sabato 11 agosto 2018

Vivere di decreti legge

Lo strumento del decreto legge nella Repubblica Italiana esiste da sempre.
È uno strumento che ha un senso ben preciso e concreto: reagire a un'emergenza per la quale non esiste uno strumento legislativo adeguato e che richiede un intervento immediato, incompatibile coi tempi di una discussione parlamentare.
Proprio per questo ha durata limitata (60 giorni) e poi o viene convertito in legge dal Parlamento o decade (il Parlamento può anche modificarlo prima di convertirlo oppure può anche sostituirlo con legge alternativa).
Insomma, il decreto legge è uno strumento che serve a tappare un buco quando "piuttosto che niente meglio piuttosto".

Nei governi del nuovo millennio invece il decreto legge sembra diventato lo strumento principe dell'azione di governo. Di qualsiasi governo, senza eccezioni.

Perché?
Generalmente viene presentato come motivo per ciò la voglia dei governi di sostituirsi al Parlamento, l'insofferenza crescente verso il sistema parlamentare, visto come una palla al piede da chi chiede di "lasciarlo governare".
E quindi il decreto legge diventa uno strumento di pressione: più decreti legge si fanno (magari reiterandoli con i necessari cambiamenti per poterlo fare senza andare contro legge e Costituzione), più la maggioranza in Parlamento viene costretta a schiacciarsi sulla posizione del Governo e più l'opposizione perde voce.
Perché in Parlamento ci sono sia la maggioranza che l'opposizione e, in una democrazia funzionante, il Parlamento è il luogo del dialogo. Magari aspro, ma pur sempre dialogo.
Invece il Governo è pura espressione della maggioranza, magari estemporanea, ma pur sempre maggioranza.
E tutti i partiti - e sottolineo tutti - sembrano aver perso la capacità (o la volontà) di capire cosa significhi "democrazia parlamentare". Si è creato il mito che la maggioranza è il popolo e quindi il Parlamento non serve.
E allora quale strumento migliore del decreto legge? Il decreto legge è prodotto dal governo... e al governo non c'è da discutere con l'opposizione. Il governo, contrariamente al Parlamento, non perde tempo.

Tutto vero, tutto giusto (e non solo in Italia), ma io sono convinto che ci sia anche un secondo motivo dietro al dilagare dei decreti legge, non meno importante di quello descritto.
Il fumo negli occhi.
Il decreto legge è uno strumento ottimo per far credere che si faccia qualcosa, che si sappia cosa si sta facendo.
Tanto al peggio poi lo si lascia decadere nel silenzio.
Basta fare sufficiente tam tam al momento della sua emanazione e poi far finta di niente e passare oltre fischiettando dopo sessanta giorni, quando andrebbe convertito. Tanto l'elettore ha memoria corta, lo si frega bene a questo modo.
E così, un decreto legge qui, una dichiarazione là, una circolare lì e... ma belin, come si impegna questo governo!
E invece, di concreto nulla.

Saluti,

Mauro.

8 commenti:

  1. OT: post linguistici no more?
    Nautilus

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    1. Torneranno, torneranno.
      Se sei in crisi d'astinenza c'è sempre il blog di Licia Corbolante 😉

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    2. Ho smesso di seguirlo: l'autrice, nel voler avere ragione a tutti i costi, tende a scadere nel mirror climbing un po' troppo spesso.
      Nautilus

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    3. Sembra quello che io ormai dico di Butta… (anche se non ho smesso di seguirlo, per ora)

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  2. Guarda, hai scritto tu quello che per decenza non ho scritto io. Comunque il Butta è decisamente meglio!

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    1. Ehi, adesso smettila di svicolare e di farmi svicolare!
      Qui si parla di decreti legge: pretendo un tuo commento sul tema!

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    2. Sono in realtà d'accordo con quello che scrivi (in generale quando non mi vedi commentare è perché la penso allo stesso modo).

      Sono invece curioso di sapere se il decreto legge esiste anche lì da voi.

      Quanto alla prima parte (il saltare la discussione parlamentare), penso che in epoca attuale certe discussioni sono davvero troppo lunghe rispetto alle esigenze contingenti. La mia soluzione è però diversa e ricorda l'approccio che si usa in matematica e fisica: di fronte a un problema grosso e complesso meglio scomporre in sottoproblemi. Credo che 10/15 milioni di abitanti siano un buon livello di aggregazione per uno Stato.

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    3. Sullo scomporre in sottoproblemi concordo... il problema è che tu non scomponi il problema, bensì chi lo deve risolvere.
      Ergo... moltiplichi il problema ;)

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