Giustizia è fatta. Troppo tardi, con troppi lati oscuri, ma finalmente giustizia è fatta.
Silvia Baraldini, condannata solo per le sue idee politiche, è libera.
Bentornata tra noi, Silvia.
Saluti,
Mauro.
mercoledì 27 settembre 2006
Morire è parte del lavoro di un soldato
È morto un altro militare italiano in missione all'estero. In Afghanistan per la precisione. In un attentato.
Qualunque cosa si possa pensare delle missioni all'estero e del concetto di "militare" in generale, la memoria di Giorgio Langella merita il nostro rispetto, va onorata.
Lui era lì per fare il suo lavoro (per brutto che potesse essere), per guadagnarsi da vivere.
Quello che invece merita decisamente meno rispetto è il solito blabla sul fatto che bisogna proteggere i nostri soldati, che bisogna far sì che non rischino la vita, eccetera, eccetera.
Quanta ipocrisia.
Il lavoro del soldato è pericoloso. È, detto in maniera molto brutale, sparare e farsi sparare.
Che senso ha dire "Mandiamo i nostri soldati all'estero solo se siamo in grado di proteggerli". Proteggerli come? Se la situazione non fosse pericolosa, non ci sarebbe bisogno di mandarceli. O sbaglio? Oppure i civili (italiani o meno che siano) possono morire, mentre i soldati no? Eppure credevo che fossero i soldati a dover proteggere i civili, non viceversa.
Esistono missioni giuste e missioni sbagliate. Questo è chiaro.
Non posso certo mettere sullo stesso piano la missione in Libano e quella in Iraq.
Però si sa che entrambe sono pericolose.
L'unico modo di "proteggere" i nostri soldati è non mandarli in missioni sbagliate, amorali, di vera e propria guerra d'occupazione.
Però se come popolo riteniamo che il paese debba avere una politica estera è inevitabile partecipare a missioni internazionali. Bisogna solo "limitarsi" a quelle che hanno una giustificazione morale o che (al peggio) servono a evitare danni peggiori.
Però poi una volta accettate queste missioni bisogna saper convivere coi rischi. Come già detto il mestiere del soldato è un mestiere pericoloso: i militari di professione (che generalmente sono molto meno guerrafondai di molti civili, questo va detto) lo sanno e lo accettano.
Sarebbe ora che lo capissero anche i civili. E soprattutto i politici.
Oppure bisogna avere il coraggio di dire: non vogliamo una politica estera, chiudiamoci in noi stessi. Ma allora, oltre che tutte le missioni militari all'estero, per coerenza dovremmo chiudere anche tutte le ambasciate e i consolati.
Saluti,
Mauro.
Qualunque cosa si possa pensare delle missioni all'estero e del concetto di "militare" in generale, la memoria di Giorgio Langella merita il nostro rispetto, va onorata.
Lui era lì per fare il suo lavoro (per brutto che potesse essere), per guadagnarsi da vivere.
Quello che invece merita decisamente meno rispetto è il solito blabla sul fatto che bisogna proteggere i nostri soldati, che bisogna far sì che non rischino la vita, eccetera, eccetera.
Quanta ipocrisia.
Il lavoro del soldato è pericoloso. È, detto in maniera molto brutale, sparare e farsi sparare.
Che senso ha dire "Mandiamo i nostri soldati all'estero solo se siamo in grado di proteggerli". Proteggerli come? Se la situazione non fosse pericolosa, non ci sarebbe bisogno di mandarceli. O sbaglio? Oppure i civili (italiani o meno che siano) possono morire, mentre i soldati no? Eppure credevo che fossero i soldati a dover proteggere i civili, non viceversa.
Esistono missioni giuste e missioni sbagliate. Questo è chiaro.
Non posso certo mettere sullo stesso piano la missione in Libano e quella in Iraq.
Però si sa che entrambe sono pericolose.
L'unico modo di "proteggere" i nostri soldati è non mandarli in missioni sbagliate, amorali, di vera e propria guerra d'occupazione.
Però se come popolo riteniamo che il paese debba avere una politica estera è inevitabile partecipare a missioni internazionali. Bisogna solo "limitarsi" a quelle che hanno una giustificazione morale o che (al peggio) servono a evitare danni peggiori.
Però poi una volta accettate queste missioni bisogna saper convivere coi rischi. Come già detto il mestiere del soldato è un mestiere pericoloso: i militari di professione (che generalmente sono molto meno guerrafondai di molti civili, questo va detto) lo sanno e lo accettano.
