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mercoledì 9 aprile 2025

I misteri del tedesco 35 - Delitti e cavalieri

In tedesco esiste una parola che non ha corrispettivi in altre lingue, a meno di non usare perifrasi (e non è l'unica in tedesco 😉): Kavaliersdelikt.
La traduzione letterale sarebbe delitto cavalleresco, delitto da cavaliere.
Indica un reato o un'infrazione a qualche regola ufficiale considerato di poco conto, quasi giusto da commettersi, di sicuro da non condannare moralmente.
Quella che in italiano (usando quello che io credo un francesismo, anche se il dizionario Treccani parla di "etimo incerto") chiameremmo bagattella, solo che in italiano ha un significato molto più ampio e raramente viene usata per reati, anche se di poca importanza.

Per inciso: la definizione Bagatelldelikt esiste anche in tedesco, ha una certa sovrapposizione d'uso con Kavaliersdelikt, ma non è al 100% la stessa cosa (Bagatelldelikt può essere usato anche per comportamenti ritenuti negativi, ma che non costituiscono né reato né infrazione a regole ufficiali, Kavaliersdelikt no).

Il significato è chiaro (anche se oggi la parola è prevalentemente usata in negazioni tipo Es ist kein Kavaliersdelikt!, che significa Non è una cosa da niente!), ma che origine ha?
Perché proprio i delitti di un cavaliere dovrebbero essere delitti da nulla?
Come e quando è nata l'espressione non è noto, ma l'origine viene da un certo animo romantico tedesco, che vede (o almeno vedeva) ovviamente i cavalieri come nobili eroi che se si trovano ad andare contro le regole o la legge lo fanno per nobili motivi, a fin di bene, quindi il loro delitto non può essere condannato.

Piccola aggiunta sullo spirito dei tempi: oggi la maggioranza dei tedeschi ritiene l'elusione e l'evasione fiscale dei Kavaliersdelikte, purtroppo.

Saluti,

Mauro.

venerdì 9 aprile 2021

Paradiso o oasi? (I misteri del tedesco... edizione speciale)

Anni fa vi raccontai qui dell'errore che portò alla nascita dell'espressione "paradiso fiscale".

Però mi dimenticai una cosa.

In Germania se vuoi nascondere ricavi e guadagni, non cerchi porti o paradisi, ma oasi: cerchi le Steueroasen (anche se talvolta pure qui si parla di Steuerparadies)!

Saluti,

Mauro.

giovedì 23 maggio 2019

Vestager e i paradisi fiscali

Qualche giorno fa sulla radio tedesca ho sentito una dichiarazione di Margrethe Vestager, commissaria europea alla concorrenza, in cui sosteneva che per lei i paradisi fiscali sono quelli in cui tutti pagano le tasse.

Per noi italiani e per i tedeschi (che usano l'espressione Steuerparadies) magari può sembrare un'apprezzabile provocazione, un gioco di parole per far capire che le tasse sono una cosa necessaria, giusta e utile (magari non bellissima come sostenne Padoa Schioppa, ma pur sempre più bella dell'alternativa).

Però anche se Vestager con le parole ha sì un po' giocato, lo ha fatto molto meno di quanto sembri, visto che l'espressione originale inglese, quella da cui sono poi derivate tutte le altre, è Tax Haven, cioè porto fiscale, e non (come italiani e tedeschi hanno interpretato, non so in altre lingue) Tax Heaven, cioè paradiso fiscale.

Nei parlai già qui tre anni fa. E Vestager me lo ha fatto tornare in mente.

Saluti,

Mauro.

martedì 27 febbraio 2018

Le balle sui trasferimenti fiscali

Quando sentite parlare leghisti e antieuropeisti sui trasferimenti fiscali... storcete il naso.

Uno dei cavalli di battaglia di leghisti e autonomisti vari è il mancato ritorno delle tasse pagate nei territori dove esse sono state pagate.
Senza dimenticare che certi ragionamenti possono portare agli estremi che descrissi qui, c'è un problema di comprensione di base.

Esistono due tipi di tasse.
Le tasse locali e quelle nazionali.

Le tasse locali vengono raccolte dagli enti locali e dagli stessi vengono usate. Che vengano usate bene o male, non possono comunque uscire dall'ambito locale.

Le tasse nazionali, dovunque vengano raccolte, appartengono allo Stato e basta, non hanno nulla a che vedere con le regioni, con le varie entità locali dove vengono raccolte.
In Italia non esiste nessun trasferimento da una regione all'altra. Esiste solo il trasferimento dallo Stato alle varie regioni (o altre entità locali).

Quindi quando, per esempio, un Salvini sbraita sui trasferimenti dalla Lombardia alla Calabria, per esempio,sbraita sul nulla: detti trasferimenti non esistono.

