martedì 28 maggio 2024

Un'ulteriore considerazione sulla frociaggine di Bergoglio

Lo scivolone di Bergoglio aka Francesco sulla frociaggine (di cui parlai qui già ieri) mi ha fatto fare un'ulteriore considerazione, al di là dei giudizi sia morali che pratici sulla sparata del papa.

Quando ero bambino e ragazzino (anni '70/'80) il linguaggio, soprattutto da giovani, era meno "corretto" di oggi. Il politicamente corretto non esisteva e spesso non ci accorgevamo che l'uso di certe parole potesse essere offensivo.
Altre volte invece lo sapevamo, ma le usavamo lo stesso, considerandole alla stregua di come oggi potremmo considerare "stronzo" o "imbecille", cioè parole offensive sì, ma non politicamente scorrette.
Non ci comportavamo bene, per niente. Ma eravamo meno ipocriti di oggi.
Quel che col tempo abbiamo guadagnato da un lato, lo abbiamo perso dall'altro.

Ma non è comunque questo il punto, la considerazione che volevo fare.

La considerazione che volevo fare è di carattere linguistico, relativa al significato che diamo alle parole e che cambia col tempo, offensive o meno che siano.

Bergoglio ha chiaramente usato frocio come sinonimo di omosessuale.
E oggi chiunque usi quella parola lo fa nello stesso significato di Bergoglio.

Negli anni '70/'80 di cui parlavo prima non era così.
Frocio nel mio ambiente (sia sociale che geografico) era sinonimo di effeminato, non di omosessuale.
Un eterosessuale dai comportamenti effeminati era comunque un frocio.
Un omosessuale dai comportamenti mascolini non era un frocio.

Ai tempi, nei vostri ambienti, come era interpretata la parola frocio (al di là del fatto che voi la usaste o meno)?
Magari scrivetemelo nei commenti.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
In realtà l'uso della parola frocio negli ambienti che frequentavo era poco diffuso, ma comunque era usata (o interpretata quando la si sentiva solo) nel significato di cui sopra, non nel senso bergogliesco.

2 commenti:

  1. Ai miei tempi funzionava così. Il termine "frocio" era molto poco usato, al suo posto prevalevano, da un lato "urègia" (da parte degli adulti) e dall'altro "ricchione" (da parte dei coetanei). Il primo riflette la lingua meneghina, il secondo lo stato (purtroppo) già avanzato della colonizzazione italiana nei nostri confronti.
    In un paesino di 10 k abitanti ci si conosceva tutti e non c'era nessun elemento di negatività verso i pochissimi gay che erano tali sin dai primissimi anni di vita. Non ricordo episodi di sfottò o cose simili. Il mio paesello ha anche dato i natali a un grande scrittore come Matteo Bianchi (incontro suo padre quasi ogni giorno), di cui siamo tutti orgogliosi, perché davvero bravo. All'epoca ci distinguevamo tra noi autoctoni e gli XP venuti da fuori (sotto Pavia è tutta Africa), che all'epoca ovviamente non chiamavamo XP, ma semplicemente terroni.

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  2. La parola frocio era usata indistintamente da culattone. Già ricchione sembrava un'espressione "importata", mentre urégia o urgiòn lo usavano i vecchi dialettofoni. Pederasta forse lo usavano più o meno impropriamente i giornali. Dopo vennero omosessuali, lesbiche, gay and counting

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