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domenica 2 luglio 2023

Incidenti (spesso omicidi) sul lavoro

Riproposizione in testo unico di un thread pubblicato su Twitter il 30 giugno scorso.

Nei primi cinque mesi del 2023 (quindi da gennaio a maggio) in Italia ci sono stati 358 morti sul lavoro (e parliamo solo dei decessi, non degli infortuni in generale).
271 direttamente sul lavoro e 87 in itinere (gli infortuni - mortali o no che siano - nel tragitto casa-lavoro sono per legge - salvo eccezioni - considerati infortuni sul lavoro).
Questi ultimi 87 sono nella maggioranza dei casi veri e propri incidenti.
Ma gli altri 271 (in 5 mesi, da gennaio a maggio, cioè 151 giorni: quasi due decessi al giorno!) sono spesso veri o propri omicidi. Magari "solo" colposi, ma comunque omicidi.

Perché però di questi si parla molto meno che di altre tipologie di omicidio molto meno frequenti?
Perché le notizie sui giornali o in TV sono molto più brevi, quasi date con fastidio, quando si tratta di morti sul lavoro?

I dati numerici di cui sopra sono dati INAIL elaborati dall'Osservatorio sicurezza sul lavoro di Vega Engineering.
Nei link a questa presentazione dell'Osservatorio trovate tutti i report, grafici e altro materiale.

Saluti,

Mauro. 

domenica 23 maggio 2021

I jeans... mito americano, che di americano non ha nulla

Per molti, in tutto il mondo, i jeans, o meglio i blue jeans, sono parte integrante del mito americano.

Ormai tutti sappiamo che blue jeans significa semplicemente blu di Genova.
Ma cosa collega la parola jeans al nome di Genova?
Questo non tutti lo sanno: la Francia! Sì, la Francia. Vi stupite? Seguitemi.
La tela di cotone che oggi conosciamo come blue jeans è nata come tela per pantaloni da lavoro a Genova, per la precisione per i lavoratori del porto di Genova, i famosi camalli.
Però questa tela oltreoceano ci arrivò attraverso la Francia, non direttamente da Genova... e in francese Genova si dice Gênes... ma dato che gli anglofoni non sono in grado di pronunciare altre lingue (ok, anche con la propria hanno problemi, non esistendo pronuncia univoca per grafie uguali, ma adesso andiamo fuori tema) quel Gênes loro lo pronunciavano jeans. E come jeans si è diffuso nel mondo.

Chiarito questo ora mi direte: ok, la tela è nata a Genova, ma poi tutto il resto è americano, vero?
Ehm... no, anche tralasciando Genova di americano nei jeans c'è ben poco.

La tela genovese era molto grezza. Tela da lavoro, appunto.
I francesi, una volta scopertala, ne vollero fare una tela sempre da lavoro ma non così grezza come in origine.
E quindi inventarono quella che è la tela da jeans oggi più diffusa al mondo: il denim.
Perché, di sicuro non lo sapete, ma anche la parola denim è una storpiatura degli anglofoni dal francese: denim altro non significa che... de Nîmes, cioè tela di Nîmes, città francese.

Ma andiamo oltre.
Finora abbiamo parlato solo della tela, non dell'estetica.
Il modello di jeans, a livello estetico, venne definito oltreoceano dalla Levi Strauss (che noi conosciamo come Levi's) e quindi voi mi direte: quindi almeno l'estetica del jeans è americana! Almeno il design viene da oltreoceano.
Per niente.
Levi Strauss (nato Löb Strauß) era un ebreo bavarese che, trasferitosi negli Stati Uniti, creò il jeans moderno. Ma per l'aspetto estetico si ispirò in origine ai tipici pantaloni da lavoro in pelle bavaresi (ma non quelli che conoscete voi dal folklore, bensì quelli veri da lavoro, generalmente scamosciati).

Quindi, come vedete... Genova, Nîmes, Baviera.

Cosa rimane di americano?

Saluti,

Mauro.

sabato 6 marzo 2021

Quanto deve durare una telefonata

Quanto deve durare una telefonata?
Poco.
Se possibile, pochissimo, a meno che non ci siano motivi seri.
Se una telefonata privata supera i cinque minuti è tortura, niente altro che tortura.
(Ovviamente, se parliamo di lavoro e non di privato, la lunghezza di una telefonata dipende dai temi da discutere, ma anche lì, come nel privato, valgono le equazioni "concisione=chiarezza" e "prolissità=fraintendimenti").
E se tu consapevolmente tiri una telefonata per le lunghe, senza che ci sia un vero motivo per farlo (e molto raramente c'è), dimostri solo di voler torturare il tuo interlocutore.
Soprattutto quando capisci che lui o lei non chiude la chiamata solo per educazione, ma tu continui a parlare, trovi ogni modo per non chiudere la chiamata... dimostri solo arroganza, solo insensibilità nei confronti del tuo interlocutore!

