Tutti (o quasi) avrete letto del coming out (e non outing come molte testate scrivono) di monsignor Charamsa e dell'intervento delle gerarchie ecclesiastiche contro di lui. Non serve che vi dia nessun collegamento.
E tutti a condannare tali gerarchie per la loro omofobia e intolleranza.
Vero, la Chiesa è omofoba e intollerante. E lo sta diventando sempre di più.
Ma qui non c'entra nulla, che vi piaccia o no.
C'entra che monsignor Charamsa ha infranto regole che si era impegnato volontariamente a rispettare: quelle dell'astinenza e del celibato (anche di fatto, non solo di nome, non essendo lui ufficialmente sposato). E il suo essere omosessuale o eterosessuale non c'entra niente. Sarebbe stato punito anche se avesse detto che aveva una compagna e non un compagno.
Ed è giusto così. Entrando nella Chiesa lui ha di fatto sottoscritto un contratto. E un contratto prevede anche delle regole da rispettare.
Se io sul lavoro non seguo le regole scritte sul contratto che ho firmato, la mia azienda ha il diritto di prendere provvedimenti contro di me. E per chi entra alle dipendenze della Chiesa come sacerdote non è diverso.
Certo quelle imposte ai sacerdoti sono regole stupide, anacronistiche, illiberali, ridicole. Tutto vero e giusto. Ma non sono illegali. E soprattutto non le scopri dopo aver preso i voti. Le conosci già prima.
Quindi se non le rispetti ne paghi le conseguenze. E il tuo datore di lavoro ha ragione.
Poi, se qualcuno si chiede perché Charamsa abbia fatto tutto questo teatro, credo che abbia ragione Francesco Cocco in quel che scrive qui.
Oltretutto facendosi cacciare e non andandosene spontaneamente può ergersi a quel martire che non è.
Saluti,
Mauro.
In bagna càuda venenum
1 giorno fa