Lunedì scorso, 27 maggio, è morto Little Tony, all'anagrafe Antonio Ciacci.
Un cantante che a me piaceva, non certo un mio idolo assoluto, ma comunque uno che ho sempre ascoltato molto volentieri (e una canzone come Riderà è comunque un capolavoro, al di là dei gusti personali).
Ma non voglio parlarvi dei miei gusti musicali. Voglio parlarvi del "giornalismo" italiano.
Andate a cercare sul web cosa hanno scritto o detto le varie testate giornalistiche italiane: troverete definizioni come "l'Elvis italiano", "il nostro Elvis", "il primo rock'n'roller italiano" e cose simili.
Peccato solo che Little Tony non fosse italiano.
E che la cittadinanza italiana non la abbia mai avuta né richiesta.
Little Tony era ed è sempre rimasto sanmarinese.
Saluti,
Mauro.
Ogni tanto (anzi spesso) mi vengono in mente interpretazioni di avvenimenti e fatti oppure giudizi su persone ed eventi che non si possono certo definire conformisti. O magari semplicemente idee e pensieri personali, indipendenti. Alcune di queste idee saranno giuste e condivisibili, altre no, ma sono orgoglioso che non siano conformi. I commenti anonimi non sono graditi, essi verranno cancellati a meno che non portino contributi concreti e seri. Buona lettura a tutti.
giovedì 30 maggio 2013
lunedì 27 maggio 2013
Simpatia e rispetto
Ieri sul blog ho scritto di Don Gallo.
Dopo averne scritto mi è venuta in mente una considerazione, indipendente in realtà da Don Gallo stesso, ma rafforzata dalle reazioni alla sua morte lette sui vari forum, siti web, ecc.
E questa considerazione è: spesso si confonde la simpatia col rispetto.
Mi spiego meglio: un criminale può essere simpaticissimo e un santo può essere antipaticissimo (e spesso è veramente così in entrambi i casi).
Però la maggioranza della gente usa la simpatia come valore morale.
No, la simpatia è un valore per una serata in compagnia. Non è un valore morale.
Se io voglio solo divertirmi un sabato sera è chiaro che è meglio che chi mi sta intorno mi trovi simpatico piuttosto che degno di rispetto.
Però la vita non si limita ai sabato sera... quindi meglio essere degni di rispetto che simpatici.
Poi, se si riesce a essere entrambe le cose, meglio ancora. Ma tra le due c'è una priorità chiara e definita. Almeno per me.
Cosa c'entra Don Gallo con questo?
Semplicemente che ho letto molti commenti che lo attaccavano moralmente per la sua antipatia. Ora, a me era simpatico, ma posso capire che certi suoi atteggiamenti per altre persone possano risultare antipatici, estremamente antipatici... ma ciò non lo rende meno degno di rispetto.
Il rispetto (o il disprezzo) lo merita per ciò che ha fatto, non per come si è presentato.
E ciò vale per ogni altra persona al mondo, non solo per lui.
Saluti,
Mauro.
Dopo averne scritto mi è venuta in mente una considerazione, indipendente in realtà da Don Gallo stesso, ma rafforzata dalle reazioni alla sua morte lette sui vari forum, siti web, ecc.
E questa considerazione è: spesso si confonde la simpatia col rispetto.
Mi spiego meglio: un criminale può essere simpaticissimo e un santo può essere antipaticissimo (e spesso è veramente così in entrambi i casi).
Però la maggioranza della gente usa la simpatia come valore morale.
No, la simpatia è un valore per una serata in compagnia. Non è un valore morale.
Se io voglio solo divertirmi un sabato sera è chiaro che è meglio che chi mi sta intorno mi trovi simpatico piuttosto che degno di rispetto.
Però la vita non si limita ai sabato sera... quindi meglio essere degni di rispetto che simpatici.
Poi, se si riesce a essere entrambe le cose, meglio ancora. Ma tra le due c'è una priorità chiara e definita. Almeno per me.
Cosa c'entra Don Gallo con questo?
Semplicemente che ho letto molti commenti che lo attaccavano moralmente per la sua antipatia. Ora, a me era simpatico, ma posso capire che certi suoi atteggiamenti per altre persone possano risultare antipatici, estremamente antipatici... ma ciò non lo rende meno degno di rispetto.
Il rispetto (o il disprezzo) lo merita per ciò che ha fatto, non per come si è presentato.
E ciò vale per ogni altra persona al mondo, non solo per lui.
Saluti,
Mauro.
domenica 26 maggio 2013
Il prete con il sigaro
Il 22 maggio, quattro giorni fa, è morto Don Andrea Gallo.
Ho avuto remore a scriverne, perché praticamente tutti ne hanno scritto. In un modo o nell'altro, apprezzando o disprezzando, ma le parole su Don Gallo non sono mancate.
Però, da genovese, alla fine la mia la devo dire.
Una cosa è certa: dal 22 maggio Genova è più povera. Don Gallo era un uomo, non un santo, aveva i suoi difetti (non pochi, per fortuna). Ma proprio per questo la sua morte rende Genova più povera.
I santi non hanno mai arricchito l'umanità. Hanno sempre e solo fatto marketing per la propria immagine e per il Vaticano.
E Don Gallo non era un santo. Per fortuna.
Don Gallo era un prete.
Ma prima di essere un prete era le seguenti cose:
- un uomo
- un partigiano
- un comunista
- un genoano
- un rompiballe
Soprattutto un rompiballe.
