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giovedì 10 luglio 2025

Perché Dio ha creato l'uomo?

Recentemente ho visto sul Tubo un video molto interessante di Sapiens Sapiens.
Ve lo propongo qui, poi arriverò al punto che mi interessa.


Ovviamente la domanda sul perché i bambini debbano soffrire e morire è importante. E nessuna religione può rispondere, perché l'unica risposta sarebbe ammettere l'esistenza di un Dio crudele, criminale.

Però a livello puramente teologico c'è una domanda che in realtà dovrebbe mettere ancora più in crisi i credenti, la Chiesa e i teologi.
Ma è una domanda a cui non si dà generalmente la giusta importanza. Né da parte di chi difende la Chiesa e la religione, né da parte di chi la attacca.

La domanda in questione è: perché Dio ha creato l'uomo?

La Chiesa, i teologi, gli apologeti (e molti credenti, non tutti i credenti però va onestamente detto) rispondono (quando rispondono) "per amore".
Ma che cavolo di risposta è?
Amore per chi?
Per l'uomo? Ma come fa Dio ad amare chi non esiste (sì, perché se lo ha creato per amore, significa che lo amava già prima di crearlo)?
Per sé stesso? Ma allora è egoismo, non amore (a parte che, a ragionare bene, anche l'ipotesi precedente parla più di egoismo che di amore, visto che non si è posto il problema se l'uomo volesse essere creato).

Ma anche lasciando da parte amore ed egoismo rimane un problema. Un problema grosso come l'universo se non di più.
Le scritture (ergo la Bibbia se ci limitiamo al cristianesimo, ma anche il Talmud e il Corano) ci dicono che Dio è perfetto.
Ma la cosa non quadra: se fosse perfetto sarebbe bastante a sé stesso, non avrebbe bisogno di creare nulla (né per amore, né per egoismo).
Se ne ha bisogno significa che si sente incompleto. E quindi ammette di non essere perfetto.

O, più logicamente, significa che non è stato lui a creare l'uomo, bensì l'uomo a creare lui.

Saluti,

Mauro.

sabato 5 luglio 2025

Una domanda agli amici protestanti

Vorrei fare una domanda agli amici protestanti.

Qui in Germania (ma con rare eccezioni anche nel resto d'Europa) i protestanti vengono visti come moderati. Nel mondo cristiano il radicalismo è visto più come cattolico (e anche di più come ortodosso, sia di stampo greco che russo) che come protestante.

Negli USA invece i protestanti (in primis i battisti) sono i veri radicali, i veri estremisti, quelli che vorrebbero una specie di Sharia cristiana.

Da dove nasce questa differenza? Come si sono i protestanti negli USA talmente radicalizzati, mentre non è successo con quelli europei?

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Qui la versione tedesca.

sabato 10 maggio 2025

La C non c'è più

Il partito del nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz si chiama CDU, cioè Christlich Demokratische Union Deutschlands (Unione Cristiano-Democratica Tedesca), e il suo partito fratello bavarese CSU, cioè Christlich-Soziale Union in Bayern (Unione Cristiano-Sociale Bavarese).

Ve lo dico da ateo: guardate il programma di governo (e ancora più quello elettorale pre-voto) e guardate il catechismo della chiesa cattolica e i valori delle chiese protestanti... cioè di chi rappresenta (al di là del comportamento dei singoli e delle istituzioni) l'essere cristiani.

Bene, se li guardate capirete che quella C nel nome dei due partiti (soprattutto per quanto riguarda la CSU) è ormai solo vuota ipocrisia, nei fatti non c'è più.
E questo indipendentemente da come noi singoli cittadini possiamo giudicare la religione cristiana.

Saluti,

Mauro.

sabato 8 luglio 2023

Non si bruciano i libri

Da un po' di giorni si parla molto dell'atto di Salwan Momika, rifugiato iracheno in Svezia.
Questi, a Stoccolma, ha strofinato pancetta su un Corano, lo ha calpestato e poi ne ha bruciato alcune pagine.

Ora, che a livello politico le reazioni nel mondo islamico siano state esagerate, assurde è palese, essendo per di più l'atto di un singolo individuo.
Comunque a livello di considerazioni politiche avete letture più che a sufficienza in rete, sia pro che contro. Non ci aggiungo le mie. A questo punto sarebbe solo aggiungere rumore al rumore.

Però una cosa posso e voglio dirla.

