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domenica 16 maggio 2021

Riparliamo delle quote rosa

Più di dieci anni fa (gennaio 2010) scrissi la mia opinione sulle quote rosa su questo blog.
Nel corso degli anni il tema non ha perso, purtroppo, importanza. Purtroppo sia che si sia favorevoli, sia che si sia contrari. Spero di non dovervi spiegare quel purtroppo.

Negli ultimi giorni la questione tra Rula Jebreal e Propaganda Live (di cui tutti avete sentito, non voglio ripetervela qui) ha riportato il tema in prima pagina.

Ma, al di là delle questioni etiche, servono le quote (rosa o di qualsiasi altro tipo)?

Parliamoci chiaro: le quote sono dannose.

Quelle rosa rischiano addirittura di fornire combustibile al maschilismo, quasi di giustificarlo.
Faccio un esempio.
Mettiamo che io partecipi a un concorso che preveda quattro assunzioni ma anche la parità di genere.
Io arrivo quarto, quindi dovrei essere uno dei quattro assunti. Ma la mia sfortuna è che davanti a me sono arrivati due uomini e una donna. E quindi io sono fuori. Serve una seconda donna. Ma dietro di me tanti altri uomini e la prima (anzi, seconda) donna arriva solo decima in graduatoria.
E non perché la commissione valutatrice sia misogina o le donne siano sceme... solo perché si sono presentate pochissime donne, quindi il risultato è statisticamente logico.
Però immaginatevi come ci sentiremmo io e gli altri uomini finiti, per merito, davanti a questa donna che poi ha ottenuto il posto.
Potreste biasimarci se diventassimo almeno un po' più maschilisti?
Se rispondete sì, siete fuori dalla realtà, vivete su un altro pianeta. O siete in malafede.

Però c'è una considerazione ancora più importante da fare e di cui parlai già nel mio articolo del 2010 citato sopra.
Le quote garantite portano la parte garantita a pensare di avere diritto a quel punto di arrivo, indipendentemente dal meritarlo.
L'uguaglianza, la parità (di genere o di qualsiasi altra cosa) invece si ottiene quando tutti hanno garantite le stesse condizioni di partenza, le stesse possibilità di studiare, di presentarsi, di mettersi in mostra, di essere presi sul serio... non quando si hanno posizioni di arrivo garantite.
Queste ultime sono la negazione della parità e dell'uguaglianza.

In sostanza le quote alla fine mortificano chi ne gode, perché in pratica è come se ti dicessero: "Da sola non ce la farai mai, quindi ti do una bella spinta" (rimango sull'esempio delle quote rosa, per questo il femminile, ma vale per ogni tipo di quota).

Il problema è culturale, non legislativo o normativo.
Affrontarlo solo dal punto di vista delle norme (anche se magari non scritte, come nel caso posto da Rula Jebreal) e delle leggi, può solo esasperarlo, non risolverlo.

Saluti,

Mauro.

martedì 19 giugno 2018

Siamo sicuri che le quote rosa funzionino?

Come ben sa chi mi segue da tempo (ma anche forse chi mi segue da meno tempo) io sono contro le quote (rosa o di qualsiasi altro tipo) in posti sia pubblici che privati.
Non sto qui a ripetermi: già nel gennaio del 2010 avevo espresso in questo articolo il mio pensiero e da allora non è cambiato.
Oggi magari mi spiegherei con più dettagli, citando qualche fonte in più, ma la sostanza rimarrebbe la stessa.

Ieri però un articolo pubblicato sul sito della Deutsche Welle (radio pubblica tedesca) mi ha fatto pensare che forse le quote rosa sono ancora più dannose di quello che io pensavo e che le prime a essere da queste danneggiate sono le donne stesse.
L'articolo in questione si intitola Frauen mit wenig Rückenwind (in italiano: Donne con poco vento a favore).
Scopo di questo articolo sarebbe quello di far vedere che le donne sono ancora svantaggiate per quanto riguarda le posizioni di vertice nelle aziende e che bisogna fare qualcosa al proposito.

Però, però...

Guardate questo grafico, basato su dati della commissione europea:


Questo grafico ci indica i paesi europei con la più alta percentuale di donne ai vertici delle aziende e, per confronto, il dato UE globale (il titolo del grafico letteralmente significa: Stati dell'UE con il maggior numero di donne in posizioni di vertice, il sottotitolo: Percentuale di donne nei consigli di sorveglianza e nel top management delle maggiori aziende).

Da italiano la mia prima reazione è che l'Italia (dove si parla e si straparla delle poche donne in posizioni importanti) è comunque il terzo paese d'Europa per donne ai vertici, dietro solo a Francia e Svezia (che io, sinceramente, mi sarei comunque aspettato in posizioni invertite, ma questa è un'altra storia).
Alla faccia delle lamentele e dei piagnistei.

Le considerazioni però più interessanti sono altre.

1) Intanto, almeno tra i primi cinque paesi, l'Italia è l'unico senza nessuna quota (o altra forma di tutela/promozione) per le donne nel mondo aziendale.
Eppure l'Italia, come detto, non è per niente messa male, anzi.
Forse che le quote non siano poi una strada così necessaria, così utile per ottenere dei risultati?

2) La seconda considerazione viene dal confronto tra Italia e Germania: in Germania per legge le principali società quotate in borsa (cioè di fatto quelle prese in considerazione nel grafico) devono avere almeno il 30% di donne nelle posizioni di vertice.
Eppure l'Italia supera il 32% senza quote e la Germania non raggiunge il 30% nonostante la legge.
Non sarà forse che le quote ti fanno sembrare privilegiata e quindi ti mettono contro chi ti dovrebbe assumere?
Ergo ti danneggiano?

Io lancio il sasso, vediamo cosa ne pensate voi.

Saluti,

Mauro.