Ormai da anni (già dagli ultimi tempi della cosiddetta prima repubblica) si parla del problema della fuga dei cervelli, cioè dei laureati italiani che vanno a cercar successo all'estero (che poi lo trovino anche è un altro discorso, visto che la stampa italiana riporta solo le storie di successo... ma parlare di questo non è comunque lo scopo di questo articolo).
Il concetto di base delle lamentele è: se i giovani devono scappare l'università ha fallito. E giù con nuove riforme dell'università a ogni nuovo governo.
Dimostrando di non avere capito un belino del problema.
Primo: se i giovani scappano dopo la laurea (breve o lunga che sia), significa che il vero problema è ciò che c'è (o non c'è) dopo l'università, non l'università stessa.
Secondo: se questi laureati italiani vengono accolti a braccia aperte all'estero, significa che l'università italiana qualcosa da offrire ha (io stesso ricordo quando nel 1996 mi presentai per un posto di ricercatore in Germania: a un candidato inglese venne chiesto un master per pareggiare la mia laurea - senza master - italiana).
Terzo: la mobilità dei ricercatori e degli scienziati è sempre stata vista come un valore aggiunto per i ricercatori/scienziati stessi e per le università di partenza e di arrivo... quindi il problema delle università italiane non sono i cervelli che se ne vanno, ma quelli che non arrivano!
Facciamola breve.
Freghiamocene se i ragazzi italiani se ne vanno. In realtà è un bene.
Preoccupiamoci piuttosto se i ragazzi stranieri non vengono. Questo è il vero problema.
Saluti,
Mauro.
L’elemento numero uno (2, 6, 3, 7)
4 ore fa
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