Ed era anche un vanitoso, checché se ne dica. Ma per fortuna lo era. Voleva sempre stare al centro dell'attenzione... ma se non fosse stato così, col cazzo (scusate la volgarità, ma al Gallo piaceva parlare chiaro, quindi lo faccio anch'io) che avrebbe ottenuto il sostegno e i necessari finanziamenti per la sua comunità (San Benedetto al Porto) e le sue varie altre attività.
La Chiesa (il maiuscolo è ironico) avrebbe potuto arricchirsi (non finanziariamente, ma in tutti gli altri sensi) seguendo Don Gallo... invece ha avuto la "bella" idea di mandare quel politico ipocrita di Bagnasco a celebrarne le esequie... il quale, citando (in termini scorretti e a sproposito) il rapporto tra Don Gallo e il vecchio Cardinale Giuseppe Siri, ha dimostrato non aver capito un belino né di Don Gallo né del Cardinal Siri.
Ma cosa aspettarsi da un politico come Bagnasco che non ha la minima idea di cosa siano né la società, né la religione, né l'umanità?
Meno male che la gente di Genova (e non solo) ha coperto le sue parole cantando Bella Ciao. Un inno del partigiano Don Gallo.
E per finire vorrei lasciar da parte sia la religione sia la politica.
Vorrei solo invitarvi ad andare nel ristorante gestito dalla comunità di Don Gallo: la Trattoria 'A Lanterna.
Qualunque cosa pensiate di Don Gallo, vi garantisco che è uno dei ristoranti migliori di Genova. Io ci ho mangiato, non parlo per sentito dire.
Saluti,
Mauro.
Ho avuto remore a scriverne, perché praticamente tutti ne hanno scritto. In un modo o nell'altro, apprezzando o disprezzando, ma le parole su Don Gallo non sono mancate.
Però, da genovese, alla fine la mia la devo dire.
Una cosa è certa: dal 22 maggio Genova è più povera. Don Gallo era un uomo, non un santo, aveva i suoi difetti (non pochi, per fortuna). Ma proprio per questo la sua morte rende Genova più povera.
I santi non hanno mai arricchito l'umanità. Hanno sempre e solo fatto marketing per la propria immagine e per il Vaticano.
E Don Gallo non era un santo. Per fortuna.
Don Gallo era un prete.
Ma prima di essere un prete era le seguenti cose:
- un uomo
- un partigiano
- un comunista
- un genoano
- un rompiballe
Soprattutto un rompiballe.
Ed era anche un vanitoso, checché se ne dica. Ma per fortuna lo era. Voleva sempre stare al centro dell'attenzione... ma se non fosse stato così, col cazzo (scusate la volgarità, ma al Gallo piaceva parlare chiaro, quindi lo faccio anch'io) che avrebbe ottenuto il sostegno e i necessari finanziamenti per la sua comunità (San Benedetto al Porto) e le sue varie altre attività.
La Chiesa (il maiuscolo è ironico) avrebbe potuto arricchirsi (non finanziariamente, ma in tutti gli altri sensi) seguendo Don Gallo... invece ha avuto la "bella" idea di mandare quel politico ipocrita di Bagnasco a celebrarne le esequie... il quale, citando (in termini scorretti e a sproposito) il rapporto tra Don Gallo e il vecchio Cardinale Giuseppe Siri, ha dimostrato non aver capito un belino né di Don Gallo né del Cardinal Siri.
Ma cosa aspettarsi da un politico come Bagnasco che non ha la minima idea di cosa siano né la società, né la religione, né l'umanità?
Meno male che la gente di Genova (e non solo) ha coperto le sue parole cantando Bella Ciao. Un inno del partigiano Don Gallo.
E per finire vorrei lasciar da parte sia la religione sia la politica.
Vorrei solo invitarvi ad andare nel ristorante gestito dalla comunità di Don Gallo: la Trattoria 'A Lanterna.
Qualunque cosa pensiate di Don Gallo, vi garantisco che è uno dei ristoranti migliori di Genova. Io ci ho mangiato, non parlo per sentito dire.
Saluti,
Mauro.
martedì 21 maggio 2013
Una misura dell'attualità (e del liberismo)
La sezione italiana di Save the Children ha lanciato una campagna contro la povertà infantile. E contro il fatto che questa povertà ha come conseguenza anche la limitazione di fatto (anche se non di legge) del diritto all'istruzione.
Niente di strano, direte voi. Save the Children è nata con questi compiti e ha già lanciato innumerevoli azioni per i diritti dell'infanzia nel terzo mondo.
E invece no, sbagliate. Perché questa campagna riguarda non il terzo mondo, bensì un paese del G8, della UE, del mondo ricco.
Questa campagna riguarda l'Italia.
E non è una campagna provocatoria. Il problema è reale.
Sempre più bambini e adolescenti sono a rischio (o già oltre) povertà e di conseguenza a rischio di non poter godere il proprio diritto all'istruzione.
E pensando a ciò mi viene in mente la mia storia personale.
Io, come alcuni di voi ricorderanno, sono laureato in fisica e - pur non essendo certo un top manager o un premio Nobel - ho avuto comunque una discreta carriera (che spero vada avanti, ma questo ora è fuori tema).
Io sono arrivato alla laurea frequentando, dopo le scuole dell'obbligo, un liceo di ottima qualità e poi, chiaramente, l'università. Quest'ultima a livello internazionale, avendo studiato principalmente nella mia città, Genova, ma per un periodo anche nei Paesi Bassi, a Eindhoven.
Nulla di così incredibile, penserete voi.
E quando ho studiato io, effettivamente non era proprio la normalità assoluta, ma non era comunque nulla di incredibile.
