Risposta breve: no. Non lo siamo diventati, almeno non più di quanto già lo fossimo.
Razzisti lo siamo sempre stati (infatti se la domanda fosse stata "Siamo razzisti?", la risposta sarebbe stata sì). O meglio una discreta parte di noi è sempre stata razzista.
E vale per tutti, non solo per noi italiani. Alcuni di più, alcuni di meno, ma nessuno è immune.
Risposta lunga: la situazione si è evoluta negli ultimi tempi e richiede un'analisi più complessa di un semplice sì o no.
Vediamola (spoiler: comunque non smentisce la risposta breve).
Il razzismo è connaturato alla natura umana.
Ma il conformismo ancora di più.
Ergo in un periodo in cui il governo, la politica sembrano sdoganare il razzismo i razzisti sembrano aumentare (e le statistiche sugli atti di razzismo che avvengono generalmente lo confermano).
In un periodo in cui il governo, la politica sembrano veramente impegnarsi contro il razzismo i razzisti sembrano diminuire (e anche qui le statistiche generalmente confermano).
Ma in realtà il numero di razzisti rimane pressoché uguale.
Cosa succede allora?
Che chi si comporta da razzista come norma se ne frega di chi è al governo e di cosa dicono le leggi. E fa il razzista sempre.
Però c'è chi è razzista ma, diciamo, prima di tutto tiene alle proprie chiappe e quindi annusa l'aria. Se c'è uno sdoganamento si sente libero di vivere il proprio razzismo. Se invece vive in un periodo politicamente corretto mette la coda tra le gambe e si trattiene.
Poi c'è chi è indifferente, colui a cui non interessa né sostenere né combattere il razzismo, ma anche lui annusa l'aria e si accoda a chi comanda in un determinato momento.
Tra le altre cose queste due ultime categorie (soprattutto la prima, quella dei razzisti "paurosi") vivono in una condizione di legge percepita (cosa intendo con legge percepita lo spiegai qui in altro contesto).
Queste persone credono che le leggi sul razzismo siano state ora ammorbidite da Salvini e prima fossero state irrigidite da Renzi. E pensano che siano ora permesse cose in realtà proibite e che durante la legislatura precedente fossero proibite cose che proibite non erano.
Perché le leggi sul razzismo in Italia non sono state cambiate né da Renzi né da Salvini, almeno nella parte sostanziale. Sono ben più vecchie.
Come non è tutto permesso ora, non era tutto proibito prima. Anche se molti lo credono.
Tornando al punto: no, il razzismo in sé non è aumentato. Ma sono aumentate le espressioni palesi di razzismo (sia illegali che no).
Saluti,
Mauro.
Ogni tanto (anzi spesso) mi vengono in mente interpretazioni di avvenimenti e fatti oppure giudizi su persone ed eventi che non si possono certo definire conformisti. O magari semplicemente idee e pensieri personali, indipendenti. Alcune di queste idee saranno giuste e condivisibili, altre no, ma sono orgoglioso che non siano conformi. I commenti anonimi non sono graditi, essi verranno cancellati a meno che non portino contributi concreti e seri. Buona lettura a tutti.
domenica 30 giugno 2019
venerdì 28 giugno 2019
Non vedere più un ponte
Durante le vacanze natalizie volli vedere il ponte.
Quando lunedì tornerò a Genova sarà la prima volta che vedrò la mia città senza il ponte.
A Natale e a Pasqua in fondo c'era ancora, anche se a pezzi.
Io Genova senza il Ponte Morandi non la conosco. Il ponte è stato costruito tra il 1963 e il 1967. Io sono nato nel 1968.
Per la mia generazione e per quelle successive il ponte Morandi semplicemente faceva parte della città, del panorama. Non esisteva una Genova senza ponte, non era concepibile.
Il ponte era parte della città. Il ponte era la città. Era lì, semplicemente era lì.
Come non si può concepire una Genova senza Lanterna, senza Righi o senza Boccadasse.
Come la Lanterna, il Righi o Boccadasse sono la città.
Di sicuro quando arriverò giù dalla A7 Milano-Genova, la camionale, e girerò verso Genova Est mi farà uno strano effetto non dover stare attento a sbagliare corsia per non infilarmi verso Aeroporto e Voltri.
Non ci sarà un'altra corsia.
E mi verrà un groppo in gola.
(È vero che anche a Natale e Pasqua non c'era la possibilità di sbagliare corsia, ma nelle due occasioni ero andato a Genova in aereo. Lunedì vado in auto.)
Saluti,
Mauro.
Quando lunedì tornerò a Genova sarà la prima volta che vedrò la mia città senza il ponte.
A Natale e a Pasqua in fondo c'era ancora, anche se a pezzi.
Io Genova senza il Ponte Morandi non la conosco. Il ponte è stato costruito tra il 1963 e il 1967. Io sono nato nel 1968.
Per la mia generazione e per quelle successive il ponte Morandi semplicemente faceva parte della città, del panorama. Non esisteva una Genova senza ponte, non era concepibile.
Il ponte era parte della città. Il ponte era la città. Era lì, semplicemente era lì.
Come non si può concepire una Genova senza Lanterna, senza Righi o senza Boccadasse.
Come la Lanterna, il Righi o Boccadasse sono la città.
Di sicuro quando arriverò giù dalla A7 Milano-Genova, la camionale, e girerò verso Genova Est mi farà uno strano effetto non dover stare attento a sbagliare corsia per non infilarmi verso Aeroporto e Voltri.
Non ci sarà un'altra corsia.
E mi verrà un groppo in gola.
(È vero che anche a Natale e Pasqua non c'era la possibilità di sbagliare corsia, ma nelle due occasioni ero andato a Genova in aereo. Lunedì vado in auto.)
Saluti,
Mauro.
mercoledì 26 giugno 2019
La legge dei grandi numeri
Non è quella che credete che sia.
E infatti ne sbagliate spesso l'applicazione.
Se io vi chiedessi cosa dice la legge dei grandi numeri, molti di voi mi direbbero che in una serie di eventi casuali (tipo il lancio di una moneta o le estrazioni del Lotto) prima o poi tutti i numeri o eventi devono uscire/verificarsi.
E infatti, per esempio, quando giocate al Lotto controllate quali numeri non escono da molto tempo e li giocate. O almeno molti di voi fanno così.
E sbagliate.
La legge dei grandi numeri (che andrebbe più correttamente chiamata teorema di Bernoulli) dice che in una sequenza di eventi casuali e indipendenti tra loro la distribuzione dei risultati tende tanto più ad avvicinarsi alla loro probabilità teorica quanto più numerosi sono gli eventi presi in considerazione.
Mi spiego con un esempio.
Prendiamo una moneta e giochiamo a testa o croce. Se la moneta è perfetta, senza difetti, non truccata sappiamo che testa e croce hanno entrambe una probabilità teorica di verificarsi del 50%.
Quindi la legge dei grandi numeri ci dice che più lanci faccio più sarà facile che la distribuzione testa-croce dei risultati si avvicini al 50%-50%.
Se faccio 10 lanci la distribuzione sarà probabilmente lontana da ciò, se ne faccio 1000 sarà decisamente più vicina, se ne faccio un milione lo sarà ancora di più. Eccetera, eccetera.
Questo dice la legge dei grandi numeri. Non dice nulla - ma proprio nulla - sui singoli lanci.
