Il recente indulto mi ha fatto venire in mente l'eterna italica lotta tra i giustizialisti e i perdonisti.
Bisogna essere duri, intransigenti, usare il pugno di ferro per proteggere gli onesti e rendere i disonesti inoffensivi?
Bisogna essere buoni, generosi, tendere la mano per contribuire al recupero dei rei e costruire una società buona?
Intanto chiariamo che nessuna delle due cose ha nulla a che fare con la giustizia.
La parola "giustizia", se qualcuno non lo avesse notato, ha la stessa radice della parola "giusto". E né la durezza estrema, né il buonismo spinto sono giusti (che possano essere, in determinate situazioni, utili e/o giustificati è un altro discorso, ma giusti non sono di sicuro entrambi).
Una pena giusta è la premessa indispensabile per poter far sì che sia gli onesti che i disonesti, sia le vittime che i colpevoli possano mantenere o ritrovare il rispetto reciproco e quello verso sè stessi come esseri umani.
Se invece il problema non é la giustizia, ma, come molti vorrebbero farci credere, la sicurezza... allora a maggior ragione giustizialismo e perdonismo perdono entrambi senso.
La maggior garanzia di sicurezza è fornita dalla certezza della pena. E questa si ottiene a mio modesto parere tramite due cose:
- Regole chiare e semplici e "cataloghi delle punizioni" espliciti, in modo che si sappia sempre a cosa si va incontro trasgredendo le regole;
- Una volta condannati in via definitiva pena fissa e chiara, senza premi o aggravamenti, se non in casi eccezionali.
A che serve non sapere se, per esempio, prenderò solo una multa o un anno di galera?
A che serve sapere, per esempio, che nonostante i 30 anni teorici a cui sono stato condannato, mi terranno dentro solo 10 anni o giù di lì?
Ripartiamo da questo. E poi vedrete che non ci sarà più bisogno né di perdonismo né di giustizialismo.
Saluti,
Mauro.
Raieu de Succa (Ravioli di zucca)
4 ore fa
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