Saluti,

Mauro.

martedì 26 gennaio 2021

Il Covid e il trasporto

Una delle discussioni più accese in tempi di Covid è quella sulla scuola.
Scuole aperte o chiuse? Didattica in presenza o a distanza?
Va detto che le stesse polemiche (anche se in questo caso non hanno raggiunto il grande pubblico) sono state fatte anche per l'home office. Lavoro in ufficio o lavoro da casa?
Per tacere delle polemiche legate alla chiusura di determinati tipi di attività commerciali, culturali, ecc.

Sono polemiche giustificate?
Io non voglio fare un discorso giuridico o psicologico, ma epidemiologico.

Chi vuole aprire qualcosa dice sempre (ma non sempre portando numeri e studi, anzi...) che la determinata attività non è pericolosa, non è causa di focolai se non in casi eccezionali, eccetera, eccetera.
A parte il fatto che non è vero, o meglio non puoi dirlo, visto che i focolai vengono scoperti solo in una parte dei casi, in molti casi ti ritrovi un contagio diffuso senza sapere da dove è partito, se c'è stato un focolaio o meno.

Però il problema vero è un altro.

Puoi mettere in sicurezza una scuola, un ufficio, un negozio, un museo?
Non certo al 100%, ma con un impegno serio puoi comunque limitare i rischi (che poi quest'impegno nella maggioranza dei casi purtroppo non c'è stato, ma di questo fatto nessuno degli "aperturisti" ne tiene conto).

Gli "aperturisti" spesso dimenticano un fatto: a scuola, in ufficio, in negozio, al museo ci devi arrivare.
E poi da lì devi tornare a casa.
E non tutti possono muoversi con mezzi di trasporto privati. E questo fatto vale soprattutto per la scuola, vista l'età dei suoi fruitori (ovviamente parlo dei discenti, non dei docenti).

E bus, metropolitane, treni (con le rispettive fermate, stazioni, ecc.) sono molto più difficili da mettere in sicurezza, molto di più.
E sono meno controllabili, visto il continuo "ricambio" di utenti a ogni fermata.

In sostanza:
1) Sui trasporti è più difficile mantenere distanze e regole (e poi sei in mezzo a sconosciuti, non puoi sapere se qualcuno è contagioso o meno), ergo più facilmente ti puoi infettare.
2) Sui trasporti... trasporti anche il virus. Anche se non ti infetti lì, puoi portare il virus da casa a scuola, ufficio, ecc. o viceversa.

Fino a che non troviamo una soluzione ottimale o almeno decente per rendere i trasporti più sicuri, discutere su scuola/lavoro in presenza o a distanza è guardare il dito, non la luna.
Per lo meno da un punto di vista epidemiologico.

Saluti,

Mauro.

martedì 16 luglio 2019

L'abbondanza non sempre è un bene

In questo momento ci sono tanti, troppi temi su cui vorrei e potrei scrivere qualcosa di eretico. Ma devo anche lavorare e portare avanti altri progetti personali.

Per cui vi chiedo: su che argomento vorreste leggere le mie sparate?
Ditemelo e, se avrò al proposito qualcosa da dire, vi accontenterò.

Saluti,

Mauro.

martedì 22 gennaio 2019

I soliti titoli dati a caso

Ennesimo esempio di informazione data in maniera dilettantesca.

Oggi la Repubblica pubblica sul suo sito un articolo dedicato a un rapporto scritto dall'ILO (International Labour Organisation, l'organizzazione dell'ONU dedicata ai temi del lavoro).

Titolo in homepage "I robot faranno licenziare la metà dei lavoratori":


Sottitolo dell'articolo completo "robot e mitigazioni ambientali mettono a rischio milioni di posti, facendone sorgere di nuovi":


1) Si smentisce di fatto quanto asserito nel titolo, visto che si dice che si creeranno nuovi lavori;
2) Cosa diavolo sono le mitigazioni ambientali?

