Tutti lo sanno: dal dentista, anestesia o meno, si soffre, si prova dolore.
Ne siamo sicuri?
Io in questo periodo sono sotto doppia cura dentistica: per la paradontosi (denti sani ma gengive no) e per ragioni estetiche (denti sani ma storti e li voglio raddrizzare).
I dentisti che si stanno occupando della cosa (uno, anzi una, per la paradontosi e uno per l'estetica) mi stanno torturando che è un piacere... e non sempre con anestesia.
Eppure io non provo nessun dolore. Al massimo una specie di solletico, un po' di fastidio.
Non è che il dolore dal dentista sia una leggenda metropolitana e che quel dolore venga sentito perché deve essere sentito e non perché realmente ci sia?
Saluti,
Mauro.
Ogni tanto (anzi spesso) mi vengono in mente interpretazioni di avvenimenti e fatti oppure giudizi su persone ed eventi che non si possono certo definire conformisti. O magari semplicemente idee e pensieri personali, indipendenti. Alcune di queste idee saranno giuste e condivisibili, altre no, ma sono orgoglioso che non siano conformi. I commenti anonimi non sono graditi, essi verranno cancellati a meno che non portino contributi concreti e seri. Buona lettura a tutti.
venerdì 31 ottobre 2014
mercoledì 29 ottobre 2014
Una fondamentale regola aziendale
Quando in azienda un uomo con il caffé in mano e un uomo senza caffé si incontrano in uno spazio angusto... l'uomo senza caffé deve fare strada.
Anche se ha fretta, anche se é superiore nella gerarchia, anche se è arrivato prima in quell'angolo, anche se..., anche se..., anche se...
Deve fare strada. Punto.
Ah, dimenticavo: io generalmente in azienda sono l'uomo col caffé :-)
Saluti,
Mauro.
Anche se ha fretta, anche se é superiore nella gerarchia, anche se è arrivato prima in quell'angolo, anche se..., anche se..., anche se...
Deve fare strada. Punto.
Ah, dimenticavo: io generalmente in azienda sono l'uomo col caffé :-)
Saluti,
Mauro.
martedì 28 ottobre 2014
Salvare degli idioti sopra il Reno
A Colonia c'è una funivia. No, Colonia non è una stazione sciistica, ma negli anni sessanta qualcuno ha pensato bene di costruire una funivia che attraversasse il Reno e garantisse un buon panorama sulla città.
Detta funivia è, detto papale papale, assolutamente inutile.
Ma detta funivia esiste. E quindi qui a Colonia ce la teniamo.
A Colonia la settimana scorsa c'è stata anche un'altra cosa: una tempesta. Con venti a 60 km/h (e punte a 100 km/h). Tempesta preannuciata e - al di là del preannuncio - durata un bel po', non solo un paio di minuti, quindi non proprio passata inosservata. Anche per chi non segue le notizie.
Nonostante ciò, nonostante che già da un po' ci fossero venti a 60 km/h (e vi garantisco che un vento a 60 km/h lo sentite, eccome se lo sentite!) una famiglia di turisti con due bimbi piccoli (uno di pochi mesi) è salita sulla funivia in mezzo alla tempesta.
E la funivia si è bloccata mentre la famigliola era sopra il Reno.
Grande dispiego di mezzi di soccorso per "salvare" la famigliola, con tutte le difficoltà portate dal fatto che la cabina della funivia fosse sopra il fiume e non sopra la terraferma... insomma un impegno e una spesa notevoli.
E dopo la spesa... indagini della procura (chiaramente appena cominciate, ma non ancora concluse) per valutare le colpe del gestore della funivia, visto che la ha tenuta in funzione nonostante i venti a 60 km/h.
E la famiglia rimasta prigioniera in cabina sopra il fiume... chiaramente una vittima!
Vittima? Ma scherziamo?
Già da un po' ci sono venti a 60 km/h (che, ti garantisco, li senti, eccome se li senti, come già scritto... ed eccome ti preoccupano, se sei una persona almeno un minimo intelligente).