Le tasse locali raccolte dalla regione Lombardia rimangono già in Lombardia, non servono leggi per garantirlo.
Le tasse nazionali - dovunque vengano raccolte - appartengono allo Stato e lo Stato le utilizza dove servono. A vantaggio dell'intero paese. Punto.
È lo Stato a trasferire da sé stesso alle periferie (tra cui vi sono anche le regioni ricche come Lombardia, Piemonte o Emilia Romagna) in base ai bisogni delle stesse, non esiste nessun trasferimento da regione a regione.

Saluti,

Mauro.

lunedì 11 gennaio 2016

La leggenda del paradiso fiscale

Detto chiaro e tondo: non esiste nessun paradiso fiscale. Almeno non se vogliamo essere linguisticamente corretti.

La definizione nasce dall'inglese "fiscal haven" o "tax haven", in quanto molti porti (cioè "haven") offrivano agevolazioni fiscali o doganali per attirare navi e quindi commerci, introiti.

A un certo punto in italiano (e non solo) si confuse "haven" con "heaven"... e così il porto divenne un paradiso.
E soprattutto così divennero paradisi fiscali anche luoghi senza porti.

Saluti,

Mauro.

venerdì 29 maggio 2015

Un lavoro legale... ma anche no

Negli ultimi giorni ha fatto notizia quanto successo in Romagna, dove il Fisco si è mosso contro le prostitute della zona per ragioni, appunto, fiscali. E si è reso conto che gli strumenti a sua disposizione sono in fondo armi spuntate in questo caso.

Al di là di armi spuntate o meno... dopo questa iniziativa del Fisco si è alzata un sacco di polvere. E di ignoranza.
Da una parte chi pretende la legalizzazione della prostituzione.
Dall'altra parte chi pretende un inasprimento delle pene contro la prostituzione.
In mezzo una piccola minoranza che chiede "solo" una regolamentazione della prostituzione.

Chi ha ragione?
Dal punto di vista morale mi astengo, non perché io non abbia le mie idee, ma perché non è il tema di questo articolo.
Dal punto di vista legale... la piccola minoranza ha ragione.

Mi spiego meglio.
Il reato di prostituzione in Italia non esiste. Leggetevi pure tutti i codici... quello penale, quello civile, quello penale militare, qualsiasi altro codice italiano possa esistere... non troverete il reato di prostituzione.
Quindi coloro che si prostituiscono non commettono nessun reato.

Ora voi mi direte... e allora tutte le retate che colpiscono le prostitute e chi le "protegge"?
Allora, per quanto riguarda chi le "protegge"... prostituzione è una cosa, sfruttamento della stessa un'altra. E quest'ultimo è reato, eccome se lo è.
Per quanto riguarda le prostitute (uso il termine femminile in quanto purtroppo abituale, ma il discorso vale anche per prostituti maschi o per trans o altro)... il problema lo hanno quelle che esercitano per strada: in Italia la prostituzione non è reato, ma l'adescamento sì.
E infatti quelle che vengono processate ed eventualmente condannate lo sono per il reato di adescamento (che non ha necessariamente a che fare con i soldi... teoricamente anche una che per strada mi vedesse, decidesse che io sono un uomo di suo gradimento e facesse di tutto per convincermi ad andare a letto con lei per suo puro piacere, senza che ci siano soldi in gioco, potrebbe essere condannata per adescamento).

Ma allora, se la prostituzione è legale perché non può essere esercitata come ogni altra professione, tasse comprese?

Il problema è la vecchia legge Merlin, che nel 1958 decretò la chiusura delle cosiddette case di tolleranza, alias bordelli.
Il problema è che detta legge dichiarò illegali appunto i bordelli, ma non disse nulla sulla prostituzione in sé, non la mise fuorilegge ma neanche la regolamentò. E nei 57 anni da allora passati nessuna altra legge se ne è occupata.

Cosa significa ciò?
Che la prostituzione è legale (quindi chi dice di volerla legalizzare non sa di cosa parla e chi dice di voler aumentare le pene forse dovrebbe capire che è un po' difficile aumentare le pene per cose che, essendo legali, non sono sottoposte a pene) ma che non è regolamentata come le altre professioni.
Senza una regolamentazione ufficiale è difficile (eufemismo) poter regolare tasse, contributi pensionistici, mutualistici o altro.
E da 57 anni manca in Italia una regolamentazione per una professione che (indipendentemente da ogni possibile giudizio morale) è legale.

E pensare che prima che arrivasse quella bigotta della Lina Merlin eravamo quasi all'avanguardia in Europa.

