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martedì 10 dicembre 2024

Rivolte, libertà e prigioni

Una cosa che capita in (quasi) tutti i cambi di potere armati tipo quello attuale in Siria è l'apertura delle prigioni. Viene sempre o quasi applaudita come un esempio di libertà, in quanto vengono liberati i perseguitati politici (o etnici, religiosi o altro). Ma non è proprio così. Sì, nelle dittature sono imprigionati spesso e volentieri oppositori o rappresentanti di minoranze o comunque persone viste come avversarie del regime. E queste persone sono imprigionate contro ogni diritto, vero. Verissimo. Però pure nelle dittature si trovano in prigione anche (spesso soprattutto) normali criminali, talvolta veramente pericolosi. Esattamente come nelle democrazie (solo che nelle democrazie ci sono solo loro, o al massimo le vittime di errori giudiziari, non oppositori). Quindi aprire le prigioni significa anche liberare i criminali. Se i nuovi possessori del potere fossero veramente interessati alla libertà e alla democrazia valuterebbero ogni singolo caso, ogni singolo carcerato, non aprirebbero le carceri indiscriminatamente.

Saluti,

Mauro.

lunedì 11 settembre 2017

Fortuna che è Nobel per la Pace

Molti di voi avranno letto o sentito dei nuovi scontri in Birmania (o Myanmar che dir si voglia) che riguardano i Rohingya (qui un buon riassunto del Post per chi si fosse perso la cosa).

Inciso:
Qualcuno sa che fine abbia fatto la nave con profughi che nessuno voleva?

Ora il ministro degli esteri birmano è una certa Aung San Suu Kyi, premio Nobel pace nel 1991.
Perché le venne assegnato il Nobel? Perché era una dissidente perseguitata.
Cosa avrebbe dovuto comportare il suo status di perseguitata? Che la comunità internazionale la proteggesse dalla dittatura birmana che la perseguitava.
Cosa dovrebbe premiare il Nobel per la pace? Un impegno attivo per la pace, contro i conflitti.
Cominciate a capire l'inghippo? Anche lei, come Obama 18 anni dopo, venne premiata non per ciò che aveva fatto per la pace (né lei né Obama avevano fatto nulla per la pace) bensì per mandare un messaggio (nel caso di Obama alla destra USA, nel caso di Suu Kyi alla giunta birmana).

E ora ci si stupisce che lei da ministro (per di più in un governo guidato ancora dai militari che un tempo la perseguitavano) non si pronunci sulla persecuzione contro i Rohingya.
Anzi si è addirittura lamentata della "disinformazione" che aiuta i "terroristi".
Amanda Taub e Max Fisher si sono chiesti sul New York Times le cause di questo suo comportamento, individuandone quattro possibili.
Ma forse la verità è molto più semplice: a Suu Kyi non gliene frega niente.

Come in tanti altri casi mi stupisco dello stupore.

E vedo che il Nobel per la pace è in molti casi (e più spesso degli altri premi) dato semplicemente per mandare messaggi politici e solo in pochi casi per meriti veri (che poi spesso a Oslo non interessano, sono solo effetti collaterali dei "meriti" che a Oslo interessano).

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Tra le altre cose sembra che i militari birmani stiano usando le mine antiuomo, messe al bando da trattati internazionali.