Oggi, su un paio di blog, ho visto commenti relativi a un discorso di Mario Savio a Berkeley nel 1964 (stura a detti commenti è stato un
articolo di ieri di Enrico Deaglio).
Qui non voglio commentare né il discorso originale di Savio, né l'articolo di Deaglio.
Voglio parlare del '68, non del '64.
Tra i commenti all'articolo in questione c'era quello di un ragazzo (lui dice di essere stato concepito, non solo partorito, dopo il '68, ma da come scrive io lo valuto nato tra fine anni '70 e inizio anni '80, magari comunque mi sbaglio).
Questa persona attacca il '68 con argomenti a mio giudizio in parte sbagliati e di sicuro ingenui, però mi ha dato lo spunto di controcommentare, visto che il '68 ha sì avuto risultati positivi ma i sessantottini non è che fossero una gran bella razza (e no, il terrorismo non c'entra).
Purtroppo il mio commento per ora non appare, quindi non posso farvi il previsto copincolla e neanche darvene il link (sì, lo so, avrei dovuto salvarmelo anche altrove... però non lo ho fatto, quindi ciccia).
Comunque la mia tesi è molto semplice (e un po' eretica, come si conviene a questo blog).
Il '68 è stato un movimento di figli di papà. Semplicemente perché a quei tempi all'università ci andavano i figli di papà. I Mario Savio che andavano all'università grazie a borse di studio e non perché figli di papà erano una minoranza. Piccola in Nordamerica, ancora più piccola in Europa.
Quei figli di papà hanno scatenato il '68 per un motivo generazionale, semplicemente per prendere il posto di papà. Le questioni politiche e sociali erano quasi sempre un mezzo, quasi mai un fine.
Era semplicemente la prima generazione che non aveva vissuto la guerra che voleva spingere da parte le generazioni precedenti che la avevano vissuta. E che spesso usavano i propri meriti di guerra come scusa per non farsi da parte.
Io nel '68 sono nato, non lo ho "fatto". Dagli anni '80 in poi ho però vissuto altri movimenti. Alcuni semplicemente guardandoli da spettatore, ad altri partecipando attivamente (l'ultimo pochi anni fa qui in Germania, da quarantenne...).
E in tutti (al di là del fatto che io ne approvassi fini e metodi o no) ho visto una consapevolezza diversa, non generazionale (come nel '68) ma veramente basata su sociale e politica. C'erano finalmente anche figli di operai e contadini come me. Che nel '68 avrebbero pouto esserci solo come figure marginali (quantitativamente addirittura molto marginali).
Ecco, questo è il merito del '68 (e scusate se è poco!): quei figli di papà, in buona parte inconsapevolmente, hanno aperto la porta ai figli di operai e contadini (e pescatori e minatori e eccetera eccetera).
Porta che in buona parte è rimasta aperta, nonostante i passi indietro fatti dopo la caduta del muro di Berlino.
Ma questa è un'altra storia, di cui parleremo forse un'altra volta.
Saluti,
Mauro.