Due premesse prima di dirvi il mio pensiero.
1) La violenza non è mai giustificabile (a meno che non sia per autodifesa, per salvare la propria vita), quindi non esistono attenuanti per i femminicidi.
2) La Palombelli non è scema, sapeva quindi che sarebbe scoppiato un putiferio dopo la sua frase.
Premesso ciò la domanda della Palombelli è totalmente fuori luogo in quel contesto, ma non è per niente peregrina.
Anzi.
È giusto chiedersi perché un uomo uccida una donna. Quali siano le motivazioni, le cause.
Ma non come esercizio accademico (eufemismo per non dire "fare click/audience"), come mi sembra fare la Palombelli.
Serve farla per capire i casi precisi e quindi poter fare concreta opera di prevenzione.
Perché ogni situazione è diversa. Sono tutte ugualmente gravi, ugualmente tristi, ma non uguali.
Mi spiego meglio.
Se io sono un violento di natura o se io sono un tranquillo ma vengo esasperato dalla donna e sbarello merito la stessa pena.
La violenza, l'omicidio, come detto prima non è giustificabile mai, se non per difendere la propria vita.
Però se si vuole anche prevenire, e non solo punire, allora come si è arrivati a quell'omicidio, a quel femminicidio, diventa importante.
Perché i due casi che ho citato sopra (ed eventuali casi intermedi) non puoi prevenirli con le stesse strategie.
Per questo la domanda della Palombelli è una domanda in sè giusta, corretta, ma fatta nel posto e nel modo sbagliato, il che la rende (giustamente) inaccettabile.
La domanda va fatta (e va risposta) da inquirenti, psicologi e politici nelle sedi adeguate, dove si tratta di prevenzione.
Non dalla Palombelli in TV.
Saluti,
Mauro.
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