E tu, nonostante ciò (e con due bambini piccoli per di più), sali comunque sulla funivia solo perché questa non è stata bloccata?
Cioè, fammi capire, tu mi stai dicendo che non hai un cervello di tuo per valutare pericoli e rischi?
Io sinceramente spero che la città di Colonia mandi a te (e non al gestore della funivia) il conto delle spese per il salvataggio.
Ma dubito che succederà.
Però io - che con le mie tasse di residente a Colonia ho pagato il "salvataggio" di un idiota come te - mi sono segnato il tuo nome.
E cercherò la possibilità di farmi rimborsare da te.
Perché tu non sei stato vittima di un incidente. Sei stato vittima della tua idiozia. E non è giusto che io paghi per essa.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
La notizia leggibile (in tedesco) qui... chiaramente con la famiglia di idioti nei panni della vittima, purtroppo.
Detta funivia è, detto papale papale, assolutamente inutile.
Ma detta funivia esiste. E quindi qui a Colonia ce la teniamo.
A Colonia la settimana scorsa c'è stata anche un'altra cosa: una tempesta. Con venti a 60 km/h (e punte a 100 km/h). Tempesta preannuciata e - al di là del preannuncio - durata un bel po', non solo un paio di minuti, quindi non proprio passata inosservata. Anche per chi non segue le notizie.
Nonostante ciò, nonostante che già da un po' ci fossero venti a 60 km/h (e vi garantisco che un vento a 60 km/h lo sentite, eccome se lo sentite!) una famiglia di turisti con due bimbi piccoli (uno di pochi mesi) è salita sulla funivia in mezzo alla tempesta.
E la funivia si è bloccata mentre la famigliola era sopra il Reno.
Grande dispiego di mezzi di soccorso per "salvare" la famigliola, con tutte le difficoltà portate dal fatto che la cabina della funivia fosse sopra il fiume e non sopra la terraferma... insomma un impegno e una spesa notevoli.
E dopo la spesa... indagini della procura (chiaramente appena cominciate, ma non ancora concluse) per valutare le colpe del gestore della funivia, visto che la ha tenuta in funzione nonostante i venti a 60 km/h.
E la famiglia rimasta prigioniera in cabina sopra il fiume... chiaramente una vittima!
Vittima? Ma scherziamo?
Già da un po' ci sono venti a 60 km/h (che, ti garantisco, li senti, eccome se li senti, come già scritto... ed eccome ti preoccupano, se sei una persona almeno un minimo intelligente).
E tu, nonostante ciò (e con due bambini piccoli per di più), sali comunque sulla funivia solo perché questa non è stata bloccata?
Cioè, fammi capire, tu mi stai dicendo che non hai un cervello di tuo per valutare pericoli e rischi?
Io sinceramente spero che la città di Colonia mandi a te (e non al gestore della funivia) il conto delle spese per il salvataggio.
Ma dubito che succederà.
Però io - che con le mie tasse di residente a Colonia ho pagato il "salvataggio" di un idiota come te - mi sono segnato il tuo nome.
E cercherò la possibilità di farmi rimborsare da te.
Perché tu non sei stato vittima di un incidente. Sei stato vittima della tua idiozia. E non è giusto che io paghi per essa.
Saluti,
Mauro.
P.S.:
La notizia leggibile (in tedesco) qui... chiaramente con la famiglia di idioti nei panni della vittima, purtroppo.
mercoledì 15 ottobre 2014
giovedì 9 ottobre 2014
Dimettersi nel modo sbagliato
I politici vengono spesso accusati di essere attaccati alla poltrona.
Ma ci sono anche quelli che si dimettono (o almeno annunciano di farlo). Purtroppo però in un modo che non li rende certo migliori di quelli che non si dimettono. Anzi...
Penso a Walter Tocci, senatore PD, che qui ha spiegato quando e perché (forse) si dimetterà.
Riassumendo: lui darà la fiducia al governo nel voto sul cosiddetto "Jobs Act" (a margine: esiste anche l'italiano, caro Renzi, ma tu da bravo toscano probabilmente lo hai sempre snobbato e mai imparato) per rispetto nei confronti del suo partito, ma subito dopo si dimetterà da senatore per rispetto delle proprie idee e del proprio elettorato.