Oggi, molto probabilmente, invece la cosa sarebbe incredibile. Non impossibile, ma molto, molto più complicata di quello che è stato per me.
Perché?
Io vengo da una famiglia con pochi soldi. Mio padre era operaio e mia madre casalinga.
Però quando ho studiato io (scuole dell'obbligo a cavallo tra gli anni '70 e gli anni '80, liceo negli anni '80, università a cavallo tra gli anni '80 e gli anni '90) esisteva anche una cosa chiamata Stato.
È vero che per potermi laureare ho dovuto metterci l'impegno mio e i sacrifici di mio padre... però senza uno Stato che esisteva veramente (ditemi tutto il male che volete di DC e PCI, ma allora in Italia lo Stato c'era) quell'impegno e quei sacrifici non sarebbero serviti a niente. Punto.
Oggi avrei ben altre difficoltà.
Da quando il liberismo comanda e decide che lo Stato non serve le cose sono cambiate. E non c'entra la crisi.
Oggi il mio impegno e i sacrifici di mio padre non basterebbero. Avrei bisogno di altro.
O di lavorare (ma veramente, non lavoretti estivi o simili) e quindi lo studio ne soffrirebbe.
O di essere un genio assoluto e quindi ottenere sostegno da qualche fondazione o azienda.
Ma per far scoprire la mia genialità dovrei poter frequentare un ottimo liceo, cosa che da figlio di operaio oggi è più difficile di ieri.
Saluti,
Mauro.
Niente di strano, direte voi. Save the Children è nata con questi compiti e ha già lanciato innumerevoli azioni per i diritti dell'infanzia nel terzo mondo.
E invece no, sbagliate. Perché questa campagna riguarda non il terzo mondo, bensì un paese del G8, della UE, del mondo ricco.
Questa campagna riguarda l'Italia.
E non è una campagna provocatoria. Il problema è reale.
Sempre più bambini e adolescenti sono a rischio (o già oltre) povertà e di conseguenza a rischio di non poter godere il proprio diritto all'istruzione.
E pensando a ciò mi viene in mente la mia storia personale.
Io, come alcuni di voi ricorderanno, sono laureato in fisica e - pur non essendo certo un top manager o un premio Nobel - ho avuto comunque una discreta carriera (che spero vada avanti, ma questo ora è fuori tema).
Io sono arrivato alla laurea frequentando, dopo le scuole dell'obbligo, un liceo di ottima qualità e poi, chiaramente, l'università. Quest'ultima a livello internazionale, avendo studiato principalmente nella mia città, Genova, ma per un periodo anche nei Paesi Bassi, a Eindhoven.
Nulla di così incredibile, penserete voi.
E quando ho studiato io, effettivamente non era proprio la normalità assoluta, ma non era comunque nulla di incredibile.
Oggi, molto probabilmente, invece la cosa sarebbe incredibile. Non impossibile, ma molto, molto più complicata di quello che è stato per me.
Perché?
Io vengo da una famiglia con pochi soldi. Mio padre era operaio e mia madre casalinga.
Però quando ho studiato io (scuole dell'obbligo a cavallo tra gli anni '70 e gli anni '80, liceo negli anni '80, università a cavallo tra gli anni '80 e gli anni '90) esisteva anche una cosa chiamata Stato.
È vero che per potermi laureare ho dovuto metterci l'impegno mio e i sacrifici di mio padre... però senza uno Stato che esisteva veramente (ditemi tutto il male che volete di DC e PCI, ma allora in Italia lo Stato c'era) quell'impegno e quei sacrifici non sarebbero serviti a niente. Punto.
Oggi avrei ben altre difficoltà.
Da quando il liberismo comanda e decide che lo Stato non serve le cose sono cambiate. E non c'entra la crisi.
Oggi il mio impegno e i sacrifici di mio padre non basterebbero. Avrei bisogno di altro.
O di lavorare (ma veramente, non lavoretti estivi o simili) e quindi lo studio ne soffrirebbe.
O di essere un genio assoluto e quindi ottenere sostegno da qualche fondazione o azienda.
Ma per far scoprire la mia genialità dovrei poter frequentare un ottimo liceo, cosa che da figlio di operaio oggi è più difficile di ieri.
Saluti,
Mauro.
La legge del contrappasso...
Ma guarda un po', appena la Gabanelli fa un po' di pulci a Grillo e Casaleggio (come ha fatto a tantissimi altri prima di loro), diventa una traditrice, una pagata dal PD-PdL o peggio ancora.
E solo poche settimane fa era la loro prima candidata alla Presidenza della Repubblica (resta da chiedersi se i militanti del M5S sapessero chi è, ma questa è un'altra storia).
Invece di lodarne l'indipendenza... valanghe di insulti. Esattamente proprio come faceva la "casta". Dov'è la differenza?
Che poi, per inciso, la Gabanelli in realtà non ha posto domande sul M5S, ma sull'azienda di Casaleggio (che gestisce il blog di Grillo e quindi, di fatto, è padrona del M5S).
Mi ricorda un'altra storia italiana. Di un altro impreditore. Padrone di un altro partito.
Saluti,
Mauro.
E solo poche settimane fa era la loro prima candidata alla Presidenza della Repubblica (resta da chiedersi se i militanti del M5S sapessero chi è, ma questa è un'altra storia).
Invece di lodarne l'indipendenza... valanghe di insulti. Esattamente proprio come faceva la "casta". Dov'è la differenza?
