso), ma sono cambiate le condizioni in cui pesca, il che cambia la probabilità.
Alla prima pescata le carte nere erano 20 su 40, cioè il 50%.
Alla seconda pescata le carte nere sono sempre 20, ma su 39 (una rossa è stata già pescata), cioè sono circa il 51,3%.
Anche qui le carte non hanno memoria, ma il gioco cambia le condizioni a ogni pescata.
E qui non si applica la legge dei grandi numeri.

Saluti,

Mauro.

venerdì 21 giugno 2019

Twitter e le segnalazioni

Così non va, non funziona. Sto parlando delle segnalazioni su Twitter (e da quel che sento su Facebook è anche peggio, ma ormai Facebook lo frequento molto poco, quindi in realtà non so).

No, non sto parlando di segnalazioni fatte in malafede, fatte per intimidire o silenziare chi non la pensa come noi o cose simili.
Questi sono problemi seri (e i cui colpevoli siamo prima di tutto noi frequentatori che crediamo che le discussioni siano guerre senza possibilità di dialogo), ma io voglio parlare di altri problemi: quelli che ci sono dopo aver fatto la segnalazione, corretta o no che essa fosse.

Ecco, il problema vero sta lì. Perché se la gestione delle segnalazioni funzionasse quelle in malafede si ridurrebbero a un limite fisiologico e quelle in buonafede ma moderate male anche.

Il primo problema è legato a paese, IP e lingua.
Ve lo spiego con un esempio pratico.

Io mi muovo su Twitter in tre lingue: italiano, tedesco e inglese. Ma soprattutto italiano. Però scrivo dalla Germania e l'IP del mio computer (sia a casa che sul lavoro) è ovviamente tedesco.
Cosa significa questo? Che se io segnalo un tweet in italiano (o in inglese) il sistema riconosce il mio IP e mi pone le scelte in base alla normativa, alla legislazione tedesca.
Ora, le cose permesse e proibite sono più o meno le stesse in tutta Europa, ma con formulazioni diverse, con riferimenti di legge diversi, ecc.
Quindi in molti casi non posso segnalare perché Twitter non mi mette a disposizione la scelta adeguata.
Quando riesco a superare questo ostacolo, la mia segnalazione (a meno che non riguardi tweet in tedesco) viene invariabilmente cassata. Ed è inevitabile (e a suo modo giusto) perché il desk tedesco non capisce i tweet in italiano (anche se qualcuno dei moderatori parlasse italiano non avrebbe certo il tempo di valutare e poi reagire... visto che dovrebbe tradurre e i moderatori si trovano in una situazione stile catena di montaggio).
E al di là della lingua: il desk applica (ovviamente) la lettera della legge e anche se leggi diverse di paesi diversi hanno lo stesso senso, la stessa sostanza, hanno per forza di cose lettere diverse.

Il secondo problema è relativo ai diversi registri di linguaggio.
Anche qui passiamo tramite un esempio.

Magari io sto "litigando" con un amico e ci permettiamo - conoscendoci - un linguaggio sopra le righe. Magari con minacce semiserie, del resto tra amici quando non si è d'accordo su qualcosa ci si lascia andare e non ci si pongono problemi (visto che ci si conosce si sa fino a dove ci si può spingere e poi comunque spiegarsi è più semplice).
Però può capitare che si usi lo stesso linguaggio litigando veramente con uno sconosciuto.
È sì lo stesso linguaggio. Ma non è per niente lo stesso registro, visto che io non so fino a dove posso spingermi ed è quindi molto probabile che io sia serio nelle mie minacce e offese (al di là del fatto che abbia una qualche seria intenzione di metterle in pratica).
E se qualcuno segnala i miei due tweet di minacce (quello all'amico e quello allo sconosciuto) i moderatori che leggeranno capiranno il linguaggio ma non il registro (non avranno neanche il tempo di porsi il problema del registro, vista la pressione temporale ai cui sono sottoposti) e quindi o bloccheranno un tweet innocuo o ne lasceranno passare uno pericoloso.

Come si possono risolvere questi problemi?

Il primo in realtà è molto semplice da risolvere: basta che tra le schermate che appaiono durante il processo di segnalazione la prima ti chieda a quale desk ti vuoi rivolgere (italiano, tedesco, inglese, ecc.). Sarebbe una funzione facilissima da programmare. E neanche costosa.

Il secondo tecnicamente sarebbe anche risolvibile: moderatori più preparati e con più tempo a disposizione, aiutati da algoritmi più sofisticati per una prima scrematura automatica. Ma sarebbe molto più costoso.

