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mercoledì 28 novembre 2018

CeBIT è morto

Oggi la Deutsche Messe AG, società che gestisce l'area fieristica di Hannover in Germania (la più grande area fieristica del mondo, dove tra le altre cose si svolse l'Expo 2000), ha dichiarato che il CeBIT non si farà più.
Quella del 2018 è stata l'ultima edizione. Alcune sue parti verranno integrate nella Hannover Messe, una delle più importanti fiere mondiali nel settore industriale, ma non esisterà più come evento autonomo.

Ma cos'è... anzi cos'era il CeBIT?

Nato nel 1986 è stato per lungo il tempo la più importante fiera mondiale nel settore elettronico e informatico  (CeBIT è l'acronimo di Centrum für Büroautomation, Informationstechnologie und Telekommunikation, che significa Centro per l'automazione dell'ufficio, l'informatica e la telecomunicazione).
Negli anni a cavallo del cambio di millennio attraeva circa 800000 visitatori a ogni edizione (ottocentomila, nel caso abbiate contato male gli zeri). Nel 2018 ne ha attratti neanche 120000 (centoventimila).
E fino a non molti anni fa la maggioranza delle aziende del settore (e non solo quelle europee) aspettava il CeBIT per presentare i propri prodotti di punta, le proprie innovazioni.

Cosa è successo nel frattempo?
Che gli organizzatori non si sono accorti del salto nel digitale. È vero che il digitale senza elettronica e informatica non può esserci, ma il digitale non è l'elettronica e l'informatica (e men che meno viceversa).
Gli organizzatori hanno continuato a gestire la fiera come se l'elettronica e l'informatica fossero ancora quelle degli anni '80 e '90.
Quando due anni fa hanno aperto gli occhi "grazie" alla continua perdita di visitatori (e di espositori) hanno provato a trasformarla in evento, in festival... ma questo - oltre a essere avvenuto troppo tardi - ha dato a molti l'impressione che rischiasse di diventare una fiera che si allontana dall'industria e dall'economia.
E quindi ciao.

In fondo è un piccolo pezzo di storia recente che muore, quindi un po' mi dispiace.
Però forse è anche un insegnamento: non puoi gestire realtà cangianti e continuamente nuove con schemi fissi, non tanto magari vecchi quanto però immutabili.
Se il contenuto si innova, deve innovarsi anche il contenitore.

Saluti,

Mauro.

lunedì 9 luglio 2018

Cos'è un brevetto?

Qualche giorno fa vi ho spiegato in un articolo alcune cose sui brevetti, per la precisione ho cercato di sfatare alcune credenze errate sugli stessi.
Però qualcuno interessato al tema ma senza conoscenze specifiche potrebbe essersi sentito un po' lasciato in mezzo al guado, visto che ho chiarito alcune cose sui brevetti ma non ho chiarito le fondamenta su cui si basa il concetto di brevetto.
Cercherò di farlo qui rispondendo a tre domande di base (sperando di usare un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori).

Cos'è un brevetto?

Un brevetto è una forma di protezione legale nell'ambito della proprietà intellettuale.
Tale protezione garantisce a chi ha inventato qualcosa il controllo sull'utilizzo e la realizzazione della sua idea (cioè lui decide se produrla in proprio e se concedere licenze ad altri) e un guadagno nel caso questa idea venga commercializzata e abbia successo commerciale (guadagno diretto tramite le vendite per quanto prodotto in proprio o guadagno indiretto tramite licenze).
Essenziale è che l'idea porti a un prodotto materiale (per idee prettamente intellettuali che non portino alla possibilità di costruire qualcosa di materiale esistono altre forme di protezione).

Come detto nell'articolo del 28 giugno, la protezione data da un brevetto non è eterna: dura al massimo vent'anni, dopodiché chiunque può utilizzare le idee contenute nel brevetto stesso.
"Al massimo vent'anni" perché per poter godere della protezione va pagata una tariffa annua, ma si può decidere di smettere di pagare in ogni momento, non si è obbligati a farlo per vent'anni. Alla scadenza dell'anno in cui si smette di pagare si perde il diritto alla protezione.

Cosa può essere brevettato?

Intanto, come detto al punto precedente, l'idea deve poter portare a un prodotto materiale. Non deve essere astratta.
Sostanzialmente un'idea, un prodotto per poter aver diritto al brevetto deve rispondere a tre caratteristiche.

1) Novità: l'idea deve essere nuova (cioè non deve esistere già un prodotto o progetto basato su di essa) e innovativa (cioè non deve essere semplicemente nuova ma anche non essere conseguenza logica, palese di qualcosa di già esistente... insomma deve costituire un "salto" rispetto allo stato della tecnica).

