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mercoledì 12 luglio 2023

Popper, la tolleranza, noi e la democrazia

Nel 1945 Karl Popper formulò il paradosso della tolleranza, all'interno del suo libro La società aperta e i suoi nemici.

Popper lo formula in questi termini:
Meno noto è invece il paradosso della tolleranza: la tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l'illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l'attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.
E qualche riga sotto conclude quindi che:
Noi dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti.

E qui sta il paradosso: per salvare la società dall'intolleranza bisogna essere intolleranti.

Ed è un paradosso assolutamente non risolvibile, se ci ragionate bene.
È impossibile concludere usando solo la logica se sia giusto tollerare gli intolleranti o se bisogni "abbassare" il livello di tolleranza per bloccarli.

Ed è questo, in fondo, il motivo per cui oggi (ma non è certo la prima volta nella storia) vediamo partiti palesemente antidemocratici sedere nei vari parlamenti dopo essere stati eletti in maniera assolutamente democratica.

La democrazia è come la tolleranza di Popper.
È giusto trovare modi di impedire agli antidemocratici di sfruttare la democrazia per andare al potere?

In termini di diritto credo che la risposta sia semplice: questi partiti si possono fermare se compiono atti anticostituzionali, ma non si possono fermare solo per i loro programmi e idee.

Mentre a livello logico e filosofico rimane un paradosso irrisolvibile.

Saluti,

Mauro.

sabato 8 luglio 2023

Non si bruciano i libri

Da un po' di giorni si parla molto dell'atto di Salwan Momika, rifugiato iracheno in Svezia.
Questi, a Stoccolma, ha strofinato pancetta su un Corano, lo ha calpestato e poi ne ha bruciato alcune pagine.

Ora, che a livello politico le reazioni nel mondo islamico siano state esagerate, assurde è palese, essendo per di più l'atto di un singolo individuo.
Comunque a livello di considerazioni politiche avete letture più che a sufficienza in rete, sia pro che contro. Non ci aggiungo le mie. A questo punto sarebbe solo aggiungere rumore al rumore.

Però una cosa posso e voglio dirla.

Io posso capire lo stato d'animo di Momika, la sua frustrazione, al limite anche il suo odio.
Non so cosa abbia subito in Iraq e dagli islamisti, ma di sicuro nulla di piacevole né di giustificabile o di accettabile.
Io posso capire... ma i libri non si bruciano.

Bruciare un libro significa voler tappare la bocca a chi quel libro lo ha scritto e a chi lo legge.
Quando bruci un libro (che sia un testo religioso, politico, letterario o qualsiasi altra cosa) commetti un atto di censura, di repressione, perché vuoi mettere a tacere quel libro e chi lo legge.

Se bruci un libro, anche il peggiore e più pericoloso dei libri, sei un intollerante quanto quelli che combatti. Se quel libro è pericoloso, negativo ne combatti i contenuti con gli argomenti, non con le fiamme. Soprattutto quando non sei più sul posto, ma vivi in un paese sicuro.
Se usi le fiamme significa che se tu dovessi andare al potere al posto dei tuoi nemici li opprimeresti come loro hanno oppresso te.
L'unica differenza sarebbe l'inversione dei ruoli tra persecutori e perseguitati.

Perché...

[...], dort wo man Bücher
Vebrennt, verbrennt man auch am Ende Menschen.

[...], dove si bruciano i libri,
alla fine si bruciano anche gli uomini.

(Heinrich Heine, "Almansor", versi 243-4)

Saluti,

Mauro.

giovedì 2 febbraio 2023

Io sono io

Io sono io.
E voi siete voi.

Ma so che avete già capito male... non sto intendendo la cosa nel senso del Marchese del Grillo 😉

E invece dovete capire bene!

