Leggetevi attentamente questo articolo:
Il tifo del maestro di Jens: "Falli neri di rabbia".
Leggetevelo veramente con grande attenzione, per favore.
Il maestro Arturo Ghinelli non è stato politicamente corretto col suo giovane alunno ghanese. È stato umanamente corretto. E ha ottenuto risultati.
È questo che serve. L'umanità.
Il politicamente corretto è solo ipocrisia. Niente altro che ipocrisia. Offende.
L'umanamente corretto, l'umanità, è ben altro. Spesso anzi è esattamente l'opposto.
Saluti,
Mauro.
Ogni tanto (anzi spesso) mi vengono in mente interpretazioni di avvenimenti e fatti oppure giudizi su persone ed eventi che non si possono certo definire conformisti. O magari semplicemente idee e pensieri personali, indipendenti. Alcune di queste idee saranno giuste e condivisibili, altre no, ma sono orgoglioso che non siano conformi. I commenti anonimi non sono graditi, essi verranno cancellati a meno che non portino contributi concreti e seri. Buona lettura a tutti.
domenica 12 novembre 2006
lunedì 6 novembre 2006
Il saluto, questo sconosciuto
Buongiorno a tutti.
Banalmente ho iniziato questo messaggio con un "buongiorno", cioè una forma di saluto. Lo faccio molto spesso. Non proprio sempre, ma molto spesso. Sia incontrando la gente di persona, che scrivendo, telefonando o andando in rete.
E lo fanno anche molti di voi. Se non all'inizio del dialogo (o monologo che sia, come per esempio una lettera), almeno alla fine. Dove ci si firma anche.
Sto dicendo, apparentemente delle banalità. Qualcuno di voi salterà su dicendo "Mauro, stai scoprendo l'acqua calda!". E avrebbe anche ragione, se non fosse che è un'acqua calda che va scomparendo.
Sempre meno gente si prende il tempo di salutare.
Quante e-mail ricevete senza saluti? E spesso senza firma (tanto il mittente pensa che capirete dall'indirizzo chi è che scrive)?
Quante volte per strada qualcuno vi ferma, magari per chiedere informazioni, e cominicia a parlare senza neanche dire "Salve"?
Quante volte incontrate un vicino o un collega sull'ascensore o nel corridoio dell'azienda e questi vi regala al massimo un cenno del capo (se va bene)?
Eccetera, eccetera.
Un evento capitatomi una decina di giorni fa mi ha fatto riflettere molto su questi argomenti.
In un forum in rete che frequento sono abituato, come qui sul mio blog, a concludere i miei messaggi con una forma di saluto e la firma.
Un giorno uno degli altri frequentatori mi ha detto secco: "Ma cosa continui a firmare, lo sappiamo che sei tu!". E altri a dargli ragione, ritenendo questa mia abitudine fastidiosa.
Ora, lo so benissimo che sanno chi sono. Del resto sono un frequentatore abbastanza abituale di quel forum. Ma io non saluto e firmo per farmi riconoscere.
Per me salutare e firmare è un segno di rispetto nei confronti di mi legge o ascolta.
Ora voi vi chiederete, perché ne parlo qui, dove la firma è un'abitudine comune, non solo mia (del resto, ho più volte detto chiaramente che i commenti anonimi non sarebbero mai stati pubblicati, indipendentemente dai contenuti), e per di più a distanza di vari giorni dal fatto.
Beh, un po' perché so che avete la pazienza e la voglia di leggere i miei pensieri e un po' perché venerdì scorso, navigando in rete mi sono imbattuto in un intervento su un altro blog che parlava proprio del saluto (Cafoni d'Europa) e che ho trovato interessante.
Certo che se l'autore di questo testo ha ragione, in Italia non siamo messi troppo bene...
Saluti,
Mauro.
Banalmente ho iniziato questo messaggio con un "buongiorno", cioè una forma di saluto. Lo faccio molto spesso. Non proprio sempre, ma molto spesso. Sia incontrando la gente di persona, che scrivendo, telefonando o andando in rete.
E lo fanno anche molti di voi. Se non all'inizio del dialogo (o monologo che sia, come per esempio una lettera), almeno alla fine. Dove ci si firma anche.
Sto dicendo, apparentemente delle banalità. Qualcuno di voi salterà su dicendo "Mauro, stai scoprendo l'acqua calda!". E avrebbe anche ragione, se non fosse che è un'acqua calda che va scomparendo.
Sempre meno gente si prende il tempo di salutare.
Quante e-mail ricevete senza saluti? E spesso senza firma (tanto il mittente pensa che capirete dall'indirizzo chi è che scrive)?
Quante volte per strada qualcuno vi ferma, magari per chiedere informazioni, e cominicia a parlare senza neanche dire "Salve"?
Quante volte incontrate un vicino o un collega sull'ascensore o nel corridoio dell'azienda e questi vi regala al massimo un cenno del capo (se va bene)?
Eccetera, eccetera.
Un evento capitatomi una decina di giorni fa mi ha fatto riflettere molto su questi argomenti.
In un forum in rete che frequento sono abituato, come qui sul mio blog, a concludere i miei messaggi con una forma di saluto e la firma.