Qualcosa non quadra: se il tuo partito è in conflitto con le tue idee e/o col tuo elettorato su questioni importanti come il lavoro significa che o il partito o le idee/elettorato il tuo rispetto non lo meritano.
Quindi perché rispettare entrambi?
Semplicemente perché il caro Tocci è un cerchiobottista: prima vota la fiducia per non inimicarsi Renzi, poi si dimette per non inimicarsi i nemici di Renzi (che probabilmente presto lo scalzeranno).
No, caro Tocci, il tuo non è un problema di coscienza e di conflitto interiore: se lo fosse ti dimetteresti prima del voto di fiducia, non dopo averla data, la fiducia.
Saluti,
Mauro.
Ma ci sono anche quelli che si dimettono (o almeno annunciano di farlo). Purtroppo però in un modo che non li rende certo migliori di quelli che non si dimettono. Anzi...
Penso a Walter Tocci, senatore PD, che qui ha spiegato quando e perché (forse) si dimetterà.
Riassumendo: lui darà la fiducia al governo nel voto sul cosiddetto "Jobs Act" (a margine: esiste anche l'italiano, caro Renzi, ma tu da bravo toscano probabilmente lo hai sempre snobbato e mai imparato) per rispetto nei confronti del suo partito, ma subito dopo si dimetterà da senatore per rispetto delle proprie idee e del proprio elettorato.
Qualcosa non quadra: se il tuo partito è in conflitto con le tue idee e/o col tuo elettorato su questioni importanti come il lavoro significa che o il partito o le idee/elettorato il tuo rispetto non lo meritano.
Quindi perché rispettare entrambi?
Semplicemente perché il caro Tocci è un cerchiobottista: prima vota la fiducia per non inimicarsi Renzi, poi si dimette per non inimicarsi i nemici di Renzi (che probabilmente presto lo scalzeranno).
No, caro Tocci, il tuo non è un problema di coscienza e di conflitto interiore: se lo fosse ti dimetteresti prima del voto di fiducia, non dopo averla data, la fiducia.
Saluti,
Mauro.
lunedì 6 ottobre 2014
Un commento sul '68
Oggi, su un paio di blog, ho visto commenti relativi a un discorso di Mario Savio a Berkeley nel 1964 (stura a detti commenti è stato un articolo di ieri di Enrico Deaglio).
Qui non voglio commentare né il discorso originale di Savio, né l'articolo di Deaglio.
Voglio parlare del '68, non del '64.
Tra i commenti all'articolo in questione c'era quello di un ragazzo (lui dice di essere stato concepito, non solo partorito, dopo il '68, ma da come scrive io lo valuto nato tra fine anni '70 e inizio anni '80, magari comunque mi sbaglio).
Questa persona attacca il '68 con argomenti a mio giudizio in parte sbagliati e di sicuro ingenui, però mi ha dato lo spunto di controcommentare, visto che il '68 ha sì avuto risultati positivi ma i sessantottini non è che fossero una gran bella razza (e no, il terrorismo non c'entra).
Purtroppo il mio commento per ora non appare, quindi non posso farvi il previsto copincolla e neanche darvene il link (sì, lo so, avrei dovuto salvarmelo anche altrove... però non lo ho fatto, quindi ciccia).
Comunque la mia tesi è molto semplice (e un po' eretica, come si conviene a questo blog).
Il '68 è stato un movimento di figli di papà. Semplicemente perché a quei tempi all'università ci andavano i figli di papà. I Mario Savio che andavano all'università grazie a borse di studio e non perché figli di papà erano una minoranza. Piccola in Nordamerica, ancora più piccola in Europa.
Quei figli di papà hanno scatenato il '68 per un motivo generazionale, semplicemente per prendere il posto di papà. Le questioni politiche e sociali erano quasi sempre un mezzo, quasi mai un fine.
