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mercoledì 2 luglio 2025

Ma lo sapete perché si chiamano sottosegretari?

Un governo è composto da ministri, questo lo sappiamo tutti.
Vale in repubblica e in monarchia, in democrazia e in dittatura.

Il livello politico inferiore a quello di ministro è quello di sottosegretario (per lo meno nella maggioranza dei governi). Anche questa è cosa nota.
Però è un nome strano, ne converrete.
Perché "sotto"? Sembra quasi che manchi un livello tra il ministro e il "sotto"segretario.

La spiegazione in realtà è molto semplice e ha le radici nelle monarchie assolute o quasi del 16°-17° secolo. O magari anche un po' prima, ma non troppo.
Anche se ai tempi lo Stato aveva meno compiti di oggi (o meglio, non che ne avesse meno in realtà, ma assolveva solo quelli che interessavano il sovrano) il "lavoro" era comunque troppo per un uomo solo, anche se era un sovrano assoluto.
Quindi il sovrano, che comunque decideva tutto, aveva bisogno di "segretari" per il lavoro quotidiano nei vari settori. E gli aiutanti di questi "segretari" erano ovviamente "sottosegretari".

Col passaggio dalle monarchie assolute ai sistemi democratici (monarchie o repubbliche che siano) si è consumato anche il passaggio lessicale da segretari a ministri, mentre i sottosegretari tali sono rimasti.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Negli USA, che monarchia non sono mai stati (anche se il Presidente ha poteri quasi da sovrano), il passaggio lessicale non c'è mai stato: i ministri si chiamano ancora segretari. Le parole dicono molto su un paese...

domenica 29 giugno 2025

Deriva autoritaria

Fino a non molto tempo fa pensavamo che le democrazie occidentali fossero piene di difetti, ma che in quanto democrazie fossero inattaccabili, solide. Migliorabili, sì (anche tanto), ma non attaccabili, non distruggibili.

Ora ci stiamo accorgendo che l'autodefinitasi più grande democrazia dell'Occidente (gli USA) così democrazia non è, visto che può essere attaccata dall'interno e senza neanche fare un colpo di stato vero e proprio (visto che, nonostante le leggende metropolitane, lì un vero sistema di "checks e balances" non esiste, è di fatto lasciato alla correttezza dei singoli).

E ci stiamo purtroppo anche accorgendo che pure nelle democrazie europee, dove i "checks e balances" per fortuna esistono davvero, i vari governi (sulla scia di quello ungherese, obiettivamente pioniere in questo all'interno dell'UE) stanno usando ogni strumento legale e soprattutto ogni zona grigia della legislazione e delle Costituzioni per far sì che il potere legislativo e quello giudiziario vengano sottomessi a quello esecutivo, cioè Parlamento e magistratura sottomessi al Governo.
E dove non li si possa sottomettere, almeno che vengano depotenziati.

O forse invece non ce ne stiamo (a parte quattro gatti) accorgendo? Forse pensiamo che, sì, ci sono periodi migliori e periodi peggiori, ma che in fondo tutto va bene, madama la marchesa?

Io vi avverto: anche in passato molte dittature nacquero in questo modo, non (o almeno non solo) con azioni violente.

Teniamo gli occhi aperti, molto aperti. Perché rischia ormai di essere troppo tardi per evitare la deriva autoritaria... e l'autoritarismo è solo un passo distante dalla dittatura.

Saluti,

Mauro.

giovedì 24 aprile 2025

Contro tutti i regimi... pur di non essere contro un regime

Domani è il 25 aprile.
Una delle tre date più importanti della storia dell'Italia unita (le altre due sono il 2 giugno e il 20 settembre).

Meloni e i suoi sodali negli anni passati hanno "celebrato" il 25 aprile schierandosi contro tutti i regimi (almeno a parole).
Ma è una presa di posizione molto ipocrita, anche se apparentemente condivisibile.

Perché?
Perché è vero che ogni dittatura è un male, e quindi da condannare, qualsiasi colore abbia. Su questo siamo tutti d'accordo (almeno tutti quelli di noi che lo intendono seriamente, sinceramente).
Però è anche vero che il 25 aprile riguarda l'Italia e non il mondo.