Per di più poi nel corpo dell'articolo si dice per quanto riguarda la parte climatica si perderanno 6 milioni di posti, ma se ne creeranno 24 milioni nuovi (cioè il quadruplo di quelli che si perderanno):


No, non è il modo di fare giornalismo.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Per chi fosse interessato al rapporto (visto che Repubblica non ne fornisce il collegamento), qui lo si può scaricare.

sabato 13 ottobre 2018

Riformare i centri per l'impiego non serve

Il governo gialloverde vuole riformare i centri per l'impiego (per noi vecchi: uffici di collocamento) come misura per combattere la disoccupazione.

Ma su che pianeta vivono?
I centri per l'impiego sono strumenti di intermediazione... se il lavoro non c'è, cosa cavolo possono fare i centri per l'impiego, sia che funzionino bene, sia che funzionino male?
Bisogna intervenire sulla creazione del lavoro prima che sull'intermediazione tra domanda e offerta.

Perché vi garantisco: se il lavoro c'è... in un modo o nell'altro domanda e offerta si incontrano (con centri per l'impiego efficienti magari in maniera più efficace, ma alla fine le posizioni si riempiono anche senza centri per l'impiego efficienti).
Se non c'è... un centro per l'impiego ben funzionante può al massimo contribuire a riempire le poche posizioni che si liberano nella maniera più veloce e competente... ma mai potrà contribuire a creare nuovi posti di lavoro.
Salvo che non sia incaricato anche di creare posizioni fittizie pur di dare uno stipendio a qualcuno (ergo trasformare il suo compito da ente di intermediazione a ente di assistenza).

Rendere più efficienti i centri per l'impiego non è certo da denigrare, anzi. Ma non è neanche la priorità.
La priorità è introdurre politiche industriali e infrastrutturali che creino lavoro.

Ma industria e infrastrutture sono parole cancellate dal vocabolario del M5S (ma anche politica, eh, se non nei casi in cui la si può usare a sproposito).

Saluti,

Mauro.

martedì 17 luglio 2018

E poi parliamo dell'itanglese

Ieri mi è arrivata via email la descrizione di un posto di lavoro per cui un'agenzia di reclutamento mi chiedeva se potessi essere interessato.
La posizione era in effetti veramente interessante e in gran parte adeguata alle mie competenze.
L'annuncio arrivava da un'agenzia britannica con sede a Londra, ma riguardava il mercato tedesco.
Fin qui tutto bene. Avrei valutato la cosa.
Però, però... se neanche gli inglesi sanno l'inglese, come possiamo noi lamentarci dell'itanglese?


Io credevo che parlassero del mio profilo, non di me come profilo...
You're... your... per fortuna non hanno scritto direttamente youre.
Mi è scappata la voglia di prendere sul serio la posizione.

Ah, dimenticavo: non solo l'agenzia è londinese (per chi fosse interessato: RIPE4 Resourcing Ltd.), ma la persona nel contatto, responsabile per l'annuncio, ha anche cognome tipicamente anglosassone (Dobson).

Saluti,

Mauro.

giovedì 26 aprile 2018

No, non sono paragonabili

In questi giorni si è fatto tanto chiasso sul "fallimento" dell'esperimento finlandese col cosiddetto reddito di cittadinanza.
Il luogo comune più usato: "Se ha fallito lì, figuriamoci cosa succederebbe qui da noi!".

Balle. Succederebbe semplicemente lo stesso, come succederebbe in qualsiasi altro paese del mondo: un reddito "gratis" è il sogno di tutti a ogni latitudine.
Per i fannulloni in maniera da vivere senza far niente.
Per gli altri in maniera da dedicarsi ad attività di soddisfazione personale (anche costruttive e produttive per la società eventualmente) senza l'assillo di dover aver successo a tutti i costi e possibilmente alla svelta.
E questo vale in Finlandia, in Italia, a Tuvalu, in Canada, in Uganda, in Svizzera, in Cambogia e in qualsiasi altro paese del mondo. Punto.

Però il problema vero è che il confronto dell'esperimento finlandese con la proposta del M5S non sta proprio per niente in piedi.
Al di là di Italia e Finlandia, di italiani e finlandesi.

Il reddito di cittadinanza proposto dal M5S pone delle condizioni precise per ottenerlo. Certo, sono molto più lasche delle condizioni poste dall'attuale reddito di inclusione (o dai vari sussidi sociali/di disoccupazione esistenti) o da analoghi sostegni in Germania o altri paesi e sembrano fatte per venire incontro ai fannulloni, ma queste condizioni ci sono, non lo si può negare.