Se mi è uscita per 50 volte di seguito testa (difficile ma non impossibile) è inutile che al 51° lancio io scommetta su croce perché "per la legge dei grandi numeri prima o poi dovrà uscire croce". No, a ogni nuovo singolo lancio testa e croce continueranno ad avere ciascuna il 50% di probabilità di uscire.
E questo vale anche per distribuzioni/probabilità asimmetriche (tipo 60%-40% invece di 50%-50%) o per casi in cui i risultati possibili sono più di due (tipo le estrazioni del Lotto).
Gli eventi casuali non hanno memoria. Le monete, i numeri del Lotto non hanno memoria.
Ci sono però casi in cui invece conviene puntare su ciò che non è ancora uscito/accaduto pur trattandosi di eventi casuali.
Si tratta di quando ci troviamo di fronte a probabilità condizionate.
Ma come? - direte voi - l'evento o è casuale o è condizionato!
Sì, vero, ma l'evento può essere casuale e la probabilità condizionata.
Mi spiego anche qui con un esempio.
Prendete un classico mazzo di carte da 40 (per giocare a scopa, briscola o altro). Le 40 carte saranno 20 rosse e 20 nere (o meglio, rossi o neri saranno i loro semi, ma ci siamo comunque capiti).
Fatele spargere a caso col dorso in alto sul pavimento da qualcuno.
Dopo averlo fatto, chiamate qualcuno che era fuori e chiedetegli di scegliere una carta a caso. Evento casuale, visto che sul dorso le carte sono tutte uguali e lui non era presente durante lo spargimento sul pavimento.
Le probabilità che peschi una carta rossa o una nera sono pari: 50%-50%.
Lui pesca una rossa.
Se gli chiedete di pescarne una seconda vi conviene scommettere che sia nera, che sia rossa o è lo stesso?
Ebbene, vi conviene scommettere su una carta nera.
Infatti gli eventi sono sì completamente casuali (lui pesca sempre a caso), ma sono cambiate le condizioni in cui pesca, il che cambia la probabilità.
Alla prima pescata le carte nere erano 20 su 40, cioè il 50%.
Alla seconda pescata le carte nere sono sempre 20, ma su 39 (una rossa è stata già pescata), cioè sono circa il 51,3%.
Anche qui le carte non hanno memoria, ma il gioco cambia le condizioni a ogni pescata.
E qui non si applica la legge dei grandi numeri.
Saluti,
Mauro.
E infatti ne sbagliate spesso l'applicazione.
Se io vi chiedessi cosa dice la legge dei grandi numeri, molti di voi mi direbbero che in una serie di eventi casuali (tipo il lancio di una moneta o le estrazioni del Lotto) prima o poi tutti i numeri o eventi devono uscire/verificarsi.
E infatti, per esempio, quando giocate al Lotto controllate quali numeri non escono da molto tempo e li giocate. O almeno molti di voi fanno così.
E sbagliate.
La legge dei grandi numeri (che andrebbe più correttamente chiamata teorema di Bernoulli) dice che in una sequenza di eventi casuali e indipendenti tra loro la distribuzione dei risultati tende tanto più ad avvicinarsi alla loro probabilità teorica quanto più numerosi sono gli eventi presi in considerazione.
Mi spiego con un esempio.
Prendiamo una moneta e giochiamo a testa o croce. Se la moneta è perfetta, senza difetti, non truccata sappiamo che testa e croce hanno entrambe una probabilità teorica di verificarsi del 50%.
Quindi la legge dei grandi numeri ci dice che più lanci faccio più sarà facile che la distribuzione testa-croce dei risultati si avvicini al 50%-50%.
Se faccio 10 lanci la distribuzione sarà probabilmente lontana da ciò, se ne faccio 1000 sarà decisamente più vicina, se ne faccio un milione lo sarà ancora di più. Eccetera, eccetera.
Questo dice la legge dei grandi numeri. Non dice nulla - ma proprio nulla - sui singoli lanci.
Se mi è uscita per 50 volte di seguito testa (difficile ma non impossibile) è inutile che al 51° lancio io scommetta su croce perché "per la legge dei grandi numeri prima o poi dovrà uscire croce". No, a ogni nuovo singolo lancio testa e croce continueranno ad avere ciascuna il 50% di probabilità di uscire.
E questo vale anche per distribuzioni/probabilità asimmetriche (tipo 60%-40% invece di 50%-50%) o per casi in cui i risultati possibili sono più di due (tipo le estrazioni del Lotto).
Gli eventi casuali non hanno memoria. Le monete, i numeri del Lotto non hanno memoria.
Ci sono però casi in cui invece conviene puntare su ciò che non è ancora uscito/accaduto pur trattandosi di eventi casuali.
Si tratta di quando ci troviamo di fronte a probabilità condizionate.
Ma come? - direte voi - l'evento o è casuale o è condizionato!
Sì, vero, ma l'evento può essere casuale e la probabilità condizionata.
Mi spiego anche qui con un esempio.
Prendete un classico mazzo di carte da 40 (per giocare a scopa, briscola o altro). Le 40 carte saranno 20 rosse e 20 nere (o meglio, rossi o neri saranno i loro semi, ma ci siamo comunque capiti).
Fatele spargere a caso col dorso in alto sul pavimento da qualcuno.
Dopo averlo fatto, chiamate qualcuno che era fuori e chiedetegli di scegliere una carta a caso. Evento casuale, visto che sul dorso le carte sono tutte uguali e lui non era presente durante lo spargimento sul pavimento.
Le probabilità che peschi una carta rossa o una nera sono pari: 50%-50%.
Lui pesca una rossa.
Se gli chiedete di pescarne una seconda vi conviene scommettere che sia nera, che sia rossa o è lo stesso?
Ebbene, vi conviene scommettere su una carta nera.
Infatti gli eventi sono sì completamente casuali (lui pesca sempre a caso), ma sono cambiate le condizioni in cui pesca, il che cambia la probabilità.
Alla prima pescata le carte nere erano 20 su 40, cioè il 50%.
Alla seconda pescata le carte nere sono sempre 20, ma su 39 (una rossa è stata già pescata), cioè sono circa il 51,3%.
Anche qui le carte non hanno memoria, ma il gioco cambia le condizioni a ogni pescata.
E qui non si applica la legge dei grandi numeri.
Saluti,
Mauro.
domenica 23 giugno 2019
Gli extraterrestri ci sono, gli UFO no
Se qualcuno mi chiede se credo agli UFO, rispondo di no.
Se qualcuno mi chiede se credo agli extraterrestri, rispondo di sì.
E vi garantisco che non c'è nessuna contraddizione, nonostante l'apparenza. Seguitemi e capirete.
Il problema è che si considerano sinonimi cose che non lo sono, anzi neanche sono veramente collegate tra loro (a parte l'aver a che fare con lo spazio, con ciò che sta fuori dalla Terra).
Cos'è un UFO? La sigla significa Unidentified Flying Object, cioè Oggetto Volante non Identificato (e già il nome stesso spiega molti "avvistamenti"... aerei spia, prototipi militari, ecc. per i primi che li vedono sono chiaramente oggetti non identificati).
Il che già ci dice in che ambito ci muoviamo: la tecnologia.
E la tecnologia deve sottostare alle leggi della fisica. Anche nello spazio profondo. Quindi è estremamente improbabile (non assolutamente impossibile, però) che una civiltà aliena abbia una tecnologia tale da permettere a loro veicoli spaziali di arrivare fin da noi.