Che poi, per inciso, la Gabanelli in realtà non ha posto domande sul M5S, ma sull'azienda di Casaleggio (che gestisce il blog di Grillo e quindi, di fatto, è padrona del M5S).
Mi ricorda un'altra storia italiana. Di un altro impreditore. Padrone di un altro partito.
Saluti,
Mauro.
sabato 18 maggio 2013
La geografia degli operatori telefonici
Non solo i quotidiani italiani hanno grossi problemi con la geografia (ne parlai qui e qui).
Anche gli operatori telefonici tedeschi hanno le loro difficoltà con detta materia.
La Ortel Mobile vi promette di permettervi di parlare a prezzi convenienti in 230 paesi:
Anche gli operatori telefonici tedeschi hanno le loro difficoltà con detta materia.
La Ortel Mobile vi promette di permettervi di parlare a prezzi convenienti in 230 paesi:
"in 230 Länder telefonieren" significa "telefonare in 230 paesi/stati".
La parola "Land" (plurale "Länder") in tedesco - quando usata in contesto internazionale - significa "paese indipendente" (quindi in questo senso, per esempio, gli USA contano 1 e non 50, essendo i singoli stati non indipendenti, bensì confederati e sottoposti a un'istanza superiore).
E allora dove sta il problema?
Il problema sta nel fatto che al mondo non esistono 230 stati indipendenti.
Gli stati indipendenti al mondo sono 196.
Probabilmente con Ortel a quanto pare si possono chiamare anche gli stati indipendenti di Marte e/o Venere. Non solo quelli della Terra :-)
Saluti,
Mauro.
giovedì 16 maggio 2013
Io prima o poi gliele taglio (ergo tedeschi e italiani)
Le mani. Al mio capo. E anche la lingua.
No, non fraintendete, non ho un capo violento che picchia i sottoposti (anche perché, col caratterino che mi ritrovo, capo o non capo... finirebbe per prenderne più che darne).
No, mi riferisco al gesticolare quando si parla.
Il mito dice che noi italiani gesticoliamo e i tedeschi no.
Bene, io sono italiano e il mio capo è tedesco. Io quando parlo gesticolo praticamente in misura nulla, lui mulina le braccia che neanche un professionista del teatro muto (anzi neanche della capoeria).
Ma ciò non basta... quando si tratta di parlare, a livello professionale io mi aspetto chiarezza e concisione. E non solo me la aspetto dagli altri, la fornisco io per primo.
Quando devo spiegare una cosa, devo essere chiaro, ma questa chiarezza deve essere espressa col minor numero di parole possibile.
E, oltre a ciò, se mi viene posta una domanda io devo - e voglio - rispondere chiaramente a quella domanda e basta. Tutto ciò che va oltre la domanda non importa, non c'entra.
E, da bravo italiano, mi regolo di conseguenza. Rimango in tema, sono conciso e preciso.
Il mio capo invece, da bravo tedesco, va fuori tema, si perde in discorsi lunghissimi, usa 1000 parole quando 100 bastano.
Se gli chiedi, per esempio, di che colore è la sua auto, prima di dirtelo ti fa una capa tanta sul perché lui ha scelto quell'auto e non un'altra e sul come i colori vengano scelti dalle varie case automobilistiche... ma a te interessa solo il colore della sua auto, del resto non te ne frega niente.
È vero che il mio capo è particolarmente estremo... però il problema è generalizzato.
Nonostante le leggende metropolitane dicano il contrario, il tedesco generalmente divaga, l'italiano generalmente va al punto.
Saluti,
Mauro.
No, non fraintendete, non ho un capo violento che picchia i sottoposti (anche perché, col caratterino che mi ritrovo, capo o non capo... finirebbe per prenderne più che darne).
No, mi riferisco al gesticolare quando si parla.
Il mito dice che noi italiani gesticoliamo e i tedeschi no.
Bene, io sono italiano e il mio capo è tedesco. Io quando parlo gesticolo praticamente in misura nulla, lui mulina le braccia che neanche un professionista del teatro muto (anzi neanche della capoeria).
Ma ciò non basta... quando si tratta di parlare, a livello professionale io mi aspetto chiarezza e concisione. E non solo me la aspetto dagli altri, la fornisco io per primo.
Quando devo spiegare una cosa, devo essere chiaro, ma questa chiarezza deve essere espressa col minor numero di parole possibile.
E, oltre a ciò, se mi viene posta una domanda io devo - e voglio - rispondere chiaramente a quella domanda e basta. Tutto ciò che va oltre la domanda non importa, non c'entra.
E, da bravo italiano, mi regolo di conseguenza. Rimango in tema, sono conciso e preciso.
Il mio capo invece, da bravo tedesco, va fuori tema, si perde in discorsi lunghissimi, usa 1000 parole quando 100 bastano.
Se gli chiedi, per esempio, di che colore è la sua auto, prima di dirtelo ti fa una capa tanta sul perché lui ha scelto quell'auto e non un'altra e sul come i colori vengano scelti dalle varie case automobilistiche... ma a te interessa solo il colore della sua auto, del resto non te ne frega niente.
È vero che il mio capo è particolarmente estremo... però il problema è generalizzato.
Nonostante le leggende metropolitane dicano il contrario, il tedesco generalmente divaga, l'italiano generalmente va al punto.
Saluti,
Mauro.
mercoledì 15 maggio 2013
Targhe tedesche 1
Credo che Alemanno o La Russa darebbero un braccio (o anche più) pur di avere una targa simile:
martedì 14 maggio 2013
Le persone e le riunioni... una tragedia
Io, visto il lavoro che svolgo, sono spesso impegnato in riunioni di vario tipo.