Era semplicemente la prima generazione che non aveva vissuto la guerra che voleva spingere da parte le generazioni precedenti che la avevano vissuta. E che spesso usavano i propri meriti di guerra come scusa per non farsi da parte.
Io nel '68 sono nato, non lo ho "fatto". Dagli anni '80 in poi ho però vissuto altri movimenti. Alcuni semplicemente guardandoli da spettatore, ad altri partecipando attivamente (l'ultimo pochi anni fa qui in Germania, da quarantenne...).
E in tutti (al di là del fatto che io ne approvassi fini e metodi o no) ho visto una consapevolezza diversa, non generazionale (come nel '68) ma veramente basata su sociale e politica. C'erano finalmente anche figli di operai e contadini come me. Che nel '68 avrebbero pouto esserci solo come figure marginali (quantitativamente addirittura molto marginali).
Ecco, questo è il merito del '68 (e scusate se è poco!): quei figli di papà, in buona parte inconsapevolmente, hanno aperto la porta ai figli di operai e contadini (e pescatori e minatori e eccetera eccetera).
Porta che in buona parte è rimasta aperta, nonostante i passi indietro fatti dopo la caduta del muro di Berlino.
Ma questa è un'altra storia, di cui parleremo forse un'altra volta.
Saluti,
Mauro.
Qui non voglio commentare né il discorso originale di Savio, né l'articolo di Deaglio.
Voglio parlare del '68, non del '64.
Tra i commenti all'articolo in questione c'era quello di un ragazzo (lui dice di essere stato concepito, non solo partorito, dopo il '68, ma da come scrive io lo valuto nato tra fine anni '70 e inizio anni '80, magari comunque mi sbaglio).
Questa persona attacca il '68 con argomenti a mio giudizio in parte sbagliati e di sicuro ingenui, però mi ha dato lo spunto di controcommentare, visto che il '68 ha sì avuto risultati positivi ma i sessantottini non è che fossero una gran bella razza (e no, il terrorismo non c'entra).
Purtroppo il mio commento per ora non appare, quindi non posso farvi il previsto copincolla e neanche darvene il link (sì, lo so, avrei dovuto salvarmelo anche altrove... però non lo ho fatto, quindi ciccia).
Comunque la mia tesi è molto semplice (e un po' eretica, come si conviene a questo blog).
Il '68 è stato un movimento di figli di papà. Semplicemente perché a quei tempi all'università ci andavano i figli di papà. I Mario Savio che andavano all'università grazie a borse di studio e non perché figli di papà erano una minoranza. Piccola in Nordamerica, ancora più piccola in Europa.
Quei figli di papà hanno scatenato il '68 per un motivo generazionale, semplicemente per prendere il posto di papà. Le questioni politiche e sociali erano quasi sempre un mezzo, quasi mai un fine.
Era semplicemente la prima generazione che non aveva vissuto la guerra che voleva spingere da parte le generazioni precedenti che la avevano vissuta. E che spesso usavano i propri meriti di guerra come scusa per non farsi da parte.
Io nel '68 sono nato, non lo ho "fatto". Dagli anni '80 in poi ho però vissuto altri movimenti. Alcuni semplicemente guardandoli da spettatore, ad altri partecipando attivamente (l'ultimo pochi anni fa qui in Germania, da quarantenne...).
E in tutti (al di là del fatto che io ne approvassi fini e metodi o no) ho visto una consapevolezza diversa, non generazionale (come nel '68) ma veramente basata su sociale e politica. C'erano finalmente anche figli di operai e contadini come me. Che nel '68 avrebbero pouto esserci solo come figure marginali (quantitativamente addirittura molto marginali).
Ecco, questo è il merito del '68 (e scusate se è poco!): quei figli di papà, in buona parte inconsapevolmente, hanno aperto la porta ai figli di operai e contadini (e pescatori e minatori e eccetera eccetera).
Porta che in buona parte è rimasta aperta, nonostante i passi indietro fatti dopo la caduta del muro di Berlino.
Ma questa è un'altra storia, di cui parleremo forse un'altra volta.
Saluti,
Mauro.