lunedì 1 giugno 2015

Una buona idea nell'ambiente sbagliato

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere su Neues Deutschland un interessantissimo articolo del bravo giornalista tedesco Roberto De Lapuente dedicato ai referenda e al fatto se è il caso di far decidere alla volontà popolare su temi che possono essere sfruttati demagogicamente (o, aggiungo io, su questioni tecniche, complicate che pochi possono veramente capire bene) e la sua conclusione è scettica, pur non essendo lui in principio contrario ai referenda.
L'articolo si intitola Gute Idee im schlechten Umfeld (letteralmente "Una buona idea in un cattivo ambiente", ma in italiano rende meglio "Una buona idea nell'ambiente sbagliato").
Chiaramente De Lapuente si riferisce alla situazione tedesca. Ma il suo discorso è applicabile con minime correzioni anche all'Italia e a (quasi) ogni altro paese.

Con il suo permesso pubblico qui sotto la traduzione del suddetto articolo.
Grazie Roberto.

Saluti,

Mauro.

P.S.:
In realtà io all'articolo ci sono arrivato tramite il suo blog Ad Sinistram, che consiglio a chiunque sa leggere il tedesco.

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Neues Deutschland, 28.05.2015

Una buona idea nell'ambiente sbagliato

Dopo il referendum e le sue conseguenze sul matrimonio omosessuale in Irlanda, alcuni ritengono di nuovo che giunto il momento di indire anche in Germania più referenda. In sè è una buona idea di democrazia di base. Solo le condizioni al contorno rendono scettici.

Naturalmente una persona di sinistra ha un debole per forti elementi di partecipazione in ogni campo. Se essere di sinistra significa qualcosa, allora significa essere veementemente per il fatto che le persone si gestiscano, organizzino autonomamente e conseguentemente debbano partecipare ai necessari processi decisionali. I referenda sono, particolarmente tra persone di sinistra, classici mezzi per cui ci si debba impegnare. Io ritengo gli argomenti a favore dei referenda completamente condivisibili. Ma il tutto mi provoca mal di pancia. Perché per qualche motivo partiamo dal presupposto di trovarci nelle condizioni ottimali: il cittadino colto e che pondera con intelligenza prende una decisione. E proprio a questo punto la bella teoria traballa.


Si possono naturalmente citare grandi momenti delle consultazioni popolari, per supportare questa idea fondante della democrazia di base. Risultati appunto come quello che ha visto la luce la scorsa settimana in Irlanda. Quando la maggioranza della gente vota per far sì che anche gay e lesbiche d'ora in avanti possano contrarre matrimonio, uno potrebbe anche essere orgoglioso per il referendum come mezzo di partecipazione. Il problema è che talvolta ne viene fuori anche un sacco di porcheria.

Basti pensare agli svizzeri che seguendo un impulso islamofobo si sono espressi contro i minareti e di conseguenza contro la libertà di religione. Se nei mesi precedenti Hartz IV, durante la sbornia generale per l'Agenda 2010, si fosse chiesto alla gente se bisognasse tenere al guinzaglio i disoccupati, cosa ne sarebbe venuto fuori? Può sembrare pura speculazione, ma il clima contro i parassiti sociali era già stato preparato. Il vento nuovo di queste "riforme sociali" era ampiamente apprezzato. E cosa sarebbe successo se la settimana scorsa si fosse chiesto al popolo se la riduzione dell'autonomia sindacale fosse giusta?

Nel mio libro "Unzugehörig" ("Non appartenente") invitavo già qualche anno fa a riflettere sul fatto che "in un mondo dove la formazione dell'opinione pubblica è concentrata, difficilmente ci si [può] immaginare il prezioso bene della consultazione popolare". Perché i cittadini di una mediocrazia, quale questa è, che si informano sulla stampa scandalistica e si devono lasciar istruire dalla Bild e formare economicamente dall'INSM, in realtà esercitano solo molto limitatamente un "libero" voto. Riproducono semplicemente nella cabina elettorale ciò che gli opinion maker gli hanno instillato in testa. Si indica sì la loro scelta come libera volontà, ma, come scrissi ulteriormente allora, "esaminando bene, non [è] altro che la rappresentazione inoculata, premasticata, sempre ripetentesi, spezzettata, gonfiata, condizionata, limitata e strozzata di un mondo come ci viene instillata in maniera mediaticamente efficace attraverso l'etere".