Sarebbe ora che lo capissero anche i civili. E soprattutto i politici.
Oppure bisogna avere il coraggio di dire: non vogliamo una politica estera, chiudiamoci in noi stessi. Ma allora, oltre che tutte le missioni militari all'estero, per coerenza dovremmo chiudere anche tutte le ambasciate e i consolati.
Saluti,
Mauro.
giovedì 21 settembre 2006
Budapest 1956-2006
In questi giorni Budapest sta bruciando.
Proprio alla vigilia del cinquantennale della rivolta contro la dittatura comunista del 1956 (avvenne a fine ottobre) guidata da Imre Nagy. Quella rivolta venne soffocata nel sangue dall'invasione sovietica nel novembre 1956.
Ora, tra la rivolta di allora e quella odierna non è possibile nessun parallelo. Ne' storico, ne' politico. Ne' interno, ne' internazionale.
Però vedere Budapest di nuovo in stato di emergenza 50 anni dopo, qualche piccolo brivido lo fa venire.
E soprattutto qualche piccolo brivido lo fa venire la reazione dell'occidente.
Nel 1956 Europa e USA dichiararono che i fatti ungheresi erano fatti interni (di fatto dando il via libera all'URSS e condannando a morte Nagy).
Oggi l'Unione Europea ha dichiarato che i fatti ungheresi sono fatti interni.
Speriamo che io sia solo un po' troppo fantasioso...
Saluti,
Mauro.
Proprio alla vigilia del cinquantennale della rivolta contro la dittatura comunista del 1956 (avvenne a fine ottobre) guidata da Imre Nagy. Quella rivolta venne soffocata nel sangue dall'invasione sovietica nel novembre 1956.
Ora, tra la rivolta di allora e quella odierna non è possibile nessun parallelo. Ne' storico, ne' politico. Ne' interno, ne' internazionale.
Però vedere Budapest di nuovo in stato di emergenza 50 anni dopo, qualche piccolo brivido lo fa venire.
E soprattutto qualche piccolo brivido lo fa venire la reazione dell'occidente.
Nel 1956 Europa e USA dichiararono che i fatti ungheresi erano fatti interni (di fatto dando il via libera all'URSS e condannando a morte Nagy).
Oggi l'Unione Europea ha dichiarato che i fatti ungheresi sono fatti interni.
Speriamo che io sia solo un po' troppo fantasioso...
Saluti,
Mauro.
martedì 19 settembre 2006
Contro gli anonimi
Io mi chiedo: perché chi critica senza portare argomenti non si firma mai?
Non pretendo che uno mi lasci indirizzo elettronico, indirizzo di casa, telefono, ecc., ecc. Non sarebbe neanche giusto.
Ma pretendo, e so di essere nel giusto a pretenderlo, che uno almeno si firmi, che uno concluda (o apra, se preferisce) il suo messaggio con un nome.
A parte dimostrare senza possibilità di smentite grande vigliaccheria e maleducazione, la mancanza della firma ha un altro effetto: a me piace interloquire direttamente con chi ho di fronte (anche se è un di fronte solo virtuale) e come faccio se di fronte ho un anonimo, un fantasma?
Ma forse chi non porta argomenti quando accusa me di non dire niente e insulta accusando me di scrivere testi offensivi non vuole interloquire. Vuole solo sfogare la sua frustrazione.
Bene, si sappia che senza firma i commenti non vengono pubblicati.
È una semplice questione di educazione.
Saluti,
Mauro.
Non pretendo che uno mi lasci indirizzo elettronico, indirizzo di casa, telefono, ecc., ecc. Non sarebbe neanche giusto.
Ma pretendo, e so di essere nel giusto a pretenderlo, che uno almeno si firmi, che uno concluda (o apra, se preferisce) il suo messaggio con un nome.
A parte dimostrare senza possibilità di smentite grande vigliaccheria e maleducazione, la mancanza della firma ha un altro effetto: a me piace interloquire direttamente con chi ho di fronte (anche se è un di fronte solo virtuale) e come faccio se di fronte ho un anonimo, un fantasma?
Ma forse chi non porta argomenti quando accusa me di non dire niente e insulta accusando me di scrivere testi offensivi non vuole interloquire. Vuole solo sfogare la sua frustrazione.
Bene, si sappia che senza firma i commenti non vengono pubblicati.
È una semplice questione di educazione.
Saluti,
Mauro.
domenica 17 settembre 2006
Benedetto, Manuele e Maometto
Il Papa sembra averla fatta grossa: Con le sue citazioni all'università di Ratisbona ha provocato un putiferio non da poco.
