Da quanto esiste la Terra? Da più di quattro miliardi di anni.
Da quanto esiste l'uomo? Da circa due milioni e mezzo di anni se ci riferiamo al genere Homo. Al massimo 300000 anni se ci riferiamo alla nostra specie, l'Homo sapiens.
Quindi noi siamo sulla Terra da molto poco tempo, facendo le proporzioni tra l'esistenza della Terra e la vita media di un essere umano è come se esistessimo da meno di un mese.
Ergo... quanto possiamo essere evoluti? Ben poco, per lo meno a livello psicologico.
E infatti i nostri istinti - che oggi cozzano contro la razionalità, ma un tempo erano garanzia di sopravvivenza - sono gli stessi di quelli dei cosiddetti uomini primitivi.
E uno di questi istinti è la paura, la diffidenza per il diverso.
E, dato che le parole sono importanti (come disse Claudio Magris: le parole sono fatti), ribadisco: paura, diffidenza. Non odio, non disprezzo.
Oggi, nel 2018, noi esseri umani abbiamo conquistato la razionalità, ma non abbiamo perso gli istinti primordiali.
Quindi è normale essere diffidenti verso chi ha cultura e aspetto diversi dai nostri. E sì, anche la paura è normale, non solo la diffidenza. Questo è l'istinto.
Però, come detto, oggi accanto all'istinto abbiamo conquistato la razionalità, quindi sappiamo che questa paura, questa diffidenza sono oggi ingiustificate, assurde.
Però continuiamo a fare autoreti bollando chi ha queste paure come razzista nel peggiore dei casi, come ignorante nel migliore. No, non è né razzista né ignorante. È solo una persona in cui gli istinti prevalgono sulla razionalità.
E bollandolo come razzista e/o ignorante lo facciamo diventare quello che non è: un vero razzista. Perché condannandolo e sbeffeggiandolo, invece che aiutandolo a capire, trasformiamo la sua diffidenza, la sua paura verso il diverso (che ribadisco: sono cose naturali, non sono colpe) in disprezzo, in odio verso il diverso. Cioè in razzismo.
Fermiamoci.
E ripensiamo alle nostre strategie. Non partiamo dalla presunzione di essere migliori. Anche questo in fondo è una forma di razzismo.
Saluti,
Mauro.
Ogni tanto (anzi spesso) mi vengono in mente interpretazioni di avvenimenti e fatti oppure giudizi su persone ed eventi che non si possono certo definire conformisti. O magari semplicemente idee e pensieri personali, indipendenti. Alcune di queste idee saranno giuste e condivisibili, altre no, ma sono orgoglioso che non siano conformi. I commenti anonimi non sono graditi, essi verranno cancellati a meno che non portino contributi concreti e seri. Buona lettura a tutti.
domenica 29 luglio 2018
sabato 28 luglio 2018
Non c'è speranza
Nelle scorse settimane sono stato in Italia.
Mia mamma non è grillina, ha votato PD. Però ammira Di Maio. Non per le idee dello stesso, bensì perché "ci ha saputo fare, infatti a poco più di 30 anni è ministro". Parole sue.
Fino a che in Italia si ragionerà così non c'è speranza.
Saluti,
Mauro
Mia mamma non è grillina, ha votato PD. Però ammira Di Maio. Non per le idee dello stesso, bensì perché "ci ha saputo fare, infatti a poco più di 30 anni è ministro". Parole sue.
Fino a che in Italia si ragionerà così non c'è speranza.
Saluti,
Mauro
venerdì 27 luglio 2018
Un ottimo maestro
Io considero da molto tempo Indro Montanelli sopravvalutato (eufemismo) e falso come giornalista e come storico.
Però all'inizio non lo ho smascherato per i suoi articoli. Anzi come giornalista riusciva a ingannare bene.
Ma almeno dopo aver letto un paio di volumi della sua Storia d'Italia la sua vera natura non poteva che essere chiara: una persona che piega i fatti alle proprie opinioni. Anzi, no, neanche opinioni: convenienze politiche.
E oggi una schiera di giornalisti presenta come medaglia l'essere stati suoi allievi o sottoposti.
Ma se guardiamo chi sono i giornalisti che hanno imparato il mestiere da Montanelli allora tutto quadra: "giornalisti" esperti nella disinformazione e nella creazione di fake news.
Quindi, se tanto mi dà tanto, come giudicare il "maestro"?
Proviamo a fare l'elenco di alcuni dei suoi allievi (mi limito ai più prominenti, la lista completa sarebbe molto, anzi moltissimo, più lunga), già i nomi da soli chiariranno cosa ha saputo insegnare Montanelli.
- Marco Travaglio
- Marcello Foa
- Peter Gomez
- Beppe Severgnini
- Tiziana Abate
- Piercamillo Davigo (chiamato come commentatore a La Voce)
E non dimentichiamo la sua opposizione alla giornalista Tina Merlin sulla tragedia del Vajont, da lui derubricata a inevitabile tragedia della natura.
Oltre a ciò riuscì a definire Camilla Cederna "radical chic". La Cederna, non so se mi spiego, che non aveva nulla né di radicale né di chic.
Riuscì anche, tra le altre sue cazzate, a difendere Erich Priebke e Slobodan Milošević.
Serve aggiungere altro?
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Per gli analfabeti funzionali: il titolo dell'articolo è, ovviamente, ironico.
P.S.2:
Sulla legge Merlin però Montanelli, eccezionalmente, aveva ragione quando scrisse: In Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.
Però all'inizio non lo ho smascherato per i suoi articoli. Anzi come giornalista riusciva a ingannare bene.
Ma almeno dopo aver letto un paio di volumi della sua Storia d'Italia la sua vera natura non poteva che essere chiara: una persona che piega i fatti alle proprie opinioni. Anzi, no, neanche opinioni: convenienze politiche.
E oggi una schiera di giornalisti presenta come medaglia l'essere stati suoi allievi o sottoposti.
Ma se guardiamo chi sono i giornalisti che hanno imparato il mestiere da Montanelli allora tutto quadra: "giornalisti" esperti nella disinformazione e nella creazione di fake news.
Quindi, se tanto mi dà tanto, come giudicare il "maestro"?
Proviamo a fare l'elenco di alcuni dei suoi allievi (mi limito ai più prominenti, la lista completa sarebbe molto, anzi moltissimo, più lunga), già i nomi da soli chiariranno cosa ha saputo insegnare Montanelli.
- Marco Travaglio
- Marcello Foa
- Peter Gomez
- Beppe Severgnini
- Tiziana Abate
- Piercamillo Davigo (chiamato come commentatore a La Voce)
E non dimentichiamo la sua opposizione alla giornalista Tina Merlin sulla tragedia del Vajont, da lui derubricata a inevitabile tragedia della natura.
Oltre a ciò riuscì a definire Camilla Cederna "radical chic". La Cederna, non so se mi spiego, che non aveva nulla né di radicale né di chic.
Riuscì anche, tra le altre sue cazzate, a difendere Erich Priebke e Slobodan Milošević.
Serve aggiungere altro?
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Per gli analfabeti funzionali: il titolo dell'articolo è, ovviamente, ironico.
P.S.2:
Sulla legge Merlin però Montanelli, eccezionalmente, aveva ragione quando scrisse: In Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia.
La nascita di una coscienza civica e politica
Nella primavera del 1978 venne prima rapito e poi ucciso Aldo Moro.
E io stavo finendo la quarta elementare.
A casa mia da sempre la trasmissione TV più seguita è il telegiornale. E allora anche più di oggi.
A quei tempi a scuola si studiava ancora una materia chiamata Educazione Civica (roba strana a sentirla oggi).
Quindi anche da bambino sapevo cosa era la politica, cosa erano partiti, istituzioni, eccetera, eccetera.
Però il rapimento di Moro, il 16 marzo 1978, segnò per me una cesura nella mia formazione.
Quel giorno nacque una coscienza civica e politica, la mia coscienza civica e politica.
Perché da quel giorno cominciai attivamente a fare (a mio padre dapprima e ai vari insegnanti poi) e a farmi domande sulla politica, sulla società. Sulla polis e sulla civis in senso lato.
Da quel giorno cominciai a chiedere e a chiedermi i perché delle scelte politiche e come si formavano e si attuavano.
Il rapimento (e poi l'uccisione) di Aldo Moro non mi ha certo detto quali fossero le idee giuste e quale partito votare una volta maggiorenne, ma mi ha detto che la politica ci riguarda tutti, non è qualcosa di estraneo a noi.
Che la politica siamo noi.
E non dimentichiamoci mai che l'uccisione di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta ha ucciso anche una politica fatta di dialogo e di responsabilità condivise che Moro ed Enrico Berlinguer stavano costruendo e che forse, anzi probabilmente, ci avrebbe portato un'Italia migliore.
Saluti,
Mauro.
E io stavo finendo la quarta elementare.
A casa mia da sempre la trasmissione TV più seguita è il telegiornale. E allora anche più di oggi.
A quei tempi a scuola si studiava ancora una materia chiamata Educazione Civica (roba strana a sentirla oggi).
Quindi anche da bambino sapevo cosa era la politica, cosa erano partiti, istituzioni, eccetera, eccetera.
Però il rapimento di Moro, il 16 marzo 1978, segnò per me una cesura nella mia formazione.
Quel giorno nacque una coscienza civica e politica, la mia coscienza civica e politica.
Perché da quel giorno cominciai attivamente a fare (a mio padre dapprima e ai vari insegnanti poi) e a farmi domande sulla politica, sulla società. Sulla polis e sulla civis in senso lato.
Da quel giorno cominciai a chiedere e a chiedermi i perché delle scelte politiche e come si formavano e si attuavano.
Il rapimento (e poi l'uccisione) di Aldo Moro non mi ha certo detto quali fossero le idee giuste e quale partito votare una volta maggiorenne, ma mi ha detto che la politica ci riguarda tutti, non è qualcosa di estraneo a noi.
Che la politica siamo noi.
E non dimentichiamoci mai che l'uccisione di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta ha ucciso anche una politica fatta di dialogo e di responsabilità condivise che Moro ed Enrico Berlinguer stavano costruendo e che forse, anzi probabilmente, ci avrebbe portato un'Italia migliore.
Saluti,
Mauro.
giovedì 26 luglio 2018
Adulti e vaccinati
Un tempo esisteva il modo di dire "essere adulti e vaccinati".
Questo modo di dire era usato per far capire di essere grandi, maturi, di aver già esperienza della vita. L'espressione nasceva dal fatto che tutti i vaccini venivano fatti in età infantile o al massimo adolescenziale e che quindi un adulto che non avesse fatto tutti i vaccini in fondo da quell'età infantile/adolescenziale non era veramente uscito.
Negli ultimi anni questa espressione si sente sempre meno e il mio sospetto è che la cosa succeda non perché la lingua cambia e con essa i modi di dire, bensì perché gli adulti (adulti sulla carta) che possano dire di essere maturi nel senso di cui sopra sono sempre meno.
Infatti si incontra sempre meno gente che abbia vera esperienza della vita (nonostante tutte le "lauree alla scuola della vita" prese su Facebook & co.) e soprattutto sempre meno gente che abbia intelligenza sufficiente per riconoscerlo.
E la copertura vaccinale cala...
Saluti,
Mauro.
Questo modo di dire era usato per far capire di essere grandi, maturi, di aver già esperienza della vita. L'espressione nasceva dal fatto che tutti i vaccini venivano fatti in età infantile o al massimo adolescenziale e che quindi un adulto che non avesse fatto tutti i vaccini in fondo da quell'età infantile/adolescenziale non era veramente uscito.
Negli ultimi anni questa espressione si sente sempre meno e il mio sospetto è che la cosa succeda non perché la lingua cambia e con essa i modi di dire, bensì perché gli adulti (adulti sulla carta) che possano dire di essere maturi nel senso di cui sopra sono sempre meno.
Infatti si incontra sempre meno gente che abbia vera esperienza della vita (nonostante tutte le "lauree alla scuola della vita" prese su Facebook & co.) e soprattutto sempre meno gente che abbia intelligenza sufficiente per riconoscerlo.
E la copertura vaccinale cala...
Saluti,
Mauro.
martedì 24 luglio 2018
Diritto di voto molto storto
In Italia, come oggigiorno in tutte le democrazie compiute, vige il suffragio universale.
Ciò significa che chiunque abbia raggiunto la maggiore età (o un'altra età costituzionalmente definita e valida per tutti) ha diritto di esprimere il suo voto per eleggere le assemblee rappresentative nazionali e locali.