E in Italia nella storia c'è stato solo un regime, solo una dittatura: quella fascista. Quella dei padri culturali (e talvolta anche biologici) di Meloni, La Russa & co.
E il 25 aprile quel regime, quella dittatura va condannata. Punto.

Per i regimi, per le dittature che vanno condannate ma che non hanno segnato l'Italia c'è sufficiente tempo negli altri 364 giorni dell'anno per parlarne e condannarle.
Ma non il 25 aprile: lì si deve parlare solo del regime che ha voluto rovinare l'Italia, altri regimi non devono avere spazio.
Il 25 aprile si parla di Italia!

Mischiare tutte le dittature e tutti i regimi che con l'Italia nulla hanno avuto a che fare in questo giorno significa solo sminuire, nascondere, negare quello che successe in Italia nel Ventennio e durante la Resistenza.

Saluti,

Mauro.

martedì 10 dicembre 2024

Rivolte, libertà e prigioni

Una cosa che capita in (quasi) tutti i cambi di potere armati tipo quello attuale in Siria è l'apertura delle prigioni. Viene sempre o quasi applaudita come un esempio di libertà, in quanto vengono liberati i perseguitati politici (o etnici, religiosi o altro). Ma non è proprio così. Sì, nelle dittature sono imprigionati spesso e volentieri oppositori o rappresentanti di minoranze o comunque persone viste come avversarie del regime. E queste persone sono imprigionate contro ogni diritto, vero. Verissimo. Però pure nelle dittature si trovano in prigione anche (spesso soprattutto) normali criminali, talvolta veramente pericolosi. Esattamente come nelle democrazie (solo che nelle democrazie ci sono solo loro, o al massimo le vittime di errori giudiziari, non oppositori). Quindi aprire le prigioni significa anche liberare i criminali. Se i nuovi possessori del potere fossero veramente interessati alla libertà e alla democrazia valuterebbero ogni singolo caso, ogni singolo carcerato, non aprirebbero le carceri indiscriminatamente.

Saluti,

Mauro.

lunedì 7 febbraio 2022

Contro il bipolarismo

In Italia ormai esiste il mito del bipolarismo: sembra che tutti credano che la democrazia sia avere la scelta tra due partiti (o al limite due coalizioni). Uno di centrosinistra (aka progressista) e uno di centrodestra (aka conservatore).

Bene, chi ve lo dice non parla di democrazia, sappiatelo.
Parla solo di scimmiottare la parte meno democratica del mito USA.

La democrazia è altro.
E oltretutto l'Italia è in Europa, non in Nord America. In Europa sia le esigenze che le tradizioni sono altre (e soprattutto l'Europa sa cosa siano sia la dittatura che la democrazia... gli USA non hanno di fatto mai conosciuto nessuna delle due, ma hanno sempre vissuto in una sorta di anarchia regolamentata).

Per prima cosa rispondiamo alla seguente domanda: Cos'è il bipolarismo?
Il bipolarismo è un sistema politico in cui o grazie alla legge elettorale o ad altri fattori esistono due partiti o schieramenti che si alternano al governo del Paese ed eventuali altre terze parti rimangono permanentemente insignificanti o quasi.

Ora, parlando di democrazie occidentali, dove esiste (se poi ivi funziona anche bene, non è tema di questo articolo) il bipolarismo?
Esatto, come accennato prima solo in un Paese: gli USA. Paese imparagonabile a quelli europei, come storia, come tradizione, come sistema politico, come tutto.

E non venitemi a tirare fuori Regno Unito e Germania!
Nel Regno Unito il bipolarismo è esistito, vero, ma non esiste più: ormai sono sempre governi di coalizione con coalizioni diverse.
In Germania non è mai esistito: sono praticamente sempre stati governi di coalizione e con coalizioni ben diverse tra loro (e i due partiti maggiori, quelli che dovrebbero alternarsi, hanno anche governato insieme!).

