Da che mondo è mondo gli economisti (e non solo) si chiedono se il denaro abbia un valore in sè, intrinseco, oppure se il suo valore sia dato dal suo essere unità di misura convenzionale per il valore di oggetti e servizi concreti.
Su un libro - estremamente interessante - che sto leggendo (e di cui avevo già parlato qui, una recensione arriverà quando avrò finito di leggerlo) ho trovato una splendida e a mio parere tuttora valida definizione del valore intrinseco del denaro. Definizione che risale a più di duemila anni fa.
Detta definizione - formulata da Aristotele - dice quanto segue:
Perciò tutto ciò che è scambiabile deve essere in qualche modo confrontabile. A tal scopo è entrato in gioco il denaro: esso è in un certo modo un'istanza mediatrice che permette di misurare su di sé ogni cosa, anche il troppo e il troppo poco, quante scarpe valgono circa una casa oppure generi alimentari... Ma il denaro è stato creato come una sorta di rappresentante interscambiabile del bisogno, sulla base delle rispettive posizioni. Ed esso porta il nome "denaro" (nomisma) perché non deve la sua esistenza alla natura, bensì perché è stato deciso come "valido" (nomos) e dipende da noi se vogliamo cambiare le cose o annullarle.
Per correttezza: la traduzione italiana è mia, però è dal tedesco, non dall'originale greco antico.
Primo perché non conosco il greco antico, secondo perché il libro su cui la ho letta non riporta l'originale ma solo la traduzione tedesca.
Quindi non garantisco che la citazione da Aristotele sia letteralmente corretta... ma corretta o no che sia, rimane comunque un interessante spunto di discussione e riflessione.
Saluti,
Mauro.
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10 ore fa
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