L'unica eccezione prevista è per chi ha commesso particolari gravi reati contro lo Stato, a cui possono essere tolti temporaneamente o definitivamente i diritti civili.
Fin qui tutto chiaro, almeno per chi è un minimo (ma proprio minimo) informato e (ma ancor più minimo) intelligente.
E, almeno in teoria, apparentemente tutto molto bello e molto giusto.
Il problema comincia quando tu, caprone, vai a votare perché sai che ne hai il diritto (e magari lo sai solo perché un imbonitore te lo ha urlato da un blog tra un vaffa e l'altro, non perché conosci i tuoi diritti e i tuoi doveri), ma non hai la minima idea di per cosa voti (e non intendo per quale partito, qui dei singoli partiti non me ne frega nulla), non sai come funzioni il sistema che ti permette di votare, non hai la minima idea di cosa siano le istituzioni, ecc., ecc.
Insomma, hai il diritto di voto, ma invece che diritto lo fai storto. Molto storto.
E infatti poi mi vieni a dire che è una vergogna che abbiamo governi non eletti, che tu non hai votato Mattarella e via di cazzate una più grossa dell'altra.
A te la legge concede il diritto di voto. E questo dimostra che non sempre le leggi sono fatte bene.
Io personalmente condizionerei il diritto di voto a un esame. A un semplice esame di educazione civica: devi dimostrare di sapere per cosa voti e come funziona (almeno in linea di massima) ciò per cui sei chiamato a votare.
Non chiedo un test di intelligenza, neanche uno di semplice alfabetizzazione.
No, solo due domandine (anche orali, se sei analfabeta o analfabeta funzionale o grillino, non pretendo che tu impari a leggere e scrivere solo per votare) in cui dimostri di sapere se voti per il Parlamento, per il governo, per l'assemblea di condominio o per il miglior pescivendolo del mercato e di avere almeno una vaga idea di cosa fa poi l'istituzione per cui hai votato.
Saluti,
Mauro.
Ciò significa che chiunque abbia raggiunto la maggiore età (o un'altra età costituzionalmente definita e valida per tutti) ha diritto di esprimere il suo voto per eleggere le assemblee rappresentative nazionali e locali.
L'unica eccezione prevista è per chi ha commesso particolari gravi reati contro lo Stato, a cui possono essere tolti temporaneamente o definitivamente i diritti civili.
Fin qui tutto chiaro, almeno per chi è un minimo (ma proprio minimo) informato e (ma ancor più minimo) intelligente.
E, almeno in teoria, apparentemente tutto molto bello e molto giusto.
Il problema comincia quando tu, caprone, vai a votare perché sai che ne hai il diritto (e magari lo sai solo perché un imbonitore te lo ha urlato da un blog tra un vaffa e l'altro, non perché conosci i tuoi diritti e i tuoi doveri), ma non hai la minima idea di per cosa voti (e non intendo per quale partito, qui dei singoli partiti non me ne frega nulla), non sai come funzioni il sistema che ti permette di votare, non hai la minima idea di cosa siano le istituzioni, ecc., ecc.
Insomma, hai il diritto di voto, ma invece che diritto lo fai storto. Molto storto.
E infatti poi mi vieni a dire che è una vergogna che abbiamo governi non eletti, che tu non hai votato Mattarella e via di cazzate una più grossa dell'altra.
A te la legge concede il diritto di voto. E questo dimostra che non sempre le leggi sono fatte bene.
Io personalmente condizionerei il diritto di voto a un esame. A un semplice esame di educazione civica: devi dimostrare di sapere per cosa voti e come funziona (almeno in linea di massima) ciò per cui sei chiamato a votare.
Non chiedo un test di intelligenza, neanche uno di semplice alfabetizzazione.
No, solo due domandine (anche orali, se sei analfabeta o analfabeta funzionale o grillino, non pretendo che tu impari a leggere e scrivere solo per votare) in cui dimostri di sapere se voti per il Parlamento, per il governo, per l'assemblea di condominio o per il miglior pescivendolo del mercato e di avere almeno una vaga idea di cosa fa poi l'istituzione per cui hai votato.
Saluti,
Mauro.
lunedì 23 luglio 2018
È il tuo presidente
È il tuo presidente. Della Repubblica o del Consiglio, a seconda dei casi, ma è il tuo presidente.
Che ti piaccia o no. Che tu lo abbia votato o no.
A meno che tu non abbia le prove che sia stata un'elezione illegale (o almeno indizi tali da poterti permettere di affermare la cosa senza rischio di essere denunciato per diffamazione).
Ciò vale per ogni paese che abbia presidenti e libere elezioni.
È il tuo presidente.
Spesso abbiamo visto dichiarazioni del tipo "Non è il mio presidente".
Per esempio, da quando Trump è stato eletto si stanno moltiplicando le dichiarazioni di cittadini statunitensi più o meno prominenti che dichiarano "He's not my/our president!".
Prima era già successo con Bush jr.
E in Francia con Sarkozy.
E in Italia con Berlusconi (con gli italiani che comunque facevano una bella confusione tra Presidente della Repubblica e del Consiglio).
E altrove o in altri momenti storici con altri, anche se non in maniera così rumorosa come con questi quattro.
E invece no.
È il vostro (nostro) presidente.
Lo è perché eletto legalmente. Lo è perché le sue decisioni riguardano tutti voi (noi). Lo è perché all'estero rappresenta tutti voi (noi).
Poi può essere un pessimo presidente (e i quattro di cui sopra, chi più chi meno, lo sono o sono stati) e non piacerti. Tuo diritto (anzi dovere, se è un pessimo presidente).
Puoi (o devi) contestarlo e, se ne hai la possibilità politica, fare opposizione quando fa cazzate o comunque errori.
Puoi (o devi) pretenderne la messa in stato di accusa se va oltre i suoi compiti e/o contro la Costituzione.
Ma fino a che è in carica è il tuo presidente.
Che ti piaccia o no. Che tu lo abbia votato o no.
Saluti,
Mauro.
Che ti piaccia o no. Che tu lo abbia votato o no.
A meno che tu non abbia le prove che sia stata un'elezione illegale (o almeno indizi tali da poterti permettere di affermare la cosa senza rischio di essere denunciato per diffamazione).
Ciò vale per ogni paese che abbia presidenti e libere elezioni.
È il tuo presidente.
Spesso abbiamo visto dichiarazioni del tipo "Non è il mio presidente".
Per esempio, da quando Trump è stato eletto si stanno moltiplicando le dichiarazioni di cittadini statunitensi più o meno prominenti che dichiarano "He's not my/our president!".
Prima era già successo con Bush jr.
E in Francia con Sarkozy.
E in Italia con Berlusconi (con gli italiani che comunque facevano una bella confusione tra Presidente della Repubblica e del Consiglio).
E altrove o in altri momenti storici con altri, anche se non in maniera così rumorosa come con questi quattro.
E invece no.
È il vostro (nostro) presidente.
Lo è perché eletto legalmente. Lo è perché le sue decisioni riguardano tutti voi (noi). Lo è perché all'estero rappresenta tutti voi (noi).
Poi può essere un pessimo presidente (e i quattro di cui sopra, chi più chi meno, lo sono o sono stati) e non piacerti. Tuo diritto (anzi dovere, se è un pessimo presidente).
Puoi (o devi) contestarlo e, se ne hai la possibilità politica, fare opposizione quando fa cazzate o comunque errori.
Puoi (o devi) pretenderne la messa in stato di accusa se va oltre i suoi compiti e/o contro la Costituzione.
Ma fino a che è in carica è il tuo presidente.
Che ti piaccia o no. Che tu lo abbia votato o no.
Saluti,
Mauro.
sabato 21 luglio 2018
Una breccia nel mattone
Stasera sono andato al concerto di una cover band (i D.O.C. alias Direzione Ostinata e Contraria... e se non capite il riferimento, peste vi colga).
Questo gruppo riprende soprattutto la musica d'autore, ma non solo.
Oggi per esempio sono spuntati anche i Pink Floyd.
E quando il pubblico ha cominciato a fare da coro ho sentito un po' di persone fare un errore che non sentivo più ormai da anni, anzi da decenni, ma che era abbastanza diffuso appena The Wall era uscito... e così stasera di nuovo Another Brick in the Wall per certuni è diventata Another Break in the Wall...
Ma è possibile che dopo quasi quarant'anni non abbiate ancora capito che di fatto state ribaltando il significato della canzone? 😲
Saluti,
Mauro.
Questo gruppo riprende soprattutto la musica d'autore, ma non solo.
Oggi per esempio sono spuntati anche i Pink Floyd.
E quando il pubblico ha cominciato a fare da coro ho sentito un po' di persone fare un errore che non sentivo più ormai da anni, anzi da decenni, ma che era abbastanza diffuso appena The Wall era uscito... e così stasera di nuovo Another Brick in the Wall per certuni è diventata Another Break in the Wall...
Ma è possibile che dopo quasi quarant'anni non abbiate ancora capito che di fatto state ribaltando il significato della canzone? 😲
Saluti,
Mauro.
Soldi buttati via
Un'installazione da perdere.
No, non ho dimenticato un "non".
Io sono un amante di Vincent Van Gogh (ok, dell'arte in generale, ma di Van Gogh in particolare).
Ho visitato più volte il museo a lui dedicato ad Amsterdam, non perdo l'occasione di visitare mostre su di lui e suoi contemporanei in giro per l'Europa, nel 1990 organizzai un viaggio nei Paesi Bassi per vedere le mostre organizzate ad Amsterdam e Otterlo per il centenario della morte, ecc., ecc.
Così ieri ho approfittato delle ferie a Genova per andare a vedere la mostra, anzi l'installazione, "Van Gogh Alive - The experience".
Sapevo che non c'erano opere originali, certo, ma da come era stata presentata credevo in un'immersione 3D, con molto materiale informativo (non che Van Gogh io lo conosca poco, ma magari qualcosa di nuovo o un modo nuovo di vedere cose note lo si può sempre scoprire).
E invece?
E invece una delusione totale. In pratica una proiezione di diapositive fatta con computer e beamer invece che con le diapositive d'antan.
E per di più piccola, male organizzata, con quattro frasette banali di e su Van Gogh (non che lui in vita sia stato un fine intellettuale, ma nelle sue lettere al fratello si trovano cose molto più interessanti che quattro banalità da biscotti della fortuna... o meglio sfortuna, vista la sfiga da lui avuta in vita).
Multimediale? Beh, se la musica di sottofondo ad accompagnare le immagini vale, allora sì, multimediale almeno la era.
E comunque ingiustificatamente cara.
Non andateci, non visitatela (né da genovesi, né da turisti e neanche quando si trasferirà in altre città).
Soldi buttati via.
Saluti,
Mauro.
No, non ho dimenticato un "non".
Io sono un amante di Vincent Van Gogh (ok, dell'arte in generale, ma di Van Gogh in particolare).
Ho visitato più volte il museo a lui dedicato ad Amsterdam, non perdo l'occasione di visitare mostre su di lui e suoi contemporanei in giro per l'Europa, nel 1990 organizzai un viaggio nei Paesi Bassi per vedere le mostre organizzate ad Amsterdam e Otterlo per il centenario della morte, ecc., ecc.
Così ieri ho approfittato delle ferie a Genova per andare a vedere la mostra, anzi l'installazione, "Van Gogh Alive - The experience".
Sapevo che non c'erano opere originali, certo, ma da come era stata presentata credevo in un'immersione 3D, con molto materiale informativo (non che Van Gogh io lo conosca poco, ma magari qualcosa di nuovo o un modo nuovo di vedere cose note lo si può sempre scoprire).
E invece?
E invece una delusione totale. In pratica una proiezione di diapositive fatta con computer e beamer invece che con le diapositive d'antan.
E per di più piccola, male organizzata, con quattro frasette banali di e su Van Gogh (non che lui in vita sia stato un fine intellettuale, ma nelle sue lettere al fratello si trovano cose molto più interessanti che quattro banalità da biscotti della fortuna... o meglio sfortuna, vista la sfiga da lui avuta in vita).
Multimediale? Beh, se la musica di sottofondo ad accompagnare le immagini vale, allora sì, multimediale almeno la era.
E comunque ingiustificatamente cara.
Non andateci, non visitatela (né da genovesi, né da turisti e neanche quando si trasferirà in altre città).
Soldi buttati via.