Eppure in Italia si vede questo "bipolarismo" come sistema ideale per risolvere tutti i problemi.
Per i partiti italiani il bipolarismo (che poi, sotto sotto, credo nessuno voglia veramente) sembra essere come il Godot di Beckett: colui che risolve tutto, ma non arriva mai.

E comunque, oltre che di fatto irraggiungibile, il bipolarismo sarebbe anche antidemocratico.

Infatti il bipolarismo sarebbe raggiungibile solo con una legge elettorale ad hoc, visto che in un Paese non minuscolo è impossibile che l'elettorato si polarizzi solo su due poli e che questi poli rimangano nella composizione stabili nel tempo. Ci sono troppe esigenze diverse in una popolazione vasta per poterci arrivare.
Non capita in nessun medio o grande Paese europeo.
E, se facciamo una legge elettorale ad hoc, sarebbe - comunque la si formuli - antidemocratica, visto che dovrebbe bene o male imporre due cose a priori: che i due poli siano bene o male fossilizzati nella composizione e che chi non vuole stare in nessuno dei due poli venga condannato a rimanere piccolo.
Se vuoi raggiungere un vero bipolarismo è inevitabile che in un modo o nell'altro tu imponga queste due cose.
Ed è quindi inevitabile che la tua legge sia antidemocratica.

Toglietevi il bipolarismo dalla testa.

Saluti,

Mauro.

mercoledì 30 dicembre 2020

Dove nasci è una botta di culo

Un po' più di un anno fa un'utente di Twitter (Zenia Confusa) pubblicò un'immagine interessante e significativa sulla quale io scrissi poi un breve thread, che ora qui vorrei un po' rielaborare.

Tanto per cominciare, l'immagine.
Eccola:

È un'immagine importante.
Anzi in realtà non è l'immagine in sé a essere importante. Non per sminuirla, ma di immagini così ne abbiamo viste tante, la drammaticità di certe situazioni e delle diseguaglianze la conosciamo anche senza questa immagine (e se non la conosciamo è perché non vogliamo conoscerla).
Ciò che è veramente importante è la scritta.

Dove nasci è solo una gran botta di culo.

È vero, è verissimo.
Dove nasciamo è un puro caso.
E non rigirate la frittata dicendo che da due genitori italiani non nascerà certo un australiano o da due genitori etiopi un messicano o che so io.
Da due genitori nascerà un bambino e chi è questo bambino in rapporto al luogo dove nasce è puro caso. Punto.
Tu puoi scegliere dove andare a vivere (e spesso non puoi fare neanche quello, purtroppo), ma non dove nascere.
Anche dove e quando (raramente e non certo ovunque, nonostante il presunto mondo globalizzato) tale scelta esiste... non è tua, al massimo è dei tuoi genitori.
Per te, bambino, rimane un caso, visto che la scelta non è comunque tua.

Io per esempio sono nato a Genova, in Italia.
Perché sono nato a Genova, in Italia? Perché mio padre negli anni '50 decise di fuggire dalla Jugoslavia, dalla dittatura di Tito (mio padre apparteneva alla minoranza italiana in Istria, ma adesso questa è un'altra storia).
Ma se lui avesse scelto di rimanere "fedele" alla Jugoslavia?
O se avesse deciso di seguire certi suoi cugini in Australia?
Io - sempre che poi fossi nato, visto che mio padre conobbe mia madre dopo essere arrivato a Genova - chi sarei, cosa sarei?
Non lo si può sapere.
Di sicuro sarei una persona diversa, ma diversa come? Migliore? Peggiore? Boh.
Sarei orgoglioso del mio luogo di nascita come lo sono di Genova? Boh.

Tutte domande (e tante altre che ci sarebbero, ma non elenco qui) senza risposta. Senza possibilità di risposta.

Quindi, come vedete, quello che siamo è in buona parte regolato dal caso.
Non è che tu sei migliore o peggiore in base al paese, al luogo dove nasci (ovviamente ci sono paesi migliori o peggiori dove nascere, ma questo è un altro discorso e se non lo capite fossi in voi mi farei qualche domanda... su voi stessi, non sul paese migliore o peggiore), tu hai solo la possibilità di essere migliore o peggiore o comunque di essere quel che sei grazie a una botta di culo. E a nient'altro.