Saluti,

Mauro.

mercoledì 24 settembre 2014

Del secessionismo fiscale e dell'ignoranza

Qualche giorno fa (il 18 settembre per la precisione) si è tenuto in Scozia il referendum per separarsi dal Regno Unito.
Hanno vinto i contrari alla separazione (ma forse di fatto ha vinto semplicemente la voglia di tenersi i vantaggi di una forte autonomia senza doversi accollare le responsabilità di doversi veramente governare completamente da soli, ma questo è un altro discorso, che non c'entra con questo articolo).

Detto referendum ha fornito a televisioni e quotidiani di tutto il continente la scusa per andare a "indagare" le istanze secessioniste in tutta Europa.
Come prevedibile, il caso più gettonato e sviscerato è stato il rapporto tra Catalogna e Spagna.

Io nei giorni del referendum ero in Francia, a Parigi (a proposito, le TV francesi parlavano di Scozia, Galles, Catalogna, Paesi Baschi e altro... ma non di Corsica, chissà come mai).
Mi ha colpito (si fa per dire) l'intervista in un cosiddetto programma di approfondimento giornalistico a un catalano che si lamentava del fatto che su 100 € di tasse pagate solo 80 rimanevano/rientravano in Catalogna.
Argomento vecchio, trito e ritrito: anche l'ormai ammuffita Lega Nord ne ha fatto un cavallo di battaglia per anni e anni.

A parte il fatto che esistono tasse locali e tasse nazionali (e che questa divisione ha un senso indipendentemente dalla qualità dell'amministrazione che riscuote dette tasse) ma questi "indipendentisti" parlano sempre come se tutte, ma proprio tutte, le tasse fossero riscosse e gestite/distribuite dallo stato centrale.

A parte il fatto che se esiste uno stato questo avrà comunque un'amministrazione centrale che, per quanto ridotta di dimensioni ed efficiente, non è e non sarà mai a costo zero... e se passi da Spagna a Catalogna (o da Regno Unito a Scozia o da Italia a Lombardia) questo stato/amministrazione cambierà nome e dimensione ma continuerà a esistere... quindi un'entità centrale sopra di te ci sarà sempre.

A parte il fatto che esistono cose come infrastrutture e progetti nazionali o sovraregionali, ma anche come solidarietà, condivisione, sostegno reciproco e simili.

A parte ciò... mi sono sempre chiesto come non ci si possa rendere conto che un'argomentazione simile è un'arma a doppio taglio. E l'altro lato della lama è forse il più affilato.

Cosa voglio dire?

Torniamo al nostro amico catalano.
Lui vuole lasciare la Spagna, così il 100% delle sue tasse rimane in Catalogna. Va bene, allora facciamo la Catalogna indipendente.

Ora però gli abitanti della provincia di Tarragona (la provincia più meridionale tra le quattro catalane) si accorgono che solo l'80% delle tasse che pagano (locali tarragonesi o nazionali catalane che siano) restano/ritornano nella provincia. E no! Non è giusto!
E allora "Diputaciò de Tarragona" indipendente! Via dalla Catalogna, via da Barcellona!
Bene, ora finalmente tutti sono contenti: tutte le tasse pagate dai tarragonesi rimangono nella provincia di Tarragona.

Sicuri, sicuri?
Troppo facile! A un certo punto gli abitanti della comarca (divisione amministrativa al di sotto della provincia) "Baix Camp" si rendono conto che solo l'80% delle loro tasse ritornano/rimangono nella loro comarca... e allora... "Baix Camp" indipendente! Via dalla Diputaciò, via da Tarragona!

Però poi il comune di Cambrils...
Però poi il quartiere di La Vila...
Però poi la Rambla Jaume I...
Però poi il condominio al numero 25...
Però poi l'appartamento al numero 3...

Insomma, alla fine ogni catalano rimarrà da solo, chiuso nella sua stanzetta, visto che l'unico modo di vedere il 100% di tasse ritornare a chi le paga è solo quello di pagarle a sé stessi spostando semplicemente i soldi da una tasca all'altra.

Quindi, a meno di voler rimanere appunto un essere umano solo, completamente staccato da ogni altro essere umano, avrai sempre bisogno di un'entità - per quanto piccola - sopra di te, caro amico catalano (o lombardo o bavarese o corso o che altro tu sia).
E questa entità avrà bisogno di una parte - per quanto piccola - delle tue tasse per poter funzionare.
E tu - sì, tu, proprio tu che ti lamenti - avrai bisogno che lei ci sia e che funzioni.

Quindi, se vuoi l'indipendenza, trova ragioni più valide.
Quella fiscale non regge, anche se è quella che fa più presa sugli ignoranti.

Saluti,

Mauro.