Talvolta solo come partecipante, talvolta anche come come organizzatore e moderatore.
Non ho nulla contro le riunioni in sé (a parte il fatto che molte sono inutili a priori e quindi evitabili), infatti molte riunioni possono essere utilissime per "cementare" la squadra e - soprattutto - per mettere sul tavolo tutte le carte (se si gioca pulito, come dovrebbe sempre essere).
Il mio problema con le riunioni è di tutt'altro tipo. E ha a che fare non con eventuali scorrettezze, bensì con l'idiozia dei partecipanti e con il non riconoscere detta idiozia da parte dei moderatori.
Riassumo il problema con una serie di domande (retoriche). Le risposte le lascio ai lettori.
1) Perché in una riunione si va regolarmente fuori tema?
2) Perché i partecipanti a una riunione pongono sempre domande che col tema non c'entrano nulla?
3) Perché alle domande del punto 2) vengono comunque date risposte (che spesso col tema c'entrano anche meno della domanda)?
4) Perché chi fa una domanda, dopo aver ottenuto una risposta (anche se corretta ed esauriente) si sente obbligato a dare comunque una controrisposta (generalmente inutile)?
5) Ma soprattutto: perché ogni volta che un tema può essere espresso in maniera chiara e precisa con 100 parole tutti ne usano, nella migliore delle ipotesi, 1000, cioè dieci volte tanto?
Le riunioni sono necessarie, non lo nego, se usate bene. Ma chi le sa usare veramente?
Saluti,
Mauro.
Talvolta solo come partecipante, talvolta anche come come organizzatore e moderatore.
Non ho nulla contro le riunioni in sé (a parte il fatto che molte sono inutili a priori e quindi evitabili), infatti molte riunioni possono essere utilissime per "cementare" la squadra e - soprattutto - per mettere sul tavolo tutte le carte (se si gioca pulito, come dovrebbe sempre essere).
Il mio problema con le riunioni è di tutt'altro tipo. E ha a che fare non con eventuali scorrettezze, bensì con l'idiozia dei partecipanti e con il non riconoscere detta idiozia da parte dei moderatori.
Riassumo il problema con una serie di domande (retoriche). Le risposte le lascio ai lettori.
1) Perché in una riunione si va regolarmente fuori tema?
2) Perché i partecipanti a una riunione pongono sempre domande che col tema non c'entrano nulla?
3) Perché alle domande del punto 2) vengono comunque date risposte (che spesso col tema c'entrano anche meno della domanda)?
4) Perché chi fa una domanda, dopo aver ottenuto una risposta (anche se corretta ed esauriente) si sente obbligato a dare comunque una controrisposta (generalmente inutile)?
5) Ma soprattutto: perché ogni volta che un tema può essere espresso in maniera chiara e precisa con 100 parole tutti ne usano, nella migliore delle ipotesi, 1000, cioè dieci volte tanto?
Le riunioni sono necessarie, non lo nego, se usate bene. Ma chi le sa usare veramente?
Saluti,
Mauro.
lunedì 13 maggio 2013
E adesso giochiamo un po'
Io sono un fisico "venduto" all'industria, che divinizza la matematica e che come hobbies ha i suoi blog, il giornalismo, la poesia e il teatro.
E queste sono cose note a tutti. Ribadendole scopro e faccio scoprire solo l'acqua calda. Anzi addirittura quella fredda :)
Chi mi conosce veramente bene (cioè non tantissimi, anzi...) sa però che uno dei miei grandi amori è la geografia. In tutte le sue sfaccettature.
E quindi oggi vi faccio giocare. Vi faccio giocare con la geografia.
Divertitevi con GeoGuessr, un quiz geografico basato su Google StreetView. A me piace da matti :)
Saluti,
Mauro.
E queste sono cose note a tutti. Ribadendole scopro e faccio scoprire solo l'acqua calda. Anzi addirittura quella fredda :)
Chi mi conosce veramente bene (cioè non tantissimi, anzi...) sa però che uno dei miei grandi amori è la geografia. In tutte le sue sfaccettature.
E quindi oggi vi faccio giocare. Vi faccio giocare con la geografia.
Divertitevi con GeoGuessr, un quiz geografico basato su Google StreetView. A me piace da matti :)
Saluti,
Mauro.
mercoledì 8 maggio 2013
Una città colpita al cuore
Il porto è il cuore di Genova.
Geograficamente, economicamente e culturalmente. E per i veri genovesi anche sentimentalmente.
Quindi l'assurdo incidente verificatosi la scorsa notte a Genova è, qualunque ne siano state le cause, un colpo al cuore della città. Un colpo al cuore di Genova.
Sette (forse nove, visti i due dispersi) vite si sono perse.
Qualche cinico dirà che ci sono stragi peggiori (vedasi la strage nella fabbrica tessile in Bangladesh)... ma si tratta appunto di cinici: ogni singolo morto sul lavoro è un morto di troppo. A Genova, come a Dacca, come a New York, come a Lagos.
Soprattutto quando si muore per incidenti apparentemente assurdi e impossibili come quello di Genova.
Ma oltre alle vite perse, che sono comunque la cosa più importante e drammatica, a Genova si è perso un pezzo di città.
Come detto il porto è - sotto ogni punto di vista - il cuore di Genova. E la cicatrice lasciata dalla Jolly Nero rimarrà. Non tanto sotto forma di un edificio distrutto, quanto sotto forma di uno sfregio morale... una nave non deve distruggere il porto che la accoglie. Come un figlio non deve distruggere una madre.