Saluti,
Mauro.
venerdì 20 luglio 2018
La legge percepita
A ogni nuova sentenza di qualche tribunale su temi sensibili si scatena in rete (e non solo) la polemica su questi giudici che disattendono la legge o si ergono al di sopra di essa.
Come quei giudici, per esempio, che decidono che in caso di stupro se la vittima è ubriaca lo stupratore ha diritto a uno sconto di pena (decisione mai presa dai giudici, vedasi qui, ma ormai quella è la lettura che è passata e che viene ripetuta a pappagallo).
Ora voi mi direte, beh, i lettori profani hanno capito male la sentenza, c'è chi gliela ha spiegata e ora a parte quattro caproni analfabeti la gente ha capito.
Magari! Ingenui che siete.
A parte il fatto che molta gente preferisce credere alle bufale che alla realtà (nel caso in questione alla concessione di attenuanti, mai concesse, e non al solo cancellamento di un'aggravante precedentemente inflitta), il problema qui è molto più serio: molta gente si è formata in testa una propria idea di legge, di diritto, e pretende che i giudici sentenzino in base a questa, non in base a quella dei codici penale e civile del Paese (ehi, non capita solo in Italia, ma ultimamente in Italia un po' troppo spesso).
Nel caso particolare citato, quando alla gente è stata spiegata la sentenza, questa ha sbraitato ancora di più contro i giudici, scandalizzandosi del fatto che l'ubriachezza della vittima non fosse stata considerata un'aggravante (e molti continuando a sostenere che i giudici avevano deciso che detta ubriachezza giustificasse uno sconto di pena, sconto di pena che non c'è mai stato!).
Però, no, cari miei, l'ubriachezza in sé non è aggravante. Diventa aggravante se è indotta allo scopo di stuprare, non se la vittima si è ubriacata spontaneamente.
E no, l'ubriachezza non è stato un fattore minimizzante la pena nella decisione dei giudici, anzi è stata dai giudici stessi di fatto usata come prova per lo stupro visto che hanno sentenziato che se una persona ubriaca dà consenso al sesso, questo consenso non vale in quanto la persona non è padrona di sé (ergo i giudici si sono schierati senza riserve dalla parte della vittima, oltre che della legge, senza applicare nessun cavillo come voleva la difesa).
Eppure le proteste contro i giudici criminali che difendono gli stupratori non bastonandoli con l'aggravante sono continuate. Vergogna! Scandalo! Indignanzione! Giudici al rogo!
E casi simili si verificano continuamente quando, come scritto all'inizio, i giudici sentenziano su temi sensibili (stupro, legittima difesa, migranti, omicidi di genere e simili). Da ogni parte politica e da ogni fascia della società.
Ormai siamo alla legge percepita.
I giudici non devono decidere in base alle vere leggi del Paese, ma in base a quello che io credo (o, peggio, voglio) che dicano le leggi.
No, signori miei, non funziona così. La legge è quella che sta scritta nei codici e che viene votata dal Parlamento, non quella che la vostra morale (o più spesso le vostre fisime) vorrebbe.
Esistono leggi sbagliate? Sì, è purtroppo naturale che in un corpus legislativo vasto e complesso ci sia anche qualche legge sbagliata (o giusta di principio, ma assurda di logica). Capita in ogni Paese.
Ma, a meno che questa legge non sia anche anticostituzionale, il giudice la deve applicare (e se è anticostituzionale rinviarla alla Corte Costituzionale, non decidere in proprio di andarci contro). Punto.
Poi sarà giusto adoperarsi perché il Parlamento torni a discutere quella legge per riscriverla o cancellarla. Ma questo è un altro punto. E comunque non autorizza a confondere la propria morale con la legge.
La legge percepita tenetevela per i vostri romanzi, se ne scrivete.
Nella realtà esiste la legge scritta e codificata. Non quella percepita.
Saluti,
Mauro.
Come quei giudici, per esempio, che decidono che in caso di stupro se la vittima è ubriaca lo stupratore ha diritto a uno sconto di pena (decisione mai presa dai giudici, vedasi qui, ma ormai quella è la lettura che è passata e che viene ripetuta a pappagallo).
Ora voi mi direte, beh, i lettori profani hanno capito male la sentenza, c'è chi gliela ha spiegata e ora a parte quattro caproni analfabeti la gente ha capito.
Magari! Ingenui che siete.
A parte il fatto che molta gente preferisce credere alle bufale che alla realtà (nel caso in questione alla concessione di attenuanti, mai concesse, e non al solo cancellamento di un'aggravante precedentemente inflitta), il problema qui è molto più serio: molta gente si è formata in testa una propria idea di legge, di diritto, e pretende che i giudici sentenzino in base a questa, non in base a quella dei codici penale e civile del Paese (ehi, non capita solo in Italia, ma ultimamente in Italia un po' troppo spesso).
Nel caso particolare citato, quando alla gente è stata spiegata la sentenza, questa ha sbraitato ancora di più contro i giudici, scandalizzandosi del fatto che l'ubriachezza della vittima non fosse stata considerata un'aggravante (e molti continuando a sostenere che i giudici avevano deciso che detta ubriachezza giustificasse uno sconto di pena, sconto di pena che non c'è mai stato!).
Però, no, cari miei, l'ubriachezza in sé non è aggravante. Diventa aggravante se è indotta allo scopo di stuprare, non se la vittima si è ubriacata spontaneamente.
E no, l'ubriachezza non è stato un fattore minimizzante la pena nella decisione dei giudici, anzi è stata dai giudici stessi di fatto usata come prova per lo stupro visto che hanno sentenziato che se una persona ubriaca dà consenso al sesso, questo consenso non vale in quanto la persona non è padrona di sé (ergo i giudici si sono schierati senza riserve dalla parte della vittima, oltre che della legge, senza applicare nessun cavillo come voleva la difesa).
Eppure le proteste contro i giudici criminali che difendono gli stupratori non bastonandoli con l'aggravante sono continuate. Vergogna! Scandalo! Indignanzione! Giudici al rogo!
E casi simili si verificano continuamente quando, come scritto all'inizio, i giudici sentenziano su temi sensibili (stupro, legittima difesa, migranti, omicidi di genere e simili). Da ogni parte politica e da ogni fascia della società.
Ormai siamo alla legge percepita.
I giudici non devono decidere in base alle vere leggi del Paese, ma in base a quello che io credo (o, peggio, voglio) che dicano le leggi.
No, signori miei, non funziona così. La legge è quella che sta scritta nei codici e che viene votata dal Parlamento, non quella che la vostra morale (o più spesso le vostre fisime) vorrebbe.
Esistono leggi sbagliate? Sì, è purtroppo naturale che in un corpus legislativo vasto e complesso ci sia anche qualche legge sbagliata (o giusta di principio, ma assurda di logica). Capita in ogni Paese.
Ma, a meno che questa legge non sia anche anticostituzionale, il giudice la deve applicare (e se è anticostituzionale rinviarla alla Corte Costituzionale, non decidere in proprio di andarci contro). Punto.
Poi sarà giusto adoperarsi perché il Parlamento torni a discutere quella legge per riscriverla o cancellarla. Ma questo è un altro punto. E comunque non autorizza a confondere la propria morale con la legge.
La legge percepita tenetevela per i vostri romanzi, se ne scrivete.
Nella realtà esiste la legge scritta e codificata. Non quella percepita.
Saluti,
Mauro.
giovedì 19 luglio 2018
L'amica di Di Maio
Ieri avete letto tutti di Assunta "Assia" Montanino, attivista campana del M5S assunta da Di Maio al MISE come sua segretaria particolare, non serve che vi dia nessun collegamento.
E tutti di sicuro avrete letto commenti indignati del tipo "anche loro sono come gli altri!", soprattutto da parte dei contestatori (in particolare PD), oppure giustificanti "e gli altri allora cosa facevano?", soprattutto da parte dei governativi (in particolare M5S).
Ecco, io vorrei chiedere a entrambi gli schieramenti: ma voi sapete come Calenda (e tutti i suoi predecessori) aveva scelto la persona che con lui ha ricoperto quel ruolo? Sapete almeno chi fosse quella persona?
Se non avete una risposta per queste due domande (e sono pronto a scommettere che soprattutto per la prima non la avete) allora dovreste tacere, sia come accusa che come difesa, visto che in quel caso parlereste solo per slogan e non per conoscenza dei fatti.
Ma passiamo oltre e facciamo finta che conosciate la risposta a entrambe le domande (sì, lo so, ci vuole una bella fantasia a far finta di crederlo, ma voglio essere buono).
Anche in questo caso le affermazioni di cui sopra rimangono ingiustificate, anche perché partono dalle domande sbagliate.
Ora, è chiaro che a livello di opportunità Di Maio ha commesso un errore o almeno una leggerezza.
Ma l'opportunità (per quanto in politica e diplomazia sia importante) non è legge, quindi...
Le due domande a cui rispondere sono in realtà le seguenti (e sono le stesse domande che valevano per chi ha ricoperto quella carica prima di Montanino):
1) L'assunzione è stata effettuata nel rispetto della legge e dei regolamenti ministeriali?
2) La persona assunta possiede i titoli e le competenze per ricoprire detta carica?
Alla domanda 1 credo si possa rispondere in termini positivi, visto che non ho sentito nessuno minacciare denunce o interrogazioni parlamentari. Ma appunto, credo, non so di per certo.
La domanda 2 andrebbe divisa in due sottodomande: titoli e competenze. Per quanto riguarda i titoli non mi risulta che per quell'incarico siano richiesti titoli particolari (se qualcuno è informato meglio me lo scriva nei commenti); le competenze in realtà si possono effettivamente valutare solo vedendola all'opera, non prima.
Comunque, qualunque siano le risposte alle domande di cui sopra, idignazioni e accuse (ma anche le difese!) possono partire solo dopo che a queste domande si è risposto con affermazioni certe e controllabili.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Questa prima o poi me la pagate... costringermi a prendere le difese di Di Maio... vergognatevi!
E tutti di sicuro avrete letto commenti indignati del tipo "anche loro sono come gli altri!", soprattutto da parte dei contestatori (in particolare PD), oppure giustificanti "e gli altri allora cosa facevano?", soprattutto da parte dei governativi (in particolare M5S).
Ecco, io vorrei chiedere a entrambi gli schieramenti: ma voi sapete come Calenda (e tutti i suoi predecessori) aveva scelto la persona che con lui ha ricoperto quel ruolo? Sapete almeno chi fosse quella persona?
Se non avete una risposta per queste due domande (e sono pronto a scommettere che soprattutto per la prima non la avete) allora dovreste tacere, sia come accusa che come difesa, visto che in quel caso parlereste solo per slogan e non per conoscenza dei fatti.
Ma passiamo oltre e facciamo finta che conosciate la risposta a entrambe le domande (sì, lo so, ci vuole una bella fantasia a far finta di crederlo, ma voglio essere buono).
Anche in questo caso le affermazioni di cui sopra rimangono ingiustificate, anche perché partono dalle domande sbagliate.
Ora, è chiaro che a livello di opportunità Di Maio ha commesso un errore o almeno una leggerezza.
Ma l'opportunità (per quanto in politica e diplomazia sia importante) non è legge, quindi...
Le due domande a cui rispondere sono in realtà le seguenti (e sono le stesse domande che valevano per chi ha ricoperto quella carica prima di Montanino):
1) L'assunzione è stata effettuata nel rispetto della legge e dei regolamenti ministeriali?
2) La persona assunta possiede i titoli e le competenze per ricoprire detta carica?
Alla domanda 1 credo si possa rispondere in termini positivi, visto che non ho sentito nessuno minacciare denunce o interrogazioni parlamentari. Ma appunto, credo, non so di per certo.
La domanda 2 andrebbe divisa in due sottodomande: titoli e competenze. Per quanto riguarda i titoli non mi risulta che per quell'incarico siano richiesti titoli particolari (se qualcuno è informato meglio me lo scriva nei commenti); le competenze in realtà si possono effettivamente valutare solo vedendola all'opera, non prima.
Comunque, qualunque siano le risposte alle domande di cui sopra, idignazioni e accuse (ma anche le difese!) possono partire solo dopo che a queste domande si è risposto con affermazioni certe e controllabili.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Questa prima o poi me la pagate... costringermi a prendere le difese di Di Maio... vergognatevi!
mercoledì 18 luglio 2018
Le lauree di Repubblica
Ieri Repubblica ha pubblicato un articolo su un ragazzo affetto da progeria laureatosi a Padova.