E va anche detto che arrivare qui e non prendere contatto è assurdo. Pensiamo alle esplorazioni terrestri dei secoli passati: pacifiche o violente che fossero, il contatto con altre civiltà è sempre stato cercato. Perché per gli alieni dovrebbe essere diverso?
Mettendo insieme tutto ciò... no, non credo agli UFO. Proprio per niente.
Passiamo ora agli extraterrestri.
Cosa si intende con extraterrestre nel linguaggio comune? Un essere vivente di origine non terrestre. Non si parla proprio di tecnologia.
Ci stiamo muovendo in un altro ambito: la biologia.
La biologia terrestre è basata sul carbonio e usa come solvente l'acqua. Sia che ipotizziamo la stessa base biochimica per le forme di vita extraterrestri, sia che pensiamo ad altre possibilità (tipo una biologia basata sul silicio o sul fosforo o altri solventi come per esempio ammoniaca o metanolo) è possibilissimo, anzi molto probabile, che i meccanismi per creare vita si siano messi in moto anche altrove nell'universo.
Non siamo in grado di dire che tipo di forme di vita siano, avanzate (nel senso che diamo noi terrestri al termine) o primitive, esteticamente simili a forme terrestri o completamente diverse, ecc., ecc. Ma che ci siano è molto, molto probabile.
Mettendo insieme tutto ciò... sì, credo a esseri viventi extraterrestri. Eccome.
Saluti,
Mauro.
Se qualcuno mi chiede se credo agli extraterrestri, rispondo di sì.
E vi garantisco che non c'è nessuna contraddizione, nonostante l'apparenza. Seguitemi e capirete.
Il problema è che si considerano sinonimi cose che non lo sono, anzi neanche sono veramente collegate tra loro (a parte l'aver a che fare con lo spazio, con ciò che sta fuori dalla Terra).
Cos'è un UFO? La sigla significa Unidentified Flying Object, cioè Oggetto Volante non Identificato (e già il nome stesso spiega molti "avvistamenti"... aerei spia, prototipi militari, ecc. per i primi che li vedono sono chiaramente oggetti non identificati).
Il che già ci dice in che ambito ci muoviamo: la tecnologia.
E la tecnologia deve sottostare alle leggi della fisica. Anche nello spazio profondo. Quindi è estremamente improbabile (non assolutamente impossibile, però) che una civiltà aliena abbia una tecnologia tale da permettere a loro veicoli spaziali di arrivare fin da noi.
E va anche detto che arrivare qui e non prendere contatto è assurdo. Pensiamo alle esplorazioni terrestri dei secoli passati: pacifiche o violente che fossero, il contatto con altre civiltà è sempre stato cercato. Perché per gli alieni dovrebbe essere diverso?
Mettendo insieme tutto ciò... no, non credo agli UFO. Proprio per niente.
Passiamo ora agli extraterrestri.
Cosa si intende con extraterrestre nel linguaggio comune? Un essere vivente di origine non terrestre. Non si parla proprio di tecnologia.
Ci stiamo muovendo in un altro ambito: la biologia.
La biologia terrestre è basata sul carbonio e usa come solvente l'acqua. Sia che ipotizziamo la stessa base biochimica per le forme di vita extraterrestri, sia che pensiamo ad altre possibilità (tipo una biologia basata sul silicio o sul fosforo o altri solventi come per esempio ammoniaca o metanolo) è possibilissimo, anzi molto probabile, che i meccanismi per creare vita si siano messi in moto anche altrove nell'universo.
Non siamo in grado di dire che tipo di forme di vita siano, avanzate (nel senso che diamo noi terrestri al termine) o primitive, esteticamente simili a forme terrestri o completamente diverse, ecc., ecc. Ma che ci siano è molto, molto probabile.
Mettendo insieme tutto ciò... sì, credo a esseri viventi extraterrestri. Eccome.
Saluti,
Mauro.
venerdì 21 giugno 2019
Twitter e le segnalazioni
Così non va, non funziona. Sto parlando delle segnalazioni su Twitter (e da quel che sento su Facebook è anche peggio, ma ormai Facebook lo frequento molto poco, quindi in realtà non so).
No, non sto parlando di segnalazioni fatte in malafede, fatte per intimidire o silenziare chi non la pensa come noi o cose simili.
Questi sono problemi seri (e i cui colpevoli siamo prima di tutto noi frequentatori che crediamo che le discussioni siano guerre senza possibilità di dialogo), ma io voglio parlare di altri problemi: quelli che ci sono dopo aver fatto la segnalazione, corretta o no che essa fosse.
Ecco, il problema vero sta lì. Perché se la gestione delle segnalazioni funzionasse quelle in malafede si ridurrebbero a un limite fisiologico e quelle in buonafede ma moderate male anche.
Il primo problema è legato a paese, IP e lingua.
Ve lo spiego con un esempio pratico.
Io mi muovo su Twitter in tre lingue: italiano, tedesco e inglese. Ma soprattutto italiano. Però scrivo dalla Germania e l'IP del mio computer (sia a casa che sul lavoro) è ovviamente tedesco.
Cosa significa questo? Che se io segnalo un tweet in italiano (o in inglese) il sistema riconosce il mio IP e mi pone le scelte in base alla normativa, alla legislazione tedesca.
Ora, le cose permesse e proibite sono più o meno le stesse in tutta Europa, ma con formulazioni diverse, con riferimenti di legge diversi, ecc.
Quindi in molti casi non posso segnalare perché Twitter non mi mette a disposizione la scelta adeguata.
Quando riesco a superare questo ostacolo, la mia segnalazione (a meno che non riguardi tweet in tedesco) viene invariabilmente cassata. Ed è inevitabile (e a suo modo giusto) perché il desk tedesco non capisce i tweet in italiano (anche se qualcuno dei moderatori parlasse italiano non avrebbe certo il tempo di valutare e poi reagire... visto che dovrebbe tradurre e i moderatori si trovano in una situazione stile catena di montaggio).
E al di là della lingua: il desk applica (ovviamente) la lettera della legge e anche se leggi diverse di paesi diversi hanno lo stesso senso, la stessa sostanza, hanno per forza di cose lettere diverse.
Il secondo problema è relativo ai diversi registri di linguaggio.
Anche qui passiamo tramite un esempio.
Magari io sto "litigando" con un amico e ci permettiamo - conoscendoci - un linguaggio sopra le righe. Magari con minacce semiserie, del resto tra amici quando non si è d'accordo su qualcosa ci si lascia andare e non ci si pongono problemi (visto che ci si conosce si sa fino a dove ci si può spingere e poi comunque spiegarsi è più semplice).
Però può capitare che si usi lo stesso linguaggio litigando veramente con uno sconosciuto.
È sì lo stesso linguaggio. Ma non è per niente lo stesso registro, visto che io non so fino a dove posso spingermi ed è quindi molto probabile che io sia serio nelle mie minacce e offese (al di là del fatto che abbia una qualche seria intenzione di metterle in pratica).
E se qualcuno segnala i miei due tweet di minacce (quello all'amico e quello allo sconosciuto) i moderatori che leggeranno capiranno il linguaggio ma non il registro (non avranno neanche il tempo di porsi il problema del registro, vista la pressione temporale ai cui sono sottoposti) e quindi o bloccheranno un tweet innocuo o ne lasceranno passare uno pericoloso.
Come si possono risolvere questi problemi?
