venerdì 1 gennaio 2021

Una storia di industria e tecnologia

Oggi vi voglio raccontare una storia. Una storia che avevo già raccontato qui su Twitter, ma voglio riproporla come testo unico, rielaborandola e ampliandola un po'.
È una storia di industria e tecnologia.
Una storia di quando lavoravo alla Siemens e venni chiamato a risolvere alcuni problemi di un sistema per il trattamento delle acque reflue, sviluppato e prodotto dalla filiale danese della Siemens.
Comunque questo è secondario: ciò che è importante e interessante in questa storia è il concetto di base e la gestione dei processi.

Detta filiale aveva sviluppato un prodotto veramente eccezionale, tecnologicamente all'avanguardia.
Ma non vendeva.
Era troppo caro. E offriva "troppo" (poi capirete cosa intendo).
Il problema grosso era che non vendeva neanche dove la concorrenza era debole, prezzo o non prezzo.
La centrale tedesca (dove ero impiegato) mi chiese di aiutare, di cercare prima di capire e poi di risolvere il problema.

E così mi misi al lavoro.
Per prima cosa, ovviamente, incontrai il team di sviluppo per farmi spiegare il prodotto, sia come tecnica che come marketing.
E capii che ne sapevano più di me.
Il problema era che ne sapevano più di me (anzi molto più di me) nei loro rispettivi specifici ambiti.
Erano, come si dice in tedesco, Fachidioten. Cioè esperti, magari grandissimi esperti, nella loro individuale specializzazione, ma limitati da paraocchi per quanto riguarda ogni aspetto che da questa specializzazione esuli.
Grandi ingegneri.
Grandi designer.
Grandi commerciali.
Ma nessuno che avesse una visione complessiva, d'insieme. Nessuno che sapesse valutare il globale da diversi punti di vista.

E così cos'era successo?
Che ognuno aveva fatto la sua parte a livello eccezionale, ma... ne era venuto fuori un prodotto troppo costoso, troppo complicato e - come si dice in gergo - overengineered. Cioè con molte funzioni oltre a quelle di base. Funzioni che al cliente medio non servivano o che non si poteva permettere.

Io come ingegnere non valevo loro.
Io come designer non valevo loro.
Io come commerciale non valevo loro.
Ma risolsi il problema e il prodotto cominciò a vendere.
Come ci riuscii?
Semplicemente perché non ero al loro livello nelle singole specializzazioni, però capivo sia di ingegneria che di design (nota bene: il design non è solo questione estetica, riguarda anche l'ergonomia e l'usabilità) che di costi.
E potevo quindi guardare e capire il prodotto nel globale, guardandolo da più punti di vista.
Non ero il migliore in nulla, ma ero l'unico che capiva qualcosa di tutto.

Presi in mano i processi che avevano portato al prodotto finale e guardai dove si erano usati materiali o componenti troppo costosi o inutili, guardai quali funzioni erano di troppo (e mi accorsi che anche il marketing si era focalizzato su queste, solo perché la concorrenza non le aveva o le aveva al massimo come optional, invece di focalizzarsi sulla qualità e l'eccellenza delle funzioni necessarie).
Potei vedere quali processi "inceppavano" sviluppo, produzione e commercializzazione. E sfruttando le specifiche esperienze dei colleghi, disinceppare il tutto.
E non toccai il cuore del prodotto, quello che lo faceva veramente ottimo.

Si ridussero così i costi e si eliminò il superfluo, rendendo il tutto non più overengineered.
E il prodotto vendette. Non fu più un flop (tecnologicamente non lo era mai stato, anzi, ma come mercato sì).

Cosa vi ho voluto raccontare con questa storia?

Un team, se composto solo di specialisti, è destinato a fallire (o a far fallire il prodotto). Anche quando riesce a non bloccarsi e a mettere in piedi un prodotto notevole.
Serve sempre nel team qualcuno che magari non sia il migliore in niente, ma abbia le competenze per capire tutto.

Ogni team ha bisogno di un generalista che possa portare una visione d'insieme andando oltre la visione, magari perfetta ma limitata, dello specialista.

Saluti,

Mauro.

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