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mercoledì 6 agosto 2025

Quello sconosciuto del TCO

No, non sto parlando del TSO... anche se molti economisti e politici il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) lo meriterebbero 😉
Sto parlando del TCO.

Purtroppo quando si parla di investimenti (sia privati che, soprattutto, pubblici) il lato economico viene generalmente valutato in base ai soldi necessari per metterlo in piedi, ergo i costi di costruzione e/o acquisto.
E questa è una grandissima belinata.
Certo, se quei soldi non li hai e non hai nessuno che te li presta, ovviamente non puoi investire, questo è ovvio.

Ma la sensatezza di un investimento non va valutata in base ai costi di costruzione/acquisto, bensì in base al TCO. Cosa significa TCO? Semplicemente "Total Cost of Ownership" (talvolta anche detto "Total Cost of Operation").
E questo tiene conto di tutti i costi dal momento della decisione di investire fino al momento in cui smantelli tutto.
E chi calcola seriamente il TCO mette sull'altra colonna tutti i guadagni, sia diretti che indiretti (e se si tratta di investimenti pubblici sia propri del pubblico che di riflesso del privato, in quanto - se onesti - di vantaggio per tutta la società).
Il costo secco di costruzione/acquisto non ti dice nulla su quanto positivo economicamente sia quell'investimento.
Ti dice solo se in quel preciso momento te lo puoi permettere oppure no.

Saluti,

Mauro.

martedì 23 novembre 2021

La Germania e il personale qualificato

Le aziende tedesche si lamentano della mancanza di personale qualificato.
Le aziende straniere attive in Germania apprezzano la presenza di personale qualificato.
Contraddizione?
No, solo che le aziende tedesche vorrebbero pagare il personale qualificato come quello non qualificato, mentre quelle straniere sanno che il personale qualificato va pagato adeguatamente (sui costi accessori del lavoro hanno però meno comprensione).

D'altro canto è però vero che molte aziende straniere programmano per il prossimo futuro meno investimenti in Germania.
Ma non c'entra la mancanza di personale qualificato (che, come detto, non esiste).
C'entra la politica. E il suo ritardo nel modernizzare le infrastrutture, in particolare quelle digitali.
La FAZ (Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei due più importanti giornali tedeschi) lo ha descritto bene qui.

È significativo un passaggio all'inizio dell'articolo:

Vor allem vier Dinge bemängeln Investoren dabei: Rückstände in der Digitalisierung, steigende Kosten, Mängel in der logistischen Infrastruktur und die stagnierende Produktivität. Als positiv werden vor allem stabile Rahmenbedingungen und die Verfügbarkeit von Fachkräften beurteilt.

Traduco:

Soprattutto quattro cose lamentano gli investitori: ritardi nella digitalizzazione, costi crescenti, carenze nelle infrastrutture logistiche e produttività stagnante. Vengono giudicate positivamente soprattutto le condizioni generali stabili e la disponibilità di personale qualificato.

Ma leggetevi tutto l'articolo (usando magari Google Translate se non sapete il tedesco). È estremamente interessante e neanche troppo lungo.

Saluti,

Mauro.

mercoledì 29 settembre 2021

È la terza dose la vera priorità?

(Ormai il discorso è vecchio, alcune delle cose che leggerete sono forse superate, ma non sono riuscito a completare l'articolo in tempo e ritengo comunque che siano temi interessanti e importanti).

Stavolta sarò scomodo.
(OK, direte, come se fossi mai stato comodo...)

Chi mi conosce e segue sa che io sono estremamente favorevole ai vaccini. E non solo per il Covid19.
Ma - e ora sobbalzerete - non sono favorevole alla terza dose.
Almeno allo stato attuale delle cose.

La mia non è una considerazione medica.
Io non sono un medico. Quindi di questo ne lascio parlare chi ne sa. Io ne so troppo poco.
La mia è una considerazione sociale e politica (e, volendo, un po' epidemiologica... capendone di numeri di epidemiologia un pochino, ma proprio pochino, posso ovviamente parlarne, di immunologia o virologia altrettanto ovviamente no).

La terza dose in teoria serve a mettere al sicuro le categorie a rischio nei paesi ricchi (in realtà delle categorie a rischio non frega niente a nessuno, ma così indirettamente si mette - anzi: si crede di mettere - al sicuro l'economia dei paesi ricchi).
Ma a queste condizioni la terza dose al virus fa un baffo.
Il virus continuerà a girare nei paesi poveri, dove oggi percentuali minime di persone sono vaccinate (a proposito: questi paesi potrebbero perciò essere un paradiso per i novax... quindi: perché questi non si trasferiscono in massa lì?).
Senza una copertura vaccinale mondiale la pandemia non si ferma.
Neanche da noi.
Se facciamo la terza dose magari facciamo uscire il virus dalla porta, ma se permettiamo che continui a girare per il mondo, prima o poi rientrerà dalla finestra.
Anche da noi.