L'articolo apre con la notizia che Sammy Basso, il ragazzo in questione, si è laureato in Fisica.
Già questo incipit non mi quadra. Ricordo che tempo fa avevo letto di questo ragazzo e si parlava del suo voler far ricerca per la malattia da cui è affetto... e io (da laureato in fisica) mi chiedo a che serva la fisica per gli studi sulla progeria.
Infatti andando avanti Repubblica decide di "generalizzare" la laurea, che diventa genericamente "laurea in Scienze" (Repubblica sembra citare un tweet dell'università di Padova... ma una generica laurea in Scienze nell'ordinamento italiano non esiste).
Andando avanti finalmente il mistero si chiarisce.
Sammy Basso si è laureato in Scienze Naturali (e non Scienze tout court) con indirizzo biologico molecolare (e la cosa quadra anche col suo desiderio di fare ricerca sulla sua malattia).
Del resto lo aveva scritto il ragazzo stesso circa due anni fa su Facebook, come riporta anche Repubblica stessa:
E allora, da dove spunta la fisica?
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Per lo meno Repubblica ha scritto giusto il nome della malattia, "progeria o sindrome di Hutchinson-Gilford", cosa che conoscendo il giornale non era scontata.
L'articolo apre con la notizia che Sammy Basso, il ragazzo in questione, si è laureato in Fisica.
Già questo incipit non mi quadra. Ricordo che tempo fa avevo letto di questo ragazzo e si parlava del suo voler far ricerca per la malattia da cui è affetto... e io (da laureato in fisica) mi chiedo a che serva la fisica per gli studi sulla progeria.
Infatti andando avanti Repubblica decide di "generalizzare" la laurea, che diventa genericamente "laurea in Scienze" (Repubblica sembra citare un tweet dell'università di Padova... ma una generica laurea in Scienze nell'ordinamento italiano non esiste).
Andando avanti finalmente il mistero si chiarisce.
Sammy Basso si è laureato in Scienze Naturali (e non Scienze tout court) con indirizzo biologico molecolare (e la cosa quadra anche col suo desiderio di fare ricerca sulla sua malattia).
Del resto lo aveva scritto il ragazzo stesso circa due anni fa su Facebook, come riporta anche Repubblica stessa:
E allora, da dove spunta la fisica?
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Per lo meno Repubblica ha scritto giusto il nome della malattia, "progeria o sindrome di Hutchinson-Gilford", cosa che conoscendo il giornale non era scontata.
martedì 17 luglio 2018
E poi parliamo dell'itanglese
Ieri mi è arrivata via email la descrizione di un posto di lavoro per cui un'agenzia di reclutamento mi chiedeva se potessi essere interessato.
La posizione era in effetti veramente interessante e in gran parte adeguata alle mie competenze.
L'annuncio arrivava da un'agenzia britannica con sede a Londra, ma riguardava il mercato tedesco.
Fin qui tutto bene. Avrei valutato la cosa.
Però, però... se neanche gli inglesi sanno l'inglese, come possiamo noi lamentarci dell'itanglese?
Io credevo che parlassero del mio profilo, non di me come profilo...
You're... your... per fortuna non hanno scritto direttamente youre.
Mi è scappata la voglia di prendere sul serio la posizione.
Ah, dimenticavo: non solo l'agenzia è londinese (per chi fosse interessato: RIPE4 Resourcing Ltd.), ma la persona nel contatto, responsabile per l'annuncio, ha anche cognome tipicamente anglosassone (Dobson).
Saluti,
Mauro.
La posizione era in effetti veramente interessante e in gran parte adeguata alle mie competenze.
L'annuncio arrivava da un'agenzia britannica con sede a Londra, ma riguardava il mercato tedesco.
Fin qui tutto bene. Avrei valutato la cosa.
Però, però... se neanche gli inglesi sanno l'inglese, come possiamo noi lamentarci dell'itanglese?
Io credevo che parlassero del mio profilo, non di me come profilo...
You're... your... per fortuna non hanno scritto direttamente youre.
Mi è scappata la voglia di prendere sul serio la posizione.
Ah, dimenticavo: non solo l'agenzia è londinese (per chi fosse interessato: RIPE4 Resourcing Ltd.), ma la persona nel contatto, responsabile per l'annuncio, ha anche cognome tipicamente anglosassone (Dobson).
Saluti,
Mauro.
lunedì 16 luglio 2018
Il reato di procurato allarme
Ultimamente ci sono stati, soprattutto riguardo migranti e vaccini, alcuni casi in cui è stato tirato in ballo il reato di procurato allarme.
Sia da persone che lo hanno invocato in tanti casi dove la magistratura non è intervenuta sia da altre che hanno considerato un abuso condanne espresse sulla base di questo reato.
Ora vorrei contribuire al dibattito riportando quanto effettivamente dice il codice penale al proposito.
Il reato di procurato allarme è trattato dall'articolo 658 del codice penale.
Questo articolo (dal titolo Procurato allarme presso l'autorità) recita:
Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l'autorità o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da euro 10 a euro 516.
Chi ritiene che certe sentenze siano un abuso (tipo la recente condanna di associazioni no-vax per aver comprato spazi pubblicitari per rilanciare le bufale sulla pericolosità dei vaccini) si attacca alle parole allarme presso l'autorità nel titolo e nel corpo dell'articolo, sostenendo che fino a che l'autorità competente non è costretta a intervenire per evitare che un pericolo presunto (o inventato) diventi un pericolo reale non vi è procurato allarme.
Chi ritiene che forze dell'ordine e magistratura debbano intervenire di più, soprattutto per quanto riguarda chi sbraita di presunti pericoli sanitari o di sicurezza pubblica, si attacca alla parola suscita davanti all'allarme per dire che è più che sufficiente che cittadini credano a questi pericoli e potenzialmente possano richiedere l'intervento dell'autorità.
Ora è evidente a qualsiasi persona raziocinante che entrambe le posizioni (come quasi sempre le posizioni estreme) sono assurde, perché entrambe abdicano al dovere che ha ciascuno di noi di ragionare e di capire ciò che legge (o almeno cercare di capire), mentre si limitano a prendere un testo (o parte di esso) per pretenderne l'applicazione coi paraocchi (in stile sharia).
Ora, dato che io non sono un giurista, mi affido a chi ne sa più di me, visto che c'è già stato chi ha avuto dubbi su come applicare concretamente questo articolo del codice penale e si è rivolto alla Cassazione.
La Cassazione, nella sentenza n. 11514 del 12 novembre 1987 ha deliberato quanto segue:
Ai fini della ravvisabilità della sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 658 c.p. è sufficiente che l'annunzio di disastri, infortuni o pericoli inesistenti sia idoneo a suscitare allarme presso l'autorità, gli enti o le persone che esercitano un pubblico servizio. Tale deve considerarsi l'annunzio di un inesistente sequestro di persona che, per le modalità del suo contenuto, provochi l'intervento della forza pubblica con dispiegamento di mezzi.
A parte l'esempio pratico, per forza di cose limitativo e basato su quanto più tipico all'epoca della sentenza, la sentenza è perfettamente ragionevole e logica, non aggiungendo o togliendo niente all'articolo 658, ma solo elaborandone il testo rendendolo più chiaro per tutti.
Del resto la parola stessa suscita in sé basterebbe a chiarire il significato del reato: un allarme è suscitato per forza di cose prima che l'autorità intervenga concretamente (del resto se non fosse suscitato, l'autorità non avrebbe né motivo né modo di intervenire). E quindi il reato può essere perseguito anche prima che le altre autorità coinvolte intervengano materialmente.
Saluti,
Mauro.
Sia da persone che lo hanno invocato in tanti casi dove la magistratura non è intervenuta sia da altre che hanno considerato un abuso condanne espresse sulla base di questo reato.
Ora vorrei contribuire al dibattito riportando quanto effettivamente dice il codice penale al proposito.
Il reato di procurato allarme è trattato dall'articolo 658 del codice penale.
Questo articolo (dal titolo Procurato allarme presso l'autorità) recita:
Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l'autorità o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da euro 10 a euro 516.
Chi ritiene che certe sentenze siano un abuso (tipo la recente condanna di associazioni no-vax per aver comprato spazi pubblicitari per rilanciare le bufale sulla pericolosità dei vaccini) si attacca alle parole allarme presso l'autorità nel titolo e nel corpo dell'articolo, sostenendo che fino a che l'autorità competente non è costretta a intervenire per evitare che un pericolo presunto (o inventato) diventi un pericolo reale non vi è procurato allarme.
Chi ritiene che forze dell'ordine e magistratura debbano intervenire di più, soprattutto per quanto riguarda chi sbraita di presunti pericoli sanitari o di sicurezza pubblica, si attacca alla parola suscita davanti all'allarme per dire che è più che sufficiente che cittadini credano a questi pericoli e potenzialmente possano richiedere l'intervento dell'autorità.
Ora è evidente a qualsiasi persona raziocinante che entrambe le posizioni (come quasi sempre le posizioni estreme) sono assurde, perché entrambe abdicano al dovere che ha ciascuno di noi di ragionare e di capire ciò che legge (o almeno cercare di capire), mentre si limitano a prendere un testo (o parte di esso) per pretenderne l'applicazione coi paraocchi (in stile sharia).
Ora, dato che io non sono un giurista, mi affido a chi ne sa più di me, visto che c'è già stato chi ha avuto dubbi su come applicare concretamente questo articolo del codice penale e si è rivolto alla Cassazione.
La Cassazione, nella sentenza n. 11514 del 12 novembre 1987 ha deliberato quanto segue:
Ai fini della ravvisabilità della sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 658 c.p. è sufficiente che l'annunzio di disastri, infortuni o pericoli inesistenti sia idoneo a suscitare allarme presso l'autorità, gli enti o le persone che esercitano un pubblico servizio. Tale deve considerarsi l'annunzio di un inesistente sequestro di persona che, per le modalità del suo contenuto, provochi l'intervento della forza pubblica con dispiegamento di mezzi.
A parte l'esempio pratico, per forza di cose limitativo e basato su quanto più tipico all'epoca della sentenza, la sentenza è perfettamente ragionevole e logica, non aggiungendo o togliendo niente all'articolo 658, ma solo elaborandone il testo rendendolo più chiaro per tutti.
Del resto la parola stessa suscita in sé basterebbe a chiarire il significato del reato: un allarme è suscitato per forza di cose prima che l'autorità intervenga concretamente (del resto se non fosse suscitato, l'autorità non avrebbe né motivo né modo di intervenire). E quindi il reato può essere perseguito anche prima che le altre autorità coinvolte intervengano materialmente.
Saluti,
Mauro.
domenica 15 luglio 2018
Start-Up: come diventare ricchi alla svelta (Il visionario)
Simpatico e interessante video satirico (ma non troppo) del Bayerisches Fernsehen:
Traduzione (mia) del dialogo:
Conduttore: Nel frattempo viene fuori che spesso non c'è una vera intelligenza artificiale dietro, cioè complicati algoritmi che risolvono semplici problemi, bensì impiegati malpagati vulgo persone, cosiddetti "operai del click" che digitano a mano presunte risposte automatiche a mails utilizzando l'ormai fuorimoda cervello. Quindi, persone in carne e ossa simulano intelligenza artificiale dovendo svolgere un compito enormemente noioso e stupido.
Visionario: Ma questo è bene. Per lo meno voi gioirete quando l'intelligenza artificiale prima o poi vi porterà via i vostri lavori monotoni.
C: Capisco. E lei chi è?
V: Io sono il prodotto.
C: Là [NdM: sullo schermo alle spalle della coppia] è anche lei.
V: Sì. Io.
C: E lei è il prodotto?
V: Chiaro, vecchio mio. Perché di cosa hai bisogno quando vuoi fondare una start-up di successo?
C: Un'idea?
V: È qualcosa da decennio passato. Idee? Chiunque ha idee. Ciò di cui uno ha bisogno sono i soldi.
C: Credevo che lo si ottenesse grazie alle idee.
V: No. Lo si ottiene per l'idea di un'idea.
C: Prego?
V: Nelle teste dei finanziatori deve formarsi l'idea che io abbia un'idea.
C: Perché?
V: Perché io sono giovane, perché io sono bravo. Perché io sono un visionario.
C: Ma lei è quindi un visionario?
V: Questa è l'idea. Mi spiego. Se non lo fossi, perché allora sarei visibile su un così grande schermo?
C: Perché ne ha uno?