Il primo in realtà è molto semplice da risolvere: basta che tra le schermate che appaiono durante il processo di segnalazione la prima ti chieda a quale desk ti vuoi rivolgere (italiano, tedesco, inglese, ecc.). Sarebbe una funzione facilissima da programmare. E neanche costosa.
Il secondo tecnicamente sarebbe anche risolvibile: moderatori più preparati e con più tempo a disposizione, aiutati da algoritmi più sofisticati per una prima scrematura automatica. Ma sarebbe molto più costoso.
Il problema vero è comunque che entrambe le soluzioni imporrebbero una presa di responsabilità attiva da parte dei social networks. Con la situazione attuale invece possono nascondersi dietro i vuoti della politica (e di conseguenza della legge).
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Articolo leggermente ampliato il 17/01/2020.
No, non sto parlando di segnalazioni fatte in malafede, fatte per intimidire o silenziare chi non la pensa come noi o cose simili.
Questi sono problemi seri (e i cui colpevoli siamo prima di tutto noi frequentatori che crediamo che le discussioni siano guerre senza possibilità di dialogo), ma io voglio parlare di altri problemi: quelli che ci sono dopo aver fatto la segnalazione, corretta o no che essa fosse.
Ecco, il problema vero sta lì. Perché se la gestione delle segnalazioni funzionasse quelle in malafede si ridurrebbero a un limite fisiologico e quelle in buonafede ma moderate male anche.
Il primo problema è legato a paese, IP e lingua.
Ve lo spiego con un esempio pratico.
Io mi muovo su Twitter in tre lingue: italiano, tedesco e inglese. Ma soprattutto italiano. Però scrivo dalla Germania e l'IP del mio computer (sia a casa che sul lavoro) è ovviamente tedesco.
Cosa significa questo? Che se io segnalo un tweet in italiano (o in inglese) il sistema riconosce il mio IP e mi pone le scelte in base alla normativa, alla legislazione tedesca.
Ora, le cose permesse e proibite sono più o meno le stesse in tutta Europa, ma con formulazioni diverse, con riferimenti di legge diversi, ecc.
Quindi in molti casi non posso segnalare perché Twitter non mi mette a disposizione la scelta adeguata.
Quando riesco a superare questo ostacolo, la mia segnalazione (a meno che non riguardi tweet in tedesco) viene invariabilmente cassata. Ed è inevitabile (e a suo modo giusto) perché il desk tedesco non capisce i tweet in italiano (anche se qualcuno dei moderatori parlasse italiano non avrebbe certo il tempo di valutare e poi reagire... visto che dovrebbe tradurre e i moderatori si trovano in una situazione stile catena di montaggio).
E al di là della lingua: il desk applica (ovviamente) la lettera della legge e anche se leggi diverse di paesi diversi hanno lo stesso senso, la stessa sostanza, hanno per forza di cose lettere diverse.
Il secondo problema è relativo ai diversi registri di linguaggio.
Anche qui passiamo tramite un esempio.
Magari io sto "litigando" con un amico e ci permettiamo - conoscendoci - un linguaggio sopra le righe. Magari con minacce semiserie, del resto tra amici quando non si è d'accordo su qualcosa ci si lascia andare e non ci si pongono problemi (visto che ci si conosce si sa fino a dove ci si può spingere e poi comunque spiegarsi è più semplice).
Però può capitare che si usi lo stesso linguaggio litigando veramente con uno sconosciuto.
È sì lo stesso linguaggio. Ma non è per niente lo stesso registro, visto che io non so fino a dove posso spingermi ed è quindi molto probabile che io sia serio nelle mie minacce e offese (al di là del fatto che abbia una qualche seria intenzione di metterle in pratica).
E se qualcuno segnala i miei due tweet di minacce (quello all'amico e quello allo sconosciuto) i moderatori che leggeranno capiranno il linguaggio ma non il registro (non avranno neanche il tempo di porsi il problema del registro, vista la pressione temporale ai cui sono sottoposti) e quindi o bloccheranno un tweet innocuo o ne lasceranno passare uno pericoloso.
Come si possono risolvere questi problemi?
Il primo in realtà è molto semplice da risolvere: basta che tra le schermate che appaiono durante il processo di segnalazione la prima ti chieda a quale desk ti vuoi rivolgere (italiano, tedesco, inglese, ecc.). Sarebbe una funzione facilissima da programmare. E neanche costosa.
Il secondo tecnicamente sarebbe anche risolvibile: moderatori più preparati e con più tempo a disposizione, aiutati da algoritmi più sofisticati per una prima scrematura automatica. Ma sarebbe molto più costoso.
Il problema vero è comunque che entrambe le soluzioni imporrebbero una presa di responsabilità attiva da parte dei social networks. Con la situazione attuale invece possono nascondersi dietro i vuoti della politica (e di conseguenza della legge).
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Articolo leggermente ampliato il 17/01/2020.
giovedì 20 giugno 2019
I misteri del tedesco 17 - Sorelle, fratelli e malati
Un tweet di qualche tempo fa (24 marzo scorso) dello Spectator Index mi ha dato lo spunto per questo articolo.
Lo Spectator Index si chiedeva come si traducesse l'inglese nurse in altre lingue europee.
Intanto nurse da dove viene?
Attraverso diversi passaggi dal latino nutrix, che non serve che vi traduca, vero?
Nelle lingue neolatine si usa infermiera, derivante, come il corrispettivo maschile, da infermo (infirmière in francese, enfermera in spagnolo, enfermeira in portoghese).
Ma noi qui siamo interessati al tedesco.
E come si dice in tedesco?
In tedesco si dice Krankenschwester, che tradotto letteralmente significa sorella dei malati.
Può sembrare una definizione strana, ma in realtà l'origine è chiara e viene dai tempi in cui a occuparsi dei malati erano le religiose e i religiosi nei lazzaretti e... suora=sorella.
Fin qui tutto logico, anche se può sembrare anacronistico oggi il riferimento all'origine religiosa della professione (assente nelle altre lingue citate sopra).
La cosa strana viene quando passiamo al termine maschile per detta professione.
Nelle altre lingue tutto normale, si cambia genere (in inglese neanche quello) e via: (male) nurse, infermiere, infirmier, enfermero, enfermeiro.
Quindi uno potrebbe pensare (e quando col tedesco ero ancora un principiante lo pensai anch'io e feci una gaffe) che si faccia lo stesso in tedesco e si dica Krankenbruder (fratello dei malati... anche qui avrebbe origine religiosa: frate=fratello).
Sbagliato.
In tedesco infermiere si dice Krankenpfleger.
Pfleger da solo indica chiunque si prenda cura di malati, invalidi, anziani non necessariamente a livello infermieristico, Krankenpfleger come parola composta invece indica esattamente il nostro infermiere.
La cosa strana e che è difficile da spiegare è come Krankenbruder non si sia mai affermato, pur essendoci una lunga tradizione di frati e religiosi di sesso maschile nella cura dei malati e come altrettanto non si sia affermata nei tempi recenti Krankenpflegerin (Pflegerin è il femminile di Pfleger) per infermiera, pur essendo le suore sempre meno nella professione (anzi nella maggioranza degli ospedali sono oggi proprio assenti).
Nelle altre lingue germaniche (olandese, svedese, danese, norvegese) l'etimologia e l'ortografia sono parallele a quelle tedesche, ma non vi è questa asimmetria maschile-femminile, che rimane quindi esclusiva tipica (almeno in Europa occidentale) del tedesco.
Saluti,
Mauro.