Stasera, sui campi della serie A, si è osservato un minuto di silenzio. Il CONI lo aveva ordinato in memoria di Andreotti (vergogna per il CONI, comunque si giudichi politicamente e umanamente Andreotti).
Io voglio sperare che almeno sui due campi dove hanno giocato le squadre genovesi (Genova per Sampdoria-Catania e Torino per Torino-Genoa) i giocatori e i tifosi abbiano in quel minuto pensato a Genova e ai suoi morti e abbiano dimenticato Andreotti.
Se hanno rispettato il silenzio, spero lo abbiano fatto in onore dei morti di Genova.
Se non lo hanno rispettato, spero lo abbiano fatto per protesta, perché non era dedicato ai morti di Genova.
Saluti,
Mauro.
Geograficamente, economicamente e culturalmente. E per i veri genovesi anche sentimentalmente.
Quindi l'assurdo incidente verificatosi la scorsa notte a Genova è, qualunque ne siano state le cause, un colpo al cuore della città. Un colpo al cuore di Genova.
Sette (forse nove, visti i due dispersi) vite si sono perse.
Qualche cinico dirà che ci sono stragi peggiori (vedasi la strage nella fabbrica tessile in Bangladesh)... ma si tratta appunto di cinici: ogni singolo morto sul lavoro è un morto di troppo. A Genova, come a Dacca, come a New York, come a Lagos.
Soprattutto quando si muore per incidenti apparentemente assurdi e impossibili come quello di Genova.
Ma oltre alle vite perse, che sono comunque la cosa più importante e drammatica, a Genova si è perso un pezzo di città.
Come detto il porto è - sotto ogni punto di vista - il cuore di Genova. E la cicatrice lasciata dalla Jolly Nero rimarrà. Non tanto sotto forma di un edificio distrutto, quanto sotto forma di uno sfregio morale... una nave non deve distruggere il porto che la accoglie. Come un figlio non deve distruggere una madre.
Stasera, sui campi della serie A, si è osservato un minuto di silenzio. Il CONI lo aveva ordinato in memoria di Andreotti (vergogna per il CONI, comunque si giudichi politicamente e umanamente Andreotti).
Io voglio sperare che almeno sui due campi dove hanno giocato le squadre genovesi (Genova per Sampdoria-Catania e Torino per Torino-Genoa) i giocatori e i tifosi abbiano in quel minuto pensato a Genova e ai suoi morti e abbiano dimenticato Andreotti.
Se hanno rispettato il silenzio, spero lo abbiano fatto in onore dei morti di Genova.
Se non lo hanno rispettato, spero lo abbiano fatto per protesta, perché non era dedicato ai morti di Genova.
Saluti,
Mauro.
La morte di un calciatore non importante
Oggi è morto Ferruccio Mazzola.
Figlio del grande Valentino Mazzola, morto a Superga con tutto il grande Torino di cui era capitano, e fratello dell'icona interista Sandro Mazzola.
Ferruccio Mazzola è stato uno dei pochi calciatori professionisti ad avere il coraggio di denunciare il doping nel calcio, parlando e scrivendo di cose concrete, in buona parte vissute in prima persona.
Ferruccio Mazzola giocò, tra le altre squadre, nell'Inter di Helenio Herrera e nella Fiorentina dei primi anni settanta.
Due squadre di cui molti giocatori moriranno prematuramente. E tutti per malattie varie (in particolare tumori), nessuno per incidenti.
E quando, nel 2004, Ferruccio Mazzola pubblicò il libro "Il terzo incomodo" in cui parlava del doping citando fatti e nomi... suo fratello Sandro e il "santo" interista Giacinto Facchetti gli tolsero il saluto e da allora non gli rivolsero più la parola.
Peccato che anche lo stesso Facchetti, nel 2006, come tanti altri suoi compagni nell'Inter di Herrera prima di lui, morirà prematuramente, né di vecchiaia né per incidente.
E anche Ferruccio Mazzola è morto a soli 68 anni. Malato da tempo e senza aver subito mai nessun incidente.
Sono tutti indizi, non prove, vero... però quando gli indizi cominciano a essere tanti e tutti nella stessa direzione... forse dovrebbero diventare prove.
Ferruccio Mazzola non era un calciatore importante. Ma è stato, ed è, un uomo importante. Un grande uomo.
Saluti,
Mauro.
Figlio del grande Valentino Mazzola, morto a Superga con tutto il grande Torino di cui era capitano, e fratello dell'icona interista Sandro Mazzola.
Ferruccio Mazzola è stato uno dei pochi calciatori professionisti ad avere il coraggio di denunciare il doping nel calcio, parlando e scrivendo di cose concrete, in buona parte vissute in prima persona.
Ferruccio Mazzola giocò, tra le altre squadre, nell'Inter di Helenio Herrera e nella Fiorentina dei primi anni settanta.
Due squadre di cui molti giocatori moriranno prematuramente. E tutti per malattie varie (in particolare tumori), nessuno per incidenti.
E quando, nel 2004, Ferruccio Mazzola pubblicò il libro "Il terzo incomodo" in cui parlava del doping citando fatti e nomi... suo fratello Sandro e il "santo" interista Giacinto Facchetti gli tolsero il saluto e da allora non gli rivolsero più la parola.
Peccato che anche lo stesso Facchetti, nel 2006, come tanti altri suoi compagni nell'Inter di Herrera prima di lui, morirà prematuramente, né di vecchiaia né per incidente.
E anche Ferruccio Mazzola è morto a soli 68 anni. Malato da tempo e senza aver subito mai nessun incidente.