Io posso capire lo stato d'animo di Momika, la sua frustrazione, al limite anche il suo odio.
Non so cosa abbia subito in Iraq e dagli islamisti, ma di sicuro nulla di piacevole né di giustificabile o di accettabile.
Io posso capire... ma i libri non si bruciano.

Bruciare un libro significa voler tappare la bocca a chi quel libro lo ha scritto e a chi lo legge.
Quando bruci un libro (che sia un testo religioso, politico, letterario o qualsiasi altra cosa) commetti un atto di censura, di repressione, perché vuoi mettere a tacere quel libro e chi lo legge.

Se bruci un libro, anche il peggiore e più pericoloso dei libri, sei un intollerante quanto quelli che combatti. Se quel libro è pericoloso, negativo ne combatti i contenuti con gli argomenti, non con le fiamme. Soprattutto quando non sei più sul posto, ma vivi in un paese sicuro.
Se usi le fiamme significa che se tu dovessi andare al potere al posto dei tuoi nemici li opprimeresti come loro hanno oppresso te.
L'unica differenza sarebbe l'inversione dei ruoli tra persecutori e perseguitati.

Perché...

[...], dort wo man Bücher
Vebrennt, verbrennt man auch am Ende Menschen.

[...], dove si bruciano i libri,
alla fine si bruciano anche gli uomini.

(Heinrich Heine, "Almansor", versi 243-4)

Saluti,

Mauro.

domenica 24 marzo 2019

I misteri del tedesco 15 - Salutiamo i tedeschi

Ogni lingua ha le sue forme di saluto. Alcune standard, nella sostanza uguali nelle varie lingue, altre molto particolari, caratteristiche.

Tra italiano e tedesco le differenze cominciano però già con quelle standard.
In italiano abbiamo buon giorno, buon pomeriggio (ormai in disuso) e buona sera (buona notte no, non è un saluto, è un augurio).
In tedesco abbiamo guten Morgen (traducibile con buon mattino), guten Tag (buon giorno) e guten Abend (buona sera). Ma nessun guten Nachmittag (buon pomeriggio). E gute Nacht (buona notte) è anche in tedesco un augurio, non un vero saluto.
Ma sono tutto sommato differenze piccole, poco significative.

Oltre a questi c'è il classico Hallo, ripreso dall'inglese.

Ma veniamo ai saluti particolari, quelli veramente interessanti.

I tedeschi hanno adottato il nostro ciao (in realtà originariamente dialetto veneto, non lingua italiana), ma con una differenza: noi usiamo ciao sia quando ci incontriamo sia quando ci separiamo, per i tedeschi invece è solo un saluto di commiato.
Assolutamente identico in significato e uso (anche se di origine indipendente) a ciao è Tschüss (con le sue varianti, tipo Tschö), nato nel nord della Germania ma ormai diffuso in tutto il paese.

Sempre dal nord della Germania arriva Moin.
È un saluto usato a qualsiasi ora, principalmente quando ci si incontra. La cosa interessante di questo saluto è che viene usato nell'area "marittima" della Germania e nel resto dell'area Mare del Nord-Mar Baltico (Paesi Bassi, Danimarca, Polonia costiera) ma, incredibilmente, anche in Svizzera, però non ha preso piede nel resto della Germania, dove viene usato molto sporadicamente.

Passando dal nord al sud della Germania, in particolare Baviera (ma anche Austria) i saluti diventano più legati alla religione essendo terre di "estremismo" cattolico.
E così in Austria, Baviera e nella parte cattolica del Baden-Württemberg ci si saluta con Grüss Gott (che noi italiani di Germania spesso prendiamo in giro salutando i tedeschi dicendo cruscotto, che tanto suona praticamente uguale e loro non se ne accorgono).
La cosa interessante è che questo saluto in origine significava Dio ti/vi saluti, ma nella grafia attuale letteralmente tradotto significa saluta/salutate Dio.

Diffuso nel centro-sud della Germania e anche in altre parti dell'Europa centrale (in pratica l'area del vecchio impero asburgico) è servus.
L'origine è esattamente quella di ciao, ed entrambi hanno radici nel latino. Servus lo potremmo tranquillamente tradurre con servo vostro (come ciao è deformazione dialettale di schiavo vostro).

Nel Saarland, ai confini con la Francia si usa poi Salü, deformazione del francese Salut e con lo stesso identico uso e significato (Salü si usa anche in Svizzera).

Nella Svizzera tedesca si usa poi Grüezi che è una contrazione di Gott Grüez-i, che corrisponde all'austro-bavarese Grüss Gott di cui abbiamo parlato prima.