V: In linea di principio è corretto. Ma perché ce l'ho?
C: Perché... ma che ne so!
V: Perché ho i soldi per comprarlo. E io ho i soldi perché sono visionario.
C: E lei è un visionario...
V: ...perché sono visibile su un grande schermo. Precisamente.
C: Ma ciò non ha [NdM: in tedesco si usa fa, che rende più logica la risposta sotto] nessun senso!
V: Senso no. Ma soldi.
C: Che lei ottiene perché i finanziatori credono che lei sia un visionario?
V: Precisamente. Mi danno soldi perché credono in me.
C: Quindi sono creditori? [NdM: in tedesco creditore e credente, hanno la stessa traduzione, Gläubiger, e su questo gioca lo scambio di battute]
V: Questo valeva un tempo. Oggi sono discepoli. Discepoli che credono nel visionario. Ma cosa succede quando non fornisco risultati? Quando non ho nessuna idea visionaria?
C: Allora, allora viene sbugiardato.
V: No. Allora ottengo più soldi. Perché se i creditori, che ora sono miei discepoli, volessero indietro i loro soldi significherebbe ammettere che io non sono un visionario e loro non sono discepoli, bensì idioti.
C: Ah ecco... Ma cosa fa lei coi nuovi finanziamenti?
V: Compro schermi più grandi per incassare più soldi con le presentazioni, con cui convinco più gente di essere un visionario.
C: Ma lei non fa quindi proprio nulla!
V: Niente? Nella mia azienda lavorano più di mille dipendenti.
C: E loro cosa fanno?
V: Amministrano i soldi, spediscono promemoria a nuovi finanziatori, che convincono a scucire ancora più soldi dicendogli che nella mia azienda lavorano più di mille dipendenti.
C: Ma i finanziatori non chiedono per cosa?
V: Sì. E io dico: per il futuro, perché sono un visionario.
C: Lei è un truffatore!
V: Ora ha capito!
C: Ah... Ah, il mondo può essere così semplice.
Vi ricorda qualcuno? 😉
E comunque non dimenticate mai quello che disse il vecchio cancelliere tedesco Helmut Schmidt: Wer Visionen hat, soll zum Arzt gehen (Chi ha visioni, deve andare dal medico).
Saluti,
Mauro.
P.S.:
NdM = Nota di Mauro.
Traduzione (mia) del dialogo:
Conduttore: Nel frattempo viene fuori che spesso non c'è una vera intelligenza artificiale dietro, cioè complicati algoritmi che risolvono semplici problemi, bensì impiegati malpagati vulgo persone, cosiddetti "operai del click" che digitano a mano presunte risposte automatiche a mails utilizzando l'ormai fuorimoda cervello. Quindi, persone in carne e ossa simulano intelligenza artificiale dovendo svolgere un compito enormemente noioso e stupido.
Visionario: Ma questo è bene. Per lo meno voi gioirete quando l'intelligenza artificiale prima o poi vi porterà via i vostri lavori monotoni.
C: Capisco. E lei chi è?
V: Io sono il prodotto.
C: Là [NdM: sullo schermo alle spalle della coppia] è anche lei.
V: Sì. Io.
C: E lei è il prodotto?
V: Chiaro, vecchio mio. Perché di cosa hai bisogno quando vuoi fondare una start-up di successo?
C: Un'idea?
V: È qualcosa da decennio passato. Idee? Chiunque ha idee. Ciò di cui uno ha bisogno sono i soldi.
C: Credevo che lo si ottenesse grazie alle idee.
V: No. Lo si ottiene per l'idea di un'idea.
C: Prego?
V: Nelle teste dei finanziatori deve formarsi l'idea che io abbia un'idea.
C: Perché?
V: Perché io sono giovane, perché io sono bravo. Perché io sono un visionario.
C: Ma lei è quindi un visionario?
V: Questa è l'idea. Mi spiego. Se non lo fossi, perché allora sarei visibile su un così grande schermo?
C: Perché ne ha uno?
V: In linea di principio è corretto. Ma perché ce l'ho?
C: Perché... ma che ne so!
V: Perché ho i soldi per comprarlo. E io ho i soldi perché sono visionario.
C: E lei è un visionario...
V: ...perché sono visibile su un grande schermo. Precisamente.
C: Ma ciò non ha [NdM: in tedesco si usa fa, che rende più logica la risposta sotto] nessun senso!
V: Senso no. Ma soldi.
C: Che lei ottiene perché i finanziatori credono che lei sia un visionario?
V: Precisamente. Mi danno soldi perché credono in me.
C: Quindi sono creditori? [NdM: in tedesco creditore e credente, hanno la stessa traduzione, Gläubiger, e su questo gioca lo scambio di battute]
V: Questo valeva un tempo. Oggi sono discepoli. Discepoli che credono nel visionario. Ma cosa succede quando non fornisco risultati? Quando non ho nessuna idea visionaria?
C: Allora, allora viene sbugiardato.
V: No. Allora ottengo più soldi. Perché se i creditori, che ora sono miei discepoli, volessero indietro i loro soldi significherebbe ammettere che io non sono un visionario e loro non sono discepoli, bensì idioti.
C: Ah ecco... Ma cosa fa lei coi nuovi finanziamenti?
V: Compro schermi più grandi per incassare più soldi con le presentazioni, con cui convinco più gente di essere un visionario.
C: Ma lei non fa quindi proprio nulla!
V: Niente? Nella mia azienda lavorano più di mille dipendenti.
C: E loro cosa fanno?
V: Amministrano i soldi, spediscono promemoria a nuovi finanziatori, che convincono a scucire ancora più soldi dicendogli che nella mia azienda lavorano più di mille dipendenti.
C: Ma i finanziatori non chiedono per cosa?
V: Sì. E io dico: per il futuro, perché sono un visionario.
C: Lei è un truffatore!
V: Ora ha capito!
C: Ah... Ah, il mondo può essere così semplice.
Vi ricorda qualcuno? 😉
E comunque non dimenticate mai quello che disse il vecchio cancelliere tedesco Helmut Schmidt: Wer Visionen hat, soll zum Arzt gehen (Chi ha visioni, deve andare dal medico).
Saluti,
Mauro.
P.S.:
NdM = Nota di Mauro.
sabato 14 luglio 2018
La lingua dei brevetti
Sì, lo so, avrei dovuto usare "linguaggio" e non "lingua", come insegna qui la bravissima Licia Corbolante. Ma lingua mi suonava meglio per il titolo 😊
Ma veniamo al tema.
Chiunque di voi abbia letto il testo di una richiesta di brevetto (almeno di quelle redatte professionalmente, scritte da consulenti brevettuali* o dai competenti uffici delle aziende), testo che poi viene ripreso in tutto o in parte nel brevetto vero e proprio se concesso, avrà notato che questi testi usano un linguaggio astruso, talvolta un po' fumoso e per un profano apparentemente più tecnicistico che tecnico.
La cosa non è uno sfizio o un modo di fare congrega escludendo tutti coloro che non vengono dal settore (come capita - o capitava - con cose come il legalese o il politichese), ma ha una motivazione molto pratica, molto concreta.
Quando io ho un'idea dalla quale sviluppo un'invenzione, l'oggetto che ne viene fuori (sia che rimanga sulla carta come progetto, sia che io poi lo costruisca materialmente) è una cosa con caratteristiche ben precise e dettagliate, in maniera da poter essere costruito da chiunque con adeguate capacità abbia in mano il mio progetto.
E proprio qui sta il problema (stupiti, vero?): un progetto troppo preciso fornisce involontariamente anche le indicazioni su come aggirarlo.
Mi spiego meglio: mi è venuta un'idea geniale e ho inventato l'automobile (neanche Gottlieb Wilhelm Daimler ci aveva mai pensato, sono proprio un genio!).
La ho pensata con quattro ruote e due fanali, oltre che due sedili. E nel mio progetto ho descritto proprio queste caratteristiche (il motore lo aveva già inventato Nikolaus August Otto, quindi per il mio progetto non è importante, mi basta parlare di motore in generale).
Splendida idea... ottengo il brevetto! Hurrah!
Però il mio collega del reparto accanto nota una cosa: il motore non è parte del mio brevetto quindi può usarlo anche lui... e si rende conto che un fanale solo, se sufficientemente potente, basta e che i due sedili possono essere sostituiti da una specie di divanetto. E allora si costruisce la sua automobile (comunque ammetterete tutti che la mia è molto più bella!).
Lui non potrà brevettare la sua automobile - non c'è il "salto" tecnologico che descrissi qui nella sezione "Cosa può essere brevettato?" - ma io non potrò impedirgli di costruirla, visto che è diversa tecnicamente da quella che ho progettato io (al massimo potrò imporgli di aggiungere o togliere una ruota, ma la sua auto continuerà a funzionare).
Quindi il mio brevetto è di fatto carta straccia: la mia automobile potrò sì produrla solo io, ma avrò lo stesso concorrenza sul mercato e nessuno mi chiederà di produrre la mia auto su licenza, visto che può tranquillamente aggirare il mio brevetto.
E allora?
E allora si scrive il tutto in un linguaggio il più generico possibile, un po' fumoso e apparentemente tecnicistico, in modo che se il mio collega mette un fanale (o tre o quattro) invece di due o un divanetto invece di due sedili io e il mio avvocato possiamo presentarci da lui e fermarlo.
Però al tempo stesso il mio testo non deve diventare troppo generico e fumoso, se no non potrò ottenere la protezione tramite brevetto in quanto la mia idea risulterà non realizzabile alla sola lettura del testo da parte di persone con adeguate capacità e conoscenze.
E per questo servono figure specifiche, perché non è facile valutare se e come un brevetto è aggirabile (servono conoscenze sia tecniche che legali) e non va dimenticato che io, inventore, anche se avessi le conoscenze sia tecniche che legali richieste sono troppo "legato" alla mia invenzione, non riuscirei ad avere uno sguardo esterno, obiettivo, quindi mi serve una persona che abbia questa "esternità".
Saluti,
Mauro.
Altri articoli sui brevetti:
- Ignoranza brevettata
- Quegli sconosciuti dei brevetti
- Cos'è un brevetto?
*I consulenti (o agenti) brevettuali sono figure specifiche, non generici "esperti": ingegneri o laureati in materie scientifiche che hanno seguito corsi specifici di diritto che portano alla qualifica in questione (non per niente in tedesco si chiamano Patentanwälte, cioè avvocati brevettuali, pur non essendo avvocati e non potendo quindi gestire una causa in un tribunale penale o civile).
Ma veniamo al tema.
Chiunque di voi abbia letto il testo di una richiesta di brevetto (almeno di quelle redatte professionalmente, scritte da consulenti brevettuali* o dai competenti uffici delle aziende), testo che poi viene ripreso in tutto o in parte nel brevetto vero e proprio se concesso, avrà notato che questi testi usano un linguaggio astruso, talvolta un po' fumoso e per un profano apparentemente più tecnicistico che tecnico.
La cosa non è uno sfizio o un modo di fare congrega escludendo tutti coloro che non vengono dal settore (come capita - o capitava - con cose come il legalese o il politichese), ma ha una motivazione molto pratica, molto concreta.
Quando io ho un'idea dalla quale sviluppo un'invenzione, l'oggetto che ne viene fuori (sia che rimanga sulla carta come progetto, sia che io poi lo costruisca materialmente) è una cosa con caratteristiche ben precise e dettagliate, in maniera da poter essere costruito da chiunque con adeguate capacità abbia in mano il mio progetto.
E proprio qui sta il problema (stupiti, vero?): un progetto troppo preciso fornisce involontariamente anche le indicazioni su come aggirarlo.
Mi spiego meglio: mi è venuta un'idea geniale e ho inventato l'automobile (neanche Gottlieb Wilhelm Daimler ci aveva mai pensato, sono proprio un genio!).
La ho pensata con quattro ruote e due fanali, oltre che due sedili. E nel mio progetto ho descritto proprio queste caratteristiche (il motore lo aveva già inventato Nikolaus August Otto, quindi per il mio progetto non è importante, mi basta parlare di motore in generale).
Splendida idea... ottengo il brevetto! Hurrah!
Però il mio collega del reparto accanto nota una cosa: il motore non è parte del mio brevetto quindi può usarlo anche lui... e si rende conto che un fanale solo, se sufficientemente potente, basta e che i due sedili possono essere sostituiti da una specie di divanetto. E allora si costruisce la sua automobile (comunque ammetterete tutti che la mia è molto più bella!).