Quindi se singole persone o categorie ben precise (per esempio gli operatori sanitari) hanno assoluto bisogno della terza dose per evitare rischi grossi o poco calcolabili, per evitare di finire male, facciamogliela. Ne hanno assoluto diritto.
Ma la terza dose per tante categorie, generalizzata o addirittura a tappeto, no.
Allo stato attuale delle cose no.
Non fino a che anche il terzo mondo non avrà sufficiente copertura vaccinale.
Le nostre terze dosi servono lì, servono a loro.

Apparentemente sembrano esserci vari problemi pratici, come alcuni commentatori su Twitter hanno fatto presente (vedasi questa discussione, di cui questo testo che state leggendo è uno sviluppo).
Ma sono in realtà falsi problemi. Ostacoli molto più bassi di quello che sembrano. Talvolta, anzi, inesistenti.
Vediamoli.

La logistica.
No, la logistica del terzo mondo non è un problema.
Per due motivi. Primo, la logistica nella maggioranza dei paesi del terzo mondo non è così malmessa come si crede. Secondo, il primo mondo, quando serve, la logistica se la porta con sé, quindi può farlo anche stavolta.

Costi ed eccedenze.
I costi non sono un problema. Ci sono programmi ONU che li coprono e anche se i paesi del primo mondo dovessero farsene carico in proprio, sarebbero costi minimi.
E le eccedenze non c'entrano proprio: qui si parla se dedicare la produzione dei prossimi tempi alla terza dose o alla vaccinazione nel terzo mondo. Le eccedenze in entrambi casi coprirebbero solo una parte minima delle necessità: è la produzione il punto, non le eccedenze.
E quindi per questo non venitemi a dire che i vaccini per la terza dose non sono quelli per il terzo mondo. Non avete capito il punto (che sta nella produzione, non dove si trovano ora le fiale disponibili).

Nuove varianti.
Più il virus circola, più è possibile che emergano nuove varianti; persino al Forum Ambrosetti se ne sono accorti come scrive Cottarelli all'interno di questo articolo: "Se le cose migliorano da noi e nel resto d'Europa, ma non altrove, il rischio che da qualche altra parte del mondo germoglino nuove varianti non è trascurabile."

Lockdown ed economia.
No, la terza dose non è l'unico modo di evitare nuovi lockdown. Anzi. Ci sono forse modi più efficaci.
Però lo spauracchio dei lockdown è ciò che porta più voti ai partiti nazionalisti e populisti. E la terza dose è l'unico modo di contrastarli, visto che riescono a far passare ogni altra misura come lockdown.
Sappiatelo.

Si possono fare le due cose in parallelo.
Terza dose e vaccini per il terzo mondo.
Questo in teoria è vero. In pratica però solo parole per tenersi i vaccini e scaricarsi di dosso responsabilità.

Numeri.
E questo è il punto più importante.
C'è chi dice che non ci siano abbastanza dosi per tutti.
Luciano 
Capone ha qui smentito tutto (non entro sul discorso brevetti o Big Pharma, che è un discorso importante ma non c'entra nulla col tema che sto trattando qui).

In sostanza: la terza dose non fermerà la pandemia, come molto bene ha scritto Andrea Zitelli qui su Valigia Blu.

Saluti,

Mauro.

venerdì 1 gennaio 2021

Una storia di industria e tecnologia

Oggi vi voglio raccontare una storia. Una storia che avevo già raccontato qui su Twitter, ma voglio riproporla come testo unico, rielaborandola e ampliandola un po'.
È una storia di industria e tecnologia.
Una storia di quando lavoravo alla Siemens e venni chiamato a risolvere alcuni problemi di un sistema per il trattamento delle acque reflue, sviluppato e prodotto dalla filiale danese della Siemens.
Comunque questo è secondario: ciò che è importante e interessante in questa storia è il concetto di base e la gestione dei processi.

Detta filiale aveva sviluppato un prodotto veramente eccezionale, tecnologicamente all'avanguardia.
Ma non vendeva.
Era troppo caro. E offriva "troppo" (poi capirete cosa intendo).
Il problema grosso era che non vendeva neanche dove la concorrenza era debole, prezzo o non prezzo.
La centrale tedesca (dove ero impiegato) mi chiese di aiutare, di cercare prima di capire e poi di risolvere il problema.

E così mi misi al lavoro.
Per prima cosa, ovviamente, incontrai il team di sviluppo per farmi spiegare il prodotto, sia come tecnica che come marketing.
E capii che ne sapevano più di me.
Il problema era che ne sapevano più di me (anzi molto più di me) nei loro rispettivi specifici ambiti.
Erano, come si dice in tedesco, Fachidioten. Cioè esperti, magari grandissimi esperti, nella loro individuale specializzazione, ma limitati da paraocchi per quanto riguarda ogni aspetto che da questa specializzazione esuli.
Grandi ingegneri.
Grandi designer.
Grandi commerciali.
Ma nessuno che avesse una visione complessiva, d'insieme. Nessuno che sapesse valutare il globale da diversi punti di vista.