Ed è per questo che tu, nato nei paesi migliori, hai doveri verso chi è nato nei paesi peggiori.
Perché nascere qui o là è solo fortuna, non merito o colpa (e, come detto, al limite sarebbe merito o colpa dei tuoi genitori, non tuo).
E chi ha fortuna è giusto che aiuti chi ha sfortuna.

Saluti,

Mauro.

martedì 6 ottobre 2020

Il decreto di Washington - reprise

Nel 2017 scrissi questo articolo in cui di fatto dicevo che lo scrittore danese Jussi Adler Olsen nel 2006 aveva "previsto" Donald Trump.

Ai tempi, oltre all'originale danese, esisteva solo la traduzione in tedesco.
Quella in italiano purtroppo la aspettiamo ancora, ma fortunatamente dal 2018 è disponibile anche quella inglese: "The Washington Decree", pubblicato da Penguin Random House.

E dato che i paralleli tra quel presidente fittizio e Trump non sono venuti meno, vi invito a procurarvelo e leggerlo.

Saluti,

Mauro.

sabato 10 febbraio 2018

Ha fatto anche cose buone

È uno dei ritornelli tirati regolarmente in ballo per giustificare (o addirittura assolvere) il fascismo (in Italia, altrove la tattica viene usata per giustificare nazismo, stalinismo o altre dittature).

La mia prima reazione in questi casi è... e allora?
È logico che una dittatura possa fare anche cose buone: una dittatura fa sempre ciò che le serve per mantenere il potere, e tra le cose che le servono possono benissimo esserci anche cose buone.

Ma la cosa più importante è: se giudichiamo i singoli atti di un governo (anche il governo della peggiore delle dittature) questi atti vanno giudicati in sé stessi. E possono essere senza problemi (sì, anche senza problemi morali) giudicati sia positivi che negativi.
Però... però appunto questo vale per i singoli atti.

Se invece vogliamo giudicare il governo in sé - democratico o dittatoriale che sia - dobbiamo giudicare il complesso di quanto detto governo ha fatto, non i singoli atti isolatamente.

E per governi di stampo fascista, nazista, stalinista o simili tale giudizio complessivo non può che essere di condanna senza appello.
Indipendentemente dal giudizio sui singoli atti.

Saluti,

Mauro.

lunedì 11 settembre 2017

Fortuna che è Nobel per la Pace

Molti di voi avranno letto o sentito dei nuovi scontri in Birmania (o Myanmar che dir si voglia) che riguardano i Rohingya (qui un buon riassunto del Post per chi si fosse perso la cosa).

Inciso:
Qualcuno sa che fine abbia fatto la nave con profughi che nessuno voleva?

Ora il ministro degli esteri birmano è una certa Aung San Suu Kyi, premio Nobel pace nel 1991.
Perché le venne assegnato il Nobel? Perché era una dissidente perseguitata.
Cosa avrebbe dovuto comportare il suo status di perseguitata? Che la comunità internazionale la proteggesse dalla dittatura birmana che la perseguitava.
Cosa dovrebbe premiare il Nobel per la pace? Un impegno attivo per la pace, contro i conflitti.
Cominciate a capire l'inghippo? Anche lei, come Obama 18 anni dopo, venne premiata non per ciò che aveva fatto per la pace (né lei né Obama avevano fatto nulla per la pace) bensì per mandare un messaggio (nel caso di Obama alla destra USA, nel caso di Suu Kyi alla giunta birmana).

E ora ci si stupisce che lei da ministro (per di più in un governo guidato ancora dai militari che un tempo la perseguitavano) non si pronunci sulla persecuzione contro i Rohingya.
Anzi si è addirittura lamentata della "disinformazione" che aiuta i "terroristi".
Amanda Taub e Max Fisher si sono chiesti sul New York Times le cause di questo suo comportamento, individuandone quattro possibili.
Ma forse la verità è molto più semplice: a Suu Kyi non gliene frega niente.