Quanto ho scritto significa solo che quando dialoghiamo non dobbiamo giudicare l'altro solo in base ai nostri schemi mentali (è difficile, lo so), ma prima di giudicarlo dobbiamo cercare di capire i suoi.
Ognuno ha schemi mentali differenti e per poterli giudicare (e quindi accettare o condannare, perché sì, si possono anche condannare, non vanno per forza accettati per chissà quale malintesa tolleranza) bisogna prima capirli. Senza capire, nessun giudizio è possibile. Né positivo né negativo.

E, prima che insorgiate, vorrei che notaste l'unica parola che ho scritto in grassetto sopra.
Solo.
Con quella sottolineatura voglio rendere chiaro che non dobbiamo per forza abbandonare i nostri schemi mentali, ma che dobbiamo anche impegnarci a capire quelli altrui.
Perché gli schemi mentali sono necessari, inevitabili, ma non ce n'è uno superiore all'altro.
Gli schemi devono esserci, ma devono essere flessibili, non rigidi.

Del resto quelli che definiamo "schemi mentali" sono semplicemente la cultura in cui siamo cresciuti.
E ogni cultura ha lati positivi e negativi.
E se, per liberarci dei lati negativi, buttiamo via tutta la nostra cultura... allora buttiamo via il bambino insieme all'acqua sporca.

Poi, se uno schema mentale (che sia nostro o altrui) è rigido, intollerante, arrogante, razzista o simili... beh, allora sì che c'è qualcosa che non va. E allora va combattuto.
Perché in quel caso c'è solo acqua sporca, nessun bambino.
E soprattutto non c'è nessuna cultura,

Ma, se prima di giudicare chi ha altri schemi mentali, non vi impegnate a capirli (capire non significa accettare e basta, come certa attuale propaganda vuol far credere, capire significa impegnarsi per vedere da dove vengono quegli schemi e perché sono così)... beh, allora siete voi i "talebani".
Non quelli che combattete.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Il sottotitolo di questo blog (sottotitolo esistente dal 2006, non nato oggi) è, non a caso, "Io sono io. O no?".

domenica 4 ottobre 2015

Ma guarda te se mi tocca dover difendere la Chiesa

Tutti (o quasi) avrete letto del coming out (e non outing come molte testate scrivono) di monsignor Charamsa e dell'intervento delle gerarchie ecclesiastiche contro di lui. Non serve che vi dia nessun collegamento.

E tutti a condannare tali gerarchie per la loro omofobia e intolleranza.
Vero, la Chiesa è omofoba e intollerante. E lo sta diventando sempre di più.
Ma qui non c'entra nulla, che vi piaccia o no.

C'entra che monsignor Charamsa ha infranto regole che si era impegnato volontariamente a rispettare: quelle dell'astinenza e del celibato (anche di fatto, non solo di nome, non essendo lui ufficialmente sposato). E il suo essere omosessuale o eterosessuale non c'entra niente. Sarebbe stato punito anche se avesse detto che aveva una compagna e non un compagno.
Ed è giusto così. Entrando nella Chiesa lui ha di fatto sottoscritto un contratto. E un contratto prevede anche delle regole da rispettare.
Se io sul lavoro non seguo le regole scritte sul contratto che ho firmato, la mia azienda ha il diritto di prendere provvedimenti contro di me. E per chi entra alle dipendenze della Chiesa come sacerdote non è diverso.

Certo quelle imposte ai sacerdoti sono regole stupide, anacronistiche, illiberali, ridicole. Tutto vero e giusto. Ma non sono illegali. E soprattutto non le scopri dopo aver preso i voti. Le conosci già prima.
Quindi se non le rispetti ne paghi le conseguenze. E il tuo datore di lavoro ha ragione.

Poi, se qualcuno si chiede perché Charamsa abbia fatto tutto questo teatro, credo che abbia ragione Francesco Cocco in quel che scrive qui.
Oltretutto facendosi cacciare e non andandosene spontaneamente può ergersi a quel martire che non è.

Saluti,

Mauro.