Detto più semplicemente, per ridurlo a uno semplice slogan: dove gruppi industriali come Springer o Bertelsmann guidano l'opinione pubblica, dove la Bild-Zeitung e RTL liquidano le persone con punti di vista monodimensionali sugli avvenimenti in Germania e nel mondo, lì allora la consultazione popolare non è più una così buona idea, forse è addirittura l'opposto. Diventerà uno strumento di approvazione popolare per concetti neoliberali, idee reazionarie e anacronistiche retromarce. Per la serie: "Noi ve lo abbiamo chiesto - voi lo avete approvato e perciò avete così voluto!". E il fondamento per la decisione lo si è preso così da coloro che hanno formato l'opinione pubblica contro i rifugiati economici, i musulmani o i macchinisti. Uno deve pur prendere le proprie informazioni da qualche parte.

Prima che i sostenitori della democrazia di base si delizino con sogni referendari, bisognerebbe sognare come liberarsi dall'incubo che le truppe di Bertelsmann e Springer vendono quotidianamente come giornalismo illuminato e non unilaterale. Solo allora la consultazione popolare potrà andare bene. Forse.

Roberto J. De Lapuente

2 commenti:

  1. Sinceramente mi sento insultata dal contenuto dell'articolo.

    Facciamo così: aboliamo anche le elezioni perché, anche in quel caso, l'elettore viene influenzato dall'esterno.
    Aboliamo qualsiasi manifestazione pubblica perché i manifestanti sono solo stati guidati a manifestare.
    La maggioranza delle persone è in grado di pensare con la propria testa, nonostante l'articolista pensi il contrario.
    Se io sono convinta (e lo sono!) che i gay abbiano diritto a sposarsi, qualsiasi opinione contraria non mi farà cambiare idea.
    Nel bene e nel male, la gente non è manipolabile o, almeno non lo è, così tanto.

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  2. Dire che il popolo non abbia diritto ad esprimersi (e non solo in senso abolizionista, come in italia, ma anche propositivo, a mio modo di vedere) su qualsiasi tema equivale a sostenere che la democrazia non è praticabile, dunque non esiste e non è mai esistita, il che è vero a mio parere, ma questo è un altro discorso e richiederebbe ben più di una parentesi. L'unico limite dovrebbe essere la costituzione. Ma questo in un teorico mondo perfetto, la realtà è un'altra cosa e la gente è ben più manipolabile di quanto pensi la Serena, mi ricordo che una volta siamo andati a votare in un referendum ed è uscito che sì, volevamo la pubblicità nei film (chiaramente mediaset aveva martellato paventando il rischio della fine della settima arte, una roba che non stava nè in cielo nè in terra).
    Ma veniamo all'uso un po' fighetto del termine "referenda". Oggigiorno va molto di moda, anche giornalisti di chiara fama, tra cui Travaglio, lo usano, e sembrano voler dire: ehi, io ho studiato latino, e questo è il plurale corretto, per cui sono un intellettuale e sono superiore a te. Io, da inferiore, però ho studiato l'italiano, e mi ricordo che i termini stranieri inglobati nell'uso comune non si coniugano, anche perchè la cosa andrebbe fatta nella lingua d'origine, e io non posso andare a studiarmi l'arabo se devo scrivere "due burqa", inoltre non ho mai sentito usare "due films", forse perchè l'inglese non fa tanto fighetto. Ok, il latino sarà anche una lingua straniera particolare, dato che l'italiano ne discende, ma la regola non prevede questo tipo di eccezioni, inoltre viene insegnato a una percentuale bassa di popolazione, per cui gli altri come dovrebbero fare? Smettiamola con 'sta moda e basta, e torniamo a scrivere due referendum come si è sempre fatto, correttamente peraltro.

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