Il reddito di cittadinanza finlandese era incondizionato a meno di non essere di fatto ricchi: potevi anche lavorare e continuare a riceverlo, potevi non cercare lavoro e dire chiaramente all'ufficio di collocamento di non chiamarti nemmeno e continuare a riceverlo, potevi fare quel che cavolo ti pare e continuare a riceverlo, ecc. ecc.
Scusate, ma come poteva funzionare una cosa del genere?

E ditemi, come fate a paragonarlo alla proposta del M5S (o a proposte analoghe di altri partiti)?
Ecco, cari giornalisti, politici, politologi ed economisti, state semplicemente confrontando mele con pere.

Saluti,

Mauro.

sabato 14 ottobre 2017

Alternanza tra fuori tema e luoghi comuni

E come al solito le polemiche sull'alternanza scuola-lavoro dimostrano come in Italia l'unica alternanza che funziona è quella tra fuori tema e luoghi comuni.

I ragazzi contestano usando, non solo ma soprattutto, il fatto che i lavori che svolgono (o che fanno finta di svolgere) non c'entrano nulla con quello che dovrebbe essere il cammino professionale e che sono sfruttamento in quanto non pagati.
E cosa cavolo c'entra? Nulla, ma proprio nulla.
Per il cammino professionale ci sono i tirocinii e, appunto, la formazione professionale. L'alternanza scuola-lavoro - sia che la si approvi sia che no - è tutt'altro, ha altri scopi, altre motivazioni e altra regolamentazione.
Per la retribuzione poi ci sono i lavoretti che gli studenti (e anche alcuni scolari) hanno sempre fatto e non gli obblighi scolastici (visto che l'alternanza in questione è un obbligo scolastico).

I liberisti all'amatriciana contestano gli studenti dicendo che in altri paesi (e citano praticamente solo l'UK, comunque) senza lavori da studente nel curriculum vieni guardato storto.
E cosa cavolo c'entra? Nulla, ma proprio nulla.
I lavori in questione sono quelli che gli studenti - poi oltretutto generalmente intesi come studenti universitari, quindi la scuola non c'entra - svolgono durante le vacanze o nel tempo libero (libero si fa per dire, visto che per lavorare poi spesso allunghi gli studi).
Non c'è nessuna alternanza scuola-lavoro obbligatoria (e no, i tirocinii/stages che alcuni corsi di laurea ti obbligano a fare per poterti laureare sono anche loro tutt'altro).

Insomma, tra i tanti motivi - reali! - che ci sono sia per approvare che per disapprovare l'alternanza scuola-lavoro entrambi i partiti usano argomenti che non c'entrano nulla.
Argomenti che sono nel migliore dei casi solo luoghi comuni, più frequentemente completi fuori tema (un po' come quando al liceo venivi interrogato su tema che non avevi studiato e facevi di tutto per portare l'insegnante su un altro tema... per poi beccarti giustamente un bel 4).

Saluti,

Mauro.

lunedì 9 ottobre 2017

Cose da integrare nel blog

In seguito a commenti vostri sia qui che su Twitter, minuscolo elenco di cose da integrare sul blog:

1) Riferimento agli ultimi commenti (potrebbe essere utile per vedere se qualcuno ha messo commenti sui vecchi post) -> consiglio di Raoul alias lituopadania sul blog;

2) Pulsante per condividere su Twitter (ed eventualmente su FB o altrove) -> consiglio di Salvo su Twitter.

Prima che mi metta al lavoro (tanto le calende greche sono ancora lontane, ho tempo ;-) ) qualcuno ha altri consigli/richieste/desideri?

Saluti,

Mauro.

sabato 29 ottobre 2016

L'incapacità di dire sì o no

Vivo e lavoro in Germania da vent'anni. Diverse città e diverse aziende.
Recentemente - come forse avrete letto - ho cambiato nuovamente lavoro e casa (anzi proprio regione).

Una cosa però rimane in Germania costante, particolarmente nel mondo lavorativo: l'incapacità di dire sì o no.

Mi spiego meglio.
Tu poni una domanda che richiede un semplice sì o no come risposta. La risposta non sarà sì o no. Sarà un blabla in cui tu dovrai capire tra le righe se è sì o no. C'è la paura (talvolta il rifiuto a priori, anche senza paura) di prendersi la responsabilità di una risposta chiara.