Lo Spectator Index si chiedeva come si traducesse l'inglese nurse in altre lingue europee.
Intanto nurse da dove viene?
Attraverso diversi passaggi dal latino nutrix, che non serve che vi traduca, vero?
Nelle lingue neolatine si usa infermiera, derivante, come il corrispettivo maschile, da infermo (infirmière in francese, enfermera in spagnolo, enfermeira in portoghese).
Ma noi qui siamo interessati al tedesco.
E come si dice in tedesco?
In tedesco si dice Krankenschwester, che tradotto letteralmente significa sorella dei malati.
Può sembrare una definizione strana, ma in realtà l'origine è chiara e viene dai tempi in cui a occuparsi dei malati erano le religiose e i religiosi nei lazzaretti e... suora=sorella.
Fin qui tutto logico, anche se può sembrare anacronistico oggi il riferimento all'origine religiosa della professione (assente nelle altre lingue citate sopra).
La cosa strana viene quando passiamo al termine maschile per detta professione.
Nelle altre lingue tutto normale, si cambia genere (in inglese neanche quello) e via: (male) nurse, infermiere, infirmier, enfermero, enfermeiro.
Quindi uno potrebbe pensare (e quando col tedesco ero ancora un principiante lo pensai anch'io e feci una gaffe) che si faccia lo stesso in tedesco e si dica Krankenbruder (fratello dei malati... anche qui avrebbe origine religiosa: frate=fratello).
Sbagliato.
In tedesco infermiere si dice Krankenpfleger.
Pfleger da solo indica chiunque si prenda cura di malati, invalidi, anziani non necessariamente a livello infermieristico, Krankenpfleger come parola composta invece indica esattamente il nostro infermiere.
La cosa strana e che è difficile da spiegare è come Krankenbruder non si sia mai affermato, pur essendoci una lunga tradizione di frati e religiosi di sesso maschile nella cura dei malati e come altrettanto non si sia affermata nei tempi recenti Krankenpflegerin (Pflegerin è il femminile di Pfleger) per infermiera, pur essendo le suore sempre meno nella professione (anzi nella maggioranza degli ospedali sono oggi proprio assenti).
Nelle altre lingue germaniche (olandese, svedese, danese, norvegese) l'etimologia e l'ortografia sono parallele a quelle tedesche, ma non vi è questa asimmetria maschile-femminile, che rimane quindi esclusiva tipica (almeno in Europa occidentale) del tedesco.
Saluti,
Mauro.
martedì 18 giugno 2019
Un'appendice alla panoramica sulla giallistica tedesca contemporanea
Circa due settimane fa scrissi un articolo sulla giallistica tedesca contemporanea.
Oggi vorrei scrivere una piccola appendice a detto articolo.
Un autore degno di nota che colpevolmente non citai è Ferdinand von Schirach (sì, il cognome è giusto: è proprio il nipote di uno dei nazisti processati a Norimberga: Baldur von Schirach). Avvocato di professione, lo si può definire il rappresentante tedesco della letteratura legale, più che propriamente gialla. Nei suoi racconti e romanzi è essenziale risalire ai motivi, prima ancora che ai colpevoli.
I suoi primi libri (di racconti) sono tratti da suoi casi professionali mentre i successivi romanzi si liberano da questo legame.
Ci sono poi tre autori che sforano nel thriller e in parte addirittura nell'horror.
Il primo è Sebastian Fitzek, probabilmente anche quello di maggior successo di vendite (la critica si divide tra chi lo idolatra e chi lo distrugge).
I suoi thriller vengono definiti "psicothriller" e sotto un certo punto di vista possono ricordare i film di Dario Argento.
Il secondo (il mio preferito nel terzetto, evitate però i suoi due libri "vaticani") è Arno Strobel, stesso genere di Fitzek, ma un po' più soft, meno pericoloso per chi teme incubi notturni (meno pericoloso, non innocuo).
In particolare consiglio Der Trakt.
Il terzo, il meno chiaramente definibile dei tre come genere, è Veit Etzold. Anche lui può ricordare un po' il cinema di Dario Argento ma accompagnato alle atmosfere dello scrittore francese Jean-Christophe Grangé, pur con storie che si svolgono in abienti molto diversi.
E vorrei qui chiudere con un bonus, cioè un autore non tedesco, cioè lo scozzese Craig Russell (che scrive logicamente in inglese).
Russell è famoso per due personaggi: Lennox, che si muove tra i crimini di Glasgow, e (ed è per questo che lo cito qui) Jan Fabel, commissario che indaga ad Amburgo e le cui indagini hanno spesso a che fare con temi storici e mitologici (non per niente il personaggio ha studiato storia prima di entrare in polizia).
Particolarmente degno di nota The Valkyrie Song, ma tutta la sua produzione è decisamente consigliabile.
Saluti,
Mauro.
Oggi vorrei scrivere una piccola appendice a detto articolo.
Un autore degno di nota che colpevolmente non citai è Ferdinand von Schirach (sì, il cognome è giusto: è proprio il nipote di uno dei nazisti processati a Norimberga: Baldur von Schirach). Avvocato di professione, lo si può definire il rappresentante tedesco della letteratura legale, più che propriamente gialla. Nei suoi racconti e romanzi è essenziale risalire ai motivi, prima ancora che ai colpevoli.
I suoi primi libri (di racconti) sono tratti da suoi casi professionali mentre i successivi romanzi si liberano da questo legame.
Ci sono poi tre autori che sforano nel thriller e in parte addirittura nell'horror.
Il primo è Sebastian Fitzek, probabilmente anche quello di maggior successo di vendite (la critica si divide tra chi lo idolatra e chi lo distrugge).
I suoi thriller vengono definiti "psicothriller" e sotto un certo punto di vista possono ricordare i film di Dario Argento.
Il secondo (il mio preferito nel terzetto, evitate però i suoi due libri "vaticani") è Arno Strobel, stesso genere di Fitzek, ma un po' più soft, meno pericoloso per chi teme incubi notturni (meno pericoloso, non innocuo).
In particolare consiglio Der Trakt.
Il terzo, il meno chiaramente definibile dei tre come genere, è Veit Etzold. Anche lui può ricordare un po' il cinema di Dario Argento ma accompagnato alle atmosfere dello scrittore francese Jean-Christophe Grangé, pur con storie che si svolgono in abienti molto diversi.
E vorrei qui chiudere con un bonus, cioè un autore non tedesco, cioè lo scozzese Craig Russell (che scrive logicamente in inglese).
Russell è famoso per due personaggi: Lennox, che si muove tra i crimini di Glasgow, e (ed è per questo che lo cito qui) Jan Fabel, commissario che indaga ad Amburgo e le cui indagini hanno spesso a che fare con temi storici e mitologici (non per niente il personaggio ha studiato storia prima di entrare in polizia).
Particolarmente degno di nota The Valkyrie Song, ma tutta la sua produzione è decisamente consigliabile.
Saluti,
Mauro.
domenica 16 giugno 2019
Savona, Socrate e il debito
Tutti avrete sentito il casino riguardo alle parole di Savona nel suo primo discorso come presidente di Consob.
Prima di tutto, prima di venire ai punti che voglio trattare, per coloro che non hanno già sentito o letto il discorso, vi rinvio al testo completo, così potete ragionare su di esso con la vostra testa. E valutare obiettivamente i commenti che sentite in giro.
Partiamo dalle levate di scudi sulla "caverna di Socrate".