Il problema vero è comunque che entrambe le soluzioni imporrebbero una presa di responsabilità attiva da parte dei social networks. Con la situazione attuale invece possono nascondersi dietro i vuoti della politica (e di conseguenza della legge).

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Articolo leggermente ampliato il 17/01/2020.

giovedì 9 maggio 2019

L'autorete sulla cannabis

Ripropongo qui alcuni pensieri scritti oggi su twitter, pensando alla sparata di Salvini sulla cannabis

Premetto che io non sono mai riuscito a farmi un'idea mia precisa sulla legalizzazione della cannabis sotto certe condizioni, quindi non vi farò pipponi sul fatto che sia giusta o sbagliata (anche se tendo più al giusta).

Però due considerazioni mi sento di farle.

1) Il proibizionismo favorisce sempre il mercato illegale. Se proibisci devi essere pronto a preparare una vera azione militare contro quest'ultimo. Se no fai solo un'autorete.
2) La legge al momento ne consente la vendita, quindi per chiudere i negozi devi prima cambiare la legge.

Sul punto 2 si possono aggiungere due cose.

2a) Se i negozi sono invece aperti solo grazie a buchi nella legge (e non per esplicito permesso nella legge), prima chiudi i buchi, poi chiudi i negozi.
2b) Fino a che non cambi o non integri la legge, per le licenze sono responsabili i comuni. Tu ministro, no, non puoi.

Saluti,

Mauro.

sabato 5 gennaio 2019

Cos'è l'esercizio provvisorio?

Nell'ultimo paio di settimane si è parlato molto dell'esercizio provvisorio nel caso che il Parlamento non fosse riuscito ad approvare in tempo il DEF (alias legge di bilancio).

Fico ha usato la foglia di fico dell'esercizio provvisorio per mortificare e di fatto annullare il dibattito parlamentare (cioè uno dei pilastri della democrazia e dello stato di diritto).
Mattarella ha firmato subito per evitare l'esercizio provvisorio (sapendo che se rimandava la legge alle camere gli ritornava poi uguale e sarebbe stato comunque costretto a firmarla).

Ma è veramente così drammatico l'esercizio provvisorio?
E, soprattutto, siamo veramente sicuri di sapere in cosa consista questo esercizio provvisorio?

Se chiedete in giro, la risposta che più probabilmente riceverete sarà che durante l'esercizio provvisorio il governo può occuparsi solo delle spese correnti e delle spese previste da leggi di bilancio precedenti già approvate (e magari di spese per eventuali emergenze che capitassero nel frattempo).

Bene, non è proprio così.
E come vedrete in realtà l'esercizio provvisorio non sarebbe neanche così traumatico e drammatico.

Intanto partiamo dalla Costituzione.
L'esercizio provvisorio è regolato dall'articolo 81. La parte dell'articolo relativa all'esercizio provvisorio dice:

L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.

Quindi vediamo già due punti importanti:
- l'esercizio provvisorio non scatta automaticamente (non può essere concesso se non per legge);
- l'esercizio provvisorio non può andare avanti a tempo indefinito (per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi).

Ma in cosa consiste concretamente questo esercizio provvisorio?
Per saperlo dobbiamo andarci a leggere la legge n. 196 del 2009, e in particolare l'articolo 32 di detta legge.
L'articolo 32 è composto di tre commi e recita:

1. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
2. Durante l'esercizio provvisorio, la gestione del bilancio è consentita per tanti dodicesimi della spesa prevista da ciascun capitolo quanti sono i mesi dell'esercizio provvisorio, ovvero nei limiti della maggiore spesa necessaria, qualora si tratti di spesa obbligatoria e non suscettibile di impegni o di pagamenti frazionati in dodicesimi.
3. Le limitazioni di cui al comma 2 si intendono riferite sia alle autorizzazioni di impegno sia a quelle di pagamento.

Il primo comma altro non è che un ribadire quanto scritto nella Costituzione, lo abbiamo già analizzato.
Il secondo comma è di fatto il più importante: ci dice che il governo può già applicare quanto previsto dalla legge di bilancio non approvata, ma in maniera proporzionale al periodo di esercizio provvisorio autorizzato (per esempio: se viene autorizzato un periodo di esercizio provvisorio di due mesi, il governo può autorizzare l'utilizzo dei due dodicesimi di quanto previsto dalla legge di bilancio), dalla proporzionalità rimangono escluse spese obbligatorie e spese non frazionabili.
L'ultimo comma ci dice che tale frazionamento vale sia per le spese propriamente dette che per gli impegni di spesa.

Come vedete, l'esercizio provvisorio è una cosa un po' più complicata ma decisamente meno drammatica di quello che generalmente si pensa.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Qui tutti i miei articoli sugli... articoli della Costituzione.