mercoledì 4 luglio 2018

Razzismi di destra e di sinistra 2

Lunedì ho pubblicato questo articolo sul razzismo implicito nel modo in cui è stata trattata la foto delle ragazze italiane che hanno vinto la 4x400 nell'atletica leggera ai Giochi del Mediterraneo.

Shevathas ha lasciato un commento decisamente importante e condivisibile al mio articolo:

purtroppo molti pensano, magari anche in buona fede, che se il razzismo è A->B allora antirazzismo è B->A

Vorrei qui esplicitare meglio la mia risposta al suo commento.

Intanto è assolutamente vero che purtroppo molti credono che fare dell'antirazzismo significhi ribaltare il razzismo: se io dico che i bianchi sono superiori ai neri, allora tu reagisci privilegiando i neri e inferiorizzando i bianchi.
Ma questo è invece semplicemente un raddoppio del razzismo, perché i razzismi - come i torti - non si sommano algebricamente, ma in valore assoluto.

Poi ci sono coloro che per dimostrarsi superiori dicono che antirazzismo significhi fare A+B.
Certo, fare A+B è un notevole passo avanti in quanto non c'è più la contrapposizione tra A e B. Però ci sono sempre A e B e quindi i germi della contrapposizione non sono eliminati ma solo, per così dire, sedati.

Il problema è che l'antirazzismo si definisce (a autodefinisce) solo in base al razzismo.
Per cui se il razzismo sparisce (o meglio sembra sparire), sparisce anche l'antirazzismo, perché non ce n'è più bisogno (si crede). Però è il razzismo (e con lui l'antirazzismo) a essere sparito, non le differenze.
A e B esistono ancora.

L'antirazzismo non elimina le differenze, anzi le esalta. Generalmente in buona fede, ma le esalta. E questa esaltazione è il germe del razzismo.

Ciò di cui abbiamo bisogno non è l'antirazzismo, ma la civiltà.
E la civiltà non è "A+B", ma "né A né B".
La civiltà significa indiferrenza, non antirazzismo.

Vedo che saltate sulla sedia. Indifferenza!?!?

Sì, indifferenza.
Ma non indifferenza verso il razzismo: il razzismo va combattuto sempre e comunque. Su questo non ci piove.
Però indifferenza verso le differenze: non essere razzista significa che se io ti ho davanti neanche mi accorgo se sei bianco, nero o che altro. Significa che è una cosa che non considero proprio. Né per attaccarti né per difenderti.
Significa che se ti do del coglione o del profittatore tu mi quereli perché ti ho diffamato come cittadino, non che ti metti a sbraitare al razzismo perché magari io sono bianco e tu nero (o viceversa).
Significa che se incontro un razzista lo rivolto per la sua ignoranza, non perché gli altri siano belli e bravi. Rivolto lui e in quel momento per me esiste solo lui, lui come ignorante, non lui come bianco o nero.
Significa che quando ti incontro non mi viene neanche in mente di pensare a quali diritti hai o non hai, perché tanto questi li decide la legge, non i razzisti o gli antirazzisti.

Voi mi direte: va bene, però ammetterai anche tu che l'antirazzismo è un passaggio utile, se non necessario, per arrivare a questo.
E se mi dite così vi do anche ragione.

Il problema è che l'antirazzismo per molti è la meta, lo scopo. Non un passaggio, un mezzo.
E così mettono le basi di nuovi razzismi.

Saluti,

Mauro.

8 commenti:

  1. Qui il discorso potrebbe dar adito a dei fraintendimenti. Io sono per le differenze, la vita stessa è per le differenze. Le differenze sono ricchezza, e anche la base della vita, biologicamente parlando.
    Ci sono differenze che vanno coltivate ed esaltate, e ci sono differenze che invece non hanno ragione di esistere. E tu ti riferisci esclusivamente a queste ultime, che poi riguardano il campo dei diritti.
    Se io devo frequentare un blog e commentarci su (come in questo caso), cerco qualcuno che - con intelligenza - la pensi diversamente da me, altrimenti che cos'ho da imparare di nuovo? Ma se sono un giudice e devo giudicare qualcuno, o se sono un insegnate o un datore di lavoro, sapere se uno è bianco o nero è del tutto irrilevante.