Lui non potrà brevettare la sua automobile - non c'è il "salto" tecnologico che descrissi qui nella sezione "Cosa può essere brevettato?" - ma io non potrò impedirgli di costruirla, visto che è diversa tecnicamente da quella che ho progettato io (al massimo potrò imporgli di aggiungere o togliere una ruota, ma la sua auto continuerà a funzionare).
Quindi il mio brevetto è di fatto carta straccia: la mia automobile potrò sì produrla solo io, ma avrò lo stesso concorrenza sul mercato e nessuno mi chiederà di produrre la mia auto su licenza, visto che può tranquillamente aggirare il mio brevetto.
E allora?
E allora si scrive il tutto in un linguaggio il più generico possibile, un po' fumoso e apparentemente tecnicistico, in modo che se il mio collega mette un fanale (o tre o quattro) invece di due o un divanetto invece di due sedili io e il mio avvocato possiamo presentarci da lui e fermarlo.
Però al tempo stesso il mio testo non deve diventare troppo generico e fumoso, se no non potrò ottenere la protezione tramite brevetto in quanto la mia idea risulterà non realizzabile alla sola lettura del testo da parte di persone con adeguate capacità e conoscenze.
E per questo servono figure specifiche, perché non è facile valutare se e come un brevetto è aggirabile (servono conoscenze sia tecniche che legali) e non va dimenticato che io, inventore, anche se avessi le conoscenze sia tecniche che legali richieste sono troppo "legato" alla mia invenzione, non riuscirei ad avere uno sguardo esterno, obiettivo, quindi mi serve una persona che abbia questa "esternità".
Saluti,
Mauro.
Altri articoli sui brevetti:
- Ignoranza brevettata
- Quegli sconosciuti dei brevetti
- Cos'è un brevetto?
*I consulenti (o agenti) brevettuali sono figure specifiche, non generici "esperti": ingegneri o laureati in materie scientifiche che hanno seguito corsi specifici di diritto che portano alla qualifica in questione (non per niente in tedesco si chiamano Patentanwälte, cioè avvocati brevettuali, pur non essendo avvocati e non potendo quindi gestire una causa in un tribunale penale o civile).
giovedì 12 luglio 2018
Linkiesta, Bielefeld e l'ignoranza
Ieri LinkPop, il servizio di Linkiesta per le notizie che sono riempite di errori* (anzi bestialità) e non interessano a nessuno e non servono a niente, ha pubblicato un articolo sulla città tedesca di Bielefeld.
Prima osservazione: leggetevi bene le parole e i toni usati sull'umorismo dei tedeschi (che non commenterò in dettaglio nel seguito dell'articolo). Puro razzismo. Se lo avessero fatto con un paese extraeuropeo, meglio se del terzo mondo, apriti cielo!
Ma veniamo ai contenuti (pubblico gli screenshot perché c'è sempre il rischio che Linkiesta corregga cercando di nascondere la correzione).
Cittadina?
Bielefeld ha 330.000 abitanti, poco più di Bari o Catania e decisamente di più di Verona o Trieste.
Chiamatemela cittadina.
Usenet è l'internet tedesco?
Ma lo sapete cosa sono usenet e internet?
(A parte il fatto poi che non esistono un internet tedesco, uno italiano, uno francese, eccetera, ma solo i contenuti in italiano, in tedesco, in francese su internet, ma questo comunque sarebbe l'errore meno grave).
Vedasi quanto scritto sopra (l'umorismo tedesco è sì diverso dal nostro e a noi italiani sembra scarso, ma...).
Bielefeld è ricca di storia, basti dire viene citata già a partire dal nono secolo d.C. (tre secoli prima di Monaco di Baviera, tanto per chiarire il concetto).
Per quanto riguarda le vie di comunicazione, Bielefeld si trova sul percorso dell'autostrada A2, la principale arteria ovest-est tedesca che unisce il bacino della Ruhr a Berlino e sul percorso della linea ferroviaria Colonia-Hannover che proprio secondaria non è.
Non ha monumenti famosi all'estero vero, ma questo vale per la maggioranza delle città del mondo (anche italiane): poche città vantano monumenti di fama veramente mondiale.
Saluti,
Mauro.
*Qui un esempio al proposito, tratto dal blog che state leggendo.
Prima osservazione: leggetevi bene le parole e i toni usati sull'umorismo dei tedeschi (che non commenterò in dettaglio nel seguito dell'articolo). Puro razzismo. Se lo avessero fatto con un paese extraeuropeo, meglio se del terzo mondo, apriti cielo!
Ma veniamo ai contenuti (pubblico gli screenshot perché c'è sempre il rischio che Linkiesta corregga cercando di nascondere la correzione).
Cittadina?
Bielefeld ha 330.000 abitanti, poco più di Bari o Catania e decisamente di più di Verona o Trieste.
Chiamatemela cittadina.
Usenet è l'internet tedesco?
Ma lo sapete cosa sono usenet e internet?
(A parte il fatto poi che non esistono un internet tedesco, uno italiano, uno francese, eccetera, ma solo i contenuti in italiano, in tedesco, in francese su internet, ma questo comunque sarebbe l'errore meno grave).
Vedasi quanto scritto sopra (l'umorismo tedesco è sì diverso dal nostro e a noi italiani sembra scarso, ma...).
Bielefeld è ricca di storia, basti dire viene citata già a partire dal nono secolo d.C. (tre secoli prima di Monaco di Baviera, tanto per chiarire il concetto).
Per quanto riguarda le vie di comunicazione, Bielefeld si trova sul percorso dell'autostrada A2, la principale arteria ovest-est tedesca che unisce il bacino della Ruhr a Berlino e sul percorso della linea ferroviaria Colonia-Hannover che proprio secondaria non è.
Non ha monumenti famosi all'estero vero, ma questo vale per la maggioranza delle città del mondo (anche italiane): poche città vantano monumenti di fama veramente mondiale.
Saluti,
Mauro.
*Qui un esempio al proposito, tratto dal blog che state leggendo.
martedì 10 luglio 2018
Il monoministrismo
Salvini esterna su tutto.
È ministro dell'interno, uno dei ministeri più importanti, vero, ma pur sempre un ministero, non il governo intero.
In una repubblica il governo però è un organo collegiale, dove ogni membro ha il suo settore di competenza.
Però lui scavalca tutti gli altri ministri, capaci o no che siano. Di fatto si considera non tanto il vero Presidente del Consiglio, quanto il Governo stesso.
È questo il problema vero, non che dica cose condivisibili o meno.
E ciò apre la strada a molte domande: Decide da solo? Non ha idea di cosa sia la collegialità? Sa che il resto del governo non vale nulla? E gli altri ministri? Esautorati? Come finirà?
E Conte?
OK, va beh, Conte non conta.
Del resto presidenti del consiglio che non erano il vero numero uno ne abbiamo avuti sia in Italia - qualcuno ricorda Spadolini? - che altrove, ma almeno in Europa occidentale mai nessuno che fosse così esplicitamente di cartone.
Conte è il PresiNiente del Consiglio.
In sostanza con Salvini siamo oltre il monopartitismo. Siamo al monoministrismo.
Saluti,
Mauro.
È ministro dell'interno, uno dei ministeri più importanti, vero, ma pur sempre un ministero, non il governo intero.
In una repubblica il governo però è un organo collegiale, dove ogni membro ha il suo settore di competenza.
Però lui scavalca tutti gli altri ministri, capaci o no che siano. Di fatto si considera non tanto il vero Presidente del Consiglio, quanto il Governo stesso.
È questo il problema vero, non che dica cose condivisibili o meno.
E ciò apre la strada a molte domande: Decide da solo? Non ha idea di cosa sia la collegialità? Sa che il resto del governo non vale nulla? E gli altri ministri? Esautorati? Come finirà?
E Conte?
OK, va beh, Conte non conta.
Del resto presidenti del consiglio che non erano il vero numero uno ne abbiamo avuti sia in Italia - qualcuno ricorda Spadolini? - che altrove, ma almeno in Europa occidentale mai nessuno che fosse così esplicitamente di cartone.
Conte è il PresiNiente del Consiglio.
In sostanza con Salvini siamo oltre il monopartitismo. Siamo al monoministrismo.
Saluti,
Mauro.
lunedì 9 luglio 2018
Cos'è un brevetto?
Qualche giorno fa vi ho spiegato in un articolo alcune cose sui brevetti, per la precisione ho cercato di sfatare alcune credenze errate sugli stessi.
Però qualcuno interessato al tema ma senza conoscenze specifiche potrebbe essersi sentito un po' lasciato in mezzo al guado, visto che ho chiarito alcune cose sui brevetti ma non ho chiarito le fondamenta su cui si basa il concetto di brevetto.
Cercherò di farlo qui rispondendo a tre domande di base (sperando di usare un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori).
Cos'è un brevetto?
Un brevetto è una forma di protezione legale nell'ambito della proprietà intellettuale.
Tale protezione garantisce a chi ha inventato qualcosa il controllo sull'utilizzo e la realizzazione della sua idea (cioè lui decide se produrla in proprio e se concedere licenze ad altri) e un guadagno nel caso questa idea venga commercializzata e abbia successo commerciale (guadagno diretto tramite le vendite per quanto prodotto in proprio o guadagno indiretto tramite licenze).
Essenziale è che l'idea porti a un prodotto materiale (per idee prettamente intellettuali che non portino alla possibilità di costruire qualcosa di materiale esistono altre forme di protezione).
Come detto nell'articolo del 28 giugno, la protezione data da un brevetto non è eterna: dura al massimo vent'anni, dopodiché chiunque può utilizzare le idee contenute nel brevetto stesso.
"Al massimo vent'anni" perché per poter godere della protezione va pagata una tariffa annua, ma si può decidere di smettere di pagare in ogni momento, non si è obbligati a farlo per vent'anni. Alla scadenza dell'anno in cui si smette di pagare si perde il diritto alla protezione.
Cosa può essere brevettato?
Intanto, come detto al punto precedente, l'idea deve poter portare a un prodotto materiale. Non deve essere astratta.
Sostanzialmente un'idea, un prodotto per poter aver diritto al brevetto deve rispondere a tre caratteristiche.
1) Novità: l'idea deve essere nuova (cioè non deve esistere già un prodotto o progetto basato su di essa) e innovativa (cioè non deve essere semplicemente nuova ma anche non essere conseguenza logica, palese di qualcosa di già esistente... insomma deve costituire un "salto" rispetto allo stato della tecnica).
2) Funzionalità: deve essere dimostrato (tramite calcoli, simulazioni o preferibilmente prototipi) che l'idea porti a un prodotto funzionante. Non basta che si creda possa funzionare, deve essere dimostrato che funzioni, almeno a livello teorico.
3) Utilità: il prodotto costruito sulla base dell'idea deve essere utile (qualcuno direbbe - venalmente - commerciabile), cioè deve rispondere a un problema o a un'esigenza reale. Non deve essere un prodotto di nessuna utilità, che serva solo a dimostrare di poter essere costruito.
Perché hanno senso i brevetti?
Molti di voi avranno sentito di tanto in tanto voci o campagne contro la proprietà intellettuale, per la libertà totale della conoscenza, come dicono gli oppositori di brevetti & co.
Qui voglio limitarmi al discorso sui brevetti, senza esprimermi in alcun modo sulle altre forme di proprietà intellettuale.
Quindi: perché ha senso che ci sia questa protezione data dai brevetti?
La risposta è molto semplice: senza protezione non è conveniente fare innovazione.
Al livello tecnologico attuale l'inventore isolato che inventa qualcosa a casa è l'eccezione e anche nei casi in cui ci sia, molto difficilmente avrà la possibilità di costruire e testare in proprio la sua idea (e non solo per ragioni finanziarie).
Quindi ha bisogno di un'azienda o di finanziatori dietro le spalle, ma questi vogliono prima o poi anche un riscontro economico, non sono società di beneficenza. Senza l'esclusiva concessa dai brevetti questo riscontro economico (che senza brevetto è dovuto semplicemente alle nude vendite, per di più in presenza di concorrenti che possono copiare l'idea senza avere avuto le spese per svilupparla) generalmente non basterebbe a rendere l'innovazione conveniente.
Senza brevetti le aziende avrebbero convenienza solo a fare evoluzione di prodotti già esistenti e gli inventori indipendenti non avrebbero i mezzi per portare avanti le proprie idee.
A questo punto uno però potrebbe chiedere: e allora perché si limita il diritto a questa protezione a soli vent'anni?