E così cos'era successo?
Che ognuno aveva fatto la sua parte a livello eccezionale, ma... ne era venuto fuori un prodotto troppo costoso, troppo complicato e - come si dice in gergo - overengineered. Cioè con molte funzioni oltre a quelle di base. Funzioni che al cliente medio non servivano o che non si poteva permettere.

Io come ingegnere non valevo loro.
Io come designer non valevo loro.
Io come commerciale non valevo loro.
Ma risolsi il problema e il prodotto cominciò a vendere.
Come ci riuscii?
Semplicemente perché non ero al loro livello nelle singole specializzazioni, però capivo sia di ingegneria che di design (nota bene: il design non è solo questione estetica, riguarda anche l'ergonomia e l'usabilità) che di costi.
E potevo quindi guardare e capire il prodotto nel globale, guardandolo da più punti di vista.
Non ero il migliore in nulla, ma ero l'unico che capiva qualcosa di tutto.

Presi in mano i processi che avevano portato al prodotto finale e guardai dove si erano usati materiali o componenti troppo costosi o inutili, guardai quali funzioni erano di troppo (e mi accorsi che anche il marketing si era focalizzato su queste, solo perché la concorrenza non le aveva o le aveva al massimo come optional, invece di focalizzarsi sulla qualità e l'eccellenza delle funzioni necessarie).
Potei vedere quali processi "inceppavano" sviluppo, produzione e commercializzazione. E sfruttando le specifiche esperienze dei colleghi, disinceppare il tutto.
E non toccai il cuore del prodotto, quello che lo faceva veramente ottimo.

Si ridussero così i costi e si eliminò il superfluo, rendendo il tutto non più overengineered.
E il prodotto vendette. Non fu più un flop (tecnologicamente non lo era mai stato, anzi, ma come mercato sì).

Cosa vi ho voluto raccontare con questa storia?

Un team, se composto solo di specialisti, è destinato a fallire (o a far fallire il prodotto). Anche quando riesce a non bloccarsi e a mettere in piedi un prodotto notevole.
Serve sempre nel team qualcuno che magari non sia il migliore in niente, ma abbia le competenze per capire tutto.

Ogni team ha bisogno di un generalista che possa portare una visione d'insieme andando oltre la visione, magari perfetta ma limitata, dello specialista.

Saluti,

Mauro.

domenica 10 giugno 2018

Perché usare l'aereo di Stato?

Con la partecipazione di Conte al G7 in Canada è tornato in voga il dibattito sui voli di Stato per le alte cariche istituzionali.
C'è chi approva l'uso di aerei dedicati (ergo di proprietà o noleggiati dal Governo tramite il Ministero della Difesa) e chi invece vorrebbe che le alte cariche volassero su normali voli di linea.
Posizioni entrambe degne di rispetto, ma non è questo il punto.
Il punto sono le motivazioni addotte.

Generalmente si portano solo due motivazioni:
- Rappresentanza (generalmente dai sostenitori dei voli di Stato);
- Costi (generalmente dagli avversatori dei voli di Stato, anche se in realtà - fatti due calcoli - parlerebbe a favore).

I voli di Stato però hanno più giustificazioni che solo queste due (e anche queste, anzi soprattutto la seconda, sono in parte malposte).
Vediamole (queste due comprese).

1) Rappresentanza. Quando ci sono incontri internazionali ad alto livello, le alte cariche - in particolare il Presidente della Repubblica e quello del Consiglio - rappresentano il Paese, non loro stesse, quindi l'immagine portata da un volo di Stato non va sottovalutata.

2) Costi. Tenendo conto che le alte cariche si muovono sempre con un certo seguito - non volano da sole come faremmo io o voi miei lettori - i costi dell'acquisto dei biglietti per i voli di linea (tenendo anche conto che non sempre gli incontri sono preventivabili con sufficiente anticipo) rischierebbero di essere ben superiori a quelli di un volo di Stato.

3) Efficienza. A meno che il volo non sia veramente molto breve, questo viene anche utilizzato per lavorare. Per lo meno per preparare ulteriormente l'incontro verso cui si sta volando. Su un volo di linea (anche nella migliore delle business class, che poi comunque costa non poco, quindi vedi punto 2) non puoi certo lavorare bene e indisturbato come su un volo dedicato.

4) Tempi. I vertici internazionali non puoi gestirli in base ai piani di volo delle varie compagnie aeree. Devi essere flessibile. E devi poter rientrare il più alla svelta possibile per riprendere in mano gli affari istituzionali. Un aereo dedicato ti permette tutto ciò.

5) Sicurezza. Un'alta carica di Stato è chiaramente più a rischio di attentati (e noi in Italia ne sappiamo qualcosa) di un comune cittadino. E oltretutto colpire un'alta carica ha per il Paese un effetto funzionalmente più devastante che colpire nel mucchio - per quanto cinico sia dirlo e per quanto moralmente il colpire nel mucchio sia peggio. E un aereo di Stato è più facilmente proteggibile di un aereo di linea.

E queste sono solo le giustificazioni principali, non le uniche.

Saluti,

Mauro.