Da un po' di giorni si parla molto dell'atto di Salwan Momika, rifugiato iracheno in Svezia.
Questi, a Stoccolma, ha strofinato pancetta su un Corano, lo ha calpestato e poi ne ha bruciato alcune pagine.
Ora, che a livello politico le reazioni nel mondo islamico siano state esagerate, assurde è palese, essendo per di più l'atto di un singolo individuo.
Comunque a livello di considerazioni politiche avete letture più che a sufficienza in rete, sia pro che contro. Non ci aggiungo le mie. A questo punto sarebbe solo aggiungere rumore al rumore.
Però una cosa posso e voglio dirla.
Io posso capire lo stato d'animo di Momika, la sua frustrazione, al limite anche il suo odio.
Non so cosa abbia subito in Iraq e dagli islamisti, ma di sicuro nulla di piacevole né di giustificabile o di accettabile.
Io posso capire... ma i libri non si bruciano.
Bruciare un libro significa voler tappare la bocca a chi quel libro lo ha scritto e a chi lo legge.
Quando bruci un libro (che sia un testo religioso, politico, letterario o qualsiasi altra cosa) commetti un atto di censura, di repressione, perché vuoi mettere a tacere quel libro e chi lo legge.
Se bruci un libro, anche il peggiore e più pericoloso dei libri, sei un intollerante quanto quelli che combatti. Se quel libro è pericoloso, negativo ne combatti i contenuti con gli argomenti, non con le fiamme. Soprattutto quando non sei più sul posto, ma vivi in un paese sicuro.
Se usi le fiamme significa che se tu dovessi andare al potere al posto dei tuoi nemici li opprimeresti come loro hanno oppresso te.
L'unica differenza sarebbe l'inversione dei ruoli tra persecutori e perseguitati.
Perché...
[...], dort wo man Bücher
Vebrennt, verbrennt man auch am Ende Menschen.
[...], dove si bruciano i libri,
alla fine si bruciano anche gli uomini.
(Heinrich Heine, "Almansor", versi 243-4)
Saluti,
Mauro.
Qui siamo d'accordo!
RispondiEliminaE qui lo davo per scontato!
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