Semplice: perché una protezione eterna o quasi porterebbe al monopolio e bloccherebbe l'innovazione dall'altro lato.
Una volta che un'idea viene prodotta, è valida e ha successo, allora conquista il mercato. Se quindi quell'idea è protetta per sempre quel mercato è bloccato, nessun altro ci può entrare a meno che non glielo conceda il monopolista, nessuno può migliorare quell'idea (perché una semplice miglioria non è brevettabile e quindi la sua produzione è bloccata dal brevetto precedente).
Quindi nessuno avrebbe convenienza a fare ulteriore innovazione: il monopolista non ne avrebbe bisogno e la possibile concorrenza (sempre che sia sopravvissuta) avrebbe troppi ostacoli da superare.
Saluti,
Mauro.
Però qualcuno interessato al tema ma senza conoscenze specifiche potrebbe essersi sentito un po' lasciato in mezzo al guado, visto che ho chiarito alcune cose sui brevetti ma non ho chiarito le fondamenta su cui si basa il concetto di brevetto.
Cercherò di farlo qui rispondendo a tre domande di base (sperando di usare un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori).
Cos'è un brevetto?
Un brevetto è una forma di protezione legale nell'ambito della proprietà intellettuale.
Tale protezione garantisce a chi ha inventato qualcosa il controllo sull'utilizzo e la realizzazione della sua idea (cioè lui decide se produrla in proprio e se concedere licenze ad altri) e un guadagno nel caso questa idea venga commercializzata e abbia successo commerciale (guadagno diretto tramite le vendite per quanto prodotto in proprio o guadagno indiretto tramite licenze).
Essenziale è che l'idea porti a un prodotto materiale (per idee prettamente intellettuali che non portino alla possibilità di costruire qualcosa di materiale esistono altre forme di protezione).
Come detto nell'articolo del 28 giugno, la protezione data da un brevetto non è eterna: dura al massimo vent'anni, dopodiché chiunque può utilizzare le idee contenute nel brevetto stesso.
"Al massimo vent'anni" perché per poter godere della protezione va pagata una tariffa annua, ma si può decidere di smettere di pagare in ogni momento, non si è obbligati a farlo per vent'anni. Alla scadenza dell'anno in cui si smette di pagare si perde il diritto alla protezione.
Cosa può essere brevettato?
Intanto, come detto al punto precedente, l'idea deve poter portare a un prodotto materiale. Non deve essere astratta.
Sostanzialmente un'idea, un prodotto per poter aver diritto al brevetto deve rispondere a tre caratteristiche.
1) Novità: l'idea deve essere nuova (cioè non deve esistere già un prodotto o progetto basato su di essa) e innovativa (cioè non deve essere semplicemente nuova ma anche non essere conseguenza logica, palese di qualcosa di già esistente... insomma deve costituire un "salto" rispetto allo stato della tecnica).
2) Funzionalità: deve essere dimostrato (tramite calcoli, simulazioni o preferibilmente prototipi) che l'idea porti a un prodotto funzionante. Non basta che si creda possa funzionare, deve essere dimostrato che funzioni, almeno a livello teorico.
3) Utilità: il prodotto costruito sulla base dell'idea deve essere utile (qualcuno direbbe - venalmente - commerciabile), cioè deve rispondere a un problema o a un'esigenza reale. Non deve essere un prodotto di nessuna utilità, che serva solo a dimostrare di poter essere costruito.
Perché hanno senso i brevetti?
Molti di voi avranno sentito di tanto in tanto voci o campagne contro la proprietà intellettuale, per la libertà totale della conoscenza, come dicono gli oppositori di brevetti & co.
Qui voglio limitarmi al discorso sui brevetti, senza esprimermi in alcun modo sulle altre forme di proprietà intellettuale.
Quindi: perché ha senso che ci sia questa protezione data dai brevetti?
La risposta è molto semplice: senza protezione non è conveniente fare innovazione.
Al livello tecnologico attuale l'inventore isolato che inventa qualcosa a casa è l'eccezione e anche nei casi in cui ci sia, molto difficilmente avrà la possibilità di costruire e testare in proprio la sua idea (e non solo per ragioni finanziarie).
Quindi ha bisogno di un'azienda o di finanziatori dietro le spalle, ma questi vogliono prima o poi anche un riscontro economico, non sono società di beneficenza. Senza l'esclusiva concessa dai brevetti questo riscontro economico (che senza brevetto è dovuto semplicemente alle nude vendite, per di più in presenza di concorrenti che possono copiare l'idea senza avere avuto le spese per svilupparla) generalmente non basterebbe a rendere l'innovazione conveniente.
Senza brevetti le aziende avrebbero convenienza solo a fare evoluzione di prodotti già esistenti e gli inventori indipendenti non avrebbero i mezzi per portare avanti le proprie idee.
A questo punto uno però potrebbe chiedere: e allora perché si limita il diritto a questa protezione a soli vent'anni?
Semplice: perché una protezione eterna o quasi porterebbe al monopolio e bloccherebbe l'innovazione dall'altro lato.
Una volta che un'idea viene prodotta, è valida e ha successo, allora conquista il mercato. Se quindi quell'idea è protetta per sempre quel mercato è bloccato, nessun altro ci può entrare a meno che non glielo conceda il monopolista, nessuno può migliorare quell'idea (perché una semplice miglioria non è brevettabile e quindi la sua produzione è bloccata dal brevetto precedente).
Quindi nessuno avrebbe convenienza a fare ulteriore innovazione: il monopolista non ne avrebbe bisogno e la possibile concorrenza (sempre che sia sopravvissuta) avrebbe troppi ostacoli da superare.
Saluti,
Mauro.
domenica 8 luglio 2018
Discutere con gli stupidi
A tutti noi è capitato prima o poi di trovarsi impelagati in discussioni con degli stupidi (e se qualcuno crede che non gli sia mai capitato forse dovrebbe porsi la domanda se non sia lui lo stupido nelle discussioni).
Capitava in tempi pre internet nella vita reale e oggi ancora talvolta nella vita reale ma soprattutto in rete, sui cosiddetti social networks.
Qualunque fosse il tema della discussione e comunque finisse, fino a che non esisteva la rete non era un grande problema.
Lasciava sì l'amaro in bocca a chi cercava di discutere in maniera intelligente e portava argomenti, ma non aveva conseguenze. Almeno non serie. Sì, colui che cercava di ragionare ci faceva una brutta figura se la discussione degenerava o se si lasciava andare, ma tutto si chiudeva con la brutta figura.
A meno di non essere in TV finiva tutto lì (e in TV a quei tempi c'erano moderatori veri, quindi anche se uno stupido riusciva ad arrivare fino lì difficilmente la discussione degenerava).
Si usava anche dire che il più intelligente doveva lasciar perdere e, anche se la cosa non faceva piacere perché all'inizio lasciava un certo sapore di sconfitta, ciò serviva veramente a evitare che il tutto degenerasse o avesse risonanza.
Oggi, dove queste discussioni avvengono in rete, il discorso è diverso.
Per prima cosa la risonanza c'è fin da subito, qualsiasi piega prenda la discussione: la rete amplifica, non nasconde. Non hai più solo il tuo interlocutore o al massimo un pubblico limitato davanti a te. Hai potenzialmente il mondo intero.
E la maggioranza del pubblico non è interessata a chi ha ragione, ma a chi vince. E chi vince? Chi sbraita di più, chi ha l'ultima parola.
Quindi la tattica secondo cui il più intelligente lascia perdere, in rete non funziona: se lasci la discussione, la maggioranza della gente crederà che non hai argomenti e scappi.
Quindi devi avere l'ultima parola.
Ma, a meno di non essere su un blog o altro spazio dove tu stesso moderi gli interventi (o dove ci sono moderatori capaci), l'ultima parola non la avrai mai.
Perché?
Perché lo stupido in realtà non risponde a quello che tu dici, ma risponde in base ai discorsi che lui si fa dentro di sé, risponde a ciò che lui ha pensato che tu dirai, non a quello che hai effettivamente detto. Quindi lui avrà sempre una risposta. Generalmente fuori tema, ma la avrà. E la maggioranza del pubblico non capirà che è fuori tema.
È un circolo vizioso dove chi ragiona non può vincere in una discussione.
L'unico modo di vincere è non partecipare, non discutere.
E allora come fare per far sì che gli argomenti veri arrivino comunque in qualche modo al pubblico?
Io vedo solo due strade (da percorrere entrambe, non necessariamente alternative tra loro):
1) rivalutare la comunicazione classica (cioè i media pre internet);
2) ignorare i social networks (non internet nel globale: su internet ci sono spazi e risorse utilissimi e gestiti bene).
Saluti,
Mauro.
Capitava in tempi pre internet nella vita reale e oggi ancora talvolta nella vita reale ma soprattutto in rete, sui cosiddetti social networks.
Qualunque fosse il tema della discussione e comunque finisse, fino a che non esisteva la rete non era un grande problema.
Lasciava sì l'amaro in bocca a chi cercava di discutere in maniera intelligente e portava argomenti, ma non aveva conseguenze. Almeno non serie. Sì, colui che cercava di ragionare ci faceva una brutta figura se la discussione degenerava o se si lasciava andare, ma tutto si chiudeva con la brutta figura.
A meno di non essere in TV finiva tutto lì (e in TV a quei tempi c'erano moderatori veri, quindi anche se uno stupido riusciva ad arrivare fino lì difficilmente la discussione degenerava).
Si usava anche dire che il più intelligente doveva lasciar perdere e, anche se la cosa non faceva piacere perché all'inizio lasciava un certo sapore di sconfitta, ciò serviva veramente a evitare che il tutto degenerasse o avesse risonanza.
Oggi, dove queste discussioni avvengono in rete, il discorso è diverso.
Per prima cosa la risonanza c'è fin da subito, qualsiasi piega prenda la discussione: la rete amplifica, non nasconde. Non hai più solo il tuo interlocutore o al massimo un pubblico limitato davanti a te. Hai potenzialmente il mondo intero.
E la maggioranza del pubblico non è interessata a chi ha ragione, ma a chi vince. E chi vince? Chi sbraita di più, chi ha l'ultima parola.
Quindi la tattica secondo cui il più intelligente lascia perdere, in rete non funziona: se lasci la discussione, la maggioranza della gente crederà che non hai argomenti e scappi.
Quindi devi avere l'ultima parola.
Ma, a meno di non essere su un blog o altro spazio dove tu stesso moderi gli interventi (o dove ci sono moderatori capaci), l'ultima parola non la avrai mai.
Perché?
Perché lo stupido in realtà non risponde a quello che tu dici, ma risponde in base ai discorsi che lui si fa dentro di sé, risponde a ciò che lui ha pensato che tu dirai, non a quello che hai effettivamente detto. Quindi lui avrà sempre una risposta. Generalmente fuori tema, ma la avrà. E la maggioranza del pubblico non capirà che è fuori tema.
È un circolo vizioso dove chi ragiona non può vincere in una discussione.
L'unico modo di vincere è non partecipare, non discutere.
E allora come fare per far sì che gli argomenti veri arrivino comunque in qualche modo al pubblico?
Io vedo solo due strade (da percorrere entrambe, non necessariamente alternative tra loro):
1) rivalutare la comunicazione classica (cioè i media pre internet);
2) ignorare i social networks (non internet nel globale: su internet ci sono spazi e risorse utilissimi e gestiti bene).
Saluti,
Mauro.
Il pesce (non) puzza dalla testa
Ultimamente ho letto più volte (sia riguardo al governo attuale che a quelli precedenti) che non si può pretendere l'onestà, la correttezza dai cittadini visto l'esempio che ci arriva dall'alto, da parte di chi ci governa.
A parte il fatto che detto "esempio" è amplificato dall'informazione e dal fatto che un rappresentante delle istituzioni è molto più visibile di un semplice cittadino.
A parte il fatto che per i rappresentanti delle istituzioni si ama far confusione tra i concetti di indagato/accusato e quelli di colpevole/condannato.
A parte tutto ciò, è proprio il discorso dell'esempio a essere assurdo, a non avere senso.
Per due motivi.
Punto primo: l'Italia (o la Germania, visto che qui succede lo stesso, anche se viene meno urlato) è una repubblica parlamentare, quindi quelli che dovrebbero "darci l'esempio" sono lì perché, direttamente o indirettamente, ce li abbiamo messi noi... quindi vuol dire che quell'esempio ce lo siamo scelti da soli. Ce lo stiamo in realtà dando da soli! Positivo o negativo che sia.