Sono tutti indizi, non prove, vero... però quando gli indizi cominciano a essere tanti e tutti nella stessa direzione... forse dovrebbero diventare prove.
Ferruccio Mazzola non era un calciatore importante. Ma è stato, ed è, un uomo importante. Un grande uomo.
Saluti,
Mauro.
domenica 5 maggio 2013
L'aumento della violenza
La stampa (italiana e non solo) lancia allarmi continui sul preoccupante aumento della violenza (contro gli altri e contro sé stessi).
In questo momento è di moda il femminicidio.
Da quando è iniziata la crisi a intervalli regolari ritorna il mantra dei suicidi.
In altri momenti erano altri tipi di violenza, ma il concetto di base era lo stesso.
Eppure la violenza in generale sta diminuendo, come racconta Steven Pinker.
Eppure la violenza sulle donne sta diminuendo, come ha calcolato Mattia Butta.
Eppure neanche i suicidi per la crisi aumentano, come racconta Daniela Cipolloni (ne avevo già parlato qui).
E allora?
Semplice: allora, in una società non violenta, nessun cittadino accetta misure restrittive (di nessun tipo) e controlli e soprattutto ha la libertà di preoccuparsi anche dei suoi altri diritti, non solo di quello alla sicurezza.
In una società violenta, molti cittadini sono disposti ad accettare limitazioni alla propria libertà pur di sentirsi sicuri.
Forse sarebbe il caso di ragionare su chi si avvantaggia di questo "aumento della violenza", non sull'"aumento" in sé e su come combatterlo.
Anche perché, come visto, non c'è nessun aumento della violenza.
Saluti,
Mauro.
In questo momento è di moda il femminicidio.
Da quando è iniziata la crisi a intervalli regolari ritorna il mantra dei suicidi.
In altri momenti erano altri tipi di violenza, ma il concetto di base era lo stesso.
Eppure la violenza in generale sta diminuendo, come racconta Steven Pinker.
Eppure la violenza sulle donne sta diminuendo, come ha calcolato Mattia Butta.
Eppure neanche i suicidi per la crisi aumentano, come racconta Daniela Cipolloni (ne avevo già parlato qui).
E allora?
Semplice: allora, in una società non violenta, nessun cittadino accetta misure restrittive (di nessun tipo) e controlli e soprattutto ha la libertà di preoccuparsi anche dei suoi altri diritti, non solo di quello alla sicurezza.
In una società violenta, molti cittadini sono disposti ad accettare limitazioni alla propria libertà pur di sentirsi sicuri.
Forse sarebbe il caso di ragionare su chi si avvantaggia di questo "aumento della violenza", non sull'"aumento" in sé e su come combatterlo.
Anche perché, come visto, non c'è nessun aumento della violenza.
Saluti,
Mauro.
sabato 4 maggio 2013
Un Grillo tira l'altro
Cari italiani d'Italia, non credetevi di avere l'esclusiva di Grillo.
Voi avrete sì Beppe Grillo, comico genovese prestato alla politica, ma anche noi qui in Germania - e ce lo sorbiamo sia che siamo tedeschi sia che siamo immigrati - abbiamo il nostro Grillo.
E vi garantisco che, per quanto molto diverso (e molto meno comico) dal vostro Grillo, è altrettanto pericoloso e antidemocratico.
Qui in Germania il "nostro" Grillo - per ora - lo abbiamo messo a capo della BDI (cioè la Confindustria tedesca).
Il "nostro" Grillo è coloniese e non genovese (e io comincio ad avere i sudori freddi, visto che vengo da Genova e vivo a Colonia).
Il "nostro" Grillo si chiama Ulrich Grillo (purtroppo una qualche biografia in italiano su di lui non la ho trovata).
Io comincio a pensare che sia da evitare chiunque porti quel cognome.
Saluti,
Mauro.
Voi avrete sì Beppe Grillo, comico genovese prestato alla politica, ma anche noi qui in Germania - e ce lo sorbiamo sia che siamo tedeschi sia che siamo immigrati - abbiamo il nostro Grillo.
E vi garantisco che, per quanto molto diverso (e molto meno comico) dal vostro Grillo, è altrettanto pericoloso e antidemocratico.
Qui in Germania il "nostro" Grillo - per ora - lo abbiamo messo a capo della BDI (cioè la Confindustria tedesca).
Il "nostro" Grillo è coloniese e non genovese (e io comincio ad avere i sudori freddi, visto che vengo da Genova e vivo a Colonia).
Il "nostro" Grillo si chiama Ulrich Grillo (purtroppo una qualche biografia in italiano su di lui non la ho trovata).
Io comincio a pensare che sia da evitare chiunque porti quel cognome.
Saluti,
Mauro.
giovedì 2 maggio 2013
La Lega è il problema minore
Con la nomina di Cecile Kyenge a ministro è subito scattata la battaglia della Lega contro di lei, ma anche (forse soprattutto) la caccia da parte della stampa alle dichiarazioni della Lega contro Kyenge.
E con questo la stampa - di qualsiasi colore - ha fatto un grande autogol, perché il problema vero non è la Lega.
La Lega a una nomina del genere "deve" reagire così, al di là delle idee dei suoi signoli componenti, perché è quello che tutti - avversari e militanti - si aspettano da lei.
Ma a parte che per coglioni come Borghezio (che non è degno di stare al Parlamento europeo, firmate qua per favore per farlo andare via), per la maggioranza dei leghisti la contestazione a Kyenge è più che altro teatrino politico.
