venerdì 27 luglio 2018

Un ottimo maestro

Io considero da molto tempo Indro Montanelli sopravvalutato (eufemismo) e falso come giornalista e come storico.
Però all'inizio non lo ho smascherato per i suoi articoli. Anzi come giornalista riusciva a ingannare bene.
Ma almeno dopo aver letto un paio di volumi della sua Storia d'Italia la sua vera natura non poteva che essere chiara: una persona che piega i fatti alle proprie opinioni. Anzi, no, neanche opinioni: convenienze politiche.

E oggi una schiera di giornalisti presenta come medaglia l'essere stati suoi allievi o sottoposti.
Ma se guardiamo chi sono i giornalisti che hanno imparato il mestiere da Montanelli allora tutto quadra: "giornalisti" esperti nella disinformazione e nella creazione di fake news.
Quindi, se tanto mi dà tanto, come giudicare il "maestro"?

Proviamo a fare l'elenco di alcuni dei suoi allievi (mi limito ai più prominenti, la lista completa sarebbe molto, anzi moltissimo, più lunga), già i nomi da soli chiariranno cosa ha saputo insegnare Montanelli.

- Marco Travaglio
- Marcello Foa
- Peter Gomez
- Beppe Severgnini
- Tiziana Abate
- Piercamillo Davigo (chiamato come commentatore a La Voce)

E non dimentichiamo la sua opposizione alla giornalista Tina Merlin sulla tragedia del Vajont, da lui derubricata a inevitabile tragedia della natura.
Oltre a ciò riuscì a definire Camilla Cederna "radical chic". La Cederna, non so se mi spiego, che non aveva nulla né di radicale né di chic.
Riuscì anche, tra le altre sue cazzate, a difendere Erich Priebke e Slobodan Milošević.

Serve aggiungere altro?

Saluti,

Mauro.

P.S.:
Per gli analfabeti funzionali: il titolo dell'articolo è, ovviamente, ironico.

P.S.2:
Sulla legge Merlin però Montanelli, eccezionalmente, aveva ragione quando scrisse: In Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.

6 commenti:

  1. Non mi sono mai legato a un giornalista in particolare, nemmeno al Feltri del 1992 (alla direzione de l'Indipendente). Leggo un po' tutti (compreso Giulietto Chiesa, con cui un paio d'anni fa ho avuto un breve scambio di mail all'epoca del mio smascheramento di Arno Saar) e poi valuto, anzi preferisco non sapere nemmeno chi ha scritto un determinato pezzo (un po' come quando faccio una degustazione di birra o di whisky; in questo sono molto scientifico).
    Montanelli praticamente non lo conosco; di lui non ho letto quasi nulla. E non che mi senta in colpa.
    Se penso a lui mi vengono in mente solo due immagini: una vecchia foto in cui è ritratto a Helsinki (quando vi era stato spedito come inviato) e una targhetta commemorativa all'università di Tartu.
    La vita è breve; se ho del tempo libero mi cerco un'intervista a James Hetfield.

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  2. Io sarei un po' più cauto nel calare giudizi così netti su una delle (piaccia o meno) maggiori figure di riferimento del giornalismo italiano. Intanto, se in una carriera lunga ben settant'anni, le cose peggiori che si possano dire di lui sono tutte qua, praticamente lo stai lusingando.
    Inoltre, non mi sembra corretto giudicare fatti del secolo scorso con parametri di ragionamento odierni.
    Montanelli forse non è stato un grande giornalista nel senso in cui lo si intenderebbe adesso (ma allora chi lo è?), però è stato un grande maestro di coerenza con le proprie idee, ed è proprio questo il suo maggiore insegnamento.
    A tale proposito è bene ricordare che il vero giornalista non deve affatto essere per forza super partes, può benissimo essere fazioso o anche di peggio, l'importante è che lo sia per convinzione e non per mera convenienza, in modo che il lettore sappia che quello che legge esprime il pensiero di quel particolare giornalista, e non del suo editore nè del suo politico di riferimento a cui deve la carriera nè di nessun altro; saranno poi i lettori a decretarne o meno il successo, o almeno questo è quello che dovrebbe essere la stampa libera. Non un'unica visione equidistante ma molti punti di vista differenti, ognuno in grado di rappresentare una interpretazione differente dello stesso fatto, in modo da stimolare la creazione di opinioni proprie nel lettore.
    Montanelli è stato imprigionato dai tedeschi durante la guerra e condannato a morte, è stato gambizzato dalle brigate rosse negli anni '70, è stato cacciato da Berlusconi dal Giornale che aveva fondato e diretto per vent'anni. Gli sarebbe bastato cambiare opinione per evitare tutte queste cose: vorrei sapere quanti, non solo fra i giornalisti, ma fra tutti gli uomini, saprebbero difendere con una tale convinzione le proprie idee.
    Montanelli è stato un grande giornalista perchè non si è mai messo al servizio di nessuno, e ciò stride particolarmente con la figura del giornalista italiano medio, che non solo è pronto a mettersi al servizio del miglior offerente, ma è un sistema che è in piedi da abbastanza tempo da aver ormai selezionato una classe che non vede l'ora di trovare un padrone da servire, "professionisti" pronti, alla bisogna, da domani a raccontarti il contrario di ciò che ti hanno raccontato fino ad oggi, e con la medesima enfasi. Oggi sono davvero in pochi disposti a rischiare qualcosa in nome delle proprie idee, e tra quei pochi ci sono anche gli "allievi" che hai citato.
    Domandina finale per Nautilus: quando Berlusconi (peraltro legittimamente) pretese che la linea editoriale de Il Giornale non fosse più decisa in autonomia dal suo direttore ma avrebbe dovuto servire unicamente gli interessi dell'azienda, dopo averlo licenziato, chi ci mise al suo posto? Esatto.