Da ultimo ho lasciato il saluto più assurdo, quello che sopporto meno: Mahlzeit.
Mahlzeit in italiano significa semplicemente pasto.
In buona parte della Germania (soprattutto nella parte occidentale) e in Austria però intorno a ora di pasto e di cena viene spesso usato come forma di saluto, indipendentemente dal fatto che chi incontri abbia già mangiato, non lo abbia ancora fatto o non abbia proprio intenzione di farlo.
E no, non è un augurio di buon appetito. Se un tedesco vuole veramente augurartelo ti dice guten Appetit.

Saluti,

Mauro.

Aggiornamento 27.03.2019
L'amica Terminologia mi fa notare che sembra che a Bolzano (dove, come in tutto l'Alto Adige, si usano le forme di saluto tedesche tipiche dell'Austria e dell'ex impero asburgico) si usi in italiano informale Cruscòtt per Grüß Gott, quindi in pratica la stessa forma usata ironicamente dagli italiani di Germania.

lunedì 12 novembre 2018

Due principi per l'integrazione

Prima di fraintenderci: in questo articolo non parlo di cittadinanza. L'integrazione riguarda chiunque viva in un paese diverso da quello di nascita, indipendentemente dal fatto che voglia/possa richiederne la cittadinanza.

Quando si parla di integrazione bisognerebbe distinguere tra due livelli: quello burocratico e quello sociale.

A livello burocratico quando mi trasferisco in un altro Stato io ho il dovere di informarmi su quali documenti e condizioni servono per ottenere il diritto di vivere e lavorare in quello Stato (e poi presentarli completi alle autorità locali) e detto Stato ha il dovere di mettermi a disposizione uffici che mi aiutino a orientarmi riguardo alle procedure burocratiche (generalmente si tratta di sportelli appositi presso gli uffici anagrafe, ma il come e il dove in fondo è secondario).
E... e tutto qui. A parte il sottinteso dovere poi di rispettare la legge, né io come persona né lo Stato che mi accoglie abbiamo altri doveri.

Però parliamoci chiaro: questo esaurisce la parte burocratica dell'integrazione ma se ci si limita a quello non si va poi molto lontano.
Uno é sì a posto legalmente, ma socialmente rischia di rimanere un escluso, di vivere tra casa e ufficio (o officina o fabbrica o che altro sia) e stop.
Ci sono persone che sono contente così, ma la maggioranza non si accontenta.

Come fare per integrarsi socialmente?
Su questo tema si può discutere all'infinito.
È chiaro che serve volontà da entrambe le parti: da parte di chi arriva di inserirsi nella nuova realtà e da parte del paese di arrivo di agevolare l'inserimento di chi ha questa volontà.
Ed è chiaro anche che serve, da parte di detto paese, un approccio diverso verso chi arriva per scelta senza tragedie alle spalle (come il sottoscritto che si è trasferito in Germania perché voleva fare esperienze internazionali e poi qui si è fermato) e verso chi scappa da situazioni di guerra, persecuzione o anche solo estrema povertà.

Però a mio parere ci sono due punti imprescindibili che riguardano tutti coloro che arrivano in un nuovo paese, indipendentemente dal modo e dal perché ci arrivino.

Se tu arrivi in un nuovo paese hai comunque due doveri:
1) la tua religione, le tue tradizioni, le tue convinzioni personali vengono dopo la legge del paese che ti accoglie; se - per esempio - un precetto della tua religione va contro la legge del paese che ti accoglie... mi dispiace per il tuo dio, ma non hai diritto a eccezioni, devi buttare via quel precetto e rispettare la legge;
2) non puoi venirmi a dire che tanto l'inglese lo parlano ormai tutti o che la comunità di tuoi connazionali in quel paese è sufficientemente vasta da permetterti di andare avanti con la tua lingua; no, devi imparare a farti capire nella lingua del luogo (non serve impararla alla perfezione, basta un livello di base, ma comprendente la grammatica... quindi che vada oltre le poche parole - spesso poi in dialetto - che impari sul posto di lavoro ascoltando i colleghi).

Ecco, se tu non accetti questi due punti, non puoi pretendere nulla dallo Stato che ti accoglie a parte l'aiuto per le procedure di registrazione citato all'inizio.
Se invece accetti questi due punti, poi puoi anche chiedere allo Stato di venirti incontro mettendoti a disposizione corsi di lingua ed eventualmente corsi che ti spieghino le leggi che ti riguardano e possibili "collisioni" con pratiche religiose, culturali o altro a cui sei abituato.

