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lunedì 21 agosto 2017

Temperatura percepita. Corretta ma inutile.

Uno dei temi preferiti dai telegiornali e dalle trasmissioni meteo (o più correttamente pseudo-meteo) quando arriva l'estate è la "temperatura percepita", cioè la temperatura che uno "sente" sulla pelle indipendentemente dalla temperatura effettivamente indicata dai termometri.

Osservazione: Perché se ne parla solo d'estate? Boh!
La temperatura percepita è una grandezza che può essere calcolata (sì, calcolata, contrariamente alla temperatura vera che si misura e non si calcola) in ogni stagione.
E che può anche essere inferiore o uguale alla temperatura effettiva, non solo superiore come sembra guardando le trasmissioni pseudo-meteo.

La temperatura percepita viene calcolata tenendo conto di umidità, venti e altri parametri misurabili, usando algoritmi messi a punto da meteorologi e che vengono costantemente raffinati e migliorati (o almeno così dovrebbe succedere).
E fin qui tutto bene.

Il problema è che la temperatura che percepiamo sulla nostra pelle è soggettiva.
È vero che può essere diversa (anche molto) dalla temperatura effettiva, ma non dipende solo dai parametri misurabili di cui sopra. Anzi.
Dipende anche dal metabolismo, dalle condizioni fisiche, dall'età, dalla costituzione di ciascuno di noi.
Nello stesso identico luogo e tempo io percepisco una temperatura, mia madre quasi anziana un'altra, il bambino piccolo del mio vicino un'altra ancora e così via.

Quali conclusioni possiamo trarre da quanto sopra?
La temperatura percepita è una grandezza derivata (non misurata) corretta e non aleatoria, se calcolata seriamente, tenendo conto di tutti i parametri noti.
Ma è comunque una grandezza che non dice nulla, che non serve a nulla.
Per dare consigli alle singole persone serve un'analisi personale, per dare consigli generali basta considerare temperatura e umidità effettive.

Saluti,

Mauro.

giovedì 3 aprile 2014

Aristotele e il valore del denaro

Da che mondo è mondo gli economisti (e non solo) si chiedono se il denaro abbia un valore in sè, intrinseco, oppure se il suo valore sia dato dal suo essere unità di misura convenzionale per il valore di oggetti e servizi concreti.

Su un libro - estremamente interessante - che sto leggendo (e di cui avevo già parlato qui, una recensione arriverà quando avrò finito di leggerlo) ho trovato una splendida e a mio parere tuttora valida definizione del valore intrinseco del denaro. Definizione che risale a più di duemila anni fa.
Detta definizione - formulata da Aristotele - dice quanto segue:

Perciò tutto ciò che è scambiabile deve essere in qualche modo confrontabile. A tal scopo è entrato in gioco il denaro: esso è in un certo modo un'istanza mediatrice che permette di misurare su di sé ogni cosa, anche il troppo e il troppo poco, quante scarpe valgono circa una casa oppure generi alimentari... Ma il denaro è stato creato come una sorta di rappresentante interscambiabile del bisogno, sulla base delle rispettive posizioni. Ed esso porta il nome "denaro" (nomisma) perché non deve la sua esistenza alla natura, bensì perché è stato deciso come "valido" (nomos) e dipende da noi se vogliamo cambiare le cose o annullarle.

Per correttezza: la traduzione italiana è mia, però è dal tedesco, non dall'originale greco antico.
Primo perché non conosco il greco antico, secondo perché il libro su cui la ho letta non riporta l'originale ma solo la traduzione tedesca.
Quindi non garantisco che la citazione da Aristotele sia letteralmente corretta... ma corretta o no che sia, rimane comunque un interessante spunto di discussione e riflessione.

Saluti,

Mauro.