Siamo sicuri che coloro che si sono scandalizzati per aver sentito Socrate invece che Platone conoscano la filosofia?
Vero che il mito è noto come il mito della caverna di Platone, ma nel testo in cui Platone ne parla (il libro settimo de La Repubblica) il mito è narrato da Socrate. Platone mette il mito in bocca a Socrate.
E dato che Socrate è stato il maestro di Platone e che tutto ciò che sappiamo di lui è quanto riporta Platone (Socrate non ha lasciato nulla di scritto) è molto probabile che Platone il mito della caverna lo abbia veramente ascoltato da Socrate.
Se volete accertarvene leggetevi La Repubblica (quella di Platone, non quella di Scalfari). Il libro settimo comincia a pagina 86 della versione nel link.
Per concludere: Platone o Socrate... in questo caso vanno benissimo entrambi.
E veniamo ai contenuti economici, finaziari del discorso, cioè quelli al momento importanti.
Io ne esaminerò uno solo (che è prima matematica e solo dopo economia). Per un'analisi globale del discorso vi rimando a Michele Boldrin e alla sua banda che in questo video hanno fatto una disanima irriverente ma scientificamente accurata di quanto detto da Savona.
Torniamo a noi.
Il punto di cui vorrei parlare è il famoso debito al 200% del PIL che non sarebbe un dramma (lo trovate a pagina 10 del testo che vi ho messo in link all'inizio).
A parte il fatto che invece sarebbe eccome un dramma, il problema è quando - nel paragrafo successivo - Savona (o chi gli ha scritto il discorso) sostiene che l'importante è che il PIL cresca più del debito.
Il che in astratto può anche essere giusto... se non fosse che la crescita del PIL superiore alla crescita del debito impedirebbe all'Italia di arrivare al 200%.
Facciamo due conti.
Il debito italiano attualmente è al 132,1% del PIL.
Il che significa che posto il PIL a 100, il debito è 132,1.
Facciamo crescere il PIL - per esempio - di 3. Crescere più del debito significa che quest'ultimo al massimo cresce di 2,9 (mi limito sempre solo al primo decimale per semplicità). Abbiamo quindi il PIL a 103 e il debito a 135. Il che significa un rapporto debito/PIL di 135/103=131,1%.
Quindi il rapporto debito/PIL è sceso, anche se il debito assoluto è aumentato.
Continuando a far crescere il PIL più del debito in valori assoluti, il rapporto continuerà a scendere. Non potrà mai raggiungere il 200%.
Va detto che il testo di Savona è un po' ambiguo, lascia la porta socchiusa all'ipotesi che intendesse "facciamo finta di avere un debito al 200%"... ma (a parte il fatto che il buon senso leggendo il tutto esclude questa interpretazione) parlando di temi così importanti per l'economia del Paese è criminale rimanere ambigui. Soprattutto se ricopri una posizione delicata e importante come quella di presidente della Consob.
Saluti,
Mauro.
Prima di tutto, prima di venire ai punti che voglio trattare, per coloro che non hanno già sentito o letto il discorso, vi rinvio al testo completo, così potete ragionare su di esso con la vostra testa. E valutare obiettivamente i commenti che sentite in giro.
Partiamo dalle levate di scudi sulla "caverna di Socrate".
Siamo sicuri che coloro che si sono scandalizzati per aver sentito Socrate invece che Platone conoscano la filosofia?
Vero che il mito è noto come il mito della caverna di Platone, ma nel testo in cui Platone ne parla (il libro settimo de La Repubblica) il mito è narrato da Socrate. Platone mette il mito in bocca a Socrate.
E dato che Socrate è stato il maestro di Platone e che tutto ciò che sappiamo di lui è quanto riporta Platone (Socrate non ha lasciato nulla di scritto) è molto probabile che Platone il mito della caverna lo abbia veramente ascoltato da Socrate.
Se volete accertarvene leggetevi La Repubblica (quella di Platone, non quella di Scalfari). Il libro settimo comincia a pagina 86 della versione nel link.
Per concludere: Platone o Socrate... in questo caso vanno benissimo entrambi.
E veniamo ai contenuti economici, finaziari del discorso, cioè quelli al momento importanti.
Io ne esaminerò uno solo (che è prima matematica e solo dopo economia). Per un'analisi globale del discorso vi rimando a Michele Boldrin e alla sua banda che in questo video hanno fatto una disanima irriverente ma scientificamente accurata di quanto detto da Savona.
Torniamo a noi.
Il punto di cui vorrei parlare è il famoso debito al 200% del PIL che non sarebbe un dramma (lo trovate a pagina 10 del testo che vi ho messo in link all'inizio).
A parte il fatto che invece sarebbe eccome un dramma, il problema è quando - nel paragrafo successivo - Savona (o chi gli ha scritto il discorso) sostiene che l'importante è che il PIL cresca più del debito.
Il che in astratto può anche essere giusto... se non fosse che la crescita del PIL superiore alla crescita del debito impedirebbe all'Italia di arrivare al 200%.
Facciamo due conti.
Il debito italiano attualmente è al 132,1% del PIL.
Il che significa che posto il PIL a 100, il debito è 132,1.
Facciamo crescere il PIL - per esempio - di 3. Crescere più del debito significa che quest'ultimo al massimo cresce di 2,9 (mi limito sempre solo al primo decimale per semplicità). Abbiamo quindi il PIL a 103 e il debito a 135. Il che significa un rapporto debito/PIL di 135/103=131,1%.
Quindi il rapporto debito/PIL è sceso, anche se il debito assoluto è aumentato.
Continuando a far crescere il PIL più del debito in valori assoluti, il rapporto continuerà a scendere. Non potrà mai raggiungere il 200%.
Va detto che il testo di Savona è un po' ambiguo, lascia la porta socchiusa all'ipotesi che intendesse "facciamo finta di avere un debito al 200%"... ma (a parte il fatto che il buon senso leggendo il tutto esclude questa interpretazione) parlando di temi così importanti per l'economia del Paese è criminale rimanere ambigui. Soprattutto se ricopri una posizione delicata e importante come quella di presidente della Consob.
Saluti,
Mauro.
giovedì 13 giugno 2019
L'etica nell'arte contemporanea
Come su Twitter ho risposto a precisa domanda di Andrea Santangelo, storico astorico:
L'etica astratta del surrealismo materialista dell'opera artistica contemporanea classicamente intesa è solo un sottostrato neoromantico sovrapposto alla filosofia qualunquista della critica acritica di un'accademia ormai stanca e avulsa dai valori etici dell'amorale società.
Saluti,
Mauro.
L'etica astratta del surrealismo materialista dell'opera artistica contemporanea classicamente intesa è solo un sottostrato neoromantico sovrapposto alla filosofia qualunquista della critica acritica di un'accademia ormai stanca e avulsa dai valori etici dell'amorale società.
Saluti,
Mauro.
martedì 11 giugno 2019
L'occupazione dello spazio cittadino
Non esistono solo l'inquinamento atmosferico e quello acustico.
È giusto combatterli - entrambi, ma ovviamente soprattutto il primo - se vogliamo migliorare l'ambiente in cui viviamo e soprattutto se vogliamo lasciare un mondo vivibile alle prossime generazioni.
Ma c'è un altro inquinamento, anche se pochi lo chiamerebbero con questo termine, e contribuisce altrettanto a rendere le nostre città invivibili.
Io lo chiamo inquinamento "spaziale".