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  3. @ Jonny Dio

    Chiunque persiste nel fare errori (sto parlando in generale, non di Montanelli) è perfettamente coerente nel suo comportamento, ma è ben lungi dall'essere un modello. Quindi la coerenza di per sé non è sufficiente. Uno strumento mal tarato darà sempre una lettura errata, pur tuttavia coerente; ciò che invece tutti desideriamo è uno strumento ben tarato; è anch'esso coerente, ma con una bella differenza.

    Un giornalista non deve né essere fazioso né super partes né altro; un giornalista deve fare informazione: semplicemente dare le notizie. In quanto umano, con una propria storia personale, una propria cultura e visione del mondo, tenderà a portarsi dietro una quota inevitabile di "distorsione" (per i dettagli che - anche involontariamente - decide di pubblicare e per quelli che decide di omettere, per esempio), ma non è compito suo schierarsi da una parte o dall'altra. Al netto di quella quota di distorsione ineliminabile (perché intrinseca) un giornalista deve essere il più neutro e trasparente possibile. Meno media, meglio è, perché nel fare sintesi possiede già un potere enorme. A mio parere il vero giornalista è questo.

    Il non avere padroni deve essere visto come la normalità anglosassone e non come l'eccezione italica. Il giornalista che non si mette al servizio dell'editore o del partito di turno è la pura normalità, anche se le figure di questo tipo in questo Paese sono pochissime. La statistica non può cambiare i parametri di giudizio.

    Venendo alla domanda, la cui risposta è Feltri (ma mica me lo ricordavo, ho controllato su Wikipedia), mi sento di dire che il giornalista in questione per me molti anni fa ha avuto il merito di rendere non tabù il dibattito su indipendenza e secessione. Per il resto Feltri è lontanissimo dallo stile anglosassone di cui parlavo prima.

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    1. E' vero che la coerenza non è di per sè stessa un valore, però è una base. Uno strumento mal tarato darà una lettura sempre errata, ma se io sono a conoscenza della tara di base, mi può essere ugualmente utile.
      Tutti abbiamo in casa più di un termometro, e tutti segnano sempre temperature diverse e noi generalmente non abbiamo modo di sapere qual'è quello esatto (se c'è). Però quando la temperatura sale di un grado, tutti i termometri segneranno un grado in più, dunque in senso relativo sono tutti utilissimi.
      Io quando leggo un giornalista lo faccio (anche) per conoscere la sua opinione su un dato fatto, poi ci penso io a fare la tara per come lo conosco, ed è così che dovrebbe funzionare l'informazione, ed è così che infatti funziona dove i media e la politica viaggiano su due binari ben distinti, non solo nel mondo anglosassone ma praticamente in tutto l'occidente, esclusa l'Italia.
      Se devo leggere uno che, tanto per fare l'esempio più macroscopico che mi viene in mente (ma c'è un'intera letteratura in merito), fino all'altroieri si riempiva la bocca con "la costituzione più bella del mondo", e poi, controdine compagni, metà è da buttare, allora tanto vale che legga direttamente cosa scrive il suo capo, di lui non mi interessa sapere cosa pensa dato che è chiaro che non pensa. Oltretutto è capacissimo, da domani, di tornarmi a raccontare la favola della più bella del mondo, se il vento dovesse cambiare ancora.

      Riguardo al Feltri infeltrito ha avuto le sue cartucce in gioventù, ma, al pari della lega prima maniera, ha preferito la genuflessione alle botte sulla schiena dritta, e da allora entrambi hanno campato di rendita. Legittimo comportamento, nel caso di Feltri, ma le azioni che compi ti qualificano per quello che sei, nel caso specifico una bandieruola; inoltre, a posteriori mi viene da chiedermi se il Feltri "prima maniera" fosse o no quello vero o se avesse semplicemente fiutato la convenienza. Un po' meno legittimo il comportamento della Lega che, reati a parte, ha finito col tradire il mandato degli elettori, ma questo è un altro discorso.

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