Saluti,

Mauro.

mercoledì 28 febbraio 2018

Il divino astrologo

Il giuramento sul Vangelo di Salvini mi ha portato a fare qualche considerazione.

Premetto: io sono ateo, ma come quasi ogni italiano vengo da una cultura cattolica. Ergo i Vangeli fanno parte delle mie basi culturali.
Però c'è una differenza tra me e il cattolico medio: lui ha letto (sempre che li abbia letti) solo i Vangeli. Io ho letto tutta la Bibbia. Dalla Genesi fino all'Apocalisse di San Giovanni.
E in più ho letto estratti di altri libri cosiddetti sacri: Corano, Talmud, Veda.

Cosa posso dire al proposito?
Semplicemente che ai cosiddetti testi sacri puoi far dire tutto e il contrario di tutto. Esattamente come accade negli oroscopi.

Ergo: o Dio è un astrologo o i testi sacri poi tanto sacri non sono.

Saluti,

Mauro.

giovedì 25 maggio 2017

Può esistere una religione moderata?

Sì, lo so, nella vulgata comune il discorso moderato/radicale oggi riguarda solo l'Islam.

Ma al di là di ciò che io che scrivo, voi quattro gatti che mi leggete e chiunque altro possa pensare dell'Islam... la domanda riguarda obiettivamente la religione come concetto in sè. Al di là delle singole dottrine.

E la mia risposta è no: una religione non può essere moderata.

Una religione - qualsiasi essa sia - ha dei precetti, dei comandamenti (al di là del termine con cui vengono definiti, comandamenti restano... e per me, proveniente da una cultura cattolica - anche se personalmente ateo - il termine "comandamenti" rimane il più chiaro, il più comprensibile).
Quindi se uno è sincero credente in una qualsiasi religione... prende alla lettera detti precetti, detti comandamenti. Se è credente solo a parole, di quei precetti, di quei comandamenti in realtà non gliene frega nulla.

Ergo: il credente moderato non può esistere. Il credente può essere solo radicale. O non essere un vero credente.

Prima che fraintendiate: no, l'essere radicale non giustifica la violenza.
Il rispetto degli altri, anche se non condividono il tuo credo, deve essere patrimonio di qualsiasi essere civile - credente e non credente - quindi se uccidi in nome di un dio, qualunque esso sia, ciò dimostra solo che sei un povero bastardo, non che sei radicale (visto che un credente o è radicale o non è proprio, ma comunque la grande maggioranza dei credenti di qualsiasi religione non uccide nessuno, per fortuna).

Saluti,

Mauro.

giovedì 21 gennaio 2016

Io non sono razzista, ma...

Ecco, chi comincia così è il primo dei razzisti.

Ogni persona ha il diritto di critica.
Anche contro interi popoli, religioni, etnie, nazioni, gruppi, associazioni, eccetera...
Se questa critica è onesta, seria, concreta, argomentata (giusta o sbagliata qui non conta, il dovere di avere ragione quando si parla/scrive non esiste)... allora è accettabile sempre e comunque, qualsiasi siano i contenuti.

Sempre che non cominci appunto con "Io non sono razzista, ma...".

Se comincia così... allora è razzismo. Puro e semplice. Senza se e senza ma.

Saluti,

Mauro.

lunedì 23 novembre 2015

Cose che non voglio sentire sui fatti di Parigi

I fatti di Parigi di dieci giorni fa sono stati drammatici e tragici, su questo non ci piove.

Ma ci sono cose che al proposito non voglio e non posso sentire, cose che non potete dirmi, in quanto inaccettabili per chiunque abbia almeno un paio di neuroni funzionanti.


1) Non ditemi che la religione non c'entra. Senza la religione i capoccia non avrebbero mai trovato i manovali per portare a termine gli attentati. Quindi la religione c'entra, eccome se c'entra.

2) Non ditemi che noi occidentali ce la siamo cercata con il nostro comportamento in Medio Oriente: lo so che i nostri governi non sono santi, ma ciò non giustifica sparare a chi si gode un concerto o una cena al ristorante, al massimo giustificherebbe attentati a installazioni militari o a centri amministrativi/governativi.

3) Non ditemi che altrove muoiono più persone: i morti contano, non si contano. Chi conta il numero di morti è in malafede. I morti contano in quanto vittime, non per il loro numero.