E no, non c'entrano astronauti e cosmonauti. C'entra lo spazio che abbiamo a disposizione nelle nostre città.
E questo spazio è sempre più occupato da veicoli di ogni tipo. Ce n'è sempre meno a disposizione per gli esseri viventi (umani e no).
E questo problema, questo inquinamento, non cambia se camion, auto e moto sono diesel o elettriche o qualsiasi altra cosa. Anzi, per quanto possa sembrare un paradosso, anche le biciclette contribuiscono.
Oltre alle politiche per ridurre le emissioni servono politiche per ridurre l'occupazione dello spazio cittadino da parte delle ruote a scapito dei piedi.
Prima che ci fraintendiamo: non voglio la sparizione dei mezzi di trasporto (di ogni tipo), voglio solo che se ne ripensi l'uso.
Uso in molti casi necessario (e allora lo difendo a spada tratta, che si tratti di camion, auto o biciclette).
In molti altri però no (e allora lo combatto, indipendentemente dal mezzo di trasporto usato).
E in particolare: sono per una crescita del trasporto pubblico (a prezzi ragionevoli, ma non sottocosto, visto che ciò spingerebbe a usarlo anche quando non serve e quindi lo gonfierebbe oltremisura).
Saluti,
Mauro.
È giusto combatterli - entrambi, ma ovviamente soprattutto il primo - se vogliamo migliorare l'ambiente in cui viviamo e soprattutto se vogliamo lasciare un mondo vivibile alle prossime generazioni.
Ma c'è un altro inquinamento, anche se pochi lo chiamerebbero con questo termine, e contribuisce altrettanto a rendere le nostre città invivibili.
Io lo chiamo inquinamento "spaziale".
E no, non c'entrano astronauti e cosmonauti. C'entra lo spazio che abbiamo a disposizione nelle nostre città.
E questo spazio è sempre più occupato da veicoli di ogni tipo. Ce n'è sempre meno a disposizione per gli esseri viventi (umani e no).
E questo problema, questo inquinamento, non cambia se camion, auto e moto sono diesel o elettriche o qualsiasi altra cosa. Anzi, per quanto possa sembrare un paradosso, anche le biciclette contribuiscono.
Oltre alle politiche per ridurre le emissioni servono politiche per ridurre l'occupazione dello spazio cittadino da parte delle ruote a scapito dei piedi.
Prima che ci fraintendiamo: non voglio la sparizione dei mezzi di trasporto (di ogni tipo), voglio solo che se ne ripensi l'uso.
Uso in molti casi necessario (e allora lo difendo a spada tratta, che si tratti di camion, auto o biciclette).
In molti altri però no (e allora lo combatto, indipendentemente dal mezzo di trasporto usato).
E in particolare: sono per una crescita del trasporto pubblico (a prezzi ragionevoli, ma non sottocosto, visto che ciò spingerebbe a usarlo anche quando non serve e quindi lo gonfierebbe oltremisura).
Saluti,
Mauro.
mercoledì 5 giugno 2019
Una panoramica sulla giallistica tedesca contemporanea
Qualche anno fa vi raccontai della mia passione per la letteratura gialla, in particolare nordica, dandovi qui qualche consiglio su cosa leggere dal profondo nord.
Negli ultimi giorni un dialogo su Twitter (grazie Rudi e Appia Landscapes) mi ha stimolato a preparare una serie di consigli riguardanti la letteratura gialla tedesca, che conosco anche bene (e che oltretutto posso godermi in lingua originale, il che non guasta).
Due premesse:
1) gli autori che citerò li ho letti in tedesco, quindi non posso garantire la qualità delle traduzioni se vorrete leggerli in italiano, ma solo quella degli originali;
2) vi segnalerò gli autori che a me sono piaciuti di più, che non necessariamente sono quelli più amati dalla critica o più venduti (alcuni lo sono, altri no).
E allora partiamo.
Il primo autore da leggere è Veit Heinichen, un tedesco "italiano".
"Italiano" in quanto vive da più di vent'anni a Trieste, dove ambienta (con "sforamenti" nel resto del Nord-Est e nell'Istria croato-slovena, più raramente in Austria o Germania) i suoi romanzi centrati sul personaggio di Proteo Laurenti.
Sono romanzi dove il giallo si accompagna più o meno esplicitamente a temi socio-politici legati all'Italia e all'Europa (e prima che lo chiedate: sì, è evidente che l'autore è pro-Europa).
Il mio preferito tra gli autori tedeschi contemporanei.
Poi non si può non citare il compianto Andreas Franz (mancato nel 2011), forse il più apprezzato e noto autore tedesco contemporaneo nel genere.
I suoi gialli sono ambientati principalmente nella zona Francoforte-Offenbach e sono tutto sommato di stampo classico, pur trattando di crimini "moderni".
Franz ha creato due serie, che talvolta si incrociano: quella basata su Julia Durant (personaggio volutamente antipatico, ma perfettamente adeguato all'ambiente) a Francoforte e quella basata su Peter Brandt a Offenbach.
La serie di Julia Durant è stata proseguita da Daniel Holbe dopo la morte di Franz, ma io i romanzi "apocrifi" (anche se approvati dagli eredi) non li ho letti, quindi non posso giudicarli.
(N.B.: Franz ha ambientato anche una serie gialla nel nord della Germania, ma non la conosco e comunque ha avuto meno successo di pubblico e di critica delle altre due).
E adesso scendiamo nel profondo sud, in Baviera. Per la precisione nell'Allgäu, dove Volker Klüpfel e Michael Kobr ambientano i loro romanzi scritti a quattro mani e incentrati su un personaggio ormai di culto: il commissario Kluftinger.
Kluftinger è un personaggio molto particolare. Provinciale, mischia tedesco e dialetto, vede tutto ciò che culturalmente viene da fuori come pericoloso... ma alla fine cede sempre (non nelle indagini, però) e si fa comunque amare.
Da segnalare anche Stephan Ludwig col suo commissario Claudius Zorn (Zorn in tedesco significa stizza, collera e il nome non è del tutto casuale).
È l'unico autore di un certo livello che ambienta i suoi gialli all'est (per la precisione a Erfurt) e questo si nota molto nelle atmosfere intorno ai protagonisti, la decadenza economica reale di parte dell'ex DDR è molto ben rappresentata.
E poi ci sono i romanzi storici di Cay Rademacher. Molti ambientati nell'antica Roma, ma quelli di cui vi voglio parlare sono tre romanzi scritti tra il 2011 e il 2013 e ambientati nell'Amburgo dell'immediato dopoguerra, ancora cumulo di macerie dovute ai bombardamenti alleati.
In questi romanzi l'ispettore Frank Stave indaga su diversi crimini (in parte basati su fatti storici reali, come una serie di omicidi nella realtà mai chiariti nel romanzo Der Trümmermörder, L'assassino delle macerie) con tutte le difficoltà dovute alla situazione drammatica e le limitazioni alla sua libertà d'azione dovute al fatto di dover rispondere anche alle forze di occupazione.
Vorrei poi citare due autori che non rientrano nella definizione classica di giallo, ma più che altro in quella di thriller, ma dove i confini tra i due generi sono abbastanza labili.
Il primo è Max Landorff (in realtà uno pseudonimo) col suo personaggio Der Regler (Il regolatore), un personaggio il cui lavoro consiste nel "regolare" i problemi altrui - di vario tipo, ma mai limpidi - senza lasciare tracce e, possibilmente, senza violenza.