2) Funzionalità: deve essere dimostrato (tramite calcoli, simulazioni o preferibilmente prototipi) che l'idea porti a un prodotto funzionante. Non basta che si creda possa funzionare, deve essere dimostrato che funzioni, almeno a livello teorico.

3) Utilità: il prodotto costruito sulla base dell'idea deve essere utile (qualcuno direbbe - venalmente - commerciabile), cioè deve rispondere a un problema o a un'esigenza reale. Non deve essere un prodotto di nessuna utilità, che serva solo a dimostrare di poter essere costruito.

Perché hanno senso i brevetti?

Molti di voi avranno sentito di tanto in tanto voci o campagne contro la proprietà intellettuale, per la libertà totale della conoscenza, come dicono gli oppositori di brevetti & co.
Qui voglio limitarmi al discorso sui brevetti, senza esprimermi in alcun modo sulle altre forme di proprietà intellettuale.

Quindi: perché ha senso che ci sia questa protezione data dai brevetti?
La risposta è molto semplice: senza protezione non è conveniente fare innovazione.
Al livello tecnologico attuale l'inventore isolato che inventa qualcosa a casa è l'eccezione e anche nei casi in cui ci sia, molto difficilmente avrà la possibilità di costruire e testare in proprio la sua idea (e non solo per ragioni finanziarie).
Quindi ha bisogno di un'azienda o di finanziatori dietro le spalle, ma questi vogliono prima o poi anche un riscontro economico, non sono società di beneficenza. Senza l'esclusiva concessa dai brevetti questo riscontro economico (che senza brevetto è dovuto semplicemente alle nude vendite, per di più in presenza di concorrenti che possono copiare l'idea senza avere avuto le spese per svilupparla) generalmente non basterebbe a rendere l'innovazione conveniente.
Senza brevetti le aziende avrebbero convenienza solo a fare evoluzione di prodotti già esistenti e gli inventori indipendenti non avrebbero i mezzi per portare avanti le proprie idee.

A questo punto uno però potrebbe chiedere: e allora perché si limita il diritto a questa protezione a soli vent'anni?
Semplice: perché una protezione eterna o quasi porterebbe al monopolio e bloccherebbe l'innovazione dall'altro lato.
Una volta che un'idea viene prodotta, è valida e ha successo, allora conquista il mercato. Se quindi quell'idea è protetta per sempre quel mercato è bloccato, nessun altro ci può entrare a meno che non glielo conceda il monopolista, nessuno può migliorare quell'idea (perché una semplice miglioria non è brevettabile e quindi la sua produzione è bloccata dal brevetto precedente).
Quindi nessuno avrebbe convenienza a fare ulteriore innovazione: il monopolista non ne avrebbe bisogno e la possibile concorrenza (sempre che sia sopravvissuta) avrebbe troppi ostacoli da superare.

Saluti,

Mauro.

venerdì 25 novembre 2016

Attenti alle marche

Ho appena visto sulla TV tedesca uno spot pubblicitario che vantava le qualità innovative di alcuni elettrodomestici Siemens.
Peccato solo che Siemens sia solo un nome, non un produttore. E quindi non possa innovare nulla.

Mi spiego meglio (del resto qualcosa ne ne so: tra il 2001 e il 2003 ho avuto la Siemens come cliente e tra il 2007 e il 2015 come datore di lavoro).

Gli elettrodomestici Siemens vengono progettati e prodotti da un'azienda chiamata BSH. Dal 1967.
BSH significa "Bosch Siemens Hausgeräte" (in italiano "Elettrodomestici Bosch Siemens").
La BSH era un'azienda posseduta al 50% dalla Bosch e al 50% dalla Siemens, ma operativamente indipendente (e proprietaria anche di marchi come Gaggenau o Neff).
Quindi l'innovazione era autonoma, non veniva dalla Bosch o dalla Siemens.

E appunto: era... veniva... (per quanto riguarda la Siemens).

Infatti tra il 2013 e il 2014 la Siemens ha venduto tutte le sue quote alla Bosch.
Oggi la BSH appartiene al 100% alla Bosch.
Anche se ha i diritti sul marchio Siemens.

Ergo: La Siemens nel settore non può innovare nulla, non essendo più minimamente presente nello stesso (nome a parte, che comunque nel settore come marchio e come know-how oggi appartiene alla Bosch).
E anche prima, come detto... a innovare era la BSH, non la Siemens.

Se non volete elettrodomestici Siemens la scelta migliore è quindi comprare prodotti a marchio Siemens :-)

Saluti,

Mauro.

venerdì 26 giugno 2015

Il giornalismo e la scienza... di nuovo (purtroppo)

Tutti avrete letto tra ieri e oggi la storia secondo cui tre ragazzini inglesi avrebbero "inventato" un preservativo che cambia colore entrando in contatto con fonti infettive, quindi utile a farti fermare in tempo quando hai rapporti sessuali con persone portatrici di malattie sessualmente trasmissibili.