Voi direte: prendersi responsabilità può rovinarti la carriera, è umano delegare e/o tentennare.
Sì è umano. Ma ciò non è una giustificazione. Le debolezze umane possono essere combattute e vinte.

Ma, a parte l'essere umano o meno, ciò porta a situazioni assurde.

Ieri mi è capitato di dover moderare una riunione per la definizione e valutazione di misure e controlli destinate a migliorare (o almeno a garantire) la qualità dei prodotti/processi (FMEA, per chi è del mestiere). È una delle componenti principali del mio lavoro, se non la principale.
E per l'ennesima volta ho sbattuto contro l'incapacità dei tedeschi di dire sì o no.

A un certo punto ho chiesto al responsabile di un certo tipo di lavorazione se tra la sua strumentazione è presente un determinato macchinario.
E lui a girare intorno alla cosa, a fare una specie di conferenza su detta strumentazione. E io a interromperlo ripetutamente chiedendo ripetutamente "Ma questo strumento c'è o non c'è?". E lui a incartarsi e a balbettare pur di non dire sì o no.
Alla fine ho dovuto dire "Allora non c'è. Però serve, quindi segno qui che lei deve gestirne l'acquisto". E lui, spaventato, finalmente "Ma lo abbiamo già, sì, c'è".
E io serafico: "Glielo sto chiedendo da un'ora, poteva evitarci questa perdita di tempo".

Ma, cacchio, non ti stavo chiedendo di prenderti chissà quale responsabilità... ti stavo solo chiedendo se una cosa c'è o non c'è. Neanche se la usi o non la usi, solo se c'è o non c'è.

Questo è stato chiaramente un caso molto estremo, ma in forma più "morbida" l'incapacità di dire sì o no è la norma in Germania.
In particolare nelle riunioni di lavoro in Germania.

Da questo punto di vista è per me una liberazione quando ho a che fare con latini e anglosassoni.
Tedeschi e, peggio ancora, scandinavi in riunione sono "omertosi". Devi parlargli a quattr'occhi per ottenere risposte chiare (e non sempre ci riesci).

Saluti,

Mauro.

sabato 6 agosto 2016

La vita è un trasloco

Care lettrici, cari lettori,

per quanto pochi e bravi siate, dovrete per qualche tempo far esercizio di pazienza.

Dal primo agosto lavoro ad Auerbach in der Oberpfalz, quindi a circa 470 km da Colonia. Per un po' di tempo farò la settimana là e il fine settimana qui, a Colonia. Poi mi trasferirò definitivamente.

In questo periodo chiaramente il blog ne soffrirà (magari con vostra gioia ;) )... ma come detto: abbiate un po' di pazienza e tornerò eretico quanto in passato, se non di più.

Saluti,

Mauro.

domenica 1 maggio 2016

Primo Maggio

Festa del lavoro e dei lavoratori.

Ma se il lavoro non c'è e i lavoratori sono precari... cosa si festeggia?

E no, non ditemi che basta guadagnare per essere lavoratori... un lavoratore guadagna e produce, soprattutto produce a voler essere sinceri...
Mentre nel mondo della finanza che oggi è dominante si guadagna sì... ma cosa cavolo si produce?
A voler essere ottimisti: nulla.
A voler essere realisti: danni.

Saluti,

Mauro.

domenica 4 ottobre 2015

Ma guarda te se mi tocca dover difendere la Chiesa

Tutti (o quasi) avrete letto del coming out (e non outing come molte testate scrivono) di monsignor Charamsa e dell'intervento delle gerarchie ecclesiastiche contro di lui. Non serve che vi dia nessun collegamento.

E tutti a condannare tali gerarchie per la loro omofobia e intolleranza.
Vero, la Chiesa è omofoba e intollerante. E lo sta diventando sempre di più.
Ma qui non c'entra nulla, che vi piaccia o no.

C'entra che monsignor Charamsa ha infranto regole che si era impegnato volontariamente a rispettare: quelle dell'astinenza e del celibato (anche di fatto, non solo di nome, non essendo lui ufficialmente sposato). E il suo essere omosessuale o eterosessuale non c'entra niente. Sarebbe stato punito anche se avesse detto che aveva una compagna e non un compagno.
Ed è giusto così. Entrando nella Chiesa lui ha di fatto sottoscritto un contratto. E un contratto prevede anche delle regole da rispettare.
Se io sul lavoro non seguo le regole scritte sul contratto che ho firmato, la mia azienda ha il diritto di prendere provvedimenti contro di me. E per chi entra alle dipendenze della Chiesa come sacerdote non è diverso.