Come in tanti altri casi mi stupisco dello stupore.

E vedo che il Nobel per la pace è in molti casi (e più spesso degli altri premi) dato semplicemente per mandare messaggi politici e solo in pochi casi per meriti veri (che poi spesso a Oslo non interessano, sono solo effetti collaterali dei "meriti" che a Oslo interessano).

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Tra le altre cose sembra che i militari birmani stiano usando le mine antiuomo, messe al bando da trattati internazionali.

lunedì 17 aprile 2017

Democrazia antidemocratica

Il referendum in Turchia mi ha fatto tornare in mente una domanda che già mi frullava in testa tempo fa.

Il referendum è, almeno in teoria, il massimo esempio di democrazia (soprassediamo qui sui suoi limiti, soprattutto per stati di grandi dimensioni e lasciamo anche perdere l'ipotesi manipolazioni: la mia domanda riguarda tutti i referenda o manifestazioni democratiche analoghe, non solo quello turco).

La domanda è: Se il popolo vota democraticamente misure antidemocratiche... si può ancora parlare di democrazia?

In teoria sì, perché il popolo ha votato democraticamente... però poi la democrazia non c'è più. E allora?

Saluti,

Mauro.

mercoledì 1 febbraio 2017

Il decreto di Washington

Trump negli Stati Uniti è partito col botto.
Muri, blocchi per interi paesi, ecc.
Coerente con la sua campagna elettorale.

Ma anche legittimo, legale?
Probabilmente sì: ricordatevi che Trump è sottomesso solo alle leggi degli Stati Uniti e ai trattati internazionali che gli Stati Uniti hanno già ratificato.
Di tutto il resto (fino a che il Congresso glielo concede) può fregarsene (indipendentemente da come noi possiamo valutare la cosa eticamente e moralmente).

Ma quanto sta succedendo a Washington a me ha ricordato qualcosa.

Per la precisione un romanzo letto un paio di anni fa. Un romanzo di un autore danese, Jussi Adler-Olsen, di cui avevo già parlato qui per un romanzo che continuo a considerare un capolavoro.
Il romanzo a cui però mi riferisco oggi è un romanzo più recente. Tutto sommato - a mio personale parere - di valore letterario inferiore a quello di cui parlai allora, ma molto interessante e - dopo gli ultimi avvenimenti negli USA - inquietante.
Il romanzo in questione (guarda caso mai pubblicato in Italia, come anche quello di cui già parlai, mentre i gialli di Adler-Olsen, non memorabili, sono disponibili in versione italiana) si intitola in originale danese "Washington Dekretet", nella versione tedesca da me letta invece "Das Washington Dekret".
La traduzione letterale in italiano sarebbe, appunto, "Il decreto di Washington".

Il romanzo (del 2006, quindi scritto ancora in era George W. Bush) parla di un neo eletto presidente USA che a forza di decreti (o meglio executive orders) rende gli USA sempre più autoritari e liberticidi.
Le somiglianze tra l'inizio di quel presidente fittizio (che poi si scoprirà essere manipolato da uno strettissimo collaboratore) e l'inizio di Trump sono incredibili.
Speriamo ciò riguardi solo gli inizi e non il prosieguo.

Se qualcuno volesse leggere il romanzo, come detto non esiste la versione italiana.
Quella tedesca che ho letto io è stata pubblicata da dtv nel 2013. L'originale danese è stato pubblicato da Aschehoug Dansk Forlag nel 2006.
Purtroppo a quanto mi risulta non è stato tradotto neanche in inglese. Ma forse sapevano che avrebbe potuto essere profetico e si sono spaventati.

Saluti,

Mauro.

sabato 23 maggio 2015

La democrazia di Renzi

Renzi vorrebbe il sindacato unico.

Peccato che il sindacato unico esista solo nei paesi a partito unico... ergo nelle dittature.

Chi vuol capire, capisca.

Saluti,

Mauro.