Un giorno uno degli altri frequentatori mi ha detto secco: "Ma cosa continui a firmare, lo sappiamo che sei tu!". E altri a dargli ragione, ritenendo questa mia abitudine fastidiosa.
Ora, lo so benissimo che sanno chi sono. Del resto sono un frequentatore abbastanza abituale di quel forum. Ma io non saluto e firmo per farmi riconoscere.
Per me salutare e firmare è un segno di rispetto nei confronti di mi legge o ascolta.
Ora voi vi chiederete, perché ne parlo qui, dove la firma è un'abitudine comune, non solo mia (del resto, ho più volte detto chiaramente che i commenti anonimi non sarebbero mai stati pubblicati, indipendentemente dai contenuti), e per di più a distanza di vari giorni dal fatto.
Beh, un po' perché so che avete la pazienza e la voglia di leggere i miei pensieri e un po' perché venerdì scorso, navigando in rete mi sono imbattuto in un intervento su un altro blog che parlava proprio del saluto (Cafoni d'Europa) e che ho trovato interessante.
Certo che se l'autore di questo testo ha ragione, in Italia non siamo messi troppo bene...
Saluti,
Mauro.
La condanna di Saddam
Saddam è stato condannato a morte. Che sorpresa, vero?
Sinceramente, che la sentenza di questo processo-farsa fosse scritta fin dall'inizio lo sapevamo tutti. E che fosse stata scritta tra Londra e Washington più che a Baghdad anche (del resto i giudici, anche se formalmente iracheni, a chi credete rispondessero?).
Appunto questo è il problema, non l'essere a favore o contro la pena di morte o il ritenere questa condanna giusta o sbagliata.
Il problema sono i processi dei vincitori agli sconfitti. Anche quando i processi partono da necessità vere, da spinte (anche morali) condivisibili, i processi dei vincitori ai vinti non sono mai giuridicamente corretti. Non possono esserlo, perché si fondano su leggi ad hoc (non ditemi che a Norimberga, per esempio, ci si è basati su leggi preesistenti dei paesi dove i criminali nazisti perpetrarono i loro crimini) e procedure straordinarie, quindi estranee al concetto stesso di giustizia.
Al proposito c'è un bell'articolo di Antonio Carioti sul Corriere della Sera di oggi: "Il dilemma di Norimberga: impossibile perdonare, impossibile punire".
Ancora più esplicito Sabino Cassese sulla Repubblica: "Il processo senza giustizia con un verdetto farsa".
E ne' Carioti ne' tantomeno Cassese possono certo essere accusati di antiamericanismo.
E allora che fare?
Saddam è un criminale. I gerarchi nazisti erano dei criminali. Eccetera. Quindi vanno puniti, bisogna trovare il modo di avere un processo che dia (almeno moralmente) giustizia alle vittime di questi criminali, ma che per farlo non "uccida" il concetto di diritto.
Io non sono un giurista, quindi non so se un processo del genere possa esistere e, se sì, come possa apparire.
So però che, moralmente, piuttosto che impiccare Saddam con una sentenza-farsa seguita a un processo-farsa, sarebbe stato molto meglio ucciderlo a sangue freddo appena catturato. Senza processi e teatralità varie.
Saluti,
Mauro.
Sinceramente, che la sentenza di questo processo-farsa fosse scritta fin dall'inizio lo sapevamo tutti. E che fosse stata scritta tra Londra e Washington più che a Baghdad anche (del resto i giudici, anche se formalmente iracheni, a chi credete rispondessero?).
Appunto questo è il problema, non l'essere a favore o contro la pena di morte o il ritenere questa condanna giusta o sbagliata.
Il problema sono i processi dei vincitori agli sconfitti. Anche quando i processi partono da necessità vere, da spinte (anche morali) condivisibili, i processi dei vincitori ai vinti non sono mai giuridicamente corretti. Non possono esserlo, perché si fondano su leggi ad hoc (non ditemi che a Norimberga, per esempio, ci si è basati su leggi preesistenti dei paesi dove i criminali nazisti perpetrarono i loro crimini) e procedure straordinarie, quindi estranee al concetto stesso di giustizia.
Al proposito c'è un bell'articolo di Antonio Carioti sul Corriere della Sera di oggi: "Il dilemma di Norimberga: impossibile perdonare, impossibile punire".
Ancora più esplicito Sabino Cassese sulla Repubblica: "Il processo senza giustizia con un verdetto farsa".
E ne' Carioti ne' tantomeno Cassese possono certo essere accusati di antiamericanismo.
E allora che fare?
Saddam è un criminale. I gerarchi nazisti erano dei criminali. Eccetera. Quindi vanno puniti, bisogna trovare il modo di avere un processo che dia (almeno moralmente) giustizia alle vittime di questi criminali, ma che per farlo non "uccida" il concetto di diritto.
Io non sono un giurista, quindi non so se un processo del genere possa esistere e, se sì, come possa apparire.
So però che, moralmente, piuttosto che impiccare Saddam con una sentenza-farsa seguita a un processo-farsa, sarebbe stato molto meglio ucciderlo a sangue freddo appena catturato. Senza processi e teatralità varie.
Saluti,
Mauro.