Certo quelle imposte ai sacerdoti sono regole stupide, anacronistiche, illiberali, ridicole. Tutto vero e giusto. Ma non sono illegali. E soprattutto non le scopri dopo aver preso i voti. Le conosci già prima.
Quindi se non le rispetti ne paghi le conseguenze. E il tuo datore di lavoro ha ragione.

Poi, se qualcuno si chiede perché Charamsa abbia fatto tutto questo teatro, credo che abbia ragione Francesco Cocco in quel che scrive qui.
Oltretutto facendosi cacciare e non andandosene spontaneamente può ergersi a quel martire che non è.

Saluti,

Mauro.

giovedì 1 maggio 2014

Festa del lavoro

Se solo la politica e, soprattutto, l'imprenditoria lo rispettassero il lavoro, quante cose cambierebbero in meglio. Anche senza nuove leggi, programmi o iniziative varie.

Saluti,

Mauro.

domenica 28 ottobre 2012

Ha ancora senso l'ora legale?

Tra circa un'ora riporteremo indietro le lancette dell'orologio e ritorneremo all'ora solare, lasciando l'ora legale. Almeno per qualche mese.

Ma oggi ha ancora senso questo passaggio?

Prima di provare a rispondere a questa domanda, una breve storia dell'ora legale.
In Italia venne introdotta per la prima volta nel 1916. venne abolita e reintrodotta a fasi alterne fino a che venne definitivamente istituzionalizzata nel 1966. In tempi di crisi energetica. Nella sua durata attuale (uniforme in tutta Europa) la conosciamo dal 1996, prima durava meno.
Le motivazioni sostanziali sono due (e tutte e due dovute all'allungamento serale del chiarore naturale nel periodo estivo):
1) risparmio energetico;
2) maggiore utilizzabilità del tempo libero per chi lavora.

Sulla seconda ragione tutto sommato si può essere d'accordo, anche se la temperatura credo sia più importante del chiarore... e la temperatura non cambia spostando le lancette dell'orologio.
Quindi questo punto non lo ritengo significativo né a favore né contro l'ora legale.

La prima ragione va invece analizzata meglio.
L'ora legale in via definitiva e in forma uguale (durata a parte) a quella che conosciamo oggi è stata introdotta quasi mezzo secolo fa, con un'economia e un consumo energetico diverso.
L'idea di base era: sul posto di lavoro il consumo cambia poco o nulla comunque giri l'orologio, ma allungando il chiarore serale riduciamo significativamente i consumi privati nella bella stagione.
Ragionamento che non fa una grinza. Almeno non la fa nel 1966.

Ma oggi? Siamo sicuri che possiamo ancora ragionare come allora?
I tempi del lavoro e del privato non sono più rigidi, fissati come allora.
E al di là della separazione lavoro-privato, oggi sia il lavoro che il tempo libero hanno caratteristiche (anche energetiche) ben diverse di allora.

Terna, la società italiana per la gestione delle reti di distribuzione elettrica ha pubblicato uno studio in cui calcola il risparmio ottenuto nel periodo di utilizzo dell'ora legale.

Sinceramente è un calcolo che a mio parere non ha il benché minimo valore scientifico.
Intanto, risparmio rispetto a cosa?
È dal 1966 che non hai più anni senza ora legale, con cosa puoi fare confronti?
Con gli anni prima del 1966? Erano un'economia e una società completamente diverse, sia culturalmente che tecnologicamente, quindi nessun confronto è possibile.
Con i paesi che non hanno l'ora legale? Tutti i paesi sia economicamente che climaticamente paragonabili all'Italia la adottano. E confrontare l'Italia con un paese che non sia al tempo stesso economicamente e climaticamente simile non ha nessun senso.
Quindi? Quindi calcoli il risparmio in base a modelli teorici che ti sei costruito tu e che in realtà non hanno nessun valore, non avendo basi concrete, reali su cui basarsi.

Il risparmio magari c'è veramente, non sono io in grado né di affermarlo né di smentirlo, ma non lo dimostri assolutamente con i calcoli (di fatto cifre in libertà) di Terna.
Lo puoi dimostrare solo se abolisci per un anno o due l'ora legale e poi paragoni i consumi di questo periodo con quelli degli anni immediatamente precedenti in cui l'ora legale c'era. Tutto il resto sono chiacchiere e basta.

Saluti,

Mauro.