Punto secondo: la legge, almeno nelle sue parti principali, la conosciamo tutti e tutti sappiamo cosa significano legge, diritto, onestà. Quindi non abbiamo bisogno di nessun esempio per rispettare la legge, per comportarci onestamente. Dipende solo e unicamente da noi stessi.
Il pesce puzza dalla testa?
Forse, ma ricordiamoci che la testa siamo noi. Se non sempre, per lo meno nel momento in cui mettiamo la croce sulla scheda elettorale.
E allora da dove lo prendiamo l'esempio?
L'esempio, l'insegnamento in un mondo civile ce lo danno da bambini e ragazzini la famiglia e la scuola, non la politica.
La maggioranza di noi comincia a interessarsi di politica quando l'esempio ormai è già arrivato ed è già stato interiorizzato, positivo o negativo che sia stato.
La politica non c'entra. Punto.
Saluti,
Mauro.
A parte il fatto che detto "esempio" è amplificato dall'informazione e dal fatto che un rappresentante delle istituzioni è molto più visibile di un semplice cittadino.
A parte il fatto che per i rappresentanti delle istituzioni si ama far confusione tra i concetti di indagato/accusato e quelli di colpevole/condannato.
A parte tutto ciò, è proprio il discorso dell'esempio a essere assurdo, a non avere senso.
Per due motivi.
Punto primo: l'Italia (o la Germania, visto che qui succede lo stesso, anche se viene meno urlato) è una repubblica parlamentare, quindi quelli che dovrebbero "darci l'esempio" sono lì perché, direttamente o indirettamente, ce li abbiamo messi noi... quindi vuol dire che quell'esempio ce lo siamo scelti da soli. Ce lo stiamo in realtà dando da soli! Positivo o negativo che sia.
Punto secondo: la legge, almeno nelle sue parti principali, la conosciamo tutti e tutti sappiamo cosa significano legge, diritto, onestà. Quindi non abbiamo bisogno di nessun esempio per rispettare la legge, per comportarci onestamente. Dipende solo e unicamente da noi stessi.
Il pesce puzza dalla testa?
Forse, ma ricordiamoci che la testa siamo noi. Se non sempre, per lo meno nel momento in cui mettiamo la croce sulla scheda elettorale.
E allora da dove lo prendiamo l'esempio?
L'esempio, l'insegnamento in un mondo civile ce lo danno da bambini e ragazzini la famiglia e la scuola, non la politica.
La maggioranza di noi comincia a interessarsi di politica quando l'esempio ormai è già arrivato ed è già stato interiorizzato, positivo o negativo che sia stato.
La politica non c'entra. Punto.
Saluti,
Mauro.
mercoledì 4 luglio 2018
Razzismi di destra e di sinistra 2
Lunedì ho pubblicato questo articolo sul razzismo implicito nel modo in cui è stata trattata la foto delle ragazze italiane che hanno vinto la 4x400 nell'atletica leggera ai Giochi del Mediterraneo.
Shevathas ha lasciato un commento decisamente importante e condivisibile al mio articolo:
Shevathas ha lasciato un commento decisamente importante e condivisibile al mio articolo:
purtroppo molti pensano, magari anche in buona fede, che se il razzismo è A->B allora antirazzismo è B->A
Vorrei qui esplicitare meglio la mia risposta al suo commento.
Intanto è assolutamente vero che purtroppo molti credono che fare dell'antirazzismo significhi ribaltare il razzismo: se io dico che i bianchi sono superiori ai neri, allora tu reagisci privilegiando i neri e inferiorizzando i bianchi.
Ma questo è invece semplicemente un raddoppio del razzismo, perché i razzismi - come i torti - non si sommano algebricamente, ma in valore assoluto.
Poi ci sono coloro che per dimostrarsi superiori dicono che antirazzismo significhi fare A+B.
Certo, fare A+B è un notevole passo avanti in quanto non c'è più la contrapposizione tra A e B. Però ci sono sempre A e B e quindi i germi della contrapposizione non sono eliminati ma solo, per così dire, sedati.
Il problema è che l'antirazzismo si definisce (a autodefinisce) solo in base al razzismo.
Per cui se il razzismo sparisce (o meglio sembra sparire), sparisce anche l'antirazzismo, perché non ce n'è più bisogno (si crede). Però è il razzismo (e con lui l'antirazzismo) a essere sparito, non le differenze.
A e B esistono ancora.
L'antirazzismo non elimina le differenze, anzi le esalta. Generalmente in buona fede, ma le esalta. E questa esaltazione è il germe del razzismo.
Ciò di cui abbiamo bisogno non è l'antirazzismo, ma la civiltà.
E la civiltà non è "A+B", ma "né A né B".
La civiltà significa indiferrenza, non antirazzismo.
Vedo che saltate sulla sedia. Indifferenza!?!?
Sì, indifferenza.
Ma non indifferenza verso il razzismo: il razzismo va combattuto sempre e comunque. Su questo non ci piove.
Però indifferenza verso le differenze: non essere razzista significa che se io ti ho davanti neanche mi accorgo se sei bianco, nero o che altro. Significa che è una cosa che non considero proprio. Né per attaccarti né per difenderti.
Significa che se ti do del coglione o del profittatore tu mi quereli perché ti ho diffamato come cittadino, non che ti metti a sbraitare al razzismo perché magari io sono bianco e tu nero (o viceversa).
Significa che se incontro un razzista lo rivolto per la sua ignoranza, non perché gli altri siano belli e bravi. Rivolto lui e in quel momento per me esiste solo lui, lui come ignorante, non lui come bianco o nero.
Significa che quando ti incontro non mi viene neanche in mente di pensare a quali diritti hai o non hai, perché tanto questi li decide la legge, non i razzisti o gli antirazzisti.
Voi mi direte: va bene, però ammetterai anche tu che l'antirazzismo è un passaggio utile, se non necessario, per arrivare a questo.
E se mi dite così vi do anche ragione.
Il problema è che l'antirazzismo per molti è la meta, lo scopo. Non un passaggio, un mezzo.
E così mettono le basi di nuovi razzismi.
Saluti,
Mauro.
Intanto è assolutamente vero che purtroppo molti credono che fare dell'antirazzismo significhi ribaltare il razzismo: se io dico che i bianchi sono superiori ai neri, allora tu reagisci privilegiando i neri e inferiorizzando i bianchi.
Ma questo è invece semplicemente un raddoppio del razzismo, perché i razzismi - come i torti - non si sommano algebricamente, ma in valore assoluto.
Poi ci sono coloro che per dimostrarsi superiori dicono che antirazzismo significhi fare A+B.
Certo, fare A+B è un notevole passo avanti in quanto non c'è più la contrapposizione tra A e B. Però ci sono sempre A e B e quindi i germi della contrapposizione non sono eliminati ma solo, per così dire, sedati.
Il problema è che l'antirazzismo si definisce (a autodefinisce) solo in base al razzismo.
Per cui se il razzismo sparisce (o meglio sembra sparire), sparisce anche l'antirazzismo, perché non ce n'è più bisogno (si crede). Però è il razzismo (e con lui l'antirazzismo) a essere sparito, non le differenze.
A e B esistono ancora.
L'antirazzismo non elimina le differenze, anzi le esalta. Generalmente in buona fede, ma le esalta. E questa esaltazione è il germe del razzismo.
Ciò di cui abbiamo bisogno non è l'antirazzismo, ma la civiltà.
E la civiltà non è "A+B", ma "né A né B".
La civiltà significa indiferrenza, non antirazzismo.
Vedo che saltate sulla sedia. Indifferenza!?!?
Sì, indifferenza.
Ma non indifferenza verso il razzismo: il razzismo va combattuto sempre e comunque. Su questo non ci piove.
Però indifferenza verso le differenze: non essere razzista significa che se io ti ho davanti neanche mi accorgo se sei bianco, nero o che altro. Significa che è una cosa che non considero proprio. Né per attaccarti né per difenderti.
Significa che se ti do del coglione o del profittatore tu mi quereli perché ti ho diffamato come cittadino, non che ti metti a sbraitare al razzismo perché magari io sono bianco e tu nero (o viceversa).
Significa che se incontro un razzista lo rivolto per la sua ignoranza, non perché gli altri siano belli e bravi. Rivolto lui e in quel momento per me esiste solo lui, lui come ignorante, non lui come bianco o nero.
Significa che quando ti incontro non mi viene neanche in mente di pensare a quali diritti hai o non hai, perché tanto questi li decide la legge, non i razzisti o gli antirazzisti.
Voi mi direte: va bene, però ammetterai anche tu che l'antirazzismo è un passaggio utile, se non necessario, per arrivare a questo.
E se mi dite così vi do anche ragione.
Il problema è che l'antirazzismo per molti è la meta, lo scopo. Non un passaggio, un mezzo.
E così mettono le basi di nuovi razzismi.
Saluti,
Mauro.
lunedì 2 luglio 2018
Razzismi di destra e di sinistra
Purtroppo oggigiorno bisogna spiegare (oserei dire giustificare) tutto quello che si fa, si dice e si scrive... visto che la regola è strumentalizzare, non capire.
Ieri è stata l'ultima giornata dei Giochi del Mediterraneo e l'Italia ha vinto un bel po' di medaglie, tra cui quella della 4x400 femminile, vittoria tutto sommato insperata.
E su Twitter è apparsa la foto delle ragazze della staffetta, che io ho ritwittato. Questa foto:
Per questo ho cancellato il mio retweet e di questa foto ne parlo solo qui sul mio blog, spazio mio personale anche se aperto al pubblico: perché qui sopra, a casa mia, se mi strumentalizzate vi prendo a calci in culo e cancello i vostri commenti.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Sarebbe anche interessante sapere quanti di coloro che hanno incensato e pubblicato o ritwittato la foto di cui sopra abbiano fatto lo stesso con la foto dei ragazzi vincitori della 4x100 alla stessa manifestazione (foto per me ugualmente bella, visto che riprende gli stessi colori: l'azzurro e il tricolore):
Ieri è stata l'ultima giornata dei Giochi del Mediterraneo e l'Italia ha vinto un bel po' di medaglie, tra cui quella della 4x400 femminile, vittoria tutto sommato insperata.
E su Twitter è apparsa la foto delle ragazze della staffetta, che io ho ritwittato. Questa foto:
Ora mi sono trovato costretto a cancellare il retweet.
Perché? Appunto perché questa foto è stata strumentalizzata. E non voglio che venga strumentalizzato anche il mio retweet.
Perché strumentalizzato? Perché se io (io Mauro Venier, non io persona generica) pubblico in qualsiasi termine una foto del genere o comunque ne scrivo... pubblico o ne scrivo perché voglio celebrare una vittoria o altra impresa sportiva fatta da atlete (o atleti) italiane... io vedo per prima cosa quella maglietta azzurra con la scritta "Italia". Il resto non mi interessa, anzi neanche lo vedo.
Chi inorridisce per il colore della pelle di quelle ragazze o non pubblica la foto per quel colore ha problemi seri sia di razzismo che di identità, visto che così facendo nega il colore più importante: l'azzurro.
Ma - e questo è il punto importante e sottovalutato - anche chi pubblica questa foto e gioisce proprio per il colore della pelle delle quattro ragazze ha gli stessi identici problemi di coloro che inorridiscono: problemi di razzismo e di identità, perché anche a lui alla fine del colore più importante - l'azzurro - non gliene frega nulla.
Ma allora, ve lo dico chiaramente, se non ve ne frega nulla dell'azzurro... cosa ve ne frega di questa foto e delle circostanze che a essa hanno portato? Ignoratela e non rompeteci le balle!
Io non posso che associarmi a quanto Fabrizio Biasin ha scritto su Twitter:
Per questo ho cancellato il mio retweet e di questa foto ne parlo solo qui sul mio blog, spazio mio personale anche se aperto al pubblico: perché qui sopra, a casa mia, se mi strumentalizzate vi prendo a calci in culo e cancello i vostri commenti.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
Sarebbe anche interessante sapere quanti di coloro che hanno incensato e pubblicato o ritwittato la foto di cui sopra abbiano fatto lo stesso con la foto dei ragazzi vincitori della 4x100 alla stessa manifestazione (foto per me ugualmente bella, visto che riprende gli stessi colori: l'azzurro e il tricolore):
P.S.2:
Qui un ulteriore sviluppo del mio pensiero su razzismo e antirazzismo.