Non è proprio una bufala, ma quell'"inventato" la rende comunque una cazzata (c'è chi - Butac - lo ha fatto notare prima di me, ma io al proposito vorrei dire qualcosa di più).

Come esempio vi riporto l'articolo del Fatto Quotidiano (anche se, con gli stessi errori, ne hanno parlato praticamente tutti... e come ci racconta qui Mats Schönauer, anche la stampa tedesca, non solo quella italiana).
Vi riporto quest'articolo per due motivi:
1) è stato il primo al proposito che ho letto;
2) non è scritto da un classico giornalista, ma dalla presidente della federazione italiana di sessuologia scientifica (a parte che dovrebbe spiegarmi perché "scientifica": ogni "-logia" - parapsicologia a parte, ma quel "para-" all'inizio ci chiarisce le cose se abbiamo due neuroni funzionanti - o è scientifica o proprio non esiste).

Ecco, quei ragazzini in realtà non hanno inventato (ancora) nulla.
I miei lettori più fedeli sanno che da anni mi occupo di proprietà intellettuale, innovazione, eccetera (uno degli articoli di maggior successo della storia di questo blog si occupava proprio di questi temi).
Quindi qualcosa al proposito posso chiarire.

Come dice il sito della competizione a cui i ragazzini hanno partecipato, questi hanno avuto una concept idea. Una "concept idea" altro non è che una semplice idea, un concetto di base, non un'invenzione.

Vi faccio un esempio: se io dico che sarebbe bello avere un autobus che possa sollevarsi di qualche metro da terra per evitare gli ingorghi ho espresso una concept idea.
Per farla diventare invenzione devo almeno presentare uno studio di fattibilità con conti e schemi che ne dimostrino la realizzabilità pratica (se non addirittura presentarne un prototipo, magari in scala ridotta).

Ecco, quei ragazzini si sono fermati al primo passo: hanno semplicemente dichiarato che sarebbe bello avere un preservativo che grazie alla sua composizione chimica possa cambiare colore in presenza di una malattia sessualmente trasmissibile.
Oltre (almeno per ora) non sono andati.

E, grazie alla mia esperienza con la proprietà intellettuale, posso dirvi che anche se andranno oltre (e glielo auguro e consiglio, perché è comunque un ottimo esercizio di scienza e tecnica) purtroppo non potranno mai brevettare la loro invenzione.
Perché?
Semplicemente perché detto preservativo è già stato brevettato una decina d'anni fa (qui il brevetto). Quindi... nulla di nuovo... in questo caso non sotto il sole, ma dove non batte il sole.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
A seconda delle fonti in inglese troverete le sigle STI e STD... non sono cose diverse: STD significa sexually transmitted disease, STI sexually transmitted illness, quindi sono sinonimi.

mercoledì 19 febbraio 2014

Non abusiamo della parola innovazione

L'innovazione, il progresso tecnico (accanto a quello scientifico) sono sicuramente cose importanti, importantissime.
Non sono certo io a negarlo, che nell'innovazione tecnica ci lavoro.

Un articolo letto oggi mi ha fatto però pensare che la parola "innovazione" venga decisamente abusata.

L'articolo in questione è "Se le nuove innovazioni non provocano crescita" pubblicato da Thomas Manfredi su Linkiesta e che è a sua volta la recensione di un articolo più impegnativo scritto da Robert J. Gordon del National Bureau of Economic Research: "Is U.S. Economic Growth Over? Faltering Innovation Confronts the Six Headwinds" (purtroppo a pagamento).

La tesi in sostanza è che, contrariamente a quanto viene sempre detto, non sempre l'innovazione è causa di crescita economica.
Non ho letto l'articolo di Gordon, quindi non so se le sue argomentazioni siano convincenti o meno (non mi stupirebbe comunque se fossero convincenti di base ma lui le avesse "tirate" un po' nelle conclusioni).

Questo articolo però mi ha fatto venire un pensiero a margine: appunto che la parola "innovazione" è abusata.
Usualmente si pensa che ogni brevetto sia innovazione, anzi molti pensano che siano innovative anche idee che non arrivano a diventare brevetto.
Giusto, molti brevetti sono innovativi.
E giusto, anche molte idee che non arrivano al brevetto sono innovative.
Ma sbagliato, non tutti i brevetti e le idee sono innovativi.

Molto non è innovazione, ma solo modifica, evoluzione, miglioramento.
E anche molte di queste cose possono (anzi, devono) arrivare a essere brevetto, perché contengono qualcosa di nuovo che merita protezione.

La vera innovazione però non "contiene qualcosa di nuovo".
La vera innovazione è "nuovo" e basta.

Saluti,

Mauro.