4) Non ditemi che i morti di Parigi valgono per noi europei più di quelli di Beirut. Ogni morto ha lo stesso valore, ma è normale che ciò che geograficamente e culturalmente ci è più vicino, più ci colpisce. Se io fossi giordano mi colpirebbe di più l'attentato a Beirut. Essendo italiano mi colpisce di più quello a Parigi.

5) Non parlatemi dell'attentato in Kenya: è avvenuto ad aprile e se ne è parlato in abbondanza. Non è un attentato contemporaneo a quelli di Parigi e non è passato sotto silenzio come si vuol far credere.

6) Non ditemi che Parigi cambierà la nostra vita. Non la cambiò neanche il famoso 11 settembre...sono solo balle, l'unica cosa cambiata sono stati i controlli agli aeroporti (e anche questi più che altro di facciata, come dimostrai qui). La nostra vita la cambia (forse) la crisi economica, non gli attentati.

7) Non ditemi che si tratta di un complotto o di un inside job... se ci credete ciò parla contro la vostra intelligenza, non contro i fatti a cui non credete.

8) Non ditemi che colorare con i colori francesi le vostre immagini di profilo su Facebook o altrove sia un segno di solidarietà (o di egocentrismo come qualcuno ha sostenuto). No, è solo conformismo, come - in una situazione completamente diversa - descrissi qui.

Saluti,

Mauro.

venerdì 13 novembre 2015

L'accoltellamento di Milano

Non c'è nessuna prova, nessun indizio e neanche nessuna probabilità che sia dovuto a ragioni religiose.

Però visto che la vittima è di religione ebraica sembra sia scoppiata la terza guerra mondiale (e la comunità filo-israeliana, no, non quella ebraica seria, proprio quella filo-israeliana, ci specula sopra alla grande).

Se l'accoltellato fosse stato cristiano, musulmano, buddista o ateo nessun giornale se ne sarebbe accorto.

Accusatemi pure di quello che volete (antisemitismo, razzismo, nazismo, eccetera), non farò marcia indietro di neanche un centimetro, salvo prove inconfutabili contrarie alla mia posizione portate dagli inquirenti.

Saluti,

Mauro.

lunedì 23 giugno 2014

Una scomunica ai mafiosi... sì, e allora?

Bergoglio ha scomunicato i mafiosi.
Tutti ne parlano, bravo Bergoglio, parole coraggiose e importanti le tue, anche Wojtyla e Ratzinger avevano tuonato contro le mafie (almeno così dicono i media tedeschi, ma parole antimafiose di Ratzinger io non ne ricordo) ma non erano arrivati a una scomunica.

Ma... fermi tutti! Dove stanno il coraggio e l'importanza?
No, prima di fraintenderci: non sto parlando del significato che si può dare alla scomunica. Per un credente è una cosa seria, per un non credente è una cosa che ha lo stesso valore dei castelli in aria.
Ma questo non c'entra: il Papa è un'importante figura politica, quindi quello che dice va valutato con attenzione anche dai non credenti (del resto quello che dice Obama, per esempio, lo prendiamo in considerazione anche da non statunitensi... e il principio è lo stesso).

Quello che è importante è che, di fatto, Bergoglio non ha detto proprio nulla! Nulla di nulla.

Hai scomunicato i mafiosi? I mafiosi si atteggiano a veri credenti quindi dovrebbero sentirsi colpiti? Illuso.

Quello che conta è quello che succede nelle aree mafiose. E lì quello che dici non conta nulla. Contano i fatti che vengono messi in atto lì, in quelle aree. Contano i fatti (magari accompagnati dalle parole, ma non certo le parole da sole).

Se i vescovi e i preti lì sono vicini alla mafia, gli stessi vescovi e preti se ne fregheranno della tua scomunica e continueranno a considerare i mafiosi cittadini "esemplari". Tu devi sostituirli e spretarli, non lanciare belle parole come "scomunica".
Se i vescovi e i preti lì cercano solo di tenersi fuori dai guai senza entrare in contatto con la mafia (per paura, voglia di quieto vivere o qualsiasi altra cosa) la tua scomunica scivolerà via come pioggerellina nelle grondaie. Tu devi muoverti e andarli a scuotere per farli diventare antimafiosi.
Se i vescovi e i preti lì sono già antimafiosi e si danno veramente da fare contro la mafia e per le vittime, le tue scomuniche non gli servono a niente, anzi rischiano di metterli ancora più in difficoltà. Tu devi darti da fare per proteggerli e sostenerli, aumentando il supporto materiale a loro e cercando di fare terra bruciata (collaborando con lo Stato, non limitandoti a lavorare dentro la chiesa) attorno a chi li minaccia.

