Lo so, altrove (qui, per la precisione) avevo promesso un'analisi di come il giornalismo italiano ha presentato il premio Nobel per la fisica.
Però l'annuncio del premio Nobel per la letteratura (anzi, quest'anno come mai, per la politica) mi costringe a rinviare e a occuparmi, appunto, di letteratura.
Il premio è stato assegnato quest'anno a Mo Yan, autore cinese il cui vero nome è Guan Moye (lo pseudonimo Mo Yan significa "non parlare" e questo forse vuol dire qualcosa in Cina, come forse si capirà dopo).
Mo Yan è uno scrittore di stato: è presidente vicario dell'associazione cinese degli scrittori (associazione controllata dal governo), ha ricevuto premi statali (come il China's Annual Writer's Award nel 1997), ha sempre vissuto in Cina senza mai avere problemi con le autorità.
E critica il partito al potere. Ma come lo critica? Semplicemente dicendo che potrebbe fare meglio alcune cose ma che, se non ci fosse questo partito al potere, le cose andrebbero di sicuro peggio. In breve, il credo di Mo Yan si può riassumere così: "La dittatura è la miglior forma di governo, ma potrebbe ancora migliorare". E in questo senso vanno le sue critiche.
Ora, la sua opera letteraria avrà anche un valore notevole (ma, considerando altri candidati al Nobel noti e non premiati, dubito che Mo Yan fosse anche sotto questo punto di vista il migliore)... però tenendo conto delle polemiche (e non solo polemiche, visto il peso politico ed economico del paese) create dalla Cina nel 2010 per l'assegnazione del premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo - dissidente vero - l'idea che questo Nobel per la "letteratura" sia stato assegnato per cercare una riconcilazione politica con la Cina viene spontanea.
E non è un'idea che fa piacere, soprattutto visto che generalmente il Nobel per la letteratura è stato "politicamente" usato nell'altra direzione, cioè per promuovere la democrazia e il libero pensiero.
Saluti,
Mauro.
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