In questi giorni siamo completamente circondati dal calcio, "grazie" al Mondiale che si sta svolgendo qui, in terra di Germania.
No, non mi riferisco alle partite (da quando il calcio si è trasformato in industria, anche senza i mondiali siamo pieni di partite) e nemmeno alle interminabili e inutili trasmissioni televisive (ormai ci sono 12 mesi all'anno e anche senza calcio non è che le trasmissioni siano meno interminabili e inutili oggigiorno).
No, mi riferisco a questo tripudio di bandiere che ci circonda. Qui in Germania siamo sommersi a ogni angolo da nero-rosso-giallo (e nei quartieri con molti immigrati dal verde-bianco-rosso italiano o dal blu-bianco-rosso croato o altro ancora, manca solo il bianco-rosso turco, ma solo perché la Turchia non si è qualificata).
E dai racconti e dalle immagini che mi arrivano dagli altri paesi, vedo che la situazione è simile dappertutto (in Germania forse un po' più esasperata in quanto paese ospitante).
E dopo ogni vittoria i caroselli di auto imbandierate a Milano come a Lione, a Zurigo come a Manchester, a Yokohama come a Curitiba.
E intorno a questo tripudio di bandiere e di amor patrio si sviluppano "dotte" discussioni di sociologi e filosofi da salotto che cercano di capire se si tratti del tanto amato patriottismo o del tanto vituperato nazionalismo.
Magari fosse così!
Il patriottismo è un sentimento a mio parere positivo. Il nazionalismo è un sentimento negativo, ma pur sempre un sentimento. Se si prova l'uno o l'altro, si dimostra almeno di avere un cuore (collegato o no che sia al cervello).
Ma questo tripudio di bandiere che si verifica solo ogni quattro anni è in realtà il trionfo del conformismo.
Gente che neanche conosce i colori della propria bandiera (e talvolta neanche il nome ufficiale della propria patria: quanti sanno che l'Italia è in realtà Repubblica Italiana oppure che la Germania è in realtà Repubblica Federale Tedesca?) corre a comprarne una ogni volta che cominciano i mondiali di calcio.
E perché? Perché stampa e TV si mettono a urlare in continuazione: "Tu sei tedesco!", "Tu sei italiano!", "Tu sei spagnolo!", eccetera.
E soprattutto perché le pubblicità si vestono di quei colori. È la pubblicità a "ordinare" di diventare patriottici e/o nazionalisti.
No, signori miei, intorno a me non vedo nè patriottismo nè nazionalismo, ma solo conformismo e cervelli guidati dalla pubblicità.
Saluti,
Mauro.
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