Ho cercato di non interessarmi alla cosa, perché sinceramente le affermazioni di capi e capetti religiosi (come quelle di Ratzinger e le reazioni dei religiosi islamici) ormai mi annoiano, sono prevedibili e insipide come una minestra riscaldata e non condita. Ma...
...ma per la stampa e la televisione certe dichiarazioni sono imprescindibili... bisogna parlarne e parlarne (generalmente senza cognizione di causa) per giorni e giorni, facendo passare in secondo piano tutto il resto.
Ecco: tutto il resto.
Qui sta il punto. Non è l'importanza del papa o dei capi dell'Islam che impone di dare così ampio risalto alla cosa. Non sono neanche i contenuti di dette dichiarazioni, al di là di chi le ha pronunciate.
È l'importanza di poter "non" parlare di altre notizie. Notizie più importanti, più pericolose, più indigeste. E che hanno tre problemi:
1) Mettono i lettori/ascoltatori a conoscenza di ciò che succede nel mondo e che ha (o può avere) conseguenze anche sulle loro vite;
2) Rischiano di denudare il re, cioè di far vedere a che livello (verso il basso) è arrivato il giornalismo attuale;
3) Fanno sì che i politici non possano lavorare "dietro le quinte" (traduzione per chi non ha capito l'ironia: Rischiano di constringere i politici a render conto del proprio operato ai cittadini).
E allora... arriva Benedetto XVI che cita Manuele II e che viene controbattuto da Bardakoglu... e salva tutti.
Per esempio (rimanendo alla politica mondiale): quanti hanno seguito l'iniziativa di Bush che intende riscrivere parte della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino e non certo in senso umano? Non credo molti, dato che la maggioranza dei giornali e dei telegionarli ha nascosto la notizia perché il caos intorno a Benedetto XVI aveva la precedenza.
Come diceva Renzo Arbore: meditate, gente, meditate.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Sulla stampa sono apparsi solo estratti del discorso del papa, frutto di un abile taglia e cuci. Per chi volesse leggere il testo completo e farsi un'idea propria: Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni.
Ho cercato di non interessarmi alla cosa, perché sinceramente le affermazioni di capi e capetti religiosi (come quelle di Ratzinger e le reazioni dei religiosi islamici) ormai mi annoiano, sono prevedibili e insipide come una minestra riscaldata e non condita. Ma...
...ma per la stampa e la televisione certe dichiarazioni sono imprescindibili... bisogna parlarne e parlarne (generalmente senza cognizione di causa) per giorni e giorni, facendo passare in secondo piano tutto il resto.
Ecco: tutto il resto.
Qui sta il punto. Non è l'importanza del papa o dei capi dell'Islam che impone di dare così ampio risalto alla cosa. Non sono neanche i contenuti di dette dichiarazioni, al di là di chi le ha pronunciate.
È l'importanza di poter "non" parlare di altre notizie. Notizie più importanti, più pericolose, più indigeste. E che hanno tre problemi:
1) Mettono i lettori/ascoltatori a conoscenza di ciò che succede nel mondo e che ha (o può avere) conseguenze anche sulle loro vite;
2) Rischiano di denudare il re, cioè di far vedere a che livello (verso il basso) è arrivato il giornalismo attuale;
3) Fanno sì che i politici non possano lavorare "dietro le quinte" (traduzione per chi non ha capito l'ironia: Rischiano di constringere i politici a render conto del proprio operato ai cittadini).
E allora... arriva Benedetto XVI che cita Manuele II e che viene controbattuto da Bardakoglu... e salva tutti.
Per esempio (rimanendo alla politica mondiale): quanti hanno seguito l'iniziativa di Bush che intende riscrivere parte della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino e non certo in senso umano? Non credo molti, dato che la maggioranza dei giornali e dei telegionarli ha nascosto la notizia perché il caos intorno a Benedetto XVI aveva la precedenza.
Come diceva Renzo Arbore: meditate, gente, meditate.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Sulla stampa sono apparsi solo estratti del discorso del papa, frutto di un abile taglia e cuci. Per chi volesse leggere il testo completo e farsi un'idea propria: Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni.
Rieccomi
Dopo quasi un mese di assenza per vacanze (spero meritate) e impegni vari, rieccomi qui.
Non vi siete liberati di me :-)
Saluti,
Mauro.
Non vi siete liberati di me :-)
Saluti,
Mauro.
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