Chi mi conosce sa che sono un appassionato (ed ex giocatore) di rugby.
Sabato scorso mi sono goduto qui a Colonia, dove vivo, Italia-Scozia del 6 nazioni in un pub irlandese, circondato da irlandesi e inglesi (cioè in questo caso miei alleati, visto che noi giocavamo contro la Scozia :-) ). Primo tempo deludente, secondo tempo esaltante, terzo tempo sempre presente come da tradizione (chi non sapesse cosa è il terzo tempo nel rugby può leggere qui).
Oggi leggo sull'Unità un bel commento di Giancarlo Di Cataldo ("Il bello del rugby") che vorrei condividere con voi:
Confesso: tutta questa retorica sul rugby sport aperto e pulito, sulla cavalleria e lealtà dei giocatori, sulla fratellanza fra i tifosi di opposti schieramenti stava cominciando a dare sui nervi. Sì, certo, c’è Invictus, ci sono gli epici racconti di Marco Paolini, ma, insomma... Abituato, da italiano, a pensare due o tre volte male, peccando ma quasi sempre azzeccandoci (come disse una volta un illustre Arcitaliano) ho voluto farmene un’idea di persona. E quale migliore occasione delle due sfide del Sei Nazioni al Flaminio di Roma? Beh. Confessione per confessione, devo rimangiarmi la diffidenza. Il clima che si respira sugli spalti durante un incontro di rugby è veramente singolare. Intanto, i tifosi sono mescolati, e, a parte qualche irredimibile cafone, a nessuno viene in mente di fischiare l’inno dell’altra nazione o di disturbare l’atleta che cerca i tre punti a calcio fermo. Capita poi di vedere un colossale inglese pelato (del tipo con il quale non ti fermi a discutere in una strada buia: gli dai ragione a prescindere, qualunque cosa dica) commuoversi come un vitello per un “drop” del suo idolo, e un istante dopo voltarsi ad applaudire a scena aperta un placcaggio riuscito degli italiani. E capita di scambiarsi sigari e birra con una banda di scozzesi, un po’ abbacchiati per averle prese ma disposti a riconoscere che «good match, right score», buona partita, risultato giusto, anche se ha premiato gli altri. Insomma, cose rare, di questi tempi. Eppure, l’animosità, lo scontro fisico, il combattimento sono l’essenza stessa del rugby. Una piccola guerra, ma secondo regole condivise, senza par condicio imposta dall’alto e con rispetto dell’arbitro: ne avremmo bisogno anche fuori dallo stadio. Speriamo solo che con il business, la televisione e la popolarità crescente non si guastino anche loro.
Saluti,
Mauro.
anche a me piace molto l'american footbal :D:D:D
RispondiEliminaCara Ricciolina... io sono un cavaliere... ma tu vuoi essere picchiata :-)))
RispondiEliminaSaluti,
Mauro.