Insomma, caro Bergoglio, o ti muovi, o ti dai da fare veramente con fatti, azioni, anche parole, sì, ma non alla folla, bensì direttamente in faccia ai mafiosi, oppure non hai fatto proprio niente. Niente di niente.

Se non fai queste cose, la tua scomunica non è un atto antimafioso. È solo pubblicità per la tua persona e sabbia negli occhi al mondo.

Saluti,

Mauro.

domenica 22 giugno 2014

Certo che avete capito cos'è l'onore

In tante culture (non per ultima, va detto, in quella italiana) è vivo e presente il concetto di "onore".
Si applica alle più diverse cose... noi italiani ricordiamo per esempio il trattamento privilegiato che avevano in passato per legge i cosiddetti "delitti d'onore" rispetto agli altri delitti.
Oggi il termine "onore" viene associato soprattutto a determinati atteggiamenti delle comunità islamiche, ma concetti simili in realtà sono presenti in tutte o quasi le culture.

E, diciamocelo chiaro e tondo, coloro che più ne parlano sono coloro che meno ne capiscono.

Allora cos'è l'onore? Detto terra terra è la forza di essere coerenti, di sapersi prendere le proprie responsabilità, di non tirarsi indietro.

E perché coloro che più ne parlano sono coloro che meno ne capiscono?
Ve lo racconto con un'esperienza personale, una cosa in realtà piccola e poco importante per la storia dell'umanità, ma che rispecchia benissimo il concetto (distorto) di onore che regna in molte comunità anche per cose molto più grandi.

Qualche anno fa ho avuto una storia importante con una donna turca. Nata e cresciuta in Germania, persona molto laica, ma di famiglia islamica (in realtà ben lontana dal fondamentalismo, almeno fino a che il padre era vivo, però a quanto pare non abbastanza).
Nel momento in cui questa storia è cresciuta e si cominciava a pensare che forse poteva essere la storia giusta... spunta fuori l'onore.

Un giorno lei mi chiede (e la cosa sul momento mi stupisce, sapendo che lei non era più entrata in una moschea da quando era bambina e che mangiava senza problemi maiale e beveva vino) se per lei fossi stato disposto a convertirmi all'islam.
La mia prima reazione è stata di chiederle: "Ma che cavolo c'entra la religione con la nostra storia?".
Cosa c'entrava? Semplicemente che il "capofamiglia" (cioè suo fratello maggiore, dato che suo padre era morto) mai avrebbe accettato "per l'onore della famiglia" che lei si mettesse con un cattolico (come io sono per battesimo) e men che meno con un ateo (come io sono in realtà, visto che non ho scelto io di battezzarmi).

Ciò ha chiuso la nostra storia, non solo perché io chiaramente un passo del genere non lo avrei fatto mai... ma anche perché ciò dimostrava (e glielo dissi chiaramente) l'ignoranza della sua famiglia: tu "per l'onore della famiglia" costringi tua sorella (o tua figlia) a mettersi insieme a un uomo senza onore (perché convertirsi solo per quello, senza prendere sul serio la religione a cui ti converti, significa essere senza onore)?
Ma se vuoi questo per tua sorella... sparati, ignorante e deficiente!

E se guardate bene tutti i discorsi sull'onore di tutte le culture (e non solo riguardo storie d'amore) il concetto rimane sempre e comunque quello descritto sopra: in nome dell'onore si pretende il disonore.
Viva la coerenza.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Con quella donna siamo rimasti amici, anche se abbiamo chiuso la storia... ma le ho chiesto di non farmi mai conoscere suo fratello, se no l'omicida potrei diventare io :-)

lunedì 9 giugno 2014

Velo o non velo

Quando qualcuno si lamenta del velo islamico (parlo di quello che copre i capelli, ogni cosa che copra anche il volto - islamica o no che sia - ha sempre e comunque il mio disprezzo: il volto deve essere sempre comunque riconoscibile, e in Italia - per esempio - lo deve essere anche per legge, non solo moralmente) e dice che detto velo gli da fastidio... rispondetegli, soprattutto se si tratta di cattolici, che allora dovrebbero dargli un gran fastidio anche le suore.
Fidatevi: non avrà risposte. Tacerà.

Saluti,

Mauro.

domenica 27 aprile 2014

#papisanti

Io, in tutta sincerità,  preferisco le capesante.

Saluti,

Mauro.