Più preoccupante è quello che "sorprende" la stampa, ma non sorprende chi veramente conosce la società italiana.
Cioè reazioni di parte della chiesa cattolica (soprattutto quella profonda di provincia - quella romana è troppo politica per occuparsi di queste cose, sia in senso razzista che antirazzista) e soprattutto di certi "nuovi" cristiani, molto più fondamentalisti di chi cristiano lo è sempre stato.
Non capite cosa voglio dire?
Leggetevi l'articolo di Magdi Cristiano Allam sulla nomina di Cecile Kyenge.
Oppure informatevi su cosa ha pubblicato su Facebook un prete di provincia (prima che gli venissero oscurati i profili).
Tanto per iniziare. Nei prossimi giorni temo ci aspetti anche di peggio.
Saluti,
Mauro.
E con questo la stampa - di qualsiasi colore - ha fatto un grande autogol, perché il problema vero non è la Lega.
La Lega a una nomina del genere "deve" reagire così, al di là delle idee dei suoi signoli componenti, perché è quello che tutti - avversari e militanti - si aspettano da lei.
Ma a parte che per coglioni come Borghezio (che non è degno di stare al Parlamento europeo, firmate qua per favore per farlo andare via), per la maggioranza dei leghisti la contestazione a Kyenge è più che altro teatrino politico.
Più preoccupante è quello che "sorprende" la stampa, ma non sorprende chi veramente conosce la società italiana.
Cioè reazioni di parte della chiesa cattolica (soprattutto quella profonda di provincia - quella romana è troppo politica per occuparsi di queste cose, sia in senso razzista che antirazzista) e soprattutto di certi "nuovi" cristiani, molto più fondamentalisti di chi cristiano lo è sempre stato.
Non capite cosa voglio dire?
Leggetevi l'articolo di Magdi Cristiano Allam sulla nomina di Cecile Kyenge.
Oppure informatevi su cosa ha pubblicato su Facebook un prete di provincia (prima che gli venissero oscurati i profili).
Tanto per iniziare. Nei prossimi giorni temo ci aspetti anche di peggio.
Saluti,
Mauro.
Stavolta difendo il M5S
È vero, un'ora fa ho scritto che non avevo nulla da scrivere... ma un'ora fa era ancora il primo maggio... ora è un altro giorno :)
Chi mi legge e mi conosce sa che non amo il M5S.
O meglio: io considero i cosiddetti "grillini" (o almeno la maggioranza di essi, non certo la Lombardi e un paio d'altri di cui forse un giorno scriverò) una risorsa, ma considero Grillo e Casaleggio (che per ora controllano in maniera assoluta e totalmente non democratica il movimento) un pericolo. Un grosso pericolo.
Però, nonostante ciò, oggi voglio difendere il M5S.
Hanno espulso Mastrangeli? Hanno fatto bene.
E hanno fatto bene indipendentemente dal fatto che Mastrangeli sia un gran politico, una gran persona o un pessimo politico, una pessima persona.
Perché hanno fatto bene?
Mastrangeli (come tutti gli altri candidati del M5S) ha firmato, prima delle elezioni, un codice di comportamento interno al movimento che prevedeva il rispetto di determinate regole, tra cui quella che prevedeva l'evitare comparsate in talk shows (regola disattesa da Mastrangeli).
Ora noi possiamo considerare dette regole giuste o sbagliate, intelligenti o stupide... però i candidati non le hanno firmate con una pistola puntata alla tempia.
Quindi se non le rispettano il movimento ha il diritto di espellerli. Punto.
E se qualcuno (come probabilmente ha fatto Mastrangeli) le ha firmate pensando "Beh, intanto le firmo così entro in Parlamento, poi vediamo"... allora quel diritto all'espulsione diventa di fatto un dovere.
Io rimango un nemico del M5S. Ma un nemico leale, che gli da torto quando ha torto, ma anche ragione quando ha ragione.
Saluti,
Mauro.
Chi mi legge e mi conosce sa che non amo il M5S.
O meglio: io considero i cosiddetti "grillini" (o almeno la maggioranza di essi, non certo la Lombardi e un paio d'altri di cui forse un giorno scriverò) una risorsa, ma considero Grillo e Casaleggio (che per ora controllano in maniera assoluta e totalmente non democratica il movimento) un pericolo. Un grosso pericolo.
Però, nonostante ciò, oggi voglio difendere il M5S.
Hanno espulso Mastrangeli? Hanno fatto bene.
E hanno fatto bene indipendentemente dal fatto che Mastrangeli sia un gran politico, una gran persona o un pessimo politico, una pessima persona.
Perché hanno fatto bene?
Mastrangeli (come tutti gli altri candidati del M5S) ha firmato, prima delle elezioni, un codice di comportamento interno al movimento che prevedeva il rispetto di determinate regole, tra cui quella che prevedeva l'evitare comparsate in talk shows (regola disattesa da Mastrangeli).
Ora noi possiamo considerare dette regole giuste o sbagliate, intelligenti o stupide... però i candidati non le hanno firmate con una pistola puntata alla tempia.
Quindi se non le rispettano il movimento ha il diritto di espellerli. Punto.
E se qualcuno (come probabilmente ha fatto Mastrangeli) le ha firmate pensando "Beh, intanto le firmo così entro in Parlamento, poi vediamo"... allora quel diritto all'espulsione diventa di fatto un dovere.
Io rimango un nemico del M5S. Ma un nemico leale, che gli da torto quando ha torto, ma anche ragione quando ha ragione.
Saluti,
Mauro.