Il secondo è Marc Elsberg (in realtà austriaco, non tedesco, ma noi non siamo schizzinosi, vero?), i cui romanzi trattano dei rischi legati al mondo attuale, tipo un blackout continentale doloso (descritto nel suo romanzo Blackout), problemi legati ai Big Data e alla protezione dei dati personali (Zero) o alla genetica (Helix). Autore veramente di altissimo livello.
Prima di lasciarvi, una nota: i romanzi di Heinichen e quelli di Klüpfel & Kobr sono anche esperienze culinarie, non solo letterarie e poliziesche.
Buona lettura e buon appetito.
Saluti,
Mauro.
Negli ultimi giorni un dialogo su Twitter (grazie Rudi e Appia Landscapes) mi ha stimolato a preparare una serie di consigli riguardanti la letteratura gialla tedesca, che conosco anche bene (e che oltretutto posso godermi in lingua originale, il che non guasta).
Due premesse:
1) gli autori che citerò li ho letti in tedesco, quindi non posso garantire la qualità delle traduzioni se vorrete leggerli in italiano, ma solo quella degli originali;
2) vi segnalerò gli autori che a me sono piaciuti di più, che non necessariamente sono quelli più amati dalla critica o più venduti (alcuni lo sono, altri no).
E allora partiamo.
Il primo autore da leggere è Veit Heinichen, un tedesco "italiano".
"Italiano" in quanto vive da più di vent'anni a Trieste, dove ambienta (con "sforamenti" nel resto del Nord-Est e nell'Istria croato-slovena, più raramente in Austria o Germania) i suoi romanzi centrati sul personaggio di Proteo Laurenti.
Sono romanzi dove il giallo si accompagna più o meno esplicitamente a temi socio-politici legati all'Italia e all'Europa (e prima che lo chiedate: sì, è evidente che l'autore è pro-Europa).
Il mio preferito tra gli autori tedeschi contemporanei.
Poi non si può non citare il compianto Andreas Franz (mancato nel 2011), forse il più apprezzato e noto autore tedesco contemporaneo nel genere.
I suoi gialli sono ambientati principalmente nella zona Francoforte-Offenbach e sono tutto sommato di stampo classico, pur trattando di crimini "moderni".
Franz ha creato due serie, che talvolta si incrociano: quella basata su Julia Durant (personaggio volutamente antipatico, ma perfettamente adeguato all'ambiente) a Francoforte e quella basata su Peter Brandt a Offenbach.
La serie di Julia Durant è stata proseguita da Daniel Holbe dopo la morte di Franz, ma io i romanzi "apocrifi" (anche se approvati dagli eredi) non li ho letti, quindi non posso giudicarli.
(N.B.: Franz ha ambientato anche una serie gialla nel nord della Germania, ma non la conosco e comunque ha avuto meno successo di pubblico e di critica delle altre due).
E adesso scendiamo nel profondo sud, in Baviera. Per la precisione nell'Allgäu, dove Volker Klüpfel e Michael Kobr ambientano i loro romanzi scritti a quattro mani e incentrati su un personaggio ormai di culto: il commissario Kluftinger.
Kluftinger è un personaggio molto particolare. Provinciale, mischia tedesco e dialetto, vede tutto ciò che culturalmente viene da fuori come pericoloso... ma alla fine cede sempre (non nelle indagini, però) e si fa comunque amare.
Da segnalare anche Stephan Ludwig col suo commissario Claudius Zorn (Zorn in tedesco significa stizza, collera e il nome non è del tutto casuale).
È l'unico autore di un certo livello che ambienta i suoi gialli all'est (per la precisione a Erfurt) e questo si nota molto nelle atmosfere intorno ai protagonisti, la decadenza economica reale di parte dell'ex DDR è molto ben rappresentata.
E poi ci sono i romanzi storici di Cay Rademacher. Molti ambientati nell'antica Roma, ma quelli di cui vi voglio parlare sono tre romanzi scritti tra il 2011 e il 2013 e ambientati nell'Amburgo dell'immediato dopoguerra, ancora cumulo di macerie dovute ai bombardamenti alleati.
In questi romanzi l'ispettore Frank Stave indaga su diversi crimini (in parte basati su fatti storici reali, come una serie di omicidi nella realtà mai chiariti nel romanzo Der Trümmermörder, L'assassino delle macerie) con tutte le difficoltà dovute alla situazione drammatica e le limitazioni alla sua libertà d'azione dovute al fatto di dover rispondere anche alle forze di occupazione.
Vorrei poi citare due autori che non rientrano nella definizione classica di giallo, ma più che altro in quella di thriller, ma dove i confini tra i due generi sono abbastanza labili.
Il primo è Max Landorff (in realtà uno pseudonimo) col suo personaggio Der Regler (Il regolatore), un personaggio il cui lavoro consiste nel "regolare" i problemi altrui - di vario tipo, ma mai limpidi - senza lasciare tracce e, possibilmente, senza violenza.
Il secondo è Marc Elsberg (in realtà austriaco, non tedesco, ma noi non siamo schizzinosi, vero?), i cui romanzi trattano dei rischi legati al mondo attuale, tipo un blackout continentale doloso (descritto nel suo romanzo Blackout), problemi legati ai Big Data e alla protezione dei dati personali (Zero) o alla genetica (Helix). Autore veramente di altissimo livello.
Prima di lasciarvi, una nota: i romanzi di Heinichen e quelli di Klüpfel & Kobr sono anche esperienze culinarie, non solo letterarie e poliziesche.
Buona lettura e buon appetito.
Saluti,
Mauro.
martedì 4 giugno 2019
Pesto alla tedesca - Il ritorno
Qualcuno di voi ricorderà quando, ormai più di 8 anni fa, vi raccontai che la Rewe - tedesca - produce un pesto alla genovese più fedele alla ricetta originale di quanto faccia la Barilla - italiana.
Oggi uscito dal lavoro sono andato al supermercato qui ad Auerbach a fare la spesa. Il supermercato è Edeka, una delle catene più importanti della Germania, come Rewe, ma comunque meno fornita di prodotti italiani rispetto alla concorrente Rewe.
E mi è venuta la curiosità di controllare nuovamente i pesti...
Ho guardato il Barilla...
Gli ingredienti sono sempre: Basilico, olio di semi di girasole, parmigiano, pecorino, aglio, sale, anacardi.
E il prezzo è 3,29 € per 190 g.
E poi ho guardato il prodotto di casa di Edeka (anzi del marchio economico di Edeka, "Gut und Günstig")...
Gli ingredienti sono, come da Rewe otto anni fa: Basilico, olio di oliva, parmigiano, pecorino, aglio, sale, pinoli.
E il prezzo è 1,19 € per 190 g.
A voi i commenti.
Saluti,
Mauro.
Oggi uscito dal lavoro sono andato al supermercato qui ad Auerbach a fare la spesa. Il supermercato è Edeka, una delle catene più importanti della Germania, come Rewe, ma comunque meno fornita di prodotti italiani rispetto alla concorrente Rewe.
E mi è venuta la curiosità di controllare nuovamente i pesti...
Ho guardato il Barilla...
E il prezzo è 3,29 € per 190 g.
E poi ho guardato il prodotto di casa di Edeka (anzi del marchio economico di Edeka, "Gut und Günstig")...
E il prezzo è 1,19 € per 190 g.
A voi i commenti.
Saluti,
Mauro.