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    1. Ma anche se scrivi e leggi qui sopra, non solo se sei un giudice.
      Se ci mettiamo a parlare, per esempio, di tassazione o di omofobia... che differenza fa se io sono binco o nero, italiano, islandese o mongolo?

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  2. Nessuna. Io sto parlando della ricchezza data dalle differenze in senso generale (diciamo l'ambito culturale). Ad esempio se ci mettiamo a parlare di cibo, tu parli di specialità genovesi e tedesche e io di specialità milanesi e lituane; è probabile che io scopra delle cose nuove e tu anche. Questa differenza, che è ricchezza, genera cultura e conoscenza. Come facciamo a non essere d'accordo su questo punto? Siamo d'accordo per forza. Il fatto di essere islandese o mongolo in questo caso fa una bella differenza, cioè crea un allargamento di orizzonti. Quindi, non bisogna essere tassativamente indifferenti alle differenze, a volte bisogna essere apertissimi.

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    1. Ma su questo siamo d'accordo.
      Però, per esempio, se tu mi insegni ricette lituane, a me che frega se tu sei lituano bianco, lituano nero o per niente lituano?
      A me interessa che tu le conosca e al limite che tu le senta parte integrante della tua cultura, da dovunque tu venga.

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    2. Il colore della pelle è proprio fuori discussione, ovviamente. Totalmente irrilevante.

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  3. Concordo con nautilus; si avrà la fine del razzismo quando il colore della pelle non c'entrerà per niente e non sarà causa di trattamento diverso, sia esso migliore o peggiore.

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  4. Per quel che mi riguarda parlare di razzismo è come parlare del fatto che la Terra è piatta. Siamo di fronte a una cosa del tutto priva di fondamento scientifico; e quindi è sul quel piano che va risolto il problema.
    Magari ci vorranno anni, ma la direzione è quella. Qui in Lituania, per esempio, il razzismo verso i neri (ma anche verso gli ebrei) è molto più diffuso, ma allo stesso tempo le cose vanno molto meglio rispetto a quindici anni fa; è evidente che le campagne di sensibilizzazione (e l'apertura della società dovuta all'integrazione nella UE) cominciano (lentamente) a dare i loro frutti.

    Per tornare alla visione scientifica del problema, faccio l'esempio dei Napoletani. Ora io non sopporto i Napoletani (parliamo del Napoletano medio), ma mi guardo bene dal dire che sono inferiori o che vadano discriminati (certo, preferirei fossero tutti a Napoli e non dispersi per il mondo, ma questo è un altro problema). Trattasi di preferenze, e guai a censurare le preferenze (come se da domani mattina non potessi più dire che non mi piace il gelato al limone, la trippa e i nervetti o che non sopporto la mia lituosuocera). Però, facciamo questo esperimento ideale (di cui forse ho già parlato anche su questo blog): pensiamo al reparto di neonatalità di un ospedale di Milano; ci sono due culle l'una vicino all'altra; la culla A ospita il figlio di una delle migliori famiglie milanesi, la culla B ospita il figlio di uno dei peggiori camorristi napoletani; li scambiamo (oh, l'esperimento è solo ideale, capiamoci!). Cosa succederà al bambino napoletano che crescerà nella famiglia milanese? Che diverrà (ragionevolmente) una persona normalissima e rispettabile. Cosa succederà al bambino milanese che crescerà nella famiglia di camorristi? Che (ragionevolmente) diverrà un camorrista.
    Se al posto del Milanese e del Napoletano ci mettiamo il bianco e il nero è la stessa cosa. Il colore della pelle è irrilevante, l'ambiente culturale in cui si cresce è ciò che fa la differenza.

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  5. Giusto per evitare che si possa interpretare male, quando ho avuto la possibilità di scegliermi dei collaboratori ho sempre ragionato in base a criteri di competenza e merito, perché quella è l'unica via. Quindi, a parte un tizio di Bergamo, le mie scelte sono poi finite su un Salernitano, un Calabrese di origini